E se censurassimo anche Giannini e Sordi?

Mariangela Melato e Giannini travolti da una satira sociale - Corriere.it

La provocazione è divertente, e forse non è fine a se stessa tenendo conto di quanto ha potuto la cancel culture in America (Via col vento docet). Ci prova, a risvegliare le coscienze di casa nostra, Alessandro Chetta col saggio Cancel Cinema. I film italiani alla prova della neocensura, fornendo un elenco di 200 titoli che, se osservati con la lente di ingrandimento del politically correct, potrebbero non superare l’esame dei “correttisti”. Ad esempio, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, correrebbe il rischio di restare al palo perché la “bottana industriale”, Mariangela Melato, viene malmenata da Giancarlo Giannini (violenza di genere); sulla stessa china Alberto Sordi in Amore mio aiutami, in cui il nostro Albertone riempie di botte la consorte Monica Vitti. E perché no, mettiamoci pure Lino Banfi quando canta “benvenuti a ‘sti frocioni” (omofobia), Totò che si imbratta la faccia di nero e  prende in giro la parlata degli africani (parodia razzista), senza dimenticare un classico di Scola, Dramma della gelosia – nelle parole di Chetta un “femminicidio ridarello” – che in tempi non sospetti valse a Mastroianni il premio come migliore attore a Cannes. Da quale film vogliamo iniziare?

Chomsky, la cancel culture fa il gioco delle destre

Biografia di Noam Chomsky

Difensore agguerrito della libertà di parola, Noam Chomsky, probabilmente l’intellettuale più famoso d’America, è tornato sull’argomento cancel culture (lo scorso anno fu uno dei firmatari della lettera aperta in cui si denunciava l’atmosfera soffocante causata dalla stessa), e lo ha fatto in questi termini:

“La soppressione del free speech e la cancel culture non sono una novità. Potrei fornire moltissimi aneddoti personali: incontri interrotti, interventi della polizia per proteggermi. Ma quando tocca alla sinistra essere demonizzata nessuno ne parla. Ora succede che segmenti delle generazioni più giovani autodefiniti progressisti copiano alcune di queste tattiche, ed è sbagliato come principio e suicida dal punto di vista tattico: è un regalo alla destra. Se Charles Murray vuole fare un discorso al campus, e gli studenti fanno in modo che non parli, lui si vende come un eroe che difende la libertà di parola dai fascisti di sinistra, la sua popolarità cresce, Trump può usarlo nei suoi discorsi…ripeto, è suicida. L’esplosione di nuove preoccupazioni su razzismo e diritti delle donne sono tutte legittime, ma non quando sono perseguite in un modo che mina quegli stessi diritti”.

Nonostante le statue abbattute, federate e no, e i personaggi in carne ed ossa assicurati all’oblio, possiamo essere fiduciosi: quest’ondata di idiozia intollerante finirà. Nel frattempo educhiamoci alla complessità, quadro astrale dei nostri tempi.

Chi ha incastrato Jessica Rabbit?

Jessica Rabbit a Disneyland cambia d'abito: sarà un'investigatrice

Chi ha un ricordo sufficientemente vivido degli anni Ottanta, non faticherà a ricordare il film Chi ha incastrato Roger Rabbit?, il cui cast era composto da attori in carne ed ossa e personaggi Disney, e tra questi l’ultra seducente Jessica Rabbit. Proprio Disney ha deciso di rivedere l’immagine della femme fatale presente nella giostra Roger Rabbit’s Car Toon Spin in California, adeguandola agli standard di certa contemporaneità, per cui via il vestito rosso e scintillante, a favore di un trench da detective per combattere la criminalità della Los Angeles targata 1947; di fatto un volto nuovo per Jessica, sicuramente desessualizzato, con buona pace del disegnatore Richard Williams che ai tempi ebbe a dire: “È la fantasia maschile per eccellenza, ho provato a renderla come Rita Hayworth, prendendo i capelli di Veronica Lake”. Ora, qualcosa mi sfugge giacché non trovo una risposta a questa domanda: è giusto che un personaggio concepito oltre trent’anni fa, sia privato del suo costituente essenziale, ovvero l’alto tasso di seduzione, solo per adattarlo ai parametri di una sensibilità bacchettona?

P.S. La risposta al titolo del post, però, ce l’ho: i paladini della cancel culture.