COMPRENDERE GLI ALTRI

Capire gli altri non è facilissimo, e soprattutto non è facile comprendere (e aiutare) le persone che hanno sofferto molto, capire il loro dolore

Per farlo veramente (per farlo bene) bisogna essere molto profondi, sensibili ed empatici, sapersi immedesimare

Oltre che una sensibilità rara, ci vuole una capacità non comune di entrare e accogliere l’altro, e una grande attitudine all’ascolto.

E forse soltanto chi ha, a sua volta, sofferto
può riuscire a comprendere il dolore degli altri.

Tutto ciò è già tanto, ma non basta…

Infatti, secondo me, per capire l’altro è assolutamente necessario anche, in un certo senso, “volergli bene”, e avere la capacità di creare con lui/lei un rapporto amichevole, amorevole, solidale, caloroso, umano, di simpatia e positività
Che ne pensate? 🙂

 

CHAMPIONS

Io sono romanista ma ieri ho tifato per la Juve. Delusione. La squadra di Simeone ha assolutamente meritato il 2-0. La Juventus ha ancora possibilità, anche se non molte. Dovrà veramente superarsi, dare più del massimo, lottare tantissimo, come squadra, uniti e compatti, ma dovrà giocare con tanta tanta umiltà in più, essere cento volte più motivata, grintosa, energica e determinata, lucida e brillante eccetera….!!

L’Atletico ha dimostrato di avere grandissima voglia di vincere, MOLTO più della Juve!
Altre considerazioni nei commenti

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Qualcuno ha detto che l’amore per gli animali è un amore senza parole. Questa è una cosa molto importante.

Sapete che con gli animali c’è un punto fondamentale da avere ben chiaro: noi gli animali li possiamo amare, ma loro non amano noi.

Solo una persona molto povera di affetti dice che il cane lo ama.

In realtà l’amore ha una caratteristica fondamentale che è la libertà.
Perché l’amore sia vero amore, io devo poter non amare. Questa è un’affermazione cristiana fondamentale. Dio ha fatto l’uomo capace di amare, nella libertà che si esprime nella parola.

L’animale non è libero ed, in questo, non è simile all’uomo – a differenza di ciò che cerca di affermare una mentalità presente anche in alcuni programmi televisivi divulgativi che tendono sempre più ad avvicinare l’animo umano alla realtà animale.

Provate a dare da mangiare per qualche settimana ad un cane e diventerà il vostro migliore “amico”, ma non perché vi ama, non perché ama proprio voi.
Con un’altra persona farebbe la stessa cosa.
L’uomo è un essere che può essere curato, amato e, comunque, disprezzare chi lo ama. Non è perché voi amate un uomo/donna, che lui vi riama. Voi potete fare di tutto, per una persona, nel bene, ma quella persona può rifiutare il vostro amore. A volte si sentono delle persone dire: “Mi ha lasciato perché ho sbagliato”. Può darsi, però non è detto. Tu puoi anche fare tutto bene, ma l’altro ti lascia. Non è perché tu fai bene che l’altro non ti lascia, ma perché l’altro è talmente grande nella sua libertà! La libertà è l’unico vero motivo per cui si dice: “Grazie”. Chi non dice “grazie”, in realtà non sta amando, perché non riconosce la libertà dell’altro. La profonda gratitudine è segno della libertà. E’ una delle cose più belle: la scoperta che l’altro potrebbe non amarmi. E, se mi ama, non è che lo fa perché io sono il più amabile, il più bello, ecc… L’altro sbaglierebbe ad amarmi se io fossi un truffatore, una persona finta, ma non è perché io sono bravo che l’altro mi ama. Se fosse così vuol dire che l’altro non è una persona libera, indipendente, creata da Dio libera. Io non dico grazie ad una persona che è obbligata ad amarmi. Quando percepisco il brivido del fatto che l’altro potrebbe fare tranquillamente una cosa diversa, nasce la gratitudine. La gratitudine è proprio l’esperienza della libertà

 

 

NEXT

Nel prossimo post riporterò un articolo, un estratto, che a molti non piacerà, prevedo reazioni negative 🙂
Però lo pubblico perché mi sembra interessante, un punto di vista valido..
Poi certo si può non essere d’accordo, però leggiamolo bene

NarciNismo

La letturina che propongo oggi è del buon D’Avenia, che può anche non piacere
ma offre sempre spunti molto interessanti, no?
Buona lettura e lieto weekend a tutti! 🙂
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Le relazioni lasciate alla paura della solitudine e del non essere «abbastanza» imboccano i due vicoli ciechi dell’itinerario amoroso contemporaneo. Da un lato la seducente favola romantica, che fa dell’altro un dio e immagina la vita di coppia come soddisfazione di ogni bisogno: l’altro è il mio destino, il dio che mi salverà da ogni vuoto e caduta. Ma l’amore non è sicurezza emotiva, bensì rischio, esplorazione, perdita dei confini dell’io per creare la regione ignota del noi. Dall’altro lato emerge la narrazione frutto del disinganno della favola romantica evaporata a contatto con l’esperienza: l’amore cinico. In questa versione l’amore è una serie di storie a scadenza, io sono il dio da adorare e l’altro serve finché ne ho bisogno o non mi stanco. L’illusione romantica e il calcolo cinico distillano un efficace veleno per le relazioni: il «nar-cinismo», parola coniata dalla psicanalista Colette Soler, per indicare la somma di narcisismo (l’altro è usato come specchio per moltiplicare l’ego) e cinismo (l’altro è lo schiavo a tempo dell’ego). L’amore non è più uscita e superamento di sé che libera dal ripiegamento su se stessi, cioè dall’egoismo, causa di ogni fallimento esistenziale. Si è vivi solo se si cresce in amore, invece il nar-cinismo sottomette l’amore alla sola legge nota al gaio nichilismo: il godimento individuale, finito il quale, nella versione romantica si cercano nuove emozioni in fughe regressive o trasgressive, nella versione cinica l’altro viene sostituito con chi può procurare maggiore soddisfazione.

L’acclamato La la Land, seducente in canzoni e attori, è il film del nar-cinismo relazionale, impasto perfetto di favola e cinismo. Nessuno dei due protagonisti rinuncia a nulla, usa l’altro come doping per la propria «prestazione esistenziale». Quello che resta nel finale è la malinconia del «sarebbe stato bello se avessimo scelto noi», ma la promessa di felicità del noi è solo un’ipotesi dell’irrealtà per l’ego. Emblematico il dialogo nel parco dell’Osservatorio, dove i due, all’inizio, avevano inaugurato il sogno romantico volando tra le stelle: «Dove siamo noi due?», chiede lei riferendosi alla loro crisi, e lui: «Nel parco». Ridono, ma la risposta è perfetta: c’è solo l’istante, nessun progetto o scelta. Il dialogo continua tra un «tu devi mettere tutta te stessa nel tuo sogno» e un «io devo andare avanti nel mio piano». E il noi? Il noi non rientra nel sogno o nel piano. L’altro è servito ora a dopare l’ego emotivo (mi fai stare bene), ora da ultrà per quello carrieristico (fai il tifo per me). È il cortocircuito erotico odierno: vogliamo essere innamorati e restare ego-riferiti. Ma amare è essere noi-riferiti, paradossale scelta di spingere l’ego verso il naufragio, come scriveva Kafka alla sua Milena: «tu mi sei la cosa più cara, amore è che tu sei per me il coltello con cui frugo dentro me stesso». È un coltello misericordioso: il noi libera il sé che, sentendosi amato, abbassa le difese e si lascia sbucciar via l’ego che ingabbia la felicità.