Rievocando Combray

È così che, spesso, indugiavo fino al mattino a rievocare il tempo di Combray, le mie tristi sere senza sonno, i tanti giorni, anche, la cui immagine mi era stata di recente restituita dal sapore – che a Combray si sarebbe chiamato il “profumo” – di una tazza di tè e, per associazione di ricordi, quanto avevo appreso, molti anni dopo aver lasciato quella piccola città, intorno a un amore che Swann aveva avuto prima che io nascessi, con quella precisione di dettagli che risulta più facile da ottenere, a volte, per la vita di persone morte da secoli che non per le vicende dei nostri migliori amici, e che sembra impossibile come sembrava impossibile parlare da una città a un’altra – finché si ignora il trucco grazie al quale l’impossibilità è stata aggirata. Tutti quei ricordi sovrapposti gli uni agli altri formavano ormai una massa, ma questo non impediva di distinguere fra loro – fra i più antichi e i più recenti, nati da un profumo, e poi quelli che erano soltanto i ricordi di un’altra persona, dalla quale li avevo raccolti – se non delle fessure, delle faglie vere e proprie, almeno quelle venature, quelle screziature di colorazione che in certe rocce, in certi marmi, rivelano differenze d’origine, d’età, di “formazione”.

Certo, quando s’avvicinava il mattino la breve perplessità del mio risveglio era da tempo dissipata. Sapevo in quale camera mi trovavo realmente, l’avevo ricostruita intorno a me nell’oscurità e – orientandomi con la sola memoria, oppure servendomi, come indicazione, d’un debole chiarore che era filtrato e in base al quale sistemavo le tende della finestra – l’avevo ricostruita per intero, arredandola come un architetto e un tappezziere decisi a rispettare le aperture originarie di porte e finestre, riabbassando gli specchi, riportando il cassettone al suo solito posto. Ma appena il giorno – e non, da me scambiato prima per il giorno, il riflesso di un’ultima brace su una bacchetta di rame – tracciava nell’oscurità, come col gesso, la sua prima riga bianca e rettificatrice, la finestra con le sue tende lasciava subito il vano della porta dove l’avevo situata per errore mentre, per farle posto, lo scrittoio, installato là maldestramente dalla mia memoria, scappava velocissimo spingendo davanti a sé il camino e spostando il muro divisorio del corridoio; dove, un istante prima, si stendeva la stanza da bagno, regnava ora un cortiletto, e la casa che avevo ricostruita nelle tenebre  era andata a raggiungere le case intraviste nel turbine del risveglio, messa in fuga dal pallido segno tracciato sulle tende dal dito levato del giorno.

Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Dalla parte di Swann

Parte prima: Combray

pp. 226-227

traduzione di Giovanni Raboni

֎

C’est ainsi que je restais souvent jusqu’au matin à songer au temps de Combray, à mes tristes soirées sans sommeil, à tant de jours aussi dont l’image m’avait été plus récemment rendue par la saveur – ce qu’on aurait appelé à Combray le « parfum » – d’une tasse de thé, et par association de souvenirs à ce que, bien des années après avoir quitté cette petite ville, j’avais appris, au sujet d’un amour que Swann avait eu avant ma naissance, avec cette précision dans les détails plus facile à obtenir quelquefois pour la vie de personnes mortes il y a des siècles que pour celle de nos meilleurs amis, et qui semble impossible comme semblait impossible de causer d’une ville à une autre – tant qu’on ignore le biais par lequel cette impossibilité a été tournée. Tous ces souvenirs ajoutés les uns aux autres ne formaient plus qu’une masse, mais non sans qu’on ne pût distinguer entre eux – entre les plus anciens, et ceux plus récents, nés d’un parfum, puis ceux qui n’étaient que les souvenirs d’une autre personne de qui je les avais appris – sinon des fissures, des failles véritables, du moins ces veinures, ces bigarrures de coloration, qui dans certaines roches, dans certains marbres, révèlent des différences d’origine, d’âge, de « formation ».

Certes quand approchait le matin, il y avait bien longtemps qu’était dissipée la brève incertitude de mon réveil. Je savais dans quelle chambre je me trouvais effectivement, je l’avais reconstruite autour de moi dans l’obscurité, et – soit en m’orientant par la seule mémoire, soit en m’aidant, comme indication, d’une faible lueur aperçue, au pied de laquelle je plaçais les rideaux de la croisée – je l’avais reconstruite tout entière et meublée comme un architecte et un tapissier qui gardent leur ouverture primitive aux fenêtres et aux portes, j’avais reposé les glaces et remis la commode à sa place habituelle. Mais à peine le jour – et non plus le reflet d’une dernière braise sur une tringle de cuivre que j’avais pris pour lui – traçait-il dans l’obscurité, et comme à la craie, sa première raie blanche et rectificative, que la fenêtre avec ses rideaux, quittait le cadre de la porte où je l’avais située par erreur, tandis que pour lui faire place, le bureau que ma mémoire avait maladroitement installé là se sauvait à toute vitesse, poussant devant lui la cheminée et écartant le mur mitoyen du couloir ; une courette régnait à l’endroit où il y a un instant encore s’étendait le cabinet de toilette, et la demeure que j’avais rebâtie dans les ténèbres était allée rejoindre les demeures entrevues dans le tourbillon du réveil, mise en fuite par ce pâle signe qu’avait tracé au-dessus des rideaux le doigt levé du jour.

Marcel Proust, À la Recherche du temps perdu, Du Côté de Chez Swann, Première partie: Combray

Rievocando Combrayultima modifica: 2024-04-16T12:37:04+02:00da ellen_blue

5 pensieri riguardo “Rievocando Combray”

  1. Questo, vorrà scusarmi, lo commento più tardi o domani perché ora mi aspettano i fornelli. Spero non me ne voglia.
    p.s.: ah, la trovo particolarmente feconda stasera e, quand’è così, è ancora più godibile. Magari preparo per due :))

  2. Marcel è un po’ scombussolato oggi. Innanzitutto non ha gradito quel ” Magari preparo per due”; dice che le persone si invitano e basta e che la congiunzione concessiva è da rispedire al mittente. Ma ce l’ha anche con me…mi ha beccata mentre scrivevo una cosa in cui, comparandolo a un altro, decreto un pareggio. Dice che sono ancora in tempo, che può far finta di niente ma non devo postare quell’affronto. Ha aggiunto: vanno bene le divagazioni letterarie perché tanto poi torni da me sempre più convintamente, ma quando è troppo è troppo.
    Proporrei una cena riparatrice, se sei d’accordo. Ovviamente cucini tu perché se lo facessi io Marcel non vorrebbe vedermi più manco dipinta.

  3. Finora, avendo letto tantissime pagine di Proust [anche troppe :))], non avevo ancora trovato quale fosse il suo lato femminile (a parte il suo sciogliersi davanti a quel giovanotto biondo di cui non ricordo il nome, ma quello, più che lato femminile è omosessualità latente).
    Qua, invece, devo ammettere che stava convincendomi che il suo lato femminile fosse proprio il rivoluzionare un arredamento completo in un batter d’occhio. Mi sbagliavo, lui aveva lavorato sì mentalmente, ma altrettanto mentalmente non aveva un progetto chiaro, tant’è che nemmeno ricordava più quello che aveva in testa. Una donna ha tutt’altra stoffa: prima il progetto, tutto a mente, e poi la rivoluzione. Quando poi la vedrete, perché lei lo farà anche se voi non siete d’accordo, dovrete ammettere che aveva ragione lei e, il tutto, è anche più bello. Infatti con molta onestà lo ammetterete, ma solo dentro di voi.
    “Visto? E’ molto meglio adesso”, dirà e voi con sufficienza le risponderete:
    “Era meglio prima.”
    “Non era una domanda. Comunque, vedremo.”
    E quel “vedremo” è una minaccia perché significa che a giorni la vostra casa diventerà luogo di pellegrinaggio architettonico per le sue amiche. Thè, biscotti e “ma che bella!!”, “che gusto!”, “wooow, oltre che più bella è anche più funzionale!!”.
    “Sì, soprattutto più funzionale. Manca solo il tocco finale, spostare lui in cantina”, risponde.

  4. Ti è sembrata perfida lei? A me è sembrato testardo ed anche immaturo lui. Bastava ammettere che su quelle modifiche aveva ragione lei. Non ammettere mai di aver torto comporta il finire in cantina. Non fisicamente, ma in quella del cuore di sicuro :))

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