Poiché la passeggiata dalla parte di Méséglise era la meno lunga delle due che facevamo intorno a Combray, e la si riservava per questo motivo alle giornate di tempo incerto, dalla parte di Méséglise il clima era piuttosto piovoso e noi non perdevamo mai di vista il limitare dei boschi di Roussainville, nel cui folto avremmo potuto metterci al riparo.
Spesso il sole si nascondeva dietro una nuvola di cui indorava i bordi e che deformava il suo ovale. Il fulgore, ma non la luce, scompariva dalla campagna dove ogni vita sembrava sospesa, mentre il piccolo villaggio di Roussainville scolpiva nel cielo il rilievo dei suoi spigoli bianchi con una precisione e una finitezza insopportabili. Un po’ di vento faceva alzare in volo un corvo che tornava a planare in lontananza, e contro il cielo biancastro il lontano profilo dei boschi appariva più azzurro, come nelle decorazioni a chiaroscuro di certi trumeaux in qualche antica dimora.
Ma altre volte si metteva a cadere quella pioggia che ci aveva minacciata il frate cappuccino davanti al negozio dell’ottico; simili a uccelli migratori che spiccano il volo tutti insieme, le gocce d’acqua scendevano giù dal cielo in ranghi frettolosi. Non si separano mai, non vanno mai all’avventura durante la veloce traversata; ciascuna sta al proprio posto e attira a sé quella che la segue, e il cielo ne è oscurato più che dalla partenza delle rondini. Ci rifugiavamo nel bosco. Quando il loro viaggio sembrava finito, alcune arrivavano ancora, le più deboli, le più lente. Ma noi lasciavamo il nostro rifugio, perché le gocce si divertono con le foglie, e quando la terra era ormai quasi asciutta più d’una s’attardava ancora a giocare sulle nervature d’una foglia e appesa alla sua punta, quieta, luccicante nel sole, di colpo si lasciava scivolare per tutta la lunghezza del ramo e ci cadeva sul naso.
[Marcel Proust, Alla Ricerca del tempo perduto, Dalla parte di Swann, traduzione di Giovanni Raboni, I Meridiani Mondadori ] pp. 182-183
Castello di Roussainville
Tranquilla, nulla da dire su quella seconda parte. Sulle foglie invece – premesso che sono una fissa dei francesi, Prevèrt con quelle morte – non so perché il gioco fra gocce di pioggia e foglie, mi ha fatto pensare a qualcosa di sessuale. Lo so ti starai sorprendendo visto che mi conosci come un pragmatico che difficilmente mischia il sesso nelle proprie riflessioni, infatti me ne sorprendo anch’io. Comunque, immedesimandomi nelle foglie, se da un lato quel bombardamento di gocce può essere leggermente doloroso, da un altro lato, lo scivolare dell’acqua sulla foglia dev’essere per esse equivalente ad una carezza umida come fa la lingua. Potrei sbagliarmi, ma credo che sotto un temporale, unendoci anche il volteggiare grazie al vento, io credo che le foglie raggiungano un bell’orgasmo e, forse, il sibilo che sentiamo ed addebitiamo al vento, in parte è anche l’urlo grato e soffocato delle foglie.
Le gocce di pioggia non lo so se godono, ma ci penserò.
“Tranquilla, nulla da dire su quella seconda parte”
ci sarà una terza parte che riguarderà indirettamente Vinteuil con un particolare che ho trovato disturbante, ma che dice tanto della grandiosa capacità di analisi della psiche di Proust.
Quanto a te, sorrido di questo ” Lo so ti starai sorprendendo visto che mi conosci come un pragmatico che difficilmente mischia il sesso nelle proprie riflessioni”, e invece trovo sorprendente l’associazione sesso-foglie. Ti riconoscerei tra mille 🙂
Bugiarda 🙂 non mi riconoscesti mica. Dovetti dirtelo :))
Ma tu mi inviti a nozze! allora, non fosti tu a dirmelo ma lo scoprii io in maniera del tutto casuale (non mi hai mai chiesto come ho fatto, ma questo è un dettaglio). Poi, mio caro, sappi che persino quando su Libero lasci un commento senza usare il tuo nick ufficiale, io annuso e dico: questo è lui. Chiamalo istinto da lettrice, se vuoi 🙂
:)) davvero non te l’ho mai chiesto?
Poi, mia cara, sappi che su Libero uso sempre e solo il mio nick, è solo nei tuoi millemila blog che mi diverto ad usare nickfantasy. Tanto lo so che hai il fiuto di una lince :))
Davvero non me lo hai chiesto 🙂
comunque quando capita ti svelo l’arcano (in privato)
Quando le dissi che non vedevo l’ora di apprezzare la “grandiosa capacità di analisi della psiche di Proust”, lei strinse le labbra e sollevò lo sguardo al cielo. Sorrisi dentro di me ma, allo stesso tempo, pensando a lei come alla mia dea, mi aveva dato l’opportunità di rispondere alla domanda alla quale non avevo mai trovato una risposta “cosa può addolorare gli dei?”.
Ecco, il bamale gesto di volgere lo sguardo al cielo, era la risposta e non perché, abitandolo, loro non possono vederlo, ma a differenza nostra, intendendo il cielo come richiesta d’aiuto, di preghiera o di speranza, diventa evidente e tangibile la solitudine degli dei. Non solo solitudine, però, anche tristezza e consapevolezza di non poter sperare.
Entusiasta della mia riflessione gliela proposi convinto di sorprenderla, ma fu lei a sorprendermi:
“Se sono dei, quindi immortali, non hanno bisogno di speranza. Tristezza? Vivono nella beatitudine, coglioncello”, mi rispose.
Non nascondo che, a volte, come stavolta, la odiavo davvero, però, se stavo ancora con lei era perché non ero capace di portarle rancore.
“Hai ragione… forse”, le risposi.
“Togli il forse…”, mi rispose.
“A gratis?”, le chiesi.
Si avvicino e mi baciò.
“Hai ragione, senza il forse”, le dissi.
“Prostituzione venale, vergognati.”
“Eheh”
Ogni tanto mi racconti qualcosa senza che sia io a sollecitarti a farlo. Apprezzo, tanto 🙂
Chiedimi l’IBAN e ti apprezzerò ancor di più di quanto immagini :))