Carcere e società nell’era di Grillo e Salvini

“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri” . Voltaire

sotto il carcere 025Sandra Berardi è  presidente dell’associazione Yairaiha che si occupa di carcere. 
Cos’è il carcere ce lo spiega la presidente dell’associazione nata  a Cosenza nel marzo del 2006.

Domanda: L’associazione è nata qui a Cosenza nel marzo del 2006. Di cosa si tratta?

Risposta: Per narrare l’associazione devo necessariamente ripercorrere la mia storia politica. Storia personale che è storia collettiva. Un io collettivo che, per forza di cose, non può narrarsi in prima persona. Ogni piccola o grande battaglia costruita, con pochi o molti compagni, è data dall’azione collettiva, senza mai voltarsi indietro, senza guardare se eravamo in tre, trenta o trecento. L’importante era ed è crederci, avere un sogno, una intuizione e la determinazione a portarli avanti fino in fondo. La storia e il presente ci da ragione, nelle vittorie ma anche nelle sconfitte.

Agli inizi degli anni ’90 ho fatto parte del collettivo politico del centro sociale autogestito Granma,  successivamente demmo vita al collettivo “La settima onda” affrontando principalmente la questione dei prigionieri politici. La seconda metà degli anni 90 sono caratterizzati dall’apertura dei primi CPT, grazie alla legge Turco-Napolitano e due vennero aperti proprio in Calabria. Con molti compagni, sia a livello regionale che nazionale, iniziammo ad affrontare la questione migranti e Cpt producendo centinaia di mobilitazioni, inchieste e denunce, per oltre un decennio, per la chiusura delle galere etniche e per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza dei migranti. Il confronto con la comunità Kurda  ha permesso un salto di qualità al movimento cosentino. Con diversi compagni iniziamo l’esperienza della Kasbah (personalmente solo nei primi anni, fino al 2005) con l’obiettivo di chiudere le galere etniche e dare cittadinanza ai fratelli migranti tutti, a prescindere dalle artificiose categorie scientemente create, e mettere in discussione le politiche criminogene. Tra le iniziative più significative “Guerre, profughi e migranti” e Fierainmensa. E poi via via movimento no global, no ponte, acqua. Molte esperienze di cui ho fatto parte sono concluse, altre hanno cambiato volto.

Dal 1997 al 2005 ho fatto la volontaria presso il carcere minorile di Catanzaro. E nel 2005 ho avuto modo di fare una ricerca sulla condizione dei migranti nelle carceri per adulti in Calabria e li mi si è aperto uno scenario aberrante.

Immaginare la galera per chi ha commesso un reato è facile ma, entrare in una sezione e vedere le persone recluse peggio degli animali, mi ha restituito la barbarie di cui è ancora capace l’umanità.  Queste esperienze hanno determinato la creazione dell’Associazione per i diritti dei detenuti Yairaiha Onlus, che oggi rappresento. Le ispezioni con parlamentari nelle carceri di tutt’Italia in questi anni e la corrispondenza con centinaia di detenuti, ci hanno permesso di incontrare e toccare con mano la brutalità e l’inutilità del sistema penale così come è concepito: una pena che serve solo a recludere le persone senza prospettargli null’altro che di “pagare” il proprio reato alla società con l’annullamento psico-fisico e l’ozio forzato tra ferro e cemento. Nessun accompagnamento alla comprensione del male commesso, nessuna utilità ne “retribuzione” verso le vittime di reato, nessun paracadute sociale all’uscita dal carcere. L’apice della barbarie lo abbiamo “incontrato” con l’ergastolo e il 41 bis assumendo da subito la lotta per l’abolizione di una pena e un regime che sono Tortura e non solo perché ce lo dicono l’Onu e la Cedu, ma perché viviamo al sud e sappiamo bene che “le mafie” non si combattono nelle celle ma sui territori, dicendo no al ponte e al tav, attraverso la lotta alla speculazione edilizia e per il diritto alla casa, attraverso la legalizzazione e la depenalizzazione delle sostanze, attraverso l’introduzione di un reddito dignitoso per tutti e tutte. Basti pensare solo questi ultimi due punti quanto consenso toglierebbero ai sistemi criminali e alla fabbrica penale.

La prima campagna di sensibilizzazione che facemmo fu quella per l’amnistia e l’indulto. In collaborazione con Rifondazione stampammo 500.000 cartoline che distribuimmo davanti a tutte le carceri calabresi ai familiari dei detenuti che a loro volta distribuirono nei loro paesi e città spedendole al presidente della repubblica e al ministro della giustizia.

Nell’agosto del 2006,  il governo Prodi vara l’indulto, prevedendo delle misure d’inserimento per quanti sarebbero usciti di prigione. Cosenza avrebbe potuto accedere a questi stanziamenti consorziandosi con altri comuni e, nei mesi precedenti, provammo anche a sollecitare l’amministrazione affinché si consorziasse con altri comuni della provincia e predisponesse qualche progetto utile. Ma non ci ascoltarono.

A Cosenza ci furono circa 75 persone che beneficiarono dell’indulto. Ma senza alcun sostegno si ritrovarono in mezzo alla strada. Assieme a loro demmo vita ad un presidio quotidiano sotto il comune e a diverse occupazioni del consiglio comunale…LAVORO E DIGNITA’, NE CARCERE NE PRECARIETA’, era lo slogan che riassumeva le loro rivendicazioni. Ricordo ancora i volti letteralmente “sbiancati” del sindaco Perugini e dei consiglieri! Riuscimmo ad ottenere delle borse lavoro dalla regione per 6 mesi. Qualcuno più intraprendente riuscì ad aprire anche una cooperativa e ad ottenere delle commesse.

Da questa lotta vincente poi ci chiesero supporto alcune famiglie in emergenza abitativa. Diamo vita così il movimento di lotta per la casa. Dopo una prima fase, questo movimento si ferma per poi riprendere un anno dopo..e non fermarsi più (almeno fino ad oggi). Molti dei protagonisti di quella prima occupazione li ritrovammo a via Popilia durante un’ispezione che facemmo con Haidi Giuliani nel febbraio successivo. Erano finiti dentro per piccoli reati, storie di mala-vita (nel senso di vite difficili più che “criminali”), storie di sopravvivenza in una città dove il malaffare era, ed è, concentrato nel ciclo del mattone e nella speculazione finanziaria e politica sul bisogno casa.

Domanda: Quante sono le carceri in Calabria e quanti sono i detenuti?

Risposta: In Calabria le carceri sono 12 più un istituto minorile. Sono presenti circa 3000 detenuti provenienti anche da altre regioni o migranti. Per avere un dato relativo al numero di detenuti di origine calabrese bisogna guardare al dato nazionale perché la prevalenza della popolazione detenuta italiana è originaria delle 4 regioni del sud (Calabria, Sicilia, Campania e Puglia).

Domanda: Come vengono trattati i detenuti. Hanno possibilità di incontri familiari in un ambiente condiviso o ancora si parla dietro i vetri?

Risposta: Il vetro e il muro divisorio sopravvivono solo nelle sezioni del 41 bis, i colloqui avvengono in sale comuni con tavoli e sedie, in alcuni istituti sono state attrezzate anche delle aree verdi per i detenuti con minori, ma attenzione, si ha diritto ad usufruire delle aree verdi se si è genitori dei minori, se si è nonni si fa colloquio nelle sale normali. Come vengono trattati? Semplicemente non vengono trattati. Difficilmente il detenuto viene considerato una persona. È un numero tra tanti che viene contato, infantilizzato, si cerca di addomesticarlo non di fargli prendere coscienza dell’errore eventualmente commesso. Le opportunità, tranne che in pochi casi, sono fittizie. Considero la prevalenza delle attività che si svolgono nelle carceri “operazioni di abbellimento”, un’infiocchettatura che serve a restituire un’immagine efficace del carcere quando sia le statistiche che la conoscenza ci restituiscono una realtà prevalentemente fallimentare del carcere. Le poche esperienze che portano le persone detenute ad una rielaborazione critica del proprio passato, soprattutto quando si parla di persone legate ad organizzazioni mafiose, sono riferibili ad esperienze come quella della redazione di Ristretti Orizzonti a Padova. Ma è una esperienza che nasce all’interno del volontariato non nell’ambito “trattamentale”. Poi ci sono le eccezioni. Ma non vale in qualsiasi carcere. La discrezionalità, e la sensibilità, delle singole direzioni hanno un ruolo fondamentale nella possibilità di far fare esperienze positive e utili per la ricostruzione di vite “spezzate”.

Domanda: La battaglia per la liberazione del detenuto dell’Utri gravemente ammalato è riuscita. Ma non è che è riuscita perchè Dell’Utri è un detenuto famoso. Com’è la situazione degli altri detenuti ? C’è speranza per loro ?

Risposta : Senz’altro il detenuto Dell’Utri ha avuto diverse possibilità in più rispetto al detenuto comune, alle migliaia di sig. Nessuno che quotidianamente ci scrivono o che incontriamo durante le ispezioni. Ha avuto l’appoggio di una forza politica, che gli ha dato anche risalto mediatico, e la possibilità economica di presentare ricorsi fino in Cassazione, cosa che non tutti possono permettersi. Ad esempio, stiamo seguendo il caso di un povero cristo, diabetico e sottoposto a terapia insulinica, abbandonato dalla sua famiglia ed anche dai suoi avvocati perché assolutamente indigente, basti pensare che lo sostengono economicamente gli altri detenuti (attualmente si trova a Spoleto ed è di origine palermitana), per fargli fare l’incidente di esecuzione, perché altrimenti rischia di fare 40 anni di carcere per vari processi sempre per lo stesso reato (spaccio) avvenuti nello stesso periodo. Si chiama Michele B. e non Dell’Utri e non aveva più un avvocato disposto a seguirlo.

Domanda: Quali sono le iniziative in corso da parte dell’associazione ?

Risposta: Tante. Oltre alla campagna permanete per l’abolizione dell’ergastolo, ai ricorsi per il lavoro sottopagato (ad oggi abbiamo 35 ricorsi in discussione al tribunale del lavoro di Roma grazie alla disponibilità dei nostri avvocati, Giuseppe Lanzino e Marco Aiello, e di due consulenti del lavoro, Lino Landro e Alessandro Occhiuto, nonostante i bastoni tra le ruote posti da alcune direzioni che hanno reso difficile fin anche l’autentica di una firma!), abbiamo lanciato un appello per la scarcerazione di tutti i detenuti gravemente ammalati al pari e superiori a Dell’Utri. Non è una provocazione ma è paradossale che si riconosca a Dell’Utri il diritto alla sospensione della pena e non a chi ha 3 tumori in atto e 19 interventi oncologici pregressi. Questo è in assoluto il detenuto in condizioni peggiori che fino ad oggi abbiamo incontrato, peraltro in 41 bis e fra due anni finisce di scontare la sua condanna. Anche il magistrato di sorveglianza si è espresso favorevolmente alla detenzione domiciliare, ma il ministero non acconsente. Riporto il caso più emblematico, ma tutti i casi di cui siamo a conoscenza sono stati segnalati al ministero, al Dap, alle magistrature di sorveglianza competenti, ecc.

Domanda : Le dichiarazioni di Grillo sull’abolizione del carcere lasciano sperare in un futuro senza galere ? D’altra parte nei paesi scandinavi questa visione della carcerazione è già operativa da diversi anni.

Risposta : Nell’attuale quadro politico è sicuramente da mettere a valore (gli abbiamo inviato immediatamente una mail, ancora senza risposta) ma esce un po troppo ad “orologeria”, guarda caso il giorno in cui il governo boccia definitivamente la timida riforma Orlando. Avendo capito un po il gioco dei 5stelle diffido. Diffido in generale, ma di quelli che non sono ne di destra ne di sinistra ancor di più. Secondo me con questa uscita di Grillo stanno provando a recuperare terreno nella base tendente a sinistra del loro elettorato, fermo restando il contratto di governo che sta camminando speditamente nelle parti che ratificheranno lo Stato di Polizia in Italia. Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane.

Domanda: Un’ultima domanda. Il pronunciamento della Corte Costituzionale in merito all’ergastolo che non da accesso alle misure alternativa è una possibilità concreta di superamento dell’ostatività?

Risposta: È sicuramente un pronunciamento importante che apre uno spiraglio anche se resta vincolato alla discrezionalità dei singoli magistrati di sorveglianza. Quello che sosteniamo da sempre è l’incostituzionalità dell’ergastolo in quanto pena perpetua che cozza con i principi dell’art. 27 della costituzione, nel caso dell c.d. ergastolo “ostativo” si va a rafforzare assolutamente l’incostituzionalità perché chi è condannato ai sensi del 4bis ha una condanna a morte in vita. Peraltro, l’ostatività nel suo complesso, introdotta nel 2008, è stata applicata retroattivamente. La logica suggerisce che se è discriminante per i condannati ai sensi del 630 c.p. e del 289bis c.p. non poter accedere ai benefici lo dovrebbe essere anche per i condannati ai sensi di altri articoli. Anche qua bisognerà aspettare che si presenti un caso concreto per vedere gli effetti che questa sentenza produrrà.

Carcere e società nell’era di Grillo e Salviniultima modifica: 2018-07-17T13:10:02+02:00da sciroccorosso