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Post n°86 pubblicato il 28 Maggio 2008 da pro_mos
All'inizio fu una scena confusa quella che vidi apparire un po' più lontano, poi i contorni si precisarono, era notte lungo una roggia che tagliava la città, seduti su di un pendio erboso che faceva da argine, una ragazzo ed una ragazza guardavano il cielo.
La ragazza che lo stava ascoltando, sorrise, aveva già sentito quelle parole e quei discorsi, e tutto questo non la toccava più. Lì capì il senso della morte ed il vano equilibrio della vita. Aveva pensato a lungo alla morte, al fato nei giorni successivi. Solo pochi centimetri di distanza dividevano i due corpi, l'impatto o il caso avevano fatto una scelta. La madre era morta e lei s'era, momentaneamente, salvata, in attesa, magari, d'un prossimo impatto, o di una malattia, o, forse, d'una serena vecchiaia. Il ragazzo aveva occhi di pane e questo le bastava. Un sorriso, una voce e labbra dolci da baciare, e tutto questo le bastava. Il ragazzo la guardava, con gli occhi di pane. Si sentì un granello di sabbia davanti a quella rivelazione. Alzò gli occhi verso il cielo e guardò le stelle ed udì, forse per la prima volta, la loro voce. Ridevano, quella notte le stelle. A fissarle sembrava iniziassero a danzare, a muoversi d'uno moto proprio. E forse quello era davvero il loro stato d'essere, quel continuo danzare non era un'illusione ottica. Loro danzavano davvero! Solo l'occhio che le fissava a lungo poteva vederlo, come soltanto uno sguardo prolungato mostra i dettagli delle cose. A prima vista tutto sfugge. Il ragazzo alzò la testa, più che poteva, reclinò il capo all'indietro, un capogiro lo colse, ma non cambiò posizione. Cominciò a ruotare allargando le braccia, gli sembrava di volare, negli occhi le stelle si muovevano, tutto il mondo si muoveva e lui, lui era fermo in uno stato d'ebbrezza. Cadde sull'erba, gli occhi puntati verso il cielo e nel suo cielo apparvero gli occhi della ragazza che lo guardavano, ridendo. Lei si abbassò baciandolo sulle labbra dolci ed in quel bacio lui colse il sapore di ogni stella. -"Chi sei....davvero....tu?"- le chiese quando le labbra si staccarono. Il ragazzo ad occhi chiusi, si sentiva felice, sentiva il peso del corpo di lei sul suo corpo, il suo profumo, la sua voce, e sopra di tutto sapeva che le stelle guardandoli, stavano danzando. Aveva chiuso gli occhi sul mondo, mentre cadeva, ed il mondo intero, lo ricordava, stava danzando, perse il senso del tempo, allontanò l'idea dell'acqua che scorre ed imparò, per la prima volta, a godere di quell'istante, di ogni istante, sentendo che ogni giorno era un ciclo, con un inizio ed una fine, che ogni ciclo poteva diventare qualcosa di più grande, unendo giorno dopo giorno, e che anche questo insieme di giorni avrebbe avuto un inizio ed una fine. Imparò il senso dell'inizio e della fine e a non temerli, e a non aver paura di quelle parole, né della fine delle cose. Fecero l'amore tutta la notte, a volte teneramente, altre con passione, guardandosi negli occhi, e con quegli stessi gli occhi guardando più lontano. Era un ciclo anche l'amore di quella notte, iniziato col calare del sole, che sarebbe terminato solo al sorgere del sole del giorno seguente. Era un ciclo anche quel loro amore. Nessuno avrebbe potuto sapere quanto sarebbe durato. Aveva avuto un inizio e proprio per questo, ci sarebbe stata una fine, non si sapeva né dove, né quando. Ma non ne aveva paura nessuno dei due. Erano dentro quel ciclo e lo vivevano gustandone ogni sapore, ogni colore ogni profumo. Il ragazzo terminò la propria passione dentro il grembo di lei, così che, nell'istante in cui il ciclo della passione terminava iniziò, in quel posto, quello della vita.
Primula e Bucaneve si rivolsero all'unisono a lei, gentilmente:-"Possiamo andare ora, nostra signora?"- la ragazza si limitò a sorridere. Guardai la terra, guardai la ragazza, cantava, con il suo strano strumento, su cui pizzicava ancora la prima e l'ottava corda. Poi d'improvviso il mondo attorno si ripopolò come d'incanto. Ero nuovamente nel giardino, seduto accanto alla ragazza, sulla pietra della fontana. Rispose la ragazza:"-quel ragazzo parlava come te perchè erano i tuoi pregiudizi sul tempo a farlo parlare. Il tempo non è una misura lineare, non passa, non scorre da un unico inizio verso una sola fine, ma si rinnova, attimo per attimo, giorno per giorno, in cicli continui. Là dove ne finisce uno un altro ne inizia"-. La mia prima storia m'aveva aperto le porte sul tempo. Il bambino aveva smesso di danzare ed ora si avvicinava con un grosso cesto di frutta. (CONTINUA) |
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