Lady Gaga: la Reggiani colpevole ma non avida

Lady Gaga alla premiere di House Of Gucci a Milano

Ieri Lady Gaga era a Milano per la première del film House of Gucci in cui riveste il ruolo di Patrizia Reggiani, condannata a 26 anni di reclusione perché riconosciuta mandante dell’omicidio del marito Maurizio Gucci. Ma Miss Germanotta, che per interpretarla dice di essersi documentata a fondo, non la considera una donna spietata, e offre una lettura diversa della vicenda: “Non credo che la sua fosse avidità. Provo risentimento per l’immagine che si dà spesso delle donne, si dice che cercano i soldi, che vogliono sposare uomini ricchi e far strada nel mondo in questo modo. Quando cresci ti ripetono che conti solo se sei bella, se sei ricca, se qualcuno si inginocchia per chiederti in sposa, una lezione che è stata insegnata a me, a Patrizia, a tante ragazze. Questo film è una riflessione su una donna che vive in un ambiente in cui tutto è concentrato sul denaro, non su di lei, una donna che è stata spinta oltre il limite“. Difficile concordare con la pluripremiata e versatile artista, e lo è anche quando in un’altra dichiarazione spiega che Reggiani è stata vittima in primis di una madre arrivista che la spronava a cercare scapoli d’oro, per cui “quando è riuscita a sposare Maurizio Gucci penso fosse orgogliosa di avercela fatta. Era una donna forte che a un certo punto implode perché perde tutto: il padre delle sue figlie la lascia, e lei viene emarginata“. Cara Lady Gaga, se giustifichiamo un’assassina per i motivi che adduci, allora dobbiamo sforzarci di essere comprensivi anche nei riguardi degli uomini che ammazzano le donne “per amore”. L’omicidio non è mai giustificabile. Mai.

Era proprio necessario un film su Yara Gambirasio?

Il caso Yara Gambirasio: la tragedia diventa un film per Netflix- Corriere.it

Yara Gambirasio divenne la figlia di tutti nel momento in cui i genitori ne annunciarono la scomparsa in tv. Era il 26 novembre del 2010, un giorno che poteva restare senza storia per gli abitanti di Brembate di Sopra (BG), ma evidentemente il destino aveva deciso che era arrivato il momento di interrogarsi sulla ferocia umana. Il corpo di Yara fu rinvenuto tre mesi dopo in un campo, in via del tutto accidentale, da un aeromodellista. Ora il film Yara, prodotto da Taodue e Netflix, per la regia di Marco Tullio Giordana, ricostruisce l’intera vicenda, ma ha per focus la pm Letizia Ruggeri, ovvero la donna che con piglio straordinario organizzò un gigantesco screening di massa per raccogliere il maggior numero di campioni da confrontare col DNA ritrovato sugli indumenti della giovanissima ginnasta. Per appurare l’identità di “Ignoto 1”, fu condotta un’indagine costosissima, da molti osteggiata, che infine portò a Massimo Bossetti, ora all’ergastolo per l’omicidio in questione. Chi ha visto il film assicura che la narrazione poggia su una scrittura asciutta che rifugge il sentimentalismo, e che Isabella Ragonese è bravissima nel ruolo della pm, com’è altresì efficace l’interpretazione che di Yara dà Chiara Bono (foto). Il punto però è un altro: era proprio necessario proporre la ricostruzione cinematografica di un evento delittuoso tanto recente? A pensarla come me, ovviamente per motivi diversi, è la famiglia Gambirasio – che non ha visto il film né ha commentato l’iniziativa – e i famigliari di Bossetti che il film però devono averlo visto giacché denunciano “gravi inesattezze”. Ora, la spettacolarizzazione di questa tragedia mette in discussione il duro ammonimento biblico “le colpe dei padri non ricadano sui figli”. Perché i figli del muratore di Mapello – definizione tanto cara ai cronisti dell’epoca – saranno esposti ancora una volta al tribunale popolare, notoriamente poco incline alla riflessione e al silenzio.