Poesia di Cappello Pierluigi

Le belle lettere

A Eraldo Affinati

I polpastrelli premuti sulla terra battuta,
la combustione degli istanti liberata in uno scoppio

poesia
poesia

nel corpo lanciato verso cento metri che non finiscono più
che sono già finiti,
i lunghi ritorni a casa, estenuanti,
dove qualcosa dentro noi andava puntellato
nella desolazione, per catturare il mondo in un dettaglio,
come guardato attraverso una fessura.
Siamo antichissimi e giovani,
abbiamo visto Vienna liberata dai cavalieri alati,
chiuso le belle lettere in un tascapane,
accanto alle cartucce
scalato le marce e aperto il gas in un ruggito
dopo l’ultima curva
e ancora la bellezza e il dolore sono un cielo
che entra nella voce e la spezza.
Non orgoglio del compito svolto
ma per orgoglio del compito
qualcosa rimane del nostro dire
abbiamo inciso i nomi sul tronco folgorato,
siamo passati di lì.

Stato di quiete. Poesie 2010-2016 (BUR Rizzoli, 2016)

Passeggiare di Buzzati

Passeggiare

Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi.

DINO BUZZATI 
Paura alla Scala

https://lunarioaforismi.blogspot.com/

Che non sia più notte

Che la notte finisca

DAVID MARIA TUROLDO

CHE NON SIA PIÙ NOTTE

La notte è avanzata:
Dio, fa’ che la notte finisca,
che non sia più Notte!

(da O sensi miei, 1990)

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Quindici parole bastano a David Maria Turoldo per elevare questa sua-preghiera a Dio. La sua notte è quella lontana da Dio e l’alba è la sua rivelazione, si noti la sottile differenza tra la notte e la Notte con la maiuscola che regge tutta quanta la poesia: certo è diversa da questa notte che viviamo noi adesso, la notte del Covid-19 e delle libertà assenti, di questa dittatura sanitaria imposta dalla necessità. Ma ugualmente facciamo nostra la supplica di padre Turoldo: “fa’ che la notte finisca”.

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FOTOGRAFIA © FREE STOCK FOOTAGE

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LA FRASE DEL GIORNO
«Facciamolo ancora!». / Bello e meraviglioso sarà / oriens ex alto: / luce da luce / splenderà più del sole.
DAVID MARIA TUROLDO, O sensi miei

La Domenica delle palme

images (1)Poesia di Giovanni Pascoli

Hanno compiuto in questo dì, gli uccelli
il nido (oggi è la festa dell olivo)
di foglie secche, radiche, fuscelli;
quel sul cipresso, questo su l’alloro,
al bosco, lungo il chioccolo d’un rivo,
nell’ombra mossa d’un tremolio d’oro.
E covano sul musco e sul lichene
fissando muti il cielo cristallino,
con improvvisi palpiti, se viene
un ronzio d’ape, un vol di maggiolino.

https://www.poesie.reportonline.it/poesie-di-pasqua/poesie-di-pasqua-di-giovanni-pascoli-la-domenica-delle-palme.html

Attendiamo il dopoguerra

 

 di Giacomo Sartori

di Alessandra Spallarossa

Forse complice la memoria che sbiadisce dopo una certa età, forse anche il processo di rimozione dei ricordi dolorosi per salvaguardare la propria salute mentale, mia nonna al telefono mi spiega che la guerra fu meno pesante per loro rispetto a questa reclusione forzata e a questo dramma epidemiologico.
La sua dichiarazione arriva in risposta al pensiero che ho condiviso con lei pochi secondi prima: “certo è dura ma per voi la guerra dev’esser stata molto peggio”. “No”, mi dice, lasciandomi sorpresa.
Mia nonna ha 87 anni, la sua giovinezza è stata segnata dal grande conflitto mondiale che ha tracimato tutta l’Europa, proprio come sta facendo ora il Covid-19, di cui il vecchio continente è diventato il nuovo epicentro.
“Intanto noi sapevamo chi era il nemico e da dove arrivava” continua mia nonna con la sua voce traballante “e poi potevamo riunirci, anzi, ci riunivano tutte le sere, trovavamo conforto nella socialità” quelle parole mi procurano una strana sensazione allo stomaco, ma la voce di mia nonna al telefono continua “certo, poteva cascarti la casa addosso sotto i colpi dei bombardieri, ma io ero una bambina, mi sedevo sulle ginocchia di mio padre e mi sembrava che nulla di male potesse accadermi finché lui mi stringeva”.
Non credo mia nonna intenda davvero sostenere la tesi che la guerra sia meglio di questa situazione, come non credo sia interessante cercare di assegnare premi agli eventi più traumatici della storia umana, eppure un pensiero emerge prepotentemente: la necessità umana del rapporto sociale e del contatto coi suoi simili.
Sono trascorse ormai più di due settimane da quando il Presidente Conte ha messo tutto il paese in quarantena, e pochi giorni in meno da quando l’OMS ha dichiarato il Covid-19 pandemia mondiale. Siamo ogni giorno testimoni di una tragedia che segnerà la storia, che sta mettendo in ginocchio i nostri sistemi; il mondo pare essersi fermato, e mentre noi ci affacciamo alle finestre come carcerati, la natura là fuori si riappropria dei suoi spazi usurpati, dandoci un’amara lezione su cosa possa essere la vita sul pianeta senza l’uomo.
Siamo tutti preoccupati, smarriti, provati, e chi non lo è non ha forse ben afferrato la situazione.
I contagi in tutto il mondo continuano a salire e i morti ad aumentare, la cantilena del telegiornale impregna i nostri salotti senza sosta, ricordandoci continuamente che bisogna restare a casa e che solo così finirà presto. “Presto”, questa parola sembra ormai aver abbandonato il suo significato reale, sembra piuttosto voglia rivestirsi di speranza, perché la verità è che non sappiamo quanto ancora andrà avanti questa reclusione coatta e necessaria. I dubbi sono tanti, ma risposte non ce ne sono.
Mentre aumenta il numero delle anime che si spengono, mentre il nostro paese barcolla sotto i colpi di tosse del coronavirus, qualcosa si aggrappa al nostro cuore ridandoci speranza: la prospettiva di poterci riabbracciare tutti “presto”.
Quando mia nonna mi spiega perché la guerra era diversa si sofferma sul contatto umano, sulla speranza e la forza che scaturiscono da un semplice abbraccio, dall’ancestrale conforto che ci da e che oggi ci è negato. Per la nostra e altrui sicurezza siamo chiamati a reprimere alcune delle più forti connotazioni umane: la socialità, l’aggregazione, l’affetto, il senso di comunità. Allora usciamo sui balconi, tentando di accorciare un po’ quella distanza fisica, cantiamo insieme per sentirci di nuovo vicini.
Mia nonna si sofferma anche sulla forma di questo nemico infido che ci ha costretti a fermarci e nasconderci, che è invisibile e che attecchisce all’interno dei nostri corpi in silenzio, sorprendendoci completamente disarmati.
Sebbene siano giorni delicati e confusi il telegiornale e i media non fanno altro che ripetere che siamo in guerra; voglio credere che ricorrano a quest’espressione col solo scopo di farci mantenere la massima cautela, e non di spargere il panico. Eppure il paragone viene naturale, non serve il giornalista con la sua dialettica a farci sentire come se ci stessero bombardando. Non cascano i palazzi, il nemico si insinua nelle nostre cellule, non ci sono frontiere da difendere, la trincea è nelle corsie d’ospedale, non ci sparano addosso, il virus aleggia tra le strade cittadine, non perdiamo valorosi soldati che combattono per la patria, vediamo i nostri cari spegnersi ineluttabilmente, e a volte neanche possiamo vederli. Il Covid-19 ci ha privati anche del più sacro avamposto umano: l’ultimo saluto ai nostri cari perduti.
Ebbene, nonostante tutto, non perdiamo la speranza, da questi giorni funesti si leva la tenace bellezza umana che non sembra volersi affievolire: l’inestimabile valore del vero contatto, che nessuna tecnologia può surrogare e nessuna tragedia può cancellare.
Nonostante tutto ricordiamoci che il dopoguerra è stato un periodo florido, di rinascita economica, un boom demografico con un miglioramento nello stile di vita, allora anche questa “guerra” un giorno finirà e noi faremo tesoro delle lezioni imparate, apprezzando profondamente le cose più semplici, daremo vita ad un nuovo splendido mondo. Voglio credere che sarà così.

https://www.nazioneindiana.com/2020/03/29/attendiamo-il-dopoguerra/

Girotondo in tutto il mondo

https://www.filastrocche.it/contenuti/girotondo-intorno-al-mondo-2/Girotondo in tutto il mondo

girotondo-bambiniFilastrocca per tutti i bambini,
per gli italiani e per gli abissini,
per i russi e per gli inglesi,
gli americani ed i francesi;

per quelli neri come il carbone,
per quelli rossi come il mattone;
per quelli gialli che stanno in Cina
dove è sera se qui è mattina.

Per quelli che stanno in mezzo ai ghiacci
e dormono dentro un sacco di stracci;
per quelli che stanno nella foresta
dove le scimmie fan sempre festa.

Per quelli che stanno di qua o di là,
in campagna od in città,
per i bambini di tutto il mondo
che fanno un grande girotondo,
con le mani nelle mani,
sui paralleli e sui meridiani…

Gianni Rodari

https://maestramary.altervista.org/poesie-e-filastrocche-di-gianni-rodari.htm

I GATTICI DI G. PASCOLI

misici

Poesia di Giovanni Pascoli 
I Gattici

E vi rivedo, o gattici d’argento,
brulli in questa giornata sementina:
e pigra ancor la nebbia mattutina :
sfuma dorata intorno ogni sarmento.
Già vi schiudea le gemme questo vento
che queste foglie gialle ora mulina;
e io che al tempo allor gridai, Cammina,
ora gocciare il pianto in cuor mi sento.
Ora le nevi inerti sopra i monti,
e le squallide piogge, e le lunghe ire
del rovaio che a notte urta le porte,
e i brevi dì che paiono tramonti
infiniti, e il vanire e lo sfiorire,
e i crisantemi., il fiore della morte.

https://www.poesie.reportonline.it/poesie-di-giovanni-pascoli/poesia-di-giovanni-pascoli-i-gattici.html

La gioia di scrivere

Wisława Szymborska

Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?
Ad abbeverarsi ad un'acqua scritta
che riflette il suo musetto come carta carbone?
Perché alza la testa, sente forse qualcosa?
Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,
da sotto le mie dita rizza le orecchie.
Silenzio - anche questa parola fruscia sulla carta
e scosta
i rami generati dalla parola "bosco".

Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi
che non lasceranno scampo.

In una goccia d'inchiostro c'è una buona scorta
di cacciatori con l'occhio al mirino,
pronti a correr giù per la ripida penna,
a circondare la cerva, a puntare.

Dimenticano che la vita non è qui.
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Un batter d'occhio durerà quanto dico io,
si lascerà dividere in piccole eternità
piene di pallottole fermate in volo.
Non una cosa avverrà qui se non voglio.
Senza il mio assenso non cadrà foglia,
né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.

C'è dunque un mondo
di cui reggo le sorti indipendenti?
Un tempo che lego con catene di segni?
Un esistere a mio comando incessante?

La gioia di scrivere
Il potere di perpetuare.
La vendetta d'una mano mortale.

Wisława Szymborska è stata una poetessa e saggista polacca. Premiata con il Nobel nel 1996 e con numerosi altri riconoscimenti, è generalmente considerata la più importante poetessa polacca degli ultimi anni – Continua su Wikipedia

https://www.poesiedautore.it/wislawa-szymborska/la-gioia-di-scrivere