Recensione di “Salve Amici della notte, sono Porzia Romano” di Rita Angelelli

Fragilità, ma anche riscatto. Soprattutto, la voglia di non arrendersi.

"Salve amici della notte, sono Porzia Romano" di Rita Angelelli

“Salve amici della notte, sono Porzia Romano” di Rita Angelelli

Una strada davanti a sé, la voce di una speaker che affronta problemi femminili e tanto dolore nascosto fra le cicatrici. Così, in una notte qualunque, conosciamo la protagonista di “Salve amici della notte sono Porzia Romano” della scrittrice Rita Angelelli, pubblicato dalla Casa Editrice LE MEZZELANE.
Una notte per viaggiare verso un nuovo appuntamento medico per una donna che convive sia con la consapevolezza di aver subito una grave ingiustizia sia con il tentativo di farle credere che per le questioni morali spesso non ci sono compensazioni. Né il dolore né le cicatrice, però, si possono celare a lungo: e se per il primo basta a volte indossare una maschera che accontenti la società, per le cicatrici non c’è nessun modo per evitare di affrontarle. Basta infatti uno specchio, uno sguardo superficiale per portare tutto a galla e spingere sempre più in fondo la disperazione di una donna che è stata privata della sua femminilità. Tutto ciò caratterizza la protagonista di questo lavoro: una donna che si porta addosso oltre la malattia anche l’incompetenza medica di chi, invece, le prometteva speranza e serenità.

In questa notte di viaggio, però, la donna sente attraverso la radio una voce femminile che può ascoltarla. Così, mentre l’A14 scorre davanti a lei, inizia la sua chiacchierata con la speaker Porzia Romano e tutto il dramma fino a quel momento nascosto dentro le gabbie dell’anima si riversa fino al lettore. La malattia, la speranza, le mani incompetenti che deturpano invece che ripristinare, parole buttate addosso con la leggerezza della superficialità: tutto viene fuori in una sorta di sfogo in questa notte che sembra fatta per le confessioni. Non un grido d’aiuto o la ricerca di commiserazione: tutto ciò è alieno alla donna seppure la sua è ormai un’esistenza fragile. È, invece, uno grido che vuole sfidare le convenzioni sociali per cui se non ti mancano arti, se sei in grado di respirare e di andare avanti tutto sia andato bene. La fragilità che la donna riversa in questo racconto è quella di chi si è vista derubare della propria femminilità, della possibilità di potersi amare ancora prima di tentare di cercare amore all’esterno. E la sua lotta contro strutture mediche e team di dottori che non riconoscono nel suo dramma il grido di chi si sente mancare un pezzo importante di se stesse, come se non fosse essenziale per una donna sentirsi femmina, volere l’amore o solo il sesso.

[…] “…a lottare contro una sanità che non riconosce la mia menomazione,
contro una società che non vede in una deturpazione fisica la presenza di un danno morale.”


È una sorta di appello che pone l’attenzione sull’indifferenza di molti, i medici soprattutto, davanti alla fragilità di persone che non vogliono altro che essere aiutate a sentirsi femmine, a sentirsi vive. Il breve racconto è inframmezzato dai pensieri di chi pensa che nulla di ciò che ha provato possa essere compreso, possa venire ripristinato e forse possa trovare nuove vesti per esprimersi. Una storia che porta a riflettere, a considerare come spesso le persone che riteniamo forti abbiano dentro di loro una fragilità i cui contorni stanno per spezzarsi; si intravede la forza di chi ha voluto credere che nulla sia ancora finito e che se ci si imbatte in degli incompetenti, poi a volte, si ha anche la fortuna di incontrare persone che non lo sono.

Non è facile mettersi a nudo e togliere l’ennesima maschera che ci ha protetto dalla commiserazione e dall’incomprensione, scegliere di mostrare quella parte di te che hai tenuto dentro, nemico e amico delle notti in cui tutto sembrava dover precipitare in un baratro.
Rabbia e delusione, dunque, ma fra queste pagine emerge anche la consapevolezza di volersi ritrovare per andare avanti, di volersi bene per ricominciare daccapo. “Ho imparato che, se vuoi il bene, devi per prima cosa volerti bene”.
Buona lettura.

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Recensione di “Un giorno che non sa né di me, né di te” di Tiziana Irosa

"Un giorno che non sa né di me né di te" di Tiziana Irosa

“Un giorno che non sa né di me né di te” di Tiziana Irosa

Quant’è bello lu primm’ammore…” recita uno stornello pugliese e se anche il proséguo inneggia anche ai “secondi amori” quel che conta è quel suo messaggio chiaro che mescola parole a musica. Il primo amore non si scorda mai, nel bene o nel male; difficile che la nostra memoria faccia cilecca quando si dovrà rievocare i primi battiti, le ansie e le emozioni che per primi ci rendono partecipi di qualcosa fino ad allora vista solo nei film o letta nei libri. E questo Stefano lo sa, anche se la sua esperienza e il suo bagaglio sentimentale non può dirsi idilliaco: due matrimoni falliti alle spalle, una madre che passa da una storia all’altra e la convinzione, quella di Stefano, che fra le braccia di una qualsiasi forma femminile si possa star bene. Ed è quello che vuole fare quando Olivia, la sua seconda moglie, lo caccia fuori di casa.
Conosciamo così il simpatico protagonista del romanzo “Un giorno che non sa né di me, né di te” di Tiziana Irosa, pubblicato dalla Casa Editrice LE MEZZELANE nella colla Live&Love.

Stefano, avvocato presso un’azienda che si occupa di acquisire altre realtà imprenditoriali, non è uomo che si pianga addosso per le cose non riuscite, ma anzi è pronto a scoprire meglio il mondo femminile che lo circonda. E quasi non può credere ai suoi occhi quando, nel team norvegese che deve collaborare con lui, rincontra Chiara, il suo primo amore adolescenziale. Non una banale cotta, ma quello struggimento fisico e mentale che i grandi poeti e scrittori da sempre inneggiano e chiamano amore. Basta rivederla per capire che è sempre legato a lei in una maniera che non sa spiegarsi: nella vita si sono rincorsi, sbagliando i momenti e ritrovandosi impegnati quando le strade invece convergevano nella stessa direzione.

A Stefano sembra un segno del destino che la bella Chiara sia riapparsa nella sua vita proprio quando la sua ultima relazione lo rende libero di frequentare chi non ha mai dimenticato: perché per lui, Chiara, è sempre la donna ideale, quella persona il cui sorriso può mandare in tilt un intero sistema di sicurezze. Ma si potrà recuperare un tempo che sembra non essere stato concesso a loro?E la vita di Chiara in Norvegia, esistenza di cui Stefano conosce così poco, sarà un ostacolo o offrirà delle opportunità?

In un crescendo di sorrisi che i personaggi del libro ci trasmettono- grazie alla vicina Tullia, i figli adolescenti di Stefano, e il padre, alla ricerca di cibo “di sostanza”- la storia porta il lettore a rievocare e spolverare la memoria alla ricerca del primo battito del nostro cuore, tirando le somme di ciò che ci si lascia spesso alle spalle. Non tutti i primi amori sono gli unici nella vita delle persone, che spesso si chiedono se il tempo loro concesso sia stato vissuto male o se, semplicemente, non era scritto per loro un avvenire insieme. La vita è fatta di troppi interrogativi che spesso ci lasciano con l’amaro in bocca e forse a volte va bene anche così, perché non tutto si può recuperare…o sì, invece?

Quella di Tiziana Irosa non è una storia di un amore convenzionale e che stucca il lettore, anzi: un sorriso segue una risata mentre il cuore fa una capriola indietro nell’accorgersi di quanto i ricordi siano dolorosi, ma belli.

“Ne la malinconia de li ricordi / naturarmente resta er primo amore… / Come diavolo vôi che me ne scordi?” si legge nella parte finale della poesia “Er primo amore”di Trilussa.

Per questo, mentre sfoglierete queste pagine che raccontano l’amore che non conosce né tempo né spazio, ripensate al vostro di primo amore e vedrete che sarete più che semplici lettori. Buona lettura.

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LA FELTRINELLI

Recensione di V.I.T.R.I.O.L (L’Artigliatore) di Vito Ditaranto

Mistero e magia, ma in vesti nuove per un romanzo da scoprire fino alla fine

V.I.T.R.I.O.L. (L'Artigliatore) di Vito Ditaranto

V.I.T.R.I.O.L. (L’Artigliatore) di Vito Ditaranto

Venezia. Bella e tenebrosa, elegante e sinuosa nelle sue calle umide costeggiate dai canali. Venezia come una signora affascinante che si sveste a strati e ti ammalia con la sua storia e i suoi mestieri. Qui si svolge la vicenda che ha come protagonista Joshua, un vecchio studioso che cerca di mettere in pratica i suoi studi che ruotano intorno alla Cabala, ossia della dottrina ebraica che si pone l’obiettivo di interpretare i simboli in cui è scritta la Bibbia (ma è molto di più e si potrebbe dire davvero altro che questa pagina non può contenere). Un uomo colto che ha ripercorso il cammino di illustri studiosi che, in un arco di tempo esteso, hanno scritto trattati e avanzato conclusioni a cui lui può dare vita; un appassionato che ha consultato libri, scomodato religione e ragione per concretizzare ciò che, per i suoi illustri predecessori, era solo teoria.

Si apre così “V.I.T.R.I.O.L. (L’Artigliatore)” di Vito Ditaranto, edito presso la Casa Editrice LE MEZZELANE. Un giorno Joshua scopre che il tempo concessogli su questa terra è agli sgoccioli a causa di una malattia irreversibile e che ha poco tempo per riordinare il suo lavoro e tenerlo lontano dal suo nemico naturale, l’Artigliatore: una figura oscura, avvolta nelle tenebre che dovrebbero caratterizzare un emissario del male e che vuole rubargli il segreto su cui lui ha incentrato tutta la sua vita: la magia, la chiave di lettura pratica a secoli di studi solo teorici. È questo che è Joshua, il primo stregone, il primo mago capace di assoggettare a se ciò che lo circonda, anche se i termini per designarlo non rendono bene il vero significato del ruolo che ricopre.

Il lettore si ritrova catapultato in un mondo conosciuto appena e di cui nessuno può dirsi padrone perché ne cogliamo solo gli aspetti ludici e spesso superficiali. Siamo abituati a credere alla magia come un insieme di movimenti di qualche bacchetta magica accompagnati a della polvere magari scintillante. Qui però, non esistono fate o scuole di stregoneria: l’ambientazione è realistica, i luoghi sono quelli comuni e le vite quelle semplici che siamo abituati a considerare. Il segreto del protagonista ha radici più profonde, ha una portata più elevata dei semplici trucchi di un prestigiatore. Per questo Joshua deve proteggere il suo lavoro a tutti i costi.

Il romanzo, devo ammetterlo, mi ha rapita totalmente. I temi trattati mi affascinano da sempre e la piega poco fantasiosa, ma vera e quasi a portata di mano, che l’autore dà alla narrazione non ha potuto che consolidare il vivo interesse che provo in merito. Non solo, ma lo stesso stile narrativo ti avvinghia alle sue pagine in maniera tale da sospettare l’autore capace di maneggiare i famosi scritti della Cabala di cui il libro è impregnato.

Se si ama gli enigmi, l’occulto, se si vuole leggere qualcosa fuori dall’ordinario senza essere uno scimmiottamento dell’arte della Cabala, ebbene questo è il romanzo adatto.

Il lettore non può che sperare di risolvere il mistero prima della fine, ma non pensate di farcela così semplicemente. Infatti, riuscirà lo studioso a redigere una sorta di testamento da affidare a qualcuno affinché non vada perso assieme a sé stesso? E di chi si può fidare per un compito talmente delicato e di vitale importanza? Del vicino di pensione professor Simone o del gentile, ma non propriamente del settore, Vito? E l’Artigliatore, gli sarà tregua? Ma soprattutto, chi è questa figura avvolta in un mistero che avvolge persino lo stesso protagonista?

Non vi resta che leggere “V.I.T.R.I.O.L. (L’Artigliatore)” fino alla fine per scoprirlo…forse.

Buona lettura.
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Recensione “Cose che nessuno sa” di Alessandro D’Avenia

Cose che nessuno sa: amore e abbandono, ma soprattutto il ritorno. Come quello di Ulissa a Itaca.

COSE CHE NESSUNO SA di Alessandro D'Avenia

COSE CHE NESSUNO SA
di Alessandro D’Avenia

Una quattordicenne, un professore sognatore, un giovane ragazzo abbandonato, un padre che cerca altrove l’amore familiare. Personaggi di una storia chiamata Vita, ma soprattutto persone con sogni e desideri, e paure. Tante e spesso troppo grandi per poterle gestire. Sono loro i fili conduttori di “Cose che nessuno sadi Alessandro D’Avenia: un romanzo sulla “misericordia per l’uomo” come dice lo stesso professore siciliano nei suoi ringraziamenti. È la sua seconda opera questa, dove possiamo seguire quello stile delicato con cui narra la vita e il dolore, dove la nostra bella lingua si scioglie dentro al cuore, un po’ come la neve davanti al sole.

Protagonista del romanzo è Margherita, convinta che l’inizio del primo anno delle superiori possa essere il suo più grande problema, ma non ha fatto i conti con la realtà e le sue pieghe. Perché scoprirà sulla sua pelle l’abbandono, quello paterno, senza poter capire cosa sia successo, costretta anzi ad affrontare la sua quotidianità senza più nessun entusiasmo. Nella sua corazza fragile di adolescente il mondo le apparirà cattivo, sua madre debole, Andrea, il suo fratellino, solo un’altra vittima di quell’amore familiare che non ha saputo proteggere tutti loro. Neanche il nuovo professore di lettere e latino, che la incanta con la storia dell’Odissea, può nulla contro quel fuoco che le cova dentro. Anzi, lui stesso appare al lettore troppo fragile, fin troppo sognatore e impaurito dalla vita vera. Persone e personaggi, dunque, di un dramma reale che li porta sui fili incerti come un funambolo a cercare quell’equilibrio spezzato dalla paura e l’abbandono. Una nuova vita, quella di Margherita, che dovrà riemergere e fare da collante per un amore che si è smarrito, mentre lei stessa si fa scudo con l’esperienza di nonna Teresa e quel sentimento nuovo e delicato che le ispira Giulio.

Questo romanzo parla delle “stanze segrete dell’amore” nelle sue varianti e sfumature: quello filiale, simile a quello che porta Telemaco a salpare per cercare Ulisse; un sentimento forte verso la famiglia, contornato dalle perle di saggezza della nonna siciliana che impasta i dolci con tutto il cuore che ha; c’è l’amore fatto di sguardi e protezione per Giulio, che cerca e si salva nei suoi occhi; e infine c’è il ritrovarsi, c’è la misericordia di capire i propri errori e afferrare la mano di chi si sente alla deriva.
Un libro pieno di parole magiche che la nostra Lingua ci regala, che attinge a quella classica che Omero e Dante hanno trasmesso ai posteri; un romanzo pieno di similitudini con un libro intramontabile come può esserlo l’Odissea e che racconta come si formano i cerchi della perla, non altro che la vita, quella vera, nelle ostriche, tra l’amore e il dolore della sua nascita.

Credo che nel nostro panorama letterario D’Avenia, come pochi, sappia raccontare come facevano un tempo i cantastorie: con la pazienza e l’amore del narratore attento e partecipe di ciò che sta suscitando nel suo pubblico. Ogni volta è bellissimo calarsi nelle storie di questo professore che ci insegna ad amare la nostra terra, la nostra storia, le nostre radici. E come faccia risulta forse un mistero da annoverare fra le cose che nessuno sa.

Buona lettura.