OSIP EMIL’EVIČ MANDEL’ŠTAM
DELLA STERILE E TETRA VITA VENEZIANA
Della sterile e tetra vita veneziana
m’è chiaro il senso.
Ecco che guarda con un frigido sorriso
dal decrepito vetro azzurro.
L’aria tersa della pelle. Le venature azzurre.
La candida neve. Il verde broccato.
Si viene tutti distesi su lettighe di cipresso,
assonnati, caldi si viene tratti dal sudario.
E ardono, ardono nei canestri le candele,
come se una colomba fosse entrata nell’arca.
A teatro e in oziosa pubblica assemblea
un uomo sta morendo.
Poiché non v’è scampo dall’amore e dalla paura:
è più greve del platino l’anello di Saturno!
Di nero velluto è parato il patibolo
e il viso meraviglioso.
Sono grevi, o Venezia, i tuoi paramenti,
gli specchi nelle cornici di cipresso.
Sfaccettata la tua aria. Nell’alcova si sciolgono i monti
di decrepito azzurro.
Solo tra le dita una rosa o un’ampolla,
o verde Adriatico, perdona!
Perché mai taci, dimmi, o veneziana,
come sfuggire a questa morte festosa?
Tremola nello specchio il Vespro nero.
Tutto passa. La verità è oscura.
L’uomo nasce. La perla muore.
E Susanna deve attendere i vecchioni.
1920
(da Poesia, 344, Gennaio 2019 – Traduzione di Gario Zappi)
Nell’opera poetica di Osip Ėmil’evič Mandel’štam ombre e luce si susseguono, così come l’acqua e la terra: come poteva Venezia – visitata nel 1910, mentre era ricoverato nel sanatorio di Zelendorf – essere incapace di ammaliarlo? È una Venezia autunnale, decadente, una città che muore lentamente, dolcemente e inevitabilmente precipitando nei suoi canali, simile alla Venezia vista da Thomas Mann: “La bella lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà trappola, nella cui atmosfera corrotta l’ arte un tempo si sviluppò rigogliosa, e che suggerì ai musicisti melodie che cullano in sonni voluttuosi”.
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ACQUARELLO DI TONI BELOBRAJIDIC
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