La musica di Vinteuil come la sericità d’un garofano

Nulla, così, assomigliava più d’una bella frase di Vinteuil a quel piacere particolare che avevo provato qualche volta nella mia vita, per esempio davanti ai campanili di Martinville, a certi alberi d’una strada di Balbec o, più semplicemente, agli inizi di quest’opera, bevendo una certa tazza di tè. Come quella tazza di tè, tante sensazioni di luce, i limpidi rumori, i rumorosi colori che Vinteuil ci inviava dal mondo in cui componeva la sua musica facevano passare davanti alla mia immaginazione – con insistenza, ma troppo rapidamente perché questa potesse afferrarla – qualcosa che potrei paragonare alla profumata sericità d’un geranio. Solo che mentre nel ricordo una siffatta vaghezza può essere, se non approfondita, almeno precisata, grazie a una messa a fuoco di circostanze che spiegano come mai un certo sapore ha potuto ricordarci delle sensazioni luminose, le sensazioni vaghe suggerite da Vinteuil non venivano da un ricordo, ma (come quella dei campanili di Martinville) da un’impressione, cosicché della fragranza di geranio della sua musica si sarebbe dovuta trovare non una spiegazione materiale, ma l’equivalente profondo, la festa ignota e variopinta (di cui le sue composizioni sembravano i frammenti disgiunti, le schegge dai contorni scarlatti), modo secondo il quale egli “sentiva” e proiettava fuori di sé l’universo.

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Histoire des communes : Illiers-Combray - CRGPG

Seuls, s’élevant du niveau de la plaine et comme perdus en rase campagne, montaient vers le ciel les deux clochers de Martinville. Bientôt nous en vîmes trois : venant se placer en face d’eux par une volte hardie, un clocher retardataire, celui de Vieuxvicq, les avait rejoints. Les minutes passaient, nous allions vite et pourtant les trois clochers étaient toujours au loin devant nous, comme trois oiseaux posés sur la plaine, immobiles et qu’on distingue au soleil. Puis le clocher de Vieuxvicq s’écarta, prit ses distances, et les clochers de Martinville restèrent seuls, éclairés par la lumière du couchant que même à cette distance, sur leurs pentes, je voyais jouer et sourire. Nous avions été si longs à nous rapprocher d’eux, que je pensais au temps qu’il faudrait encore pour les atteindre quand, tout d’un coup, la voiture ayant tourné, elle nous déposa à leurs pieds ; et ils s’étaient jetés si rudement au-devant d’elle, qu’on n’eut que le temps d’arrêter pour ne pas se heurter au porche. Nous poursuivîmes notre route ; nous avions déjà quitté Martinville depuis un peu de temps et le village après nous avoir accompagnés quelques secondes avait disparu, que restés seuls à l’horizon à nous regarder fuir, ces clochers et celui de Vieuxvicq agitaient encore en signe d’adieu leurs cimes ensoleillées. Parfois l’un s’effaçait pour que les deux autres pussent nous apercevoir un instant encore ; mais la route changea de direction, ils virèrent dans la lumière comme trois pivots d’or et disparurent à mes yeux. Mais, un peu plus tard, comme nous étions déjà près de Combray, le soleil étant maintenant couché, je les aperçus une dernière fois de très loin, qui n’étaient plus que comme trois fleurs peintes sur le ciel au-dessus de la ligne basse des champs. Ils me faisaient penser aussi aux trois jeunes filles d’une légende, abandonnées dans une solitude où tombait déjà l’obscurité ; et tandis que nous nous éloignions au galop, je les vis timidement chercher leur chemin et après quelques gauches trébuchements de leurs nobles silhouettes, se serrer les uns contre les autres, glisser l’un derrière l’autre, ne plus faire sur le ciel encore rose qu’une seule forme noire, charmante et résignée, et s’effacer dans la nuit.

Marcel Proust, Du côté de chez Swann

Vinteuil

Una pagina sinfonica di Vinteuil, già conosciuta al pianoforte e poi sentita suonare da un’orchestra, simile a un raggio di sole estivo che il prisma della finestra scompone al suo ingresso in una sala da pranzo buia, svelava come un tesoro inaspettato e multicolore tutte le gemme delle Mille e una notte. Ma come paragonare a un immobile sfavillio della luce ciò che era vita, movimento perpetuo e felice? Quello stesso Vinteuil che avevo conosciuto così timido e triste mostrava, al momento di scegliere un timbro, di accostarlo a un altro, delle audacie e, nel pieno senso della parola, una felicità su cui l’ascolto d’una sua opera non lasciava il minimo dubbio. La gioia suscitata in lui da certe sonorità, la moltiplicazione di forze ch’egli ne aveva tratta per trovarne di nuove, trascinavano ancora l’ascoltatore di scoperta in scoperta; o meglio, era lo stesso creatore a trascinarlo, attingendo dai colori appena trovati una gioia immensa che gli dava la forza di scoprire, di gettarsi su quelli ch’essi sembravano invocare, estasiato, trasalendo come all’urto d’una scintilla quando il sublime scaturiva spontaneo dall’intersezione dei “fiati”, ansimante, ebbro, sconvolto, vertiginoso nell’atto di dipingere il suo grande affresco musicale come Michelangelo quando, appeso a testa in giù alla sua scala, scagliava tumultuosi colpi di pennello sulla volta della Cappella Sistina. Vinteuil era morto da parecchi anni; ma, in mezzo a questi strumenti che aveva amati, gli era stato concesso di continuare, per un tempo illimitato, una parte almeno della sua vita. Della sua vita d’uomo, soltanto? Se l’arte non era davvero che un prolungamento della vita, valeva la pena di sacrificarle qualcosa? Non era, l’arte, irreale quanto la vita stessa?

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

It has been suggested that the French composer Camille Saint-Saëns must be the real musician behind the mystery piece. And there is good reason for that assumption. In his earlier unfinished novel “Jean Santeuil,” written in the 1890s, Proust does identify the Saint-Saëns’ Violin Sonata No. 1. Proust was not a musician, but his description is sufficiently detailed to suggest a real model. César Franck and Saint-Saëns have been identified as possible candidates, but the second violin sonata by Johannes Brahms has also been suggested. A character in the novel makes reference to Beethoven’s Ninth and to Wagner’s “Meistersinger.” A French musicologist writes, “although we naturally think of Beethoven and Wagner, we should also understand that Brahms’ Ninth Sonata (Op. 100 is the ninth in chronology) is dubbed “Meistersinger” for its Wagnerian accents. And the little passage in F-sharp minor, which appears three times to end the piece, is thus described in Proust’s novel.

Marcel Proust

Marcel Proust

Recently, the sisters Maria and Nathalia Milstein have proposed an interesting hypothesis. They suggest that the musical theme that drove Charles Swann crazy comes from a less famous work, the Sonata for violin and piano in D minor by Gabriel Pierné. The artists suggest, “it is gorgeous and very much composed along the lines described in the book… We know that the famous little phrase comes back in the later movement, so hearing the Pierné sonata kind of fits.” As Proust writes, “Swann sought in the little phrase for a meaning to which his intelligence could not descend, with what a strange frenzy of intoxication did he strip bare his innermost soul of the whole armor of reason and make it pass unattended through the dark filter of sound!” Whatever his model, Proust granted music a pivotal role in a work of literature. “His vision of the potential unity and transformative power of the arts…shaped the European modernist tradition that followed him.” A leading literary critic writes, “Music as performance, as topic of debate, as catalyst of memory, emotion, and desire, plays an obbligato accompaniment to the interpersonal drama of the Proustian social world: its hilarity, its pathos, its vacuity, its sensuality, its cruelty.”

https://interlude.hk/marcel-proust-1871-1922-in-search-of-lost-time-and-the-mysterious-violin-sonata/

 

Wagner

La musica – ben diversa, in questo, dalla compagnia di Albertine – mi aiutava a discendere in me stesso, a scoprirvi del nuovo: la varietà cercata invano nella vita, nei viaggi, di cui il flusso sonoro, mandando le sue onde soleggiate a frangersi e morire accanto a me, mi dava peraltro nostalgia. Duplice diversità. Come lo spettro esteriorizza per noi la composizione della luce, l’armonia di un Wagner, il colore di un Elstir ci permettono di conoscere quell’essenza qualitativa delle sensazioni d’un altro in cui nemmeno l’amore per un altro essere ci fa penetrare. E poi, diversità all’interno dell’opera stessa, grazie al solo mezzo che vi sia per essere effettivamente diversi: riunire diverse individualità. Là dove un piccolo musicista pretende di dipingere uno scudiero, un cavaliere, ma fa cantare a tutti la stessa musica, Wagner mette invece sotto ogni denominazione una realtà differente, e ogni volta che il suo scudiero ritorna è una figura particolare, al tempo stesso complicata e semplicistica, a inscriversi nell’immensità sonora con un cozzo di linee gioioso e feudale. Di qui la pienezza d’una musica colma, in effetti, di tante musiche, ciascuna delle quali è una persona. Una persona, o l’impressione suscitata da un aspetto momentaneo della natura. Persino quel che è più indipendente, in essa, dal sentimento che ci ispira, conserva la sua realtà esteriore e affatto definita; il canto d’un uccello, il richiamo d’un corno da caccia, l’aria suonata da un pastore sul suo flauto di canna disegnano contro l’orizzonte le loro sagome sonore. Certo, Wagner finiva poi col fonderle, impossessarsene, immetterle in un’orchestra, assoggettarle alle più alte idee musicali; ma sempre rispettandone l’originalità primitiva, come un maestro d’ascia le fibre, la particolare essenza del legno che scolpisce.

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Magnifico errore di una moltiplicazione per sedici

“Non vi danno fastidio, tutti quei rumori da fuori? mi chiese Albertine. Io li adoro. Ma voi, che avete il sonno così leggero?”. L’avevo invece, a volte, molto profondo (l’ho già detto ma l’avvenimento che segue mi costringe a ricordarlo), soprattutto quando non mi addormentavo prima del mattino. Poiché un sonno del genere è stato, mediamente, quattro volte più riposante, sembra a chi ha dormito ch’esso sia stato quattro volte più lungo, mentre è stato quattro volte più breve. Magnifico errore di una moltiplicazione per sedici, che dà tanta bellezza al risveglio e introduce nella vita un’autentica innovazione, simile a quei grandi cambiamenti di ritmo che, in musica, fanno sì che una croma abbia in un andante la stessa durata d’una minima in un prestissimo, e che sono ignoti allo stato di veglia. La vita, lì, è quasi sempre la stessa, donde le delusioni dei viaggi. Sembra, è vero, che il sogno sia fatto con la materia – a volte la più grossolana – della vita; ma essa vi è “trattata”, malassata in modo tale – con uno stiramento dovuto al fatto che nessuno dei limiti cronologici della veglia le impedisce di sfilacciarsi enormemente – da diventare irriconoscibile.

M. Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Elogio della cattiva musica

Detestate la cattiva musica, non disprezzatela. Dal momento che la si suona e la si canta ben di più, e ben più appassionatamente, di quella buona, ben di più di quella buona si è riempita a poco a poco del sogno e delle lacrime degli uomini.
Consideratela per questo degna di venerazione.

Il suo posto, nullo nella storia dell’arte, è immenso nella storia sentimentale della società. Il rispetto, non dico l’amore, per la cattiva musica non è soltanto una forma di quel che si potrebbe chiamare la carità del buon gusto o il suo scetticismo, è anche la coscienza del ruolo sociale della musica. Quante melodie, di nessun pregio agli occhi di un artista, fan parte della schiera dei confidenti scelti dai giovanotti sentimentali e dalle innamorate!

Quanti “Anelli d’oro”, di “Ah! resta a lungo addormentata”, le cui pagine vengono sfogliate ogni sera, tremando, da mani giustamente celebri, bagnate dagli occhi più belli del mondo con lacrime di cui il più puro maestro invidierebbe il malinconico e voluttuoso tributo – confidenti ingegnose ed ispirate che nobilitano il dolore ed esaltano il sogno e che, in cambio del segreto ardente che viene loro confidato offrono l’illusione inebriante della bellezza! Come il popolo, la borghesia, l’esercito, la nobiltà, hanno gli stessi postini, portatori del lutto che li colpisce o della felicità che colma i loro cuori, così hanno gli stessi messaggeri d’amore, gli stessi confessori prediletti.

Sono i cattivi musicisti.

Un certo ritornello insopportabile, che ogni orecchio ben nato e ben educato rifiuta all’istante di ascoltare, ha accolto in sé il tesoro di migliaia di anime, conserva il segreto di migliaia di vite, di cui fu la viva l’ispirazione, la consolazione sempre pronta, sempre aperta sul leggio del pianoforte, la grazia sognante e l’ideale. Certi arpeggi, una certa “ripresa” han fatto risuonare nell’anima di più di un innamorato o di un sognatore le armonie del paradiso o la voce stessa dell’amata. Uno spartito di mediocri romanze, consumato per aver troppo servito, deve commuoverci come un cimitero o come un villaggio. Che importa che le case non abbiano stile, che le tombe scompaiano sotto le iscrizioni e gli ornamenti di cattivo gusto.

Da questa polvere può levarsi in volo, davanti ad una immaginazione abbastanza benevola e rispettosa da mettere a tacere un attimo la sua alterigia estetica, lo stormo delle anime recanti nel becco il sogno ancora verde che faceva loro presentire l’altro mondo, e le induceva a gioire o a piangere in questo.

Marcel Proust, I Piaceri e i giorni

traduzione di Mariolina Bongiovanni Bertini

Madame Madeleine Lemaire, l'imperatrice delle rose – EXPERIENCES

Pierre Georges Jeanniot, Una canzone di Gibert nel salotto di Madame Madeleine Lemaire