Scacchi a sbarre

cospito_41bis_manifestazione_fg_ipaGli scacchi sono un gioco terribile a mio avviso. A tratti violento che comunque portano, mossa dopo mossa,  ad una sfida con sè stessi misurando la propria aggressività. Forse non è un semplice gioco ma è qualcos’altro, che contiene in sè tutti i margini possibili insiti nella propria psiche. Ho imparato a giocare a scacchi all’età di 15 anni e da allora è diventato il mio unico sport preferito. I miei amici giocavano a pallone , io ero lì a guardarli, ma appena arrivava il mio amico preferito anche lui giocatore di scacchi correvamo a casa a giocare. Ho seguito tutti i campionati mondiali, mi sono appassionato alle vite dei giocatori, quasi tutti folli,  alle scacchiere,  e ne possiedo oggi almeno una trentina provenienti da ogni parte del mondo.  Ripensando ai miei percorsi carcerari , ho focalizzato la mia memoria su tre occasioni avute, di giocare a scacchi fra le sbarre. La prima occasione la ebbi a Lucera, dove ero detenuto in isolamento a giugno del 1980. Dopo un pestaggio avuto da parte dei carcerieri avuto a Potenza , venni trasferito ancora malconcio in questo mini lager. Venni chiuso in una cella a pochi passi da quella  dove era stato detenuto durante il fascismo il sindacalista Giuseppe Di Vittorio divenuta una specie di museo che nessuno può visitare se non i detenuti stessi in isolamento.  Vi rimasi tre mesi senza sapere cosa succedesse fuori, e ci volle un’interrogazione dell’On. Giacomo Mancini perché il Ministero di Grazia e Giustizia dicesse al mio avvocato dove fossi detenuto. Chiesi al direttore del carcere alcuni libri, dei colori e una scacchiera che dopo ripetute lettere mi vennero concessi. Naturalmente con la scacchiera giocavo da solo, seguendo le partite che leggevo su di un libro. Poi un giorno un agente penitenziario di turno nel reparto d’isolamento, dove c’erano oltre a me, in altre celle, un pentito di mafia e un ragazzo accusato di stupro, si avvicinò alle sbarre della cella e mi chiede se volevo fare una partita con lui. Dopo un attimo di perplessità, dissi di si e lui prese due sgabelli e su uno si sedette lui e sull’altra attraverso le sbarre posi la mia scacchiera. Cominciarono così le mie lezioni di scacchi a questo agente di Foggia appassionato anche lui di scacchi. A suo dire, i suoi colleghi lo sfottevano su questa sua passione in quanto gli dicevano che era un gioco da “ricchioni”, e lui ci giocava quasi di nascosto con qualche amico fuori dal circuito dei suoi colleghi. Piano piano dopo due o tre notti passate a giocare, l’agente apriva la cella e si sedeva dentro con me a giocare. Se l’avessero visto sarebbero stati guai seri per lui, ma conosceva bene gli orari di controllo e al momento si rimetteva fuori aspettando il passaggio dei suoi colleghi. Per un mese andò avanti così , poi venni trasferito al super carcere di Palmi. Qui conobbi tutti gli accusati di appartenenza alle Brigate Rosse fra questi Prospero Gallinari e vi rimasi per circa sei mesi fino al giugno del 1981. Gallinari ed io passeggiavamo spesso nel cortile assieme ad altri nostri compagni, e parlando della vita di ognuno scoprii che era un appassionato di scacchi. Fu una rivelazione, io in quel periodo stavo in un “cubicolo” da solo e Gallinari chiese un permesso nelle ore pomeridiane per poter  entrare nella mia cella, cosa che gli venne permesso. Così per quasi un mese , ogni pomeriggio si giocava a scacchi. Non era facile vincerlo, aveva una mente lucida e perfetta e gli piaceva fare delle grandi strategie che io capivo solo all’ultimo momento quando dopo due o tre mosse mi faceva scacco matto. “Meno male che hai un proiettile in testa” gli dicevo sfottendolo e facendolo ridere. Poi a giugno ci salutammo. La mia terza occasione fu nel dicembre del 2006 , quando con Francesco Caruso, allora deputato di Rifondazione Comunista entrammo in delegazione nel CPT per immigrati a Crotone. Le condizioni di vita degli immigrati qui trattenuti, quasi tutti illegalmente erano terribili e assieme ad un medico, ad avvocati e associazioni vi entrammo per un’ispezione . Io e Caruso venimmo ricevuti dal direttore del CPT, e entrati nel suo ufficio notai due cose. Una foto di  Che Guevara e una scacchiera posizionata sulla sua scrivania.  Parlammo della situazione del Cpt e come richiesta chiedemmo che le donne con figli, o incinte venissero trasferite in una casa famiglia che avevamo già contattato e che era pronta a ricevere queste donne. Il direttore pose le solite questioni burocratiche e tante altre chiacchiere, noi ci lasciammo e ci aggiungemmo all’ispezione nelle stanze degli immigrati parlando con loro. Prima di uscire dissi al direttore che anch’io ero appassionato del gioco degli scacchi e lui confermò la sua. La sera tardi decidemmo con Caruso, per protesta di non uscire dal CPT e ci chiudemmo in una cella assieme ad altri immigrati. Successe un casino, guardie, carabinieri, agenti , ma poi giornalisti e Tv arrivarono alla notizia, impedendo così uno sgombero forzato. La notte dormimmo in quella cella, ma a una certa ora venni chiamato da un agente. Disse che mi voleva il direttore. Io pensai ad una trattativa sulla situazione e uscii dalla cella seguendo questo agente che mi riportò nell’ufficio. Il direttore voleva fare una partita a scacchi con me. Io accettai ma posi una questione. Se perdevo me ne sarei uscito seduta stante, ma se vincevo le donne incinte dovevano essere trasferite. Lui accettò, facemmo una prima partita e capii che era un ciuccio, e la vinsi velocemente, poi ne facemmo un’altra e alzai il tiro dicendo che anche i bambini dovevano uscire, alla fine dopo 4 partite il direttore si arrese  e ritornai in cella. La mattina, dopo averci offerto una colazione, il direttore disse di aver ricevuto un telegramma da Roma , nel quale il Ministro dava indicazione di trasferire le donne e i bambini nella casa famiglia. Non furono certo le mie vittorie, ma la pressione politica sul Ministero a farlo convincere, ma il direttore mentre uscivamo salutandoci mi disse, “avete visto che sono stato di parola “?. E anch’io mi illusi di aver ottenuto questo risultato con le mie vittorie.

Ecco questo è il gioco degli scacchi, non importa chi sia l’avversario, un agente penitenziario, un brigatista o un direttore di un Cpt, quello che conta è la partita e spesso l’avversario sei tu stesso.

Scacchi a sbarreultima modifica: 2023-01-29T11:29:12+01:00da sciroccorosso