Come maiali nel fango

La mia vita e quella delle persone che ho incontrato sono state spolpate da avvoltoi in cerca di elementi a mio carico. Infatti, ho capito che è sempre a una conclusione di questo tipo che si vuole arrivare: sono io, per forza, la colpevole della scomparsa di mia figlia. E una tale eco mediatica costituisce il peggior giudice. Elude ogni prova, ogni ragionamento, ogni sfumatura. Non cerca la verità, cerca lo spettacolo. La fa breve, punta all’aneddotico, nutrendosi della facile seduzione delle immagini, della pigrizia della stampa e dei suoi lettori, rimbecilliti dalla video-dipendenza. La scomparsa di mia figlia, il dramma che mi sta devastando, è per loro solo un oggetto d’intrattenimento, di spettacolo, di facezie e di sarcasmi. In tutta onestà, devo dire che non è un trattamento comune solo da parte dei media d’infimo profilo o di carattere popolare. Anche altri, teoricamente più seri, ne approfittano spudoratamente. E godono non meno dei primi a sguazzare nel fango come maiali, dissimulando meglio l’impudenza che li muove. Nel senso che, con la massima sfacciataggine, travestono il loro voyeurismo da “indagine investigativa”. Il termine magico che giustifica la loro attrazione morbosa e il loro atteggiamento vessatorio“.

Guillaume Musso, La vita è un romanzo

Non si sarebbe potuto tratteggiare meglio il voyeurismo veicolato dai media tradizionali e dai social, questi ultimi salutati, al loro esordio, come una rivoluzione in grado di aprire le menti attraverso il confronto libero dai condizionamenti del cosiddetto mainstream. Peccato che i social, a cui sarebbe meglio aggiungere un’a privativa, abbiano fatto presto a rivelarsi per quello che sono: un ricettacolo di immondizia e maldicenza a cui non è estraneo il compiacimento per il gioco al massacro e, in assenza di questo, per l’ipocrisia.

Ma tornando all’estratto del romanzo di Musso s’impone una riflessione: come mai tutto questo florilegio di criminologi in tv con quell’esponente di spicco, tale Roberta Bruzzone, che deve la sua fortuna a “zio Michele”? La risposta è ovvia: invece di esecrare il sadismo trasfigurato da cronaca – con i suoi resoconti di dissezione di cadaveri o del conteggio dei giorni impiegati da una bambina prima di morire di inedia – premiamo trasmissioni come Quarto grado che contando su narrazioni costruite così abilmente da indurre lo spettatore a sentirsi partecipe delle tragedie altrui, lo sollevano dal sospetto d’essere correo di chi su quelle tragedie sta speculando.

E infine lei, Franca Leosini e le sue Storie maledette. Imbattibile.

Storie Maledette: le perle di Franca Leosini su Facebook | Vanity Fair Italia