“La quarta dimensione del tempo” di Ilaria Mainardi

“Dove si arriva e da dove si parte sono i soli punti da tenere sempre presenti per non sbandare durante il percorso”.

Lo sa bene James Murray, pubblicitario cinquantenne della “Grande Mela”, quando entra in possesso di una lettera che lo pone davanti al suo passato. Una vita lasciata dietro di sé senza troppi rimpianti e con essa Lucinda, sua madre. Una lettera, seppur vecchia di quasi tre decenni, è pur sempre un pezzo di carta, ma diventa un segno, un monito alla vigilia dei propri cinquant’anni. James, dunque, decide insieme all’amico Gavin, di riprendere le redini della propria storia da dove l’aveva lasciata. Nel Missouri ci sarà ad attenderlo solo il rimpianto o anche quella stessa rabbia che fuggendo via aveva sperato di dimenticare? E sua madre sarà il punto da mettere alla fine di questa lunga memoria dolorosa?

Questo romanzo è una fotografia carica di colori, si sfondi, di prospettive. Il lettore non legge la storia, ma la vede, la vive con naturalezza. Attraverso paesaggi assolati dove l’aria è impregnata di ricordi, o nelle affollate vie di New York, si respira l’aria americana che siamo abituati a vedere nei film, o a scorgere nei romanzi d’oltreoceano.

"La quarta dimensione del tempo" di Ilaria Mainardi

“La quarta dimensione del tempo” di Ilaria Mainardi

Ma anche così non c’è nulla di scontato nel lavoro di Ilaria MainardiLA QUARTA DIMENSIONE DEL TEMPO“, della casa editrice Les Flauners. È la realtà quella che impregna la carta, sono i colori di esistenze comuni a far capolino fra le righe. James Murray non è un eroe, non è perfetto, non ha una missione. È uno di noi, un uomo che cerca di andare avanti pensando che sia il solo modo di vivere; un uomo che ha dimenticato come il passato possa lasciare cicatrici invisibili sull’anima.

“James si era accorto, con l’inestimabile chiarezza di una patacca di caffè sulla camicia immacolata, che gli anni e i chilometri sono il più delle volte un simpatico palliativo rispetto a dolori percepiti come inaffrontabili e che forse, almeno in una fase della vita, lo sono stati davvero.”

La narrazione procede attraverso immagini nitide e quella dell’autrice è una voce fuori campo che accompagna lo spettatore mentre le scene del film si parano davanti. Lo stile è fluido e incalzante, mai fronzoloso, mai banale. Un continuo omaggio al cinema come cornice al ritorno a casa di James. Un viaggio che gli farà scoprire altre vite, altre storie sospese in un tempo che pensava non gli appartenesse più, come quella del giovane artista Pablo o della scoppiettante Clara.

La trama viene snocciolata con attenzione attraverso una scrittura originale, d’impatto. Ilaria Mainardi butta l’amo verso il lettore e lo tira lentamente a sé raccontando l’amicizia, come quella con Gavin, e l’amore, come quello per una donna che James ha creduto di non averlo mai compreso. Tutto questo scandito dalle lancette di un orologio che reclama le sue vittime attraverso la fretta, attraverso la memoria.

“Il tempo non ha soltanto la dimensione “Sbrigati, è tardi”. No, il tempo ha almeno altre due dimensioni altrettanto importanti, se non di più: “Sono sempre stato qui” e “Cazzo, non adesso”. […] Esisteva una quarta dimensione del tempo: “Ancora un attimo”.

Perché tutto quello che un uomo, anche quello che pensa di poterne fare a meno, cerca nel suo passato è avere il tempo per riconciliarsi con esso. E nelle attese che precedono le vere gioie, spesso, risiede l’amore più forte.

Buona lettura.

“Leila” di Antonio Fogazzaro

“Se desidero di morire è perché la febbre che ho voluto combattere, che ho sperato un momento di vincere, questo febbre che ha nome di Leila si è rincrudita, mi arde, mi consuma e non la combatto più.”

"Leila" di Antonio Fogazzaro

“Leila” di Antonio Fogazzaro

Lelia, alla morte del fidanzato, viene accolta, come una figlia adottiva, dalla famiglia di lui. Un gesto che mira a renderla, quasi, una reliquia vivente del povero defunto Andrea  che pone, nell’animo della ragazza, molto astio sia nei riguardi della sua famiglia natia, che secondo lei l’ha venduta, sia nei riguardi di Marcello Trento e consorte, i genitori del fidanzato. A inasprire i rapporti si aggiunge l’arrivo alla Montanina, così chiamata la residenza dei Trento, di Massimo Alberti, amico di università di Andrea. Su di lui ci sono progetti da parte del signor Marcello che spera, ma odia sperarlo in memoria del figlio deceduto, di poter vedere Lelia ammogliata con lui, nonché sua erede.

Ma gli equivoci sono dietro l’angolo e le dolce mire di Marcello, o di Fedele, la signora della Villa delle rose, incontrano degli ostacoli che non avevano considerato. Intorno a Massimo, infatti, circolano voci diffamanti relative ai suoi studi teologici che sembrano eretici al ben pensate clero della luogo dove il romanzo è ambientato, ma soprattutto è in Lelia, chiamata in maniera affettuosa Leila dal defunto Andrea, l’ostacolo maggiore, nel suo orgoglio, nella sua paura di lasciare che qualcuno la conosca come la creatura complessa e fragile che è.

Lelia è mal guidata dal suo orgoglio: crede di vedere in Massimo un arrivista, un cacciatore di dote. Ma è anche l’orgoglio del giovane, la sua volontà di non cadere in balia di quella bellezza che già l’aveva turbato solo vedendo la ragazza in fotografia, a porre un punto d’arresto nella loro conoscenza. Si potrebbe dire che sono i silenzi a costruire i muri nei rapporti fra queste due anime passionali che si cercano, ignorando le affinità e ingigantendo le avversità.

“Ella si fece allora un concetto esagerato del proprio amore, lo misurò insieme alla pietà,senza distinguere.”

Le donne di Fogazzaro non sono figure delicate in balia degli eventi. Già con Marina in Malombra si era visto come le sue protagoniste hanno un carattere forte, una volontà e un’indipendenza che non sono preludio di un futuro femminismo. L’autore riconosce loro la scelta di poter vivere seguendo l’istinto, a torto o a ragione. Non sono più le eroine dei libri femminili di fine ottocento, non sono le vanesie sciocche donnine facili agli svenimenti. Sono donne di carattere, sono complesse creature che s’ingannano fra le voci del cuori che lottano con quelle della ragione.

Un romanzo che pone l’attenzione del lettore anche sugli argomenti prettamente religiosi di dottrine al limite dell’eresia che pure non interessano la protagonista, ma danno voce a personaggi minori, spesso gretti, spesso nella convinzione di essere nella Grazia divina senza averne, però, nessun merito. Le figure di don Emmanuele o don Tita, offrono un confronto esemplare rispetto all’anima più mite di don Aureliano, amico di Massimo e collante fra le due realtà, fra quella di lui e quella di Lelia. E rispecchiano sicuramente le idee dello stesso Fogazzaro per quanto riguarda il suo credo.

La prima edizione del libro è datata 1910 e nello stile di Fogazzaro si ravvede la scelta linguistica di un tempo a noi lontano. La lettura sembra artificiosa per noi che siamo figli di una generazione inzuppata di emoticon; la scelta di modi di dire, di fare, di proporre una frase potrebbe apparire obsoleta. Eppure c’è tanta poesia, c’è tanta semplice narrazione in queste pagine che la lettura procede svelta, leggera e scorrevole come il fluire delle acque che nel romanzo fanno da cornice agli eventi.

Un libro che scava nell’animo umano mettendo a nudo fragilità e paure. Ma anche la forza dettata dai sentimenti disinteressati che rendono i protagonisti reali nella trama fittizia di un romanzo d’altri tempi.
Buona lettura.

 

“Volevo una quarantadue” di Tiziana Irosa

“Maledetta Cenerentola e tutte le sue colleghe! Per fortuna adesso ci sono le fiabe moderne, dove le principesse si salvano da sole e i principi azzurri sono esseri goffi e buffi, più vicini alla realtà.”


Allegra è una trentacinquenne dalle origini siciliane che vive a Bergamo. È circondata da amici e familiari affettuosi. Una giovane donna, insomma, come molte altre e come tante alle prese con il dramma che affligge un po’ tutte: perdere peso. Potrebbe puntare sulla sua intelligenza, la sua allegria e ironia, e sulle altre doti che la rendono speciale, ma lei, guardandosi allo specchio vede solo “un volto da bambola con il corpo da foca”. È un chiodo fisso, un traguardo per accettarsi e sentirsi bene con se stessa. Diete, corsi di fitness, rinunce e sacrifici che non portano a niente, fino a quando qualcosa la spinge a fare sul serio.
Un’email mandata all’indirizzo di posta sbagliata le fa conoscere telematicamente Richard, un giovane uomo che da subito si mostra interessato a lei. Inizia fra i due un carteggio divertente, volto a conoscersi e a farsi conoscere dietro allo schermo di un display perché Allegra teme di essere troppo grassa, troppo poco attraente per piacergli. Questo le dà la spinta giusta per perdere peso e riconciliarsi con se stessa, anche se sembra che il destino abbia in serbo per lei qualcun altro. Infatti, mentre attente il misterioso Richard per conoscerlo di persona, ecco incontrare Killian durante una festa: un uomo affascinante, determinato a entrare fra le sue grazie. Cosa è giusto fare? Seguire il filo che conduce al misterioso destinatario delle sue email o dare una chance a qualcuno che è presente, fisicamente, nella sua vita? E se il Fato si diverte a mischiare le carte in tavola, l’amore può mettere tutto al posto giusto.

"Volevo una quarantadue" di Tiziana Irosa

“Volevo una quarantadue” di Tiziana Irosa

Questo romanzo è una ventata di buonumore e freschezza. Quella di Allegra potrebbe essere la vita di tutte noi, a prescindere da quale sia il nostro obiettivo. Fra le pagine di questo libro c’è la voglia di affrontare con sarcasmo e spirito la vita quotidiana di chi non è né un’eroina né un modello da seguire. La protagonista è una di noi, insomma, con tutti i difetti che ci trasciniamo dietro. Una storia piacevole dove si ritrovano le situazioni alla Bridget Jones e si possono leggere email come nel ben libro di Cecilia Ahern “Scrivimi ancora”.
Molto interessante lo scambio epistolare tramite email fra Allegra e Richard. In un’epoca in cui il primo approccio avviene con i social questo non appare strano, ma diventa particolare quando si leggono i messaggi che si scambiano al solo scopo di conoscersi. Oggi si va di fretta, non si ricorda più la bellezza di leggere una lettera che impiegava anche settimane prima di giungere a destinazione. Nello scambio di email fra Allegra e Richard c’è la stessa magia che io ricordo quando ancora si usava la carta e l’inchiostro per comunicare con chi stava lontano.

“Tutte le donne sono sempre in dieta.”

L’autrice, Tiziana Irosa, attraverso una scrittura ironica e incalzante, racconta la fragilità della maggior parte delle donne. Sono poche coloro che sono soddisfatte di quello che vedono allo specchio: c’è chi vorrebbe i capelli lisci, chi un naso meno appariscente, chi lotta con i chili di troppo. La nostra società, in maniera subdola, impone standard estetici che rendono insicure anche persone che, come Allegra, sono già splendide così. Vogliamo tutti qualcosa che ci metta in pace con la nostra parte più intima, quella che vuole farsi accettare prima di accettarsi. Chi ha stabilito che magro è bello, che le bionde sono stupide, che l’altezza è mezza bellezza? Sempre noi, ma siamo sordi alla verità che dovremmo fare nostra: bisogna amarsi di più, con i difetti annessi.

“Perché la felicità è dentro di noi, bisogna cercarla in mezzo al mucchio di cose accatastate nella soffitta del nostro cervello.”

Troverete il libro, sia in formato cartaceo che ebook, su Amazon:
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“Emma” di Jane Austen

“Una mente vivace e tranquilla sa accontentarsi di non vedere nulla, e sa non vedere nulla che non la interessi.”


Emma Woodhouse è bella, ricca e intelligente. Vive con un padre anziano che si crede perennemente malato, ha tanti nipoti che ama, vive nella sua bella tenuta da padrona incontrastata e ha tutto per essere felice. Per questo si è convinta di avere fiuto per combinare matrimoni, attribuendosi il merito delle nozze della sua istitutrice, la signorina Taylor, con l’eccellente signor Weston. E vuole riprovarci, intessendo i fili di quella rete in cui spera che il signor Elton, il vicario di Highbury, cada insieme alla sua nuova protégé Harriet, una ragazza che oltre la bellezza e all’ingenuità può vantare ben poche altre qualità. A nulla valgono le proteste del vecchio amico di famiglia, il signor Knightley, l’unico che non vede solo le perfezioni di Emma, ma anche il suo lato capriccioso e spesso troppo presuntuoso. E mentre per lei si spera un matrimonio con il figliastro della signora Weston, l’arrivo stesso del giovane Frank Churchill porta una ventata di novità per tutto il paese.

"Emma" di Jane Austen

“Emma” di Jane Austen

In questo romanzo Jane Austen non ci parla solo della sua inconsueta protagonista, ma ci illustra la vita di una comunità campagnola quale può essere quella di Highbury, con i suoi pregi e suoi difetti. Non scenari nobiliari, non misteri da risolvere nel ben noto stile gotico dell’epoca in cui scriveva, ma un paese di campagna alle prese con una vita spesso senza troppi eventi di rilievo. Una società varia e ben assortita. C’é Jane Fairfax,per esempio, una ragazza coetanea di Emma, ma poco apprezzata da quest’ultima forse perché l’altra ha pregi e meriti che lei non vuole coltivare; oppure la mitica e loquace signorina Bates, fin troppo ingenua e benevola per poterla odiare e che incanta il lettore con i suoi discorsi inconcludenti e pieni di fronzoli. Non manca la superba presenza della moglie del reverendo, la signora Elton, che racchiude tutto ciò che è gretto e poco raffinato e che crea un contrasto molto netto con il carattere ingenuo e semplice della bella Harriet.

Tanti personaggi le cui vite si intersecano all’insaputa di molti, protagonista compresa. Perché Emma, alla fine, dovrà fare i conti con i suoi errori e le sue sbagliate convinzioni, il vero e unico nemico che si ritroverà davanti.

“Emma” è sicuramente il personaggio meno amato, almeno all’inizio, fra quelli di Jane Austen. Lei stessa pensava che difficilmente qualcuno avrebbe amato la sua eroina a parte lei. Le sue altre protagoniste sono spigliate, ma modeste, spesso vivono in contesti che mortificano le loro virtù e devono risolvere anche altri aspetti prima di dirsi felici; Emma no, invece. Lei è consapevole delle sue capacità e spesso le sopravvaluta, portando il lettore a trovarla troppo impicciona e frettolosa. Non un’eroina, insomma, ma che si muove fra le vite altrui spinta da buone intenzioni lasciando una scia di “prime impressioni” negativa.
L’Austen, però, ci insegna che bisogna andare oltre e alla fine il lettore scopre che Emma ha un’intelligenza viva e si scopre essere solo vittima dei suoi stessi sentimenti, resi ciechi dalla convinzione di essere un buon giudice per gli altri.

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Gwyneth Paltrow e Jeremy Northam in “Emma” (1996)

In queste settimane nei cinema c’è la nuova versione di “Emma”, ma io mi sento di consigliare agli appassionati e non, la versione del 1996 del regista Douglas McGrath con Gwyneth Paltrow e Jeremy Notham: un film ben riuscito, con un ottimo cast.

I libri di Jane Austen, scopro sempre con più rammarico, sono spesso disprezzati dalla componente maschile dei lettori che, immagino, pensano di approcciarsi a una letteratura femminile. Che grande sbaglio! Molti, ne sono sicura, apprezzerebbero lo stile ironico di quella che è, indubbiamente, la mia scrittrice preferita: Jane è per tutti, o meglio, per tutti quelli che vanno al di là dei pregiudizi. E lei, in materia, è maestra.
Buona lettura.

“Volevo i pantaloni” di Lara Cardella

“E, in un certo senso, questo è il lato umano della mia gente: sicuramente non hai la libertà di agire, ma non hai neppure la libertà e il diritto di crepare da solo.”


Sicilia. Anna, appena quindicenne, sembra essere fuori dal coro rispetto alle sue coetanee, che sognano il principe azzurro. Lei vuole i pantaloni, e non solo nel senso astratto che può avere questo desiderio. Vorrebbe davvero indossare quel capo di abbigliamento di prerogativa prettamente maschile o al più delle “puttane”.

La sua non è una vita semplice.
Vive in un contesto, non solo familiare, dove la donna non ha molta libertà, dove ogni mossa è studiata dal vicinato per essere argomento di pettegolezzo, dove ogni passo falso ti disonora. Anna non gode di nessuna considerazione nella propria famiglia e perde quel poco che ha quando, decisa a voler trasgredire per arrivare ai tanto agognati pantaloni, inizia a frequentare Angelina. Una scelta che le farà perdere l’ultimo rimasuglio di libertà di cui dispone e che la porterà a dover affrontare un vecchio timore che a che fare con uno zio e la sua dubbia moralità.

"Volevo i pantaloni" di Lara Cardella

“Volevo i pantaloni” di Lara Cardella

Volevo i pantaloni“, di Lara Cardella, è un libro che ho conosciuto solo dopo aver visto, anni fa, il film interpretato da Giulia Fossà, per la regia di Maurizio Ponzi. Ero giovanissima all’epoca, ma mi colpì la storia che c’era dietro a quel desiderio che io non capivo, perché indossavo i pantaloni come tante altre coetanee senza vederci nulla di straordinario. Ci sono voluti anni per capire davvero bene il significato della storia, quel bisogno di essere uguali agli uomini a partire dalle cose semplice.
Tutto il racconto della Cardella è incentrata sul divario che c’è fra le donne e gli uomini nel suo paese, dove basta essere il primogenito, maschio per giunta, per usufruire di privilegi che gli altri fratelli non avranno mai.
Una mentalità non solo da imputare a certi luoghi e a certe epoche, perché la si ritrovava ovunque fino a vent’anni fa nei piccoli centri, dove tutti conoscono tutti, dove l’onore si misura attraverso le chiacchiere che la gente ti tira addosso.

Questo romanzo, parzialmente biografico, affronta temi delicati come l’adolescenza, l’amore, la famiglia, ma esplora anche altri argomenti di cui in passato si cercava di sorvolare, accettati come normalità. Anna, la protagonista, ci racconta la violenza fra le mura domestiche, la mancata libertà delle donne, i taciti consensi su situazioni sessuali che oggi nessuno accetterebbe. Il tutto affrontato con la semplicità di una mente intelligente che non abusa di descrizioni inutili, che fa parlare la storia attraverso la verità che sta dietro alla finzione.

Perché portare i pantaloni è un’ideale a cui non tutte le donne non sono giunte, perse fra le violenze di una mentalità maschilista che le voleva mute e obbedienti.

Da leggere assolutamente.

“Per dieci minuti” di Chiara Gamberale

DIECI MINUTI PER PROVARE A CAMBIARE


“Per un mese, a partire da subito, per dieci minuti al giorno, faccia una cosa che non ha mai fatto”

Chiara ha perso, quasi nello stesso periodo, una casa, un marito e il lavoro. Chiunque si ritroverebbe sperduto nella nuova vita che deve affrontare e anche per lei è lo stesso. Il dolore per l’abbandono, il disappunto per l’allontanamento da un luogo di ricordi e la delusione di essere stata sostituita sono un grosso macigno che lei, giovane scrittrice, cerca di togliersi di dosso. Non è facile: i ricordi, l’amore, la convinzione di aver visto giusto nella sue scelte bisogna affrontarli con un nuovo metodo. Perciò, seguendo il consiglio della sua terapista, Chiara affronta il gioco dei “dieci minuti”: un esperimento, una prova, un salto nel buio. Perché, per dieci minuti, per un mese, lei dovrà fare qualcosa che non ha mai fatto.

"Per dieci minuti" di Chiara Gamberale

“Per dieci minuti” di Chiara Gamberale

Così Chiara affronta la sua nuova vita cercando, ogni giorno, qualcosa che non avrebbe mai pensato di fare e poco importa se sia dipingere le unghie di un colore per lei improbabile, o cercare di imparare a ricambiare o semplicemente decidersi a leggere Harry Potter. L’importante è mettersi in gioco, affrontare la nuova realtà fatta di quei cambiamenti che hanno distrutto il suo cuore.
E un gioco, seppur con premesse e conclusioni per lo più positive, può aiutare chi ha deciso che la vera felicità è dietro di sé, con i suoi alti e bassi? E bastano davvero dieci minuti per risolvere tutti i problemi?

Il libro di Chiara Gamberale, intitolato per l’appunto “Per dieci minuti” non può definirsi una guida, un vademecum, o un consiglio di vita. O forse sì. Credo che dipenda molto dal modo in cui di legge fra le righe. Perché non occorre aver perso il lavoro, o l’amore della propria vita, per mettersi in gioco e scoprire quanto di bello ci circonda, pur non essendo di nostro gusto. I dieci minuti della Gamberale non apportano mai alla protagonista uno stravolgimento della propria esistenza, ma è come se raddrizzassero il tiro, mostrando cosa ci perdiamo quando pensiamo che tutto è scontato, o peggio, perfetto.

“Evidentemente i posti, proprio come le persone, si accendono e rivelano di essere al mondo non solo perché c’è spazio, ma perché hanno un senso, solo quando siamo disponibili a capirlo. Quando abbiamo bisogno di loro.”

Questo libro mi è piaciuto. Mi ha mostrato un nuovo approccio verso le cose, mi ha “svegliata” in un certo senso. Ho provato a chiedermi: “cosa farei io, che non ho mai fatto, per dieci minuti?”. E ciò mi ha dato modo di pensare che sono infinite le risposte, così come sono infinite le cose che non ho mai fatto e dovrei, sì dovrei!, provare. Cose speciali, cose, però, anche quotidiane. Magari quelle stesse che qualcuno, per amore, abitudine, per egoismo o per praticità, non ci ha mai fatto fare.

“Quando fanno qualcosa per noi, gli altri ci consegnano o in realtà ci tolgono un’occasione?”

Lasciatevi catturare dalle giornate di questa Chiara che condivide il nome dell’autrice, lasciatevi ammaliare dalla possibilità di non dare per scontato nulla. Ripeto, non è una guida, ma può essere lo stesso un’ispirazione.
Leggetelo, anche solo per dieci minuti.

“Il mare in base al vento” di Valentina Perrone

Scegliere la strada da seguire, come si fa con il mare in base al vento.


“Per vivere in maniera autentica serve coraggio.”

La vita è spesso molto meno prevedibile di quello che si pensa. Ci si abbandona a essa convinti di dirigere magistralmente i fili del destino. Un po’ come Silvia, la protagonista del romanzo di Valentina Perrone, “Il mare in base al vento” edito dalla Casa Editrice Kimerik.

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“Il mare in base al vento” di Valentina Perrone

Siamo a Lecce, la capitale del Barocco dello splendido sud. Silvia lavora fra i libri, vive serenamente con i genitori e ha la fortuna di avere Marco, l’amico di sempre, pronto a vivere con lei gioie e dolori.
Poi un giorno, tutto cambia e si mette in discussione. L’arrivo di Carlo, della sua vita, del suo fascino, porta Silvia a cambiare la propria vita, ad andare incontro al mare che cambia in base al vento, come il titolo suggerisce. E ci vuole coraggio per buttarsi dentro una storia che appare complicata. Perché Carlo ha un passato che preme sul presente in maniera decisiva.

Se serve coraggio, però, per affrontare le gioie inaspettate della vita, quanto ne serve, invece, per lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare? La vita è spesso più complessa di come ce la immaginiamo e Silvia si ritroverà ben presto a ricominciare tutto daccapo, riprendendo fra le mani quei fili lasciati in balia del vento.

Valentina Perrone ci parla, in questo romanzo, della bellezza di affidarsi completamente a qualcuno che amiamo, portandoci dietro la paura di sbagliare. Non esistono scelte giuste o sbagliate, difficile stabilire delle regole che valgono per tutte. Silvia, la protagonista, lo sa. Lo sa dentro le ossa, dentro i muscoli, dentro le vene. Perché ha amato, si è fidata, perché ha saputo donarsi senza avere paura del salto che tiene tutti sull’orlo dei burroni. Ci fa sempre paura l’abisso, anche se abbiamo le ali per superarlo.

“L’amore e l’odio sono le facce della stessa medaglie, ma opposte.”

“Il mare in base al vento” è un libro che parla dell’amore, ma non solo quello che ci lega a un’altra persona. Fra queste pagine è forte la voglia di rivalsa di chi è stato lasciato solo a leccarsi le ferite, di chi pensa che nella vita ci sia posto anche per chi ha dovuto dire addio a chi ha amato.
Non tutte le principesse soffrono perché nessuno le ha salvate: Silvia non aspetterà che ci sia un cavaliere dall’armatura splendente che sconfigga per lei il drago.

Questo romanzo ha i contorni forti dei sentimenti veri, quelli che respingiamo perché ci rendono fragili e, in apparenza, deboli. Ci si immerge nella bella Lecce, nel calore che la bella città pugliese emana nel suo forte abbraccio. È un libro che parla d’amore, ma nella sua forma più estesa, quella che raggiunge la famiglia, gli amici, ma soprattutto se stessi.
Perché se è vero che l’amore per gli altri vince su tutto, bisogna non scordarsi che amarsi un po’ di più è la vera soluzione a tutti i nostri problemi. Sono gli altri a essere il motivo che ci porta a essere migliori, ma siamo noi che dobbiamo volerci bene per primi.

Buona lettura.

“Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

WhatsApp Image 2019-10-17 at 11.57.54“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”

È il 1860, siamo nella bella Sicilia che accoglie, seppur non unanime, lo sbarco dei famosi “mille” guidati da Garibaldi. Questo è il clima con cui si apre uno dei libri divenuti capolavori nello scenario della letteratura italiana: “Il Gattopardo“, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Protagonista indiscusso di queste pagine, don Fabrizio, principe di Salina, l’ultimo fiero baluardo della casata di cui il Gattopardo è il simbolo. Un animale fiero, bellissimo, regale, destinato a essere travolto dall’ondata di modernità che l’unità porta con sé, nella scia di cambiamenti che devono avvenire, come profetizza l’amato nipote Tancredi, affinché nulla cambi.

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Stemma di famiglia dei Tomasi

“Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.”

E don Fabrizio si piega al nuovo regime per conservare ciò che è, uomo di mondo amante della matematica e delle stelle, amante di ciò che è radicato nelle viscere di quella terra che tanto dominatori stanno portando via alla sua gente. Protagonista, ma anche spettatore della vita altrui, del nascere della relazione fra suo nipote e la bella Angelica: un’unione passionale, ma giusta, che unisce ciò che è tradizione e ciò che è modernità. Sullo sfondo, personaggi minori, ma non meno importanti. Come padre Pirrone, la coscienza religiosa, per certi versi, del principe; l’ingenua moglie Maria Stella, quasi chiusa in un mondo effimero che ruota intorno al marito; e infine Concetta, la figlia che incarna il vero carattere dei Salina, colei che pur amando Tancredi sarà messa da parte sia dalle scelte passionali del giovane sia dai calcoli del padre.

Un libro, questo, che racconta una coralità vista dagli occhi di un principe che non vorrebbe vivere proprio in quegli anni di cambiamento, che vorrebbe che nulla cambiasse ma che si deve piegare per sopravvivere. Don Fabrizio è il cuore del libro, il suo sguardo si posa su ciò che umile e ciò che è nobile con lo stesso amore, con la stessa forza. È lui l’ultimo vero Gattopardo e ne è amaramente consapevole:

“Il significato di un casato nobile è tutto nelle tradizioni, nei ricordi vitali; e lui era l’ultimo a possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre famiglie”

Giuseppe Tomasi di Lampedusa ci regala uno scorcio di Sicilia sublime, intatta, vera. Una Terra che vorrebbe dormire, dice il principe Fabrizio, un popolo fiero che pensa di essere simile agli Dei. I personaggi che popolano o si affacciano fra queste pagine sono lontani dall’essere perfetti, dall’essere esempi di virtù. Il lettore però li può ammirare, può scorgere nelle imperfezioni delle persone vere, gli ultimi attori di un mondo che sta cambiando.

Nel 1963 Luchino Visconti ci regalerà il film tratto dal libro, con attori come Burt Lancaster, Claudia Cardinale e Alain Delon: un lavoro superbo, che ha fatto sognare intere generazioni.Locandina-il-gattopardo

Un libro, quindi, che parla della guerra ma vista da lontano, che glorifica anche l’amore opportunista ai danni di quello genuino; un racconto che mette l’accento su questioni legate all’appartenenza a una terra fiera e bella qual è la Sicilia. Pagine che parlano anche del rimpianto, delle scelte sbagliate che cambiano le esistenze: tutto sotto lo stemma araldico di un felino che, regale, guarda il mondo con la stessa fierezza che aveva reso grandi i Salina.

Recensione “Omicidi in si minore” di Davide Bottiglieri

Cosa attanaglia l’anima di una persona? Il dolore, l’amore o la perdita?


“La paura è un grido, il terrore è un sussurro.”(Anonimo)

Anche l’ispettore Ljudevit Alecsandri è diventato un sussurro in bocca di chi vede in lui un’entità del maligno, un essere superiore dotato dell’ingegno di scovare il male per punirlo. E’ lui il protagonista delle pagine di “Omicidi in si minore” di Davide Bottiglieri, edito per Les Flâneurs Edizioni.

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“Omicidi in si minore” di Davide Bottiglieri

Siamo nel cuore della Transilvania, alle fine del diciottesimo secolo.
Cluj è una cittadina imperversata da strani omicidi che non hanno nulla di consueto, che sembrano voler essere una sfida per il giovane ispettore Alecsandri, abile agente del Plotone, corpo scelto di polizia. Un’ombra nera, un fantasma che semina la morte lasciando indizi, beffeggiando chi lo insegue, preparandosi a colpire ancora.
Un susseguirsi di eventi e di equivoci sembrano designare il Male in persona come l’artefice della scia di sangue che mette in subbuglio una città che pone le sue fondamenta fra occulto e religione.
Personaggi dalle personalità forti, capaci di influenzare e districare i fili della matassa che ruotano intorno agli eventi, come la bella Helena o come Edward Gordon Wordswarth.

“Non è forse la verità una bugia perfetta?”

Basterà il senso di giustizia dell’ispettore Alecsandri per tenere a bada la parte nera della sua stessa anima, la parte brutale che graffia per emergere e inseguire a sua volta il colpevole? E chi si cela dietro al terrore che danza intorno al male?

Questo romanzo è stata una piacevole sorpresa, una lettura capace di catturare fin dalle prime pagine. Lo stile dell’autore è incalzante, mai pesante, sempre coinvolgente.
La trama è ben architettata, non lascia scampo, ti prende e ti imbroglia per mostrarti alla fine lo spiraglio della verità, quando ormai è troppo tardi.
Le pagine di questo libro sono il frutto di un lavoro certosino, di un’abilità di fotografare un’epoca lontana come se il lettore potesse davvero vedere tutto quanto. A tratti si ha l’impressione di contemplare un quadro dai colori cupi, dall’atmosfera sferzata dal vento gelido dell’inverno in cui avvengono i fatti.

L’autore lascia indizi, illude chi legge di poter seguire la scia di elementi che il suo protagonista raccoglie pagina dopo pagina. Le Sacre Scritture infervorano il protagonista, la musica scandisce il ritmo della storia stessa, la sua evoluzione, il suo dispiego.

E’ davvero un bel libro, che dimostra l’abilità dell’autore nel creare una storia valida, credibile, forte. Si mostra la fragile anima umana alle prese con la paura, con la perdita, con il terrore.
Lasciatevi guidare dalle note di un romanzo fresco, ma maturo, fermandovi sull’orlo di quell’abisso su cui è in bilico il protagonista ma che riguarda tutto il genere umano: la sua lotta fra ciò che è giusto e ciò che è lecito, fra perdizione e salvezza.
Buona lettura.

 

“Dove sento il cuore” Mattia Cattaneo

-VITA, AMORE, DOLORE, MA TANTA SPERANZA-


1943. La Seconda Guerra Mondiale è agli sgoccioli e i partigiani come Bruno, lottano contro quel nemico che fino a qualche tempo addietro era loro alleato.
È la memoria di Eva, però, che ci riporta indietro nel tempo: è attraverso i suoi ricordi e la sua voce che il lettore segue la trama del romanzo “Dove sento il cuore” di Mattia Cattaneo.

"Dove sento il cuore" di Mattia Cattaneo

“Dove sento il cuore” di Mattia Cattaneo

Eva, ormai anziana, vedova e con i sentimenti imbrigliati nel cuore, lascia che la sua mente torni a quei giorni, quando un gruppo di giovani partigiani si prese cura di lei. Una bambina, certo, ma anche l’attenta spettatrice di una vita di coraggio e sacrificio dove l’amore e il dolore si intrecciano come facce della stessa medaglia.

Perché Bruno, conosciuto dai suoi compagni come Neve, lotta per liberare la sua patria dall’oppressore al di là della Alpi, ma lotta anche per poter sopravvivere e costruirsi una vita con Vittoria, la donna che ama.

La guerra, però, non è mai il focolare sereno dove si possa coltivare l’amore, anche se i tempi sono bui e il futuro incerto. Basta che il cuore palpiti per scoraggiare la morale e i pregiudizi di una donna che ha amato al di fuori del matrimonio? E qual è il prezzo da pagare per una scelta così audace?
E se l’amore fatica a districarsi fra le radici della ragione, il dolore è sempre in agguato, mettendo alla prova anche i cuori più saldi.

“A volte si è permeati dentro da un profondo vuoto, dolente e silente.”

Vite che si intrecciano come i fili di un arazzo di cui nessuno conosce il disegno, dove spesso il vero nemico è quello che coviamo nel cuore. È così anche per Karl Unterbeiden, l’ufficiale tedesco che entra nella vita di Bruno, Eva e Vittoria con la freddezza di chi deve eseguire degli ordini, ma con il cuore in grado di palpitare anche per chi non lo ricambia.
Ma un segreto è celato nella vita stessa di Eva, un tassello che il destino ha sottratto nella trama di vite altrui per restituirlo quando era giunta l’ora della verità.

Il romanzo di Cattaneo parla dei sentimenti che nemmeno il tempo può obliare, soprattutto se la vita ha posto davanti degli ostacoli che hanno reso il cammino amaro. Lo stile dell’autore è fluido, impregnato di forza che conferisce nei suoi personaggi e la loro sorte.
Cattaneo sceglie di inserire più punti di vista nella narrazione di un evento, fatto che può confondere essendo il cambio di registro troppo immediato. E’ una tecnica, tuttavia, che permette di vedere attraverso più “occhi” come si è svolto un avvenimento ed è ovviamente lasciata al lettore la sensazione piacevole o meno per questa scelta.

Lo sfondo delle vicende è un tripudio alla bellezza nostrano di Como e dei suoi dintorni, dove la natura si fonde e confonde con l’uomo: un mondo devastato sì dal dolore della guerra, ma che si rigenera attraverso il tempo che tutto fa dimenticare.

I sentimenti, il dolore, l’incertezza che ogni guerra porta con se regalano anche qualcos’altro a queste pagine: la speranza, la signora vestita di verde che mette tutto a posto.

Buona lettura.