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Zagara&Pepe

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TUTTE LE STORIE DEL MONDO - cap III

Post n°86 pubblicato il 28 Maggio 2008 da pro_mos

All'inizio fu una scena confusa quella che vidi apparire un po' più lontano, poi i contorni si precisarono, era notte lungo una roggia che tagliava la città, seduti su di un pendio erboso che faceva da argine, una ragazzo ed una ragazza guardavano il cielo.


Sentii la voce della ragazza bionda, con i suoi begli occhi azzurri, dentro di me:-"Saranno Primula e Bucaneve a narrarti questa storia. Primula e Bucaneve, i fiori che segnano, allo stesso tempo, la fine d'inverno ed il principio di primavera.


Primula e Bucaneve, spuntati in quel palmo di terra appena appena coperta di neve, iniziarono a recitare le parole dei due.


-"Noi siamo come quest'acqua che scorre, così è il nostro tempo, ci sembra sempre uguale eppure è sempre diverso.- diceva il ragazzo - Hai mai provato a fermare l'acqua con lo sguardo? Tu fissi un punto e....l'acqua passa, la segui e non è più la stessa. Così succede dei nostri attimi, vorresti fermarli e loro scorrono, inesorabili. L'acqua scorre, liscia e modella"-. Raccolse un ciotolo dal letto, levigato, come pelle di un bambino -"l'acqua, come il tempo, cambia forma alle cose, il tempo modella le persone, nella forma, nel fisico, nel carattere. Siamo ciotoli per il tempo che ci scorre addosso. Come l'acqua, il tempo, non torna mai indietro. Hai mai visto un fiume scorrere dalla foce alla sorgente? Così un uomo ritornare verso il suo esser fanciullo?"-

La ragazza che lo stava ascoltando, sorrise, aveva già sentito quelle parole e quei discorsi, e tutto questo non la toccava più.
Il tempo per lei aveva perso d'interesse il giorno che aveva perso sua madre, in un incidente stradale. La macchina che lei guidava s'era schiantata contro un camion. La madre era morta sul colpo e lei era rimasta imprigionata nelle lamiere per oltre tre ore, con quel corpo esanime accanto.
Aveva pianto tutte le lacrime della sua vita in quello stato di disperazione, aveva parlato alla madre, urlato il suo dolore.
La madre era rimasta muta.

Lì capì il senso della morte ed il vano equilibrio della vita. Aveva pensato a lungo alla morte, al fato nei giorni successivi. Solo pochi centimetri di distanza dividevano i due corpi, l'impatto o il caso avevano fatto una scelta. La madre era morta e lei s'era, momentaneamente, salvata, in attesa, magari, d'un prossimo impatto, o di una malattia, o, forse, d'una serena vecchiaia.
Chi poteva dire cosa l'avrebbe aspettata?
Lei, infatti, non si aspettava più nulla. Si alzava ogni mattina con desiderio di vivere addosso, e con addosso la gioia, la frenesia del vivere. Giocava così, attimo per attimo, la sua scommessa. Godeva del sole che spuntava da Oriente, della pioggia che la rinfrescava. Assaporava ogni istante senza chiedere nulla al tempo se non la gioia di poter continuare a respirare.

Il ragazzo aveva occhi di pane e questo le bastava. Un sorriso, una voce e labbra dolci da baciare, e tutto questo le bastava.
-"La vita..." - disse - la mia vita - e pronunciò queste parole calcando il tono su "mia", perché sapeva quanto il senso del percorso cambi di persona in persona, diventando relativo -"è come questo cielo stellato, ogni giorno è una stella che brilla di luce sua. A guardarli da lontano sembrano tutti uguali, puntini luminosi, ma tu sai, che ognuno e diverso dall'altro. Ogni punto ha un contorno, così come ogni giorno ha un suo inizio ed una fine. Ogni giorno ha un suo valore, un suo ché di bello di prezioso, di unico. E li puoi raggruppare, in periodi della tua vita, questi giorni, così come le stelle che, se unite, possono formare i segni, le costellazioni, ed allora prendono un altro significato"-

Il ragazzo la guardava, con gli occhi di pane. Si sentì un granello di sabbia davanti a quella rivelazione. Alzò gli occhi verso il cielo e guardò le stelle ed udì, forse per la prima volta, la loro voce. Ridevano, quella notte le stelle. A fissarle sembrava iniziassero a danzare, a muoversi d'uno moto proprio. E forse quello era davvero il loro stato d'essere, quel continuo danzare non era un'illusione ottica. Loro danzavano davvero! Solo l'occhio che le fissava a lungo poteva vederlo, come soltanto uno sguardo prolungato mostra i dettagli delle cose. A prima vista tutto sfugge.

Il ragazzo alzò la testa, più che poteva, reclinò il capo all'indietro, un capogiro lo colse, ma non cambiò posizione. Cominciò a ruotare allargando le braccia, gli sembrava di volare, negli occhi le stelle si muovevano, tutto il mondo si muoveva e lui, lui era fermo in uno stato d'ebbrezza. Cadde sull'erba, gli occhi puntati verso il cielo e nel suo cielo apparvero gli occhi della ragazza che lo guardavano, ridendo. Lei si abbassò baciandolo sulle labbra dolci ed in quel bacio lui colse il sapore di ogni stella.

-"Chi sei....davvero....tu?"- le chiese quando le labbra si staccarono.
La ragazza rise e non rispose.
Si sedette cavalcioni su di lui ch'era disteso sulla schiena e con le mani gli accarezzò il volto e gli chiuse gli occhi ch'erano di pane.
Accostò la bocca al suo orecchio e nell'orecchio cominciò a cantare. Era una nenia, una ninna, che le mamme cantavano ai bambini. Lei era la donna, l'amante, la madre, lui il suo bambino, il figlio, l'amato. Anche la ninna sviluppava la propria armonia secondo un ciclo, dolce e ripetitivo.

Il ragazzo ad occhi chiusi, si sentiva felice, sentiva il peso del corpo di lei sul suo corpo, il suo profumo, la sua voce, e sopra di tutto sapeva che le stelle guardandoli, stavano danzando. Aveva chiuso gli occhi sul mondo, mentre cadeva, ed il mondo intero, lo ricordava, stava danzando, perse il senso del tempo, allontanò l'idea dell'acqua che scorre ed imparò, per la prima volta, a godere di quell'istante, di ogni istante, sentendo che ogni giorno era un ciclo, con un inizio ed una fine, che ogni ciclo poteva diventare qualcosa di più grande, unendo giorno dopo giorno, e che anche questo insieme di giorni avrebbe avuto un inizio ed una fine. Imparò il senso dell'inizio e della fine e a non temerli, e a non aver paura di quelle parole, né della fine delle cose.

Fecero l'amore tutta la notte, a volte teneramente, altre con passione, guardandosi negli occhi, e con quegli stessi gli occhi guardando più lontano. Era un ciclo anche l'amore di quella notte, iniziato col calare del sole, che sarebbe terminato solo al sorgere del sole del giorno seguente. Era un ciclo anche quel loro amore. Nessuno avrebbe potuto sapere quanto sarebbe durato. Aveva avuto un inizio e proprio per questo, ci sarebbe stata una fine, non si sapeva né dove, né quando. Ma non ne aveva paura nessuno dei due. Erano dentro quel ciclo e lo vivevano gustandone ogni sapore, ogni colore ogni profumo.

Il ragazzo terminò la propria passione dentro il grembo di lei, così che, nell'istante in cui il ciclo della passione terminava iniziò, in quel posto, quello della vita.


Primula e Bucaneve, tacquero. La ragazza bionda mi era sempre accanto e ricominciò a suonare, la prima e l'ottava corda, del suo strumento. L'inizio della vita ed il fato.

Primula e Bucaneve si rivolsero all'unisono a lei, gentilmente:-"Possiamo andare ora, nostra signora?"- la ragazza si limitò a sorridere.
I due fiori rivolgendosi a me dissero ancora: -Anche per noi è giunto il finire d'un ciclo, siamo stati seme, germoglio, fiore, ora torneremo nella terra da cui, nella nuova stagione rifioriremo"- appassirono in breve e caddero nella terra dove scomparvero.

Guardai la terra, guardai la ragazza, cantava, con il suo strano strumento, su cui pizzicava ancora la prima e l'ottava corda. Poi d'improvviso il mondo attorno si ripopolò come d'incanto. Ero nuovamente nel giardino, seduto accanto alla ragazza, sulla pietra della fontana.
Con lo sguardo interrogativo le dissi, con un po' di timore:-"Quel ragazzo.... parlava....come me.....diceva cose che......anch'io ho sempre detto"-

Rispose la ragazza:"-quel ragazzo parlava come te perchè erano i tuoi pregiudizi sul tempo a farlo parlare. Il tempo non è una misura lineare, non passa, non scorre da un unico inizio verso una sola fine, ma si rinnova, attimo per attimo, giorno per giorno, in cicli continui. Là dove ne finisce uno un altro ne inizia"-.
-Un pregiudizio....sul tempo"- pensai.

La mia prima storia m'aveva aperto le porte sul tempo. Il bambino aveva smesso di danzare ed ora si avvicinava con un grosso cesto di frutta.
-"Prendine pure"- disse gentilmente la ragazza -"abbiamo ancora molte cose di cui parlare, ma lo faremo dopo che avrai mangiato"-.

 

(CONTINUA)

 
 
 
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