Recensione “Volevo essere una gatta morta” di Chiara Moscardelli

Avete presente Bridget Jones, pasticciona ma capace di avere un happy ending? O le strafighe protagoniste di Sex and the city, sempre impegnate in avventure amorose? Bene, ora che sapete di cosa parlo metteteli da parte, perché Chiara, la voce narrante di questo libro, nonché protagonista, è tutt’altra cosa.

"Volevo essere una gatta morta"

“Volevo essere una gatta morta”

Volevo essere una gatta morta” di Chiara Moscardelli non è un semplice romanzo divertente che racconta qualcosa di irreale: è una sorta di manuale per sopravvivere nella giungla delle scelte sbagliate che si fanno nella vita. Soprattutto in quella sentimentale. Passo dopo passo, raccontando di sé e mettendo a nudo una vita imperfetta ma vera, l’autrice stila una serie di nozioni che hanno fatto sì che il mondo femminile si divida in “gatte morte” e tutto il resto. E Chiara, con la sua ricerca del principe azzurro, fa parte del secondo gruppo.

Nei miei sogni c’era sempre il lieto fine, altrimenti che razza di sogni sarebbe stato?”

Alla lunga, però, le aspettative lasciano il posto alle delusioni, soprattutto quando molte di noi diventano le amiche dei ragazzi che si vorrebbe conquistare e tu, ma in modo particolare Chiara, ti domandi il perché. Cosa si sbaglia nell’approcciarsi agli altri? Cosa si dovrebbe fare per non essere sì simpatica ma nemmeno presa in considerazione per una storia seria? Chiara Moscardelli cerca di dare la sua interpretazione partendo da un’operazione in ospedale: la frase “Perché gatta morta si nasce, non si diventa” riassume molto bene il suo pensiero.

Lei ne è sicura: è stata la sua smania di essere sempre attenta all’uomo di turno, di non apparire pesante o con aspettative che l’ha fregata. Mentre, dall’altra parte, molte donne –le famose gatte morte- hanno un’altra strategia. La gatta morta, rivela l’autrice, è una sorta di donnina dell’ottocento piena di riservatezza, quasi troppo moralista e che fa la misteriosa. Niente a che vedere con la Chiara del romanzo, alle prese con una vita che le va stretta in tutti sensi.

“Volevo essere una gatta morta” è un libro che si legge con il sorriso sulle labbra. Pagina dopo pagina non puoi che sentirti come uno dei tanti amici della protagonista alle prese con avventure quotidiane al limite del vero. Ho sorriso, ho riso, ho annuito felice mentre lo leggevo, dicendomi che questa Chiara Moscardelli ha scoperto il vero Graal per tutte noi che gatte morte non ci siamo nate. È una sorta di balsamo per chi la Natura si è dimenticato di valorizzare con doni estetici degni di questo nome, ma comunque va avanti e non perché, dopotutto, “è bello dentro” : l’autrice sfata anche quest’ancora di salvezza di  molte donne meno belle.

Dovremmo invece tutti capire, specialmente le donne, che rincorrere la perfezione non appaga sempre il nostro cuore e che, come dice la bravissima Moscardelli, “quello che non abbiamo riesce sempre a rovinare quello che abbiamo.”

“La ragazza della palude” di Delia Owens

UNA RAGAZZA. UNA PALUDE. E UNA VITA DI SOLITUDINE E SCOPERTA.

UN OMICIDIO E I PREGIUDIZI DI UNA COMUNITA’


Kya ha sei anni quando sua madre scappa di casa, lasciando un marito violento e cinque figli a se stessi. Un abbandono che segnerà la sua giovane vita vissuta in un ambiente dai più ritenuto inospitale: la palude.

LA RAGAZZA DELLA PALUDE” di Delia Owen, edito dalla Casa Editrice Solferino, racconta lo straordinario riscatto di una ragazza emarginata e abbandonata.

"La ragazza della palude" di Delia Owens

“La ragazza della palude” di Delia Owens

Kya, infatti, vive in una sorta di simbiosi con la palude che lei vede con occhi diversi e che la porta a conoscere le creature faunistiche e floreali uniche nel loro genere. Una passione che le farà conoscere Tate, una figura-guida molto importante nella sua vita.

Un micromondo quello di Kya Clark lontano da una società, quella di Barkley Cove, che si lascia alle spalle il secondo conflitto mondiale e si protende verso il boom economico.
Ma è anche una comunità che, sconvolta, ritrova un giorno il cadavere di Chase Andrews, figlio perfetto e amico di tutti.

 Ma cosa c’entra Kya con la sua morte? Quali fili uniscono la sua storia fatta di solitudine con quella del giovane ucciso che invece brillava di luce propria?

“La ragazza della palude” è uno di quei lavori che ti catturano piano piano, ti guidano verso mondi lontani dal tuo per mostrarti l’altra faccia della vita, quella fatta di emarginati come la protagonista o come discriminati, come Jumpin e sua moglie Marbel.

Una vita solitaria, quella di Kya, respinta da tutti nonostante in lei cresca prepotente quel bisogno umano che abbiamo tutti di essere amati ed essere circondati dai nostri simili.
Un’esistenza solitaria non voluta bensì solo accettata, contro i pregiudizi e le cattiverie.

“Quanto si è disposti a dare per combattere la solitudine?”

Quello di Delia Owens è un lavoro che esplora l’animo umano un po’ come Kya fa con la sua palude. Emerge la figura di una ragazza fragile, attenta e sola; una creatura che accetta le briciole di un’attenzione collettiva che la società le nega perché diversa, perché strana. Appare quasi scontato questo clima di diffidenza se si pensa al contesto storico del libro. Negli anni ’60 del secolo scorso anche solo il colore della pelle era motivo di discriminazione.

Questo romanzo, però, racchiude molto di più di quello che in apparenza ci mostra. Emerge una realtà dolce e malinconica, inframmezzata dalla poesia che Kya stessa compone.
Allo stesso tempo, però, si snoda una storia fatta da diverse verità nascoste oltre la vegetazione di un palude.

Ma sopratutto dietro ai segreti di un cuore che ha conosciuto anche il dolore.