Creato da HansSchnier il 28/10/2009

PEZZI, pezzotti

(le Opinioni tarocche)

 

 

Dedicato alla "psi" della mia amica e ad altri bravi professionisti

Post n°212 pubblicato il 26 Marzo 2014 da HansSchnier

"Lei è uno shrink?".

"Sì".

"Allora lasci che le dica una cosa. Non sono mai andato d'accordo con sciamani, stregoni o psichiatri. Della condizione umana hanno capito molto più Shakespeare, Tolstoj e perfino Dickens di chiunque di voi. Siete una banda di ciarlatani sopravvalutata, che si ferma alla grammatica dei problemi umani, mentre gli scrittori che le ho nominato badano all'essenza. E non mi piacciono le etichette vacue che appiccicate alla gente, né le parcelle che chiedete per le consulenze di parte; e non mi piacete in Tribunale, uno per la difesa, l'altro per l'accusa, due cosiddetti esperti, l'un contro l'altro armati, ma entrambi col portafoglio gonfio. Voi giocate con la testa delle persone, e siete inutili, se non dannosi. Inoltre, stando a quanto ho letto di recente, avete abbandonato il lettino per i farmaci [...]. Paranoia? Prenda questo due volte al dì. Schizofrenia? Sciolga questo in bocca prima dei pasti. Io prendo un whisky al malto e un Montecristo per tutto, e le consiglio di fare altrettanto. Fanno duecento dollari, grazie."

Mordecai Richler, La versione di Barney
(trad. Matteo Codignola), Adelphi, p. 459

 
 
 

La grande bellezza

Post n°209 pubblicato il 05 Marzo 2014 da HansSchnier

Paolo Sorrentino è un uomo capace e intelligente. Sono contento che La grande bellezza abbia vinto l'Oscar. Ma avrebbe meritato di vincerlo con Il divo, anziché con questo confuso remake de La dolce vita. Gli americani si sentono in soggezione quando un europeo - con dispendio di risorse - gioca a fare l'esistenzialista, il dissoluto-disperato, il visionario, l'intellettuale. La frase di Céline in epigrafe... Il nome di Proust tirato in ballo tanto per sfottere, e così via. Le belle immagini della città eterna. La morte che troneggia e nobilita il tutto. Un po' di preti e suore, più o meno esenti dal peccato, comunque affascinanti nella loro stranezza. Esotismo della Chiesa cattolica nella città delle feste felliniane! Sono trucchi del mestiere. E così Natalia Aspesi e Curzio Maltese possono scrivere che Sorrentino è un uomo colto, e siamo tutti più felici.

 
 
 

Epicuro

Post n°207 pubblicato il 12 Novembre 2013 da HansSchnier
 
Tag: delirio

In edicola con il Sole 24 Ore, ecco a voi Epicuro, Lettera sulla felicità e altri scritti. Euro 6,90.

Ed ecco a voi alcune perle del grande filosofo:

La morte non è niente per noi. Ciò che si dissolve non ha più sensibilità, e ciò che non ha sensibilità non è niente per noi (Massime capitali, II; pag. 57 della pubblicazione sopra indicata).

Il più terribile dei mali dunque, la morte, non è niente per noi, dal momento che, quando noi ci siamo, la morte non c'è, e quando essa sopravviene noi non siamo più. Essa non ha alcun significato né per i viventi né per i morti, perché per gli uni non è niente, e, quanto agli altri, essi non sono più (Epistola a Meneceo, n. 125; pag. 50).

Non dura ininterrottamente il dolore della carne; il suo culmine dura anzi un tempo brevissimo; e ciò che di esso appena oltrepassa il piacere non si protrae molti giorni nella nostra carne. Le lunghe malattie poi arrecano alla carne più piacere che dolore (Massime capitali, IV; pag. 57).

Io non so se ridere o piangere di fronte a questi scioglilingua insensati, che offendono l'umanità e il suo dolore. Mi astengo dall'ironizzare, ma sarebbe facile farlo.

A queste vetuste insulsaggini che ancora oggi usurpano il nome di filosofia, preferisco l'onesto pessimismo del Qohèlet.

Preferisco, addirittura, la minacciosa tetraggine di santa Teresa d'Avila, con il suo aut pati aut mori.

Preferisco Gesù Cristo, che con la morte fece i conti seriamente, che pianse, e sudò sangue, per la paura e l'angoscia, e che non si sognò mai di dire - né ai discepoli né ai farisei né ai sadducei né ai centurioni romani né alla samaritana né agli indemoniati - simili stolte fandonie.

 
 
 

Sto bene (è solo la fine del mondo) - di Ignazio TARANTINO, ed. Longanesi

Post n°204 pubblicato il 19 Luglio 2013 da HansSchnier
 

Romanzo di un esordiente, ex testimone di Geova, attualmente "apostata".

L'autore ha reso straordinariamente bene il senso di soffocamento di una famiglia numerosa (sei figli) racchiusa nei pochi metri quadri di un appartamentino al settimo piano di un malconcio caseggiato. Quando non ci sono i soldini, ci si aggrappa a qualunque cosa, anche a un'interpretazione iperletterale della Bibbia...

Allo scellerato e squattrinato Hans piace darsi un tono, segnalando che le citazioni bibliche incastonate nel romanzo sono desunte (et pour cause) dalla Traduzione del Nuovo Mondo: l'aspide di Isaia 11 diventa un più esotico cobra, e così via. C'è anche il lattante, da quelle parti. Sembra il mercante in fiera. Bellissimo!

Memorabile il personaggio della madre, "baccante" mancata - vedi la scena del dono degli ori ai santi Cosma e Damiano - che ha sublimato nel bigottismo tutte le sue pulsioni, dapprima in chiave cattolica e poi nell'ambiente ipersorvegliato della Sala del Regno. Ma anche il padre è ben tratteggiato, quantunque con scarsissima empatia.

Altri personaggi sono meno riusciti (esempio: la sorella Maria è una macchietta che non fa nemmeno ridere).

Alla fine l'autore si complimenta con sé stesso ("sto bene") e con chi gli ha insegnato a prendere la vita con leggerezza.

Hans non è mai stato nelle grazie dei tdG e non apprezza particolarmente la loro Bibbia (sul tema, si potrà leggere con profitto il documentato saggio di Valerio Polidori, pubblicato un anno fa da EDB), però gli è venuto il magone al pensiero che il giovane Giuliano (l'apostata, appunto!) era un missionario ed è diventato un "uomo nel mondo e del mondo" che come tanti altri si gode una facile libertà e non si pone più il problema di Dio, credendo solo alla scienza al pari di un Odifreddi.

Certo, c'è stato il trauma dell'ostracismo e della perdita dei contatti con la famiglia e con tanti ex correligionari; innegabile il diritto di riprendersi dallo shock. Ma la leggerezza non è questa gran cosa che può sembrare, caro Ignazio-Giuliano. Lo scoprirai anche tu, cammin facendo; nessuno è esonerato da certe scoperte. C'est la vie.

 
 
 

Telefono a gettoni

Post n°203 pubblicato il 02 Giugno 2013 da HansSchnier

Per quali eccentriche ragioni

qualcuno si spinge così oltre,

                              da ridursi a piangere

in morte del telefono a gettoni?

 

Quali saranno state le fascinazioni

dell’oggetto metallico desueto,

quale il segreto delle obsolete telecomunicazioni;

 

quale labirintite dell’anima,

quale insipiente perdita di tempo

è risalire la corrente del tempo

in un tempo che non si àncora a niente…

 

(E tanto meno a un rottame di passato,

a un pezzo insulso di modernariato.)

 
 
 

Capozzi

Post n°202 pubblicato il 22 Maggio 2013 da HansSchnier

Questa piccola storia da libro Cuore è vera, e vorrei raccontarla con semplicità, se ci riesco.

Marco Capozzi era un mio coetaneo. Alle elementari del mio paese eravamo entrambi considerati esemplari: lui era il modello negativo, il disordinato fino alla sciatteria, il piccolo perdente; io ero troppo bravo, parlavo bene l'italiano, la maestra mi esaltava. Preciso che non stavamo nella stessa classe. La cattiva fama di Capozzi era internazionale.

Anche alle scuole medie, non è che facesse grandi progressi, Capozzi, col suo cognome un po' goffo, però era un cognome da grande giurista, l'avesse saputo si sarebbe iscritto a giurisprudenza! Se solo si fosse diplomato.

Lo persi di vista. Passarono gli anni.

Ed eravamo ormai sulla trentina.

Io mi ero ormai sposato, mia madre era ancora viva? Non ricordo, forse sì. Avevo le mie piccole certezze economiche: un ottimo posto di lavoro, non dovevo pagare l'affitto, per giunta quel giorno ero in ferie.

Anzi, quella notte ero in ferie. Mio figlio, il delinquente, era già nato o ancora non delinqueva? Non riesco a ricordare. Quella notte mia moglie stava dormendo e io prendevo un po' d'aria al balcone.

Devo fare una descrizione, non posso proprio farne a meno. Sotto casa mi ritrovo un piazzale dalla forma oblunga, con la pavimentazione antica (i bàsoli di pietra lavica), forse un po' leziosa, bruscamente compensata dal condominio anni '60 in orrido stile funzionale che mi toglie il sole ad est. A monte del piazzale c'è una strada stretta, i SUV riescono a intrufolarvisi con qualche difficoltà. E alla sommità della strettoia c'è una chiesetta, intitolata agli Angeli custodi.

Di solito c'è traffico. E anche di notte passano motorini rombanti, specialmente ad agosto. Quella notte non passava nessuno. Gli Angeli avevano frapposto uno sbarramento invisibile. Dalla strettoia doveva scendere Capozzi, con suo figlio a cavalcioni sulle spalle.

Io guardavo, ero l'unico spettatore. Capozzi all'epoca lavorava in un cantiere edile, credo si fosse sposato anche lui. (Se mi leggesse un parente: mi dispiace per eventuali inesattezze.)

In questo silenzio non dico surreale, ma certamente insolito, Capozzi e il figlio scherzavano tra loro. Doveva essere un ottimo padre. Il bambino annuiva, sorrideva, parlottava. Erano belli, non smettevo di guardarli. Ovviamente stavo zitto. Non guardavano verso i balconi, non mi vedevano. Io non volevo mica che mi vedessero. E mi sentivo libero: Capozzi non era più il perdente, io non ero l'odioso modello positivo, ero solo uno spettatore, in una notte estiva. In un curioso silenzio. Quel genitore e quel bambino si volevano bene visibilmente, perfettamente.

Erano perfetti come un gol di Maradona, ma senza competizione. Erano esemplari, ecco la parola. Esemplari. In un modo completamente diverso dal passato.

Pochi giorni dopo gli Angeli ritennero che Capozzi fosse decisamente troppo bello per stare a questo mondo, e - a costo di dare un dispiacere al figlioletto, ma si vede che la cosa era urgente - se lo pigliarono, con un blocco di lapilcemento dall'altezza giusta, proprio sulla scatola cranica. Mentre stava lavorando. Ciao ciao.

Quando si dice la perfezione.

 

 
 
 

Post rubacchiato da un profilo di Libero...

Post n°199 pubblicato il 07 Maggio 2013 da HansSchnier

Mi permetto di fare il copia&incolla di questo apologo che ho trovato su un profilo di Libero, qualche tempo fa. Non ricordo più il nick e me ne rammarico. (Non mi pare di aver visto, in calce al testo o nei box a margine, i soliti avvisi-diffide del tipo RIPRODUZIONE RISERVATA oppure MATERIALE PROTETTO DA COPYRIGHT.)

«Un anziano nonno indiano disse a suo nipote, giunto da lui arrabbiato con un amico, poiché questo gli aveva fatto un torto: -Lascia che ti racconti una storia. Anch'io, a volte, ho provato un grande odio per coloro che pretendono così tanto, senza preoccuparsi per ciò che fanno. Ma l’odio ti distrugge, e non nuoce al tuo nemico. È come avvelenarsi e desiderare che il tuo nemico muoia. Ho combattuto molte volte contro questi sentimenti. È come se in me ci fossero due lupi; uno è buono, e non fa male a nessuno. Vive in armonia con tutto ciò che c’è intorno a lui e non si offende, quando gli si rivolge un’offesa. Egli combatterà soltanto quando sarà giusto farlo, e nel modo giusto. Risparmia tutte le sue energie per la giusta lotta. Ma l’altro lupo… È pieno di odio. La minima cosa lo fa impazzire. Combatte contro chiunque, ogni momento, per nessun motivo. Non riesce a pensare, perché la sua rabbia e il suo odio sono smisurati. La sua è una rabbia disperata, perché non è in grado di cambiare nulla. A volte è difficile vivere con questi due lupi dentro di me, perché entrambi cercano di dominare il mio spirito.

Il ragazzo guardò intensamente negli occhi suo nonno, e chiese: -Quale dei due vince, nonno? Il nonno sorrise, e disse: -Quello a cui do da mangiare.»

 
 
 

Dialetto torrese

Post n°193 pubblicato il 23 Aprile 2013 da HansSchnier

Ogni tanto un mio amico mi illustra curiosi lemmi del dialetto di Torre Annunziata.

Premetto che Torre Annunziata ha dato i natali a persone importanti: il linguista Tullio De Mauro, il narratore Michele Prisco, il fondatore della dinastia De Laurentiis... Lungi da me ogni accusa di campanilismo. A Torre ci sono persone splendide. Se mi diverto a riferire qualche curiosità dialettale, spero di non essere frainteso: il mio mood è quello del sorriso venato di ammirazione per la creatività popolare.

E insomma: pare che una volta a Torre l'ascensore si chiamasse TRAM A MURO.

Pare che dalla bocca del popolo torrese il mondo abbia appreso il vero nome dell'Ape Piaggio: 'o 3 rrote.

Pare che lo specchio e la fotografia (nel senso di fotogramma) siano stati ivi definiti, rispettivamente, 'o taleqquale e 'a taleqquale (o forse vale anche in napoletano la regoletta che vieta il raddoppiamento della "q"? devo confessare la mia ignoranza).

Ma la vera perla è il vocabolo che designa l'ozioso, il fannullone, l'inconcludente: LISCIAPELUSCIA. Bersani, tu non puoi vantare nessun copyright sulla metafora del pettinare le bambole...

P.S.

A leggere i profili di Libero, sembra che tra gli utenti, e le utenti, di questa community non ci sia nessun lisciapeluscia. Tutti bravi, laboriosi, realizzatori. Uomini che non devono chiedere mai e donne che già sanno benissimo dove abita mr Right (peccato che gli uni e le altre stanno in questo carrozzone, chissà chi li ha costretti ad aprire profili e a perdere tempo qua dentro...). Ciao!

 
 
 

L'Italia di quelli «giusti»

Post n°187 pubblicato il 26 Febbraio 2013 da HansSchnier

Nel lontano 2009, quando i mulini erano bianchi, la Berta filava e Berlusconi sgovernava, Piero Fassino non ammise Beppe Grillo alle primarie del Partito Democratico e gli rivolse questa profetica esortazione: «Ma se Grillo vuol fare politica, perché non crea il suo partito? Perché non si presenta direttamente alle elezioni con una propria lista? Voglio proprio vedere se lo fa».

Bravo Fassino, una mossa giusta per l'Italia giusta!

 
 
 

Opinione di uno spettatore.

Post n°186 pubblicato il 11 Gennaio 2013 da HansSchnier

Eduardo scrisse Filumena Marturano per sua sorella Titina, che gli aveva chiesto - per una volta - una parte da protagonista.

Ricordo bene la Filumena di Titina De Filippo e anche quella di Pupella Maggio, per averle viste in televisione. Della Filumena Marturano recitata da Titina avevo persino il 33 giri.

Non voglio mancare di rispetto a nessuno, e tanto meno alla grandissima Titina. Però lasciatemelo dire: la Filumena più originale, più febbrile, più sorprendente si chiamava Mariangela Melato.

 
 
 

"Don" Domenico Soriano e don Domenico di Moiano (NA). Un augurio a tutti noi maschi.

Post n°184 pubblicato il 29 Dicembre 2012 da HansSchnier

A) Monologo di Filumena Marturano (Eduardo De Filippo).

Erano 'e tre dopo mezanotte. P' 'a strada cammenavo io sola. D' 'a casa mia già me n'ero iuta 'a sei mise. (Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era 'a primma vota! E che ffaccio? A chi 'o ddico? Sentevo ncapo a me 'e voce d' 'e ccumpagne meie: «A che aspetti! Ti togli il pensiero! Io cunosco a uno molto bravo..». Senza vulé, cammenanno cammenanno, me truvaie dint' o vico mio, nnanz' all'altarino d' 'a Madonna d' 'e rrose. L'affruntaie accussì (Punta i pugni sui fianchi e solleva lo sguardo verso una immaginaria effige, come per parlare alla Vergine da donna a donna): «C'aggi' 'a fa'? Tu saie tutto... Saie pure pecchè me trovo int' 'o peccato. C'aggi' 'a fa'? » Ma essa zitto, nun rispunneva. (Eccitata) «E accussì ffaie, è ove'? Cchiù nun parle e cchiù 'a gente te crede?... Sto parlanno cu' te! (Con arroganza vibrante) Rispunne!». (Rifacendo macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel momento, parlò da ignota provenienza) «'E figlie so' ffiglie!». Me gelaie. Rummanette accussì, ferma. (S'irrigidisce fissando l'effige immaginaria) Forse si m'avutavo avarria visto o capito 'a do' veneva 'a voce: 'a dint' a na casa c' 'o balcone apierto, d' 'o vico appriesso, 'a copp' a na fenesta... Ma penzaie: «E pecchè proprio a chistu mumento? Che ne sape 'a ggente d' 'e fatte mieie? E' stata Essa, allora... È stata 'a Madonna! S'è vista affrontata a tu per tu, e ha vuluto parlà... Ma, allora, 'a Madonna pe' parlà se serve 'e nuie... E quanno m'hanno ditto: "Ti togli il pensiero!", è stata pur'essa ca m' 'ha ditto, pe' me mettere 'a prova!... E nun saccio si fuie io o 'a Madonna d' 'e rrose ca facette c' 'a capa accussì! (Fa un cenno col capo come dire: "Si, hai compreso") 'E figlie so' ffiglie!» E giuraie. Ca perciò so' rimasta tant'anne vicino a te... Pe' lloro aggio suppurtato tutto chello ca m' he fatto e comme m'he trattato! E quanno chillu giovane se nnammuraie 'e me, ca me vuleva spusà, te ricuorde? Stevemo già nzieme 'a cinc'anne: tu, ammogliato, 'a casa toia, e io a San Putito, dint' a chelli tre cammere e cucina... 'a primma casarella ca me mettiste quanno, doppo quatt'anne ca ce cunuscévamo, finalmente, me levaste 'a llà ncoppo! (Allude al lupanare) E mme vuleva spusà, 'o povero giovane...Ma tu faciste 'o geluso. Te tengo dint' 'e rrecchie: «Io so' ammogliato, nun te pozzo spusà. Si chisto te sposa...» E te mettiste a. chiagnere. Pecché saie chiagnere, tu... Tutt' 'o cuntrano 'e me: tu, saie chiagnere! E lo dicette: «Va buo', chisto è 'o destino mio! Dummineco me vo' bbene, cu tutt' 'a bbona voluntà nun me pò spusà; è ammogliato... E ghiammo nnanze a San Putito dint' 'e tre cammere! » Ma, po', doppo duie anne, tua moglie murette. 'O tiempo passava... e io sempre a San Putito. E penzavo: «È giovane, nun se vo' attaccà pe' tutt' 'a vita cu n'ata femmena. Venarrà 'o mumento ca se calma, e cunsidera 'e sacrificie c'aggiu fatto!» E aspettavo. E quann'io, 'e vvote, dicevo: «Dummi', saie chi s'è spusato? ...Chella figliola ca steva 'e rimpetto a me dint' 'e fenestelle... », tu redive, te mettive a ridere, tale e quale comm' a quanno saglive, cull'amice tuoie, ncopp' addò stevo io, primma 'e San Putito. Chella resata ca nun è overa. Chella resata c'accumencia 'a miez' 'e scale... Chella resata ca è sempe 'a stessa, chiunque 'a fa! T'avarria acciso, quanno redive accussì! (Paziente) E aspettammo. E aggio aspettato vinticinc'anne! E aspettammo 'e grazie 'e don Dummineco! Oramaie tene cinquantaduie anne: è viecchio! Addò? Ca pozza iettà 'o sango, chillo se crede sempe nu giuvinuttiello! Corre appriesso 'e nennelle, se nfessisce, porta 'e fazzulette spuorche 'e russetto, m' 'a mette dint' 'a casa! (Minacciosa) Miettammélla mo dint' 'a casa, mo ca te so' mugliera. Te ne caccio a te e a essa. Ce simmo spusate. 'O prèvete ce ha spusate. Chesta è casa mia!

Erano le tre dopo mezzanotte. Camminavo da sola per la strada. Ero già andata via da casa da sei mesi. (Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era la prima volta. E che faccio? A chi chiedo un consiglio? Mi tornavano in mente i consigli delle mie amiche: "Cosa aspetti! Ti togli il pensiero! Io conosco uno molto bravo..." Per combinazione, camminando camminando, mi ritrovai nel mio vicolo, davanti all'altarino della Madonna delle rose. L'affrontai così (Punta i pugni sui fianchi e solleva lo sguardo verso una immaginaria effige, come per parlare alla Vergine da donna a donna): "Cosa devo fare? Tu sai tutto...Sai pure perchè ho peccato. Cosa devo fare?". Ma Lei zitta, non rispondeva. (Eccitata) "Tu fai così, è vero? Più non parli e più la gente ti crede?...Sto parlando con te! (Con arroganza vibrante) Rispondi!". (Rifacendo macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel momento, parlò da ignota provenienza) «I figli sono figli!». Mi bloccai. Rimasi così, ferma. (S'irrigidisce fissando l'effige immaginaria) Forse se mi giravo avrei visto o capito da dove veniva la voce: da una casa con un balcone lasciato aperto, dal vicolo vicino, da una finestra...Ma pensai: "E perchè proprio in questo momento? Che ne sa la gente dei miei problemi? E'stata Lei, allora...E'stata la Madonna! Si è vista affrontata faccia a faccia e ha voluto parlare...Ma, allora, la Madonna per parlare si serve di noi...E quando qualcuno mi ha detto: "Ti togli il pensiero!", era sempre lei a parlare, per mettermi alla prova! ...E non so se fui io o la Madonna delle rose a fare così con la testa! (Fa un cenno col capo come dire: "Si, hai compreso") «I figli sono figli!» E giurai solennemente. Ed è per questo che sono rimasta per tanti anni accanto a te... Per loro ho sopportato tutto quello che mi hai fatto e come mi hai trattata! E quando quel giovane si innamorò di me e voleva sposarmi, ricordi? Tu ed io avevamo una storia già da cinque anni: tu, sposato, a casa tua, e io a San Potito, in quell'appartamentino... la prima casetta che mi desti quando, dopo cinque anni che ci conoscevamo, finalmente mi togliesti da quel posto! (Allude al lupanare). Mi voleva sposare, povero ragazzo... Ma tu facesti il geloso. Mi sembra ancora di sentirti: "Io sono ammogliato, non posso sposarti. Se questo qui ti sposa..." E ti mettesti a piangere. Perché sai piangere, tu! Non come me, anzi, proprio il contrario! Tu sai piangere. E io dissi: "Va bene, è questo il mio destino. Domenico mi vuol bene, con tutta la buona volontà non può sposarmi; è ammogliato... Tiriamo avanti qui a San Potito, in queste tre stanzette!". Ma poi, dopo due anni, tua moglie morì. Il tempo passava... e io sempre a San Potito. E pensavo: "Giovane com'è, ancora non gli va di legarsi per tutta la vita con un'altra donna. Verrà il momento in cui si calmerà e vorrà tener conto dei sacrifici che ho fatto!" E aspettavo. E quando mi capitava di dirgli: "Domenico, lo sai chi si è sposata? Quella ragazzina che abitava qui di fronte, al pianterreno...", allora ti mettevi a ridere, sì, ridevi, proprio come quando coi tuoi amici venivi a trovarmi... dove stavo io, prima di trasferirmi a San Potito. Quella risata incredibile. Quella risata che comincia mentre si salgono le scale. Quella risata che è sempre la stessa, chiunque la faccia! Ti avrei ucciso, quando ridevi in quel modo! (Paziente) E aspettiamo. E ho aspettato venticinque anni! E aspettiamo che il signor Domenico si decida a farci la grazia! Ormai ha cinquantadue anni: è vecchio! Macché! Che possa morire ammazzato, lui crede di essere ancora un giovanotto! Corre dietro alle ragazzine, si rincoglionisce, i suoi fazzoletti sono sporchi di rossetto, e me la porta fin dentro casa! (Minacciosa). Falla entrare adesso a casa mia, adesso che sono tua moglie. Vi butto fuori tutti e due. Ci siamo sposati. Il prete ci ha sposati. Questa è casa mia!

 

B) Testamento spirituale di don Domenico (dal bollettino parrocchiale)

Da quel 29 ottobre 2010 sono cambiate tante cose nella mia vita di giovane prete. Sapere di essere malato, vuol dire cominciare a vivere da malato, essere considerato da chi ti sta intorno un malato. [...] Mi sono imbattuto in quel mondo terribile delle cure chemioterapiche. [...] Sono stato un paziente pazientissimo. A distanza di poco più di un anno su consiglio dei dottori ho lasciato le chemio perché portavano solo effetti collaterali importanti senza dare alcun beneficio in termini di guarigione dalla malattia. [...] Sto sperimentando sulla mia pelle ciò che per fede ho sempre saputo. Che non è nelle capacità dell'uomo aggiungere giorni alla propria vita, e questo è vero per tutti, non solo per un ammalato di cancro. Ma posso in tanti modi, e mi sto impegnando a farlo dal primo istante, aggiungere vita ai miei giorni. Posso riempire ogni singolo istante del tempo che trascorro di sentimenti, di giorni e di dolore, di entusiasmo e di compassione. Cerco di affinare i sensi per non perdere neanche una goccia di vita che intorno a me scorre abbondante dalle mani di Dio. Parlare con la gente, preparare un'omelia, cercare i giovani che scappano dallo sguardo del Padre e quindi da quello di Dio, raccogliere lacrime, programmare e sognare un viaggio con gli amici preti... questo e tant'altro perché i giorni che vivo siano pieni di vita. Sono sempre stato un vulcano di entusiasmo e di attività, ma ciò che sto provando in questo periodo è la bellezza di una vita nascosta dietro ogni singolo e semplice giorno. E come è vero che si può vivere una vita intera in un solo istante di amore vissuto a pieno! Oppure, al contrario, si può sprecare una serie sterminata di giorni se si lascia fuori dalla porta della vita l'amore e la passione per tutto ciò che ci sta intorno. Tante delle persone che ho incontrato in questi mesi si sono preoccupate di aggiungere giorni alla mia vita: compito ingrato e fallimentare. Io, forse oggi con un po' di autorevolezza in più, posso suggerire a chi incontro di provare ad aggiungere vita ai giorni... più vita, più vita, più vita, grida la mia anima. Così si può portare anche il peso del cancro senza rinunciare alla gioia e alla bellezza della vita, che generosa trova vie per rivelarsi ai cuori di quanti la cercano. Non mi servono giorni... solo più vita.

L'augurio di Hans per il 2013, a sé stesso e a tutti quelli come lui, è quello di non far aspettare più nessuno e di non sprecare più una serie interminabile di giorni. Un augurio di vita.

 
 
 

Natuzza

Post n°182 pubblicato il 06 Novembre 2012 da HansSchnier

Sabato l'altro - quello prima del ponte dei morti - sono stato giù in Calabria, a pregare sulla tomba di Natuzza Evolo.

Questa ragazzina, cresciuta in un ambiente degradato, che a nove anni supplicava la Madonna e la affrontava quasi con disperazione, per chiederle di essere liberata dalle strettoie della sua situazione familiare.

Questa "pazza" che conobbe il manicomio - un'altra cosa in comune con Alda Merini, oltre all'essere mancate ai vivi il 1° novembre 2009 - e che vedeva i defunti come noi vediamo i vivi. Fino a dover chiedere a uno che era entrato in casa sua: Scusate, ma siete vivo o siete morto? Il che mi fa pensare ad Antonio de Curtis.

Eppure il fatto è serio.

Nuje simme serie, appartenimmo 'a morte (de Curtis).

Natuzza, semianalfabeta, riceveva in casa persone semplici e complicate, istruite e incolte, con o senza appartamenti intestati, con o senza precedenti penali.

Con o senza problemi di tossicodipendenza o di alcolismo, per esempio.

Ed atei.

Che redarguiva con ironica, femminile spietatezza. "Qui c'è tuo nonno, quello di cui ti sei portato la fotografia, lì nella tasca della giacca. Mi sta dicendo che sei nato il 16 aprile 1967, che lui è morto il 9 novembre 1983, che non ti ha mai visto sulla sua tomba, che stai pensando di lasciare la fidanzata ma che non sai cosa vuoi dalla vita, perché l'hai confusa con un divertimento".

Questa "strega" dalla quale scappare a gambe levate, perché davanti al suo candore di persona ignara dell'alta finanza e del diritto romano, della sintassi tedesca e del numero di Avogadro, ci si ritrovava messi a nudo.

O con una corona del Rosario in mano, per poter chiedere perdono.

Natuzza organizzava pellegrinaggi a San Giovanni Rotondo. Giovani calabresi affollavano i suoi pullman e si sfottevano pesantemente, ragazzi e ragazze, con allusioni sessuali.

"Dite pure le fetenzie, io le accetto, ma prima dobbiamo dire il Rosario".

L'amore di Natuzza - a parte il sig. Nicolace e un altro bell'uomo di duemila anni fa, alto quasi due metri, la barba castana, i capelli non troppo lunghi e la tunica bianca inconsutile - erano i giovani sbandati. Per esempio, i drogati.

Ai quali diceva: "Mi fate pena, siete sull'orlo del precipizio, avete buoni sentimenti ma vi fate turlupinare da persone senza scrupoli".

Tutto questo in calabrese stretto!

Io non ho avuto l'umiltà di andare lì, a Paravati, quando Natuzza era tra noi (e fino a qualche anno fa abitavo in Calabria: aggravante specifica). E adesso parlo di lei, così, come se fossi stato pappa e ciccia con lei una vita intera. Pazienza. Devolverò alla sua Fondazione il 5 per mille... Ma è ovvio che non può bastare.

(N.B.: La Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime sta costruendo un'imponente opera assistenziale nel sopra menzionato paesino del vibonese: ospizio per anziani, chiesa grande e bella, sala polifunzionale, comunità di recupero.)

Passate parola.

 
 
 

Sempre sul tema religioso: le astuzie del diavolo e l'ora di religione.

Post n°178 pubblicato il 05 Ottobre 2012 da HansSchnier

 

Si dice sempre che la più grande astuzia del diavolo è stata quella di essersi fatto dimenticare dagli uomini, anzi, quella di averli indotti a credere che egli non esista (Baudelaire).

Un’astuzia non inferiore è quella di aver relegato Dio nell’ora di religione.

Un’ora alla settimana, puramente ornamentale; intanto la vita deve continuare, indipendentemente dalla religione; ti confessi, ma devi peccare; la vita te lo impone. Così come la vita ti impone i suoi castighi, indipendentemente dal perdono di Dio; il perdono di Dio è un ornamento, una consolazione di cortesia, un contentino. La materia “religione” è la meno importante di tutto l’orario scolastico.

I sacramenti sono cerimonie, o talvolta passatempi spirituali; in quest’Italia ex D.C. (alquanto cattolica e non molto cristiana né democratica), più uomini e donne di quel che si possa immaginare si concedono questi piccoli lussi; la vita però è tutta un’altra cosa.

E quindi tu puoi e “devi” essere contemporaneamente uno che va in Chiesa e uno che nella vita campa come se Dio non esistesse, combinando sfracelli e venendo sfracellato. Appunto, c’est la vie.

Il punto di vista di un credente è completamente diverso, nelle due dimensioni: verticale e orizzontale.

1)    Il sacro è sacro se sta al primo posto. Ognuno inevitabilmente, voglia o non voglia, deve mettere qualcosa al primo posto, nella sua interiorità; a chi sull’altare interiore mette gli idoli – ma fosse pure l’idolatria del puro niente – peggio per lui. Ha creduto nel niente, nel successo, nella comodità, nell’eterna giovinezza e così via.

2)    Quanto detto vale sull’asse verticale, nell’interiorità dell’individuo. Però la sfera individuale interagisce con la realtà sociale; se tutta una società (o una buona parte di essa) devitalizza il sacro riducendolo a una Messa cantata e a una … messa in scena nel confessionale, questo deprezzamento (disprezzo) del divino si ripercuote sulla sensibilità dei singoli. La parola “sacro” perde significato; si sa che i significati delle parole dipendono dall’uso comune.

***

L’astuzia del diavolo è anche quella di farci credere la volontà di Dio lontana, impraticabile, fondamentalmente avulsa dalla realtà. Ci crogioliamo, a volte, nell'illusione di un Dio contento degli onori formali e che si lasci rabbonire da un po’ di pratica religiosa, come un gerarca che tenga all’ossequio anziché al bene dei suoi sottoposti.

E se scoprissimo che la vera volontà di Dio coincide (coincideva) con ciò che è (era, sarebbe stato) meglio per noi?

 

 
 
 

Carofiglio vs. Ostuni

Post n°176 pubblicato il 29 Settembre 2012 da HansSchnier

Ostuni Vincenzo ha offeso Carofiglio Gianrico col pretesto di criticarlo?

Carofiglio Gianrico ha diritto a un risarcimento perché il critico letterario ha abusato del diritto di critica?

Non spetta a me pronunciarmi su questa res iudicanda, e meno male! :-)

Ma la posso dire una cosa, a bassa voce? Carofiglio gioca bene le sue carte, perché è un ex P.M. e conosce la giurisprudenza. Non è un duello ad armi pari. Ostuni chieda scusa pubblicamente, è meglio per tutti quanti... Anche per la giustizia italiana.

 
 
 

Matteo 25, 24-30 (applicazione)

Post n°175 pubblicato il 19 Maggio 2012 da HansSchnier
 

Propongo un'applicazione della parte finale della parabola dei talenti (Mt 25, 24-30). Riporto il passo del Vangelo:

«Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.»

Sottolineo due cose:

1) gli aggettivi e pronomi possessivi. Il denaro non è del servo ma del padrone. Il servo ha un compito e deve adempierlo con lealtà e non in funzione della propria tranquillità. Non può bastare la restituzione del capitale: in fondo, (limitarsi a) salvaguardare l'integrità del capitale significa voler tutelare sé stessi e cercare una rassicurazione per la propria paura.

2) i banchieri. Si tratta dell'impiego ordinario, cioè dell'investimento più ovvio e doveroso del denaro ricevuto. Ogni investimento comporta un minimo di rischio e un minimo di sforzo. Anche per portare il denaro in banca bisogna informarsi, individuare l'istituto che pratica il tasso d'interesse meno insoddisfacente e le commissioni meno onerose, uscire di casa, parlare con il direttore e, poi, leggere gli estratti conto, passare allo sportello di tanto in tanto per chiedere chiarimenti su questo o quell'addebito... Ed è innegabile che anche la banca apparentemente più solida può fallire! Tutte queste cose, se non proprio ansiogene, sono comunque incompatibili con l'atarassia a cui aspira il servo fannullone.

In via applicativa, l'impiego ordinario dell'unico talento ricevuto, in vista di una remunerazione seppur modesta, può essere inteso come l'adempimento dei doveri ordinari del cristiano, nel suo stato di vita (sposato o single, figlio o genitore, lavoratore o studente, ecc.). L'impegno da profondere in tale adempimento dev'essere leale e vigilante. Vale a dire: esso dev'essere intelligentemente finalizzato - con l'aiuto del Signore Gesù - a un progresso e non alla "tranquillizzante" salvaguardia del proprio piccolo capitale di perbenismo.

 
 
 

Dell'Utri e i volantini delle B.R.

Post n°174 pubblicato il 30 Marzo 2012 da HansSchnier

(Per chi qualche volta mi ha letto: chiedo scusa per il lungo silenzio, è stato imposto da un momento di difficoltà sul lavoro e in famiglia. Adesso le cose vanno un po' meglio.)

Ho visto sui giornali qualche commento scandalizzato per l'aggiudicazione a Dell'Utri dei volantini delle B.R. recentemente messi all'asta.

Sarò lapidario:

1) ma perché Dell'Utri non può fare il collezionista? Non mi sembra la cosa peggiore tra quelle che ha fatto nella vita;

2) ma che avranno di bello i volantini delle B.R.? Perché li dovremmo considerare un valore, per citare il tormentone di Erri De Luca? Io posso capire che un cristiano - in segno di rispetto per la Passione di Gesù - veneri la Sacra Sindone e magari anche qualche reliquia della Croce, ma quei volantini, cosa esprimevano se non la presunzione dei brigatisti di essere la levatrice della storia? Abbiamo visto come è andata a finire, ci hanno tolto Moro, ci hanno lasciato Ciro Cirillo, brava 'sta levatrice. Complimenti ai brigatisti e a Dell'Utri.

 
 
 

APPELLO x CAPPELLO con il copia-incolla

Post n°173 pubblicato il 04 Gennaio 2012 da HansSchnier
 

Il copia-incolla va di moda, dicono. Mi adeguo e copio-incollo tre poesie di un poeta bravo e sfortunato, Pierluigi Cappello, che ho trovato (insieme ad altre, anche in dialetto friulano) sul sito di Repubblica (http://www.repubblica.it/cronaca/2012/01/03/news/appello_pierluigi_cappello-27523251/?ref=HREC1-12):

Elementare

E c'è che vorrei il cielo elementare
azzurro come i mari degli atlanti
la tersità di un indice che dica
questa è la terra, il blu che vedi è mare



Gerico

È raro sentire cantare in strada
molto più raro sentire fischiare
o fischiettare
se qualcuno lo fa
l'aria sembra fargli spazio
ti sembra che un refolo muova
la flora dei tuoi pensieri
ti metta dove prima non eri;
ma come passa chi fischia
la noia stende le vertebre al sole
e tu rientri dov'eri
dietro il douglas dei serramenti
dentro il livore
degli appartamenti
al tango delle dita sul tavolo ti chiedi
da quali trombe scosse
scrollate le mura
per quali brecce potremo vedere
 -  fresca  -
come un sogno appena sbucciato
la terra che calpesteremo, allegri.


Parole povere

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l'altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l'aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c'ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l'occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l'altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c'è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l'ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d'inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all'improvviso
ma d'inverno è bello quando si confondono
l'alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.

Uno l'ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l'hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l'allegria dei vinti e una tristezza grande.

I LIBRI DI PIERLUIGI CAPPELLO SONO PUBBLICATI DA CROCETTI EDITORE.

COPIATE-INCOLLATE E ADERITE AL GRUPPO FACEBOOK PER LA CONCESSIONE DEL VITALIZIO "ex lege Bacchelli" A PIERLUIGI CAPPELLO:

http://www.facebook.com/groups/272311462818577/

 
 
 

Solidarietà

Post n°170 pubblicato il 20 Novembre 2011 da HansSchnier
 
Tag: SATIRA
Foto di HansSchnier

Gianfranco Fini ha dichiarato che la Camera dei deputati non erogherà più il vitalizio agli ex onorevoli. Si studieranno altre forme di previdenza, così ha detto la terza carica dello Stato. Mi chiedo: e adesso come fa Ilona Staller? Proprio in questi giorni "Cicciolina" compiva sessant'anni e maturava così il titolo al vitalizio. Probabilmente ci aveva fatto affidamento, povera stella, dopo una vita di sacrifici e di battaglie politiche (e non solo...) per la sua Patria di adozione e di elezione (l'ITALIA!!!).

Facciamo una colletta. Dimostriamo di essere più solidali delle nostre austere, arcigne, parsimoniose Istituzioni. Temperiamo con la nostra generosità il severo rigore, cui da sempre si ispira l'italica finanza pubblica. Ricambiamo all'ex onorevole Staller, almeno in piccola parte, le vagonate di AMORE che ci ha dispensato in anni ormai lontani.

 
 
 

Attualmente...

Post n°169 pubblicato il 08 Novembre 2011 da HansSchnier
 
Tag: Italia

Nell'accezione più ampia possibile, il Sé di un uomo è la somma totale di tutto quanto egli può definire suo, non solamente il suo corpo e le sue facoltà psichiche, ma i suoi vestiti e la sua casa, sua moglie e i figli, i suoi antenati e gli amici, la sua reputazione e le attività lavorative, le proprietà terriere e i cavalli, lo yacht e il conto in banca. Se queste cose crescono e prosperano, egli si sentirà trionfante; se perdono d'importanza e svaniscono, si sentirà abbattuto, non necessariamente con lo stesso grado d'intensità per ogni singola cosa, ma sostanzialmente allo stesso modo per tutto.

(William James, Principi di psicologia, 1890)

 

Quindi “aver cura di sé” vorrebbe dire, nel mio caso:

far dimagrire il mio corpo, attualmente ingrassato;

reintegrare le mie facoltà psichiche e intellettive, attualmente obnubilate dalle cattive abitudini;

rifare il mio guardaroba, attualmente pieno di stracci;

ristrutturare la mia casa, attualmente in disarmo se non in rovina;

rieducare i miei figli, attualmente viziati e problematici;

volutamente taccio della moglie;

andare a trovare al cimitero i miei defunti, visto che attualmente ci manco da anni;

procurarmi degli amici, essendosi attualmente dileguati, per questa o quella ragione, quelli che avevo;

rifarmi una reputazione, essendo attualmente le mie quotazioni in ribasso (ed è un eufemismo);

mettermi a lavorare, cosa che attualmente non mi riesce di fare con serietà;

farmi intestare dei terreni da qualche ricca ereditiera autolesionista, che attualmente non conosco;

trovare i soldi per comprare una nuova auto, essendo un rottame quella attualmente in mio possesso;

e che significa «yacht», attualmente? È una parola che non ho mai capito. Sarà la sua strana ortografia.

Per finire, dovrei estinguere il mio conto in banca, per non accumulare altri interessi passivi (quelli che ci sono attualmente, mi bastano).

Sono un patriota. In modo misterioso ma evidente (ossimoro meraviglioso), assomiglio all’Italia di oggi.

 
 
 

Quel terrone di Virgilio, di Massimo Gramellini (da La Stampa di oggi)

Post n°168 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da HansSchnier

Leggo sul blog «L’Indro» che un assessore leghista di Mantova (capitale delle zucche, anche di quelle vuote) si oppone fieramente alle celebrazioni con cui la città sta onorando in queste settimane il suo figlio più famoso, Publio Virgilio Marone.

Già la professione del Marone, poeta, deve aver insospettito l’assessur. I poeti sono gente che produce chiacchiere, mica truciolato e tantomeno fatturato (se non molti secoli dopo la morte, sotto forma di libri di testo adottati dalle scuole rosse). Inoltre il Marone era un traditore. Scriveva in una lingua astrusa: il latino. Ed era emigrato al Sud. Non solo a Roma ladrona, dove aveva bazzicato il governo centralista di un certo Augusto Imperatore. Addirittura più giù, nelle ville campane e sicule del suo sponsor Mecenate.

Non pago, era andato a morire in Puglia, che allora si chiamava Calabria (tant l’è i’stess), e si era fatto seppellire a Napoli, in attesa di finire giustamente all’Inferno con quel cattolico di sinistra, il Dante. E nessuno salti su a parlare di macchina del fango: il Marone ha confessato tutto. Nel famoso epitaffio: «Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope». Mantova mi generò, la Calabria mi rapì, ora mi custodisce Napoli. Ecco, se lo tenga, è il pensiero dell’assessore Vincenzo Chizzini. Che al posto di Virgilio ha proposto di festeggiare un mantovano doc, Teofilo Folengo. Poeta anche lui (nessuno è perfetto), ma inventore del maccheronico, penultima evoluzione del linguaggio padano prima di quella, definitiva, rappresentata dal dito medio del Bossi.

Noterelle di Hans:

1) oggi il poeta Michael Higgins è stato eletto presidente della Repubblica d'Irlanda, sconfiggendo un uomo d'affari nell'elezione diretta;

2) Teofilo Folengo scrisse delle opere anche in Penisola sorrentina, in località Crapolla, in un monastero dove si rifugiò - mi sembra - per un paio d'anni. Nell'ambiente meridionale si inserì benissimo: era amico di Vittoria Colonna e Scipione Capece. Terrone anche il Folengo?

 
 
 

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