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Post n°57 pubblicato il 20 Aprile 2009 da fattodiniente


(ascoltala,è stupenda)

Vi sono molti tipi diversi di storie d’amore, e ciascuno potrebbe con una certa precisione raccontarne più d’una, oltre alle sue proprie, s’intende. Queste storie, quale più quale meno, interessano sempre qualcuno; vuoi per diretta o indiretta conoscenza dei protagonisti, vuoi per interesse specifico verso uno degli interessati, vuoi per mera curiosità dei fatti altrui. Abitualmente, non ci si dà ragione di tale interesse, quale esso sia, probabilmente ritenendolo di poco o punto peso, anche se nell’intimo ciascuno sa benissimo non essere così.

Che cosa raccontino queste storie, ovvero che cosa esse insegnino e quale utilità possano esse avere, è di per sé argomento meritorio di miglior attenzione. Pure nel loro essere variamente analizzate, per solito si ritiene ch’esse comunque possan ricondursi tutte a varie tipologie generali, sia pure definibili a piacere con criteri propri e particolari. O diversamente, se ne può dedurre che ciascuna storia d’amore, anche se solo per piccoli ma non perciò marginali aspetti, sia diversa da ogni altra; e dando ugualmente per assodato che ogni singolo individuo sia per l’appunto singolo, individuale, unico, essendo perciò una storia d’amore prodotto di due fattori di per sé irripetibili, ogni rapporto d’amore e di unione sarà allora un accadimento vieppiù particolare e del pari irripetibile, dalle caratteristiche e peculiarità sue proprie, non riconducibile se non in modo molto vago e generalissimo ad altri. Del singolo, lo sappiamo, non si dà scienza, come Aristotele c'insegnò. Ciò porterebbe allor dunque a considerare tutti gli amori come partecipanti di una unica generalissima qualità costituente l’umana categoria dell’amare, nella cui unità ritrovare l’infinita varietà dei casi possibili.

Consideriamo poi che per ogni unione amorosa esistono sempre almeno due storie: quella vista dalla parte di lui, ed una storia vista dalla parte di lei; spesso non son tra loro che lontanamente simili, perché ciò ch’è vero per l’uno non altrettanto lo è per l’altro, ed in tali faccende il modo di vedere di ciascuno non è tanto un punto di vista su una realtà, quanto piuttosto la realtà dei fatti stessa; e senz’alcuna possibilità di discussione, pure. Come sperare di poter cogliere il senso di legami siffatti, senza tradire l’una o l’altra delle ragioni, e la realtà stessa del rapporto? Ossia, quel che è vero per una donna, non lo è ugualmente per un uomo; ma non nel senso che sia falso, semplicemente il vero di lei, è per lui sovente al di fuori della gamma delle possibilità, con le conseguenze filosofiche e pratiche che senza difficoltà se ne possono trarre. Sono cioè i presupposti, i modi di pensiero, i valori talvolta, ad esser proprio altri, differenti; e che farci, dunque?

Queste considerazioni possono sembrare stranianti ed indurre ad un certo scetticismo, se non altro sulla possibilità che si possa dare scienza dell’amore e dei sentimenti, cosa che in effetti è sostenuta da molti, e con molte buone ragioni. Ed ancor meglio può far concludere che parlare e ragionare dell’amore sia una attività finalmente inutile, se non addirittura sbagliata e limitante. È l’utilità stessa del raccontare l’amore che parrebbe venir meno, non potendo sperare di trarre da questo narrare un qualsivoglia utile insegnamento. Qualche ammonimento forse, ma di nessuna utilità infine,perché poi tutti continuiamo ad innamorarci, e nelle forme che più ci aggrada, o ci capita, o nelle quali semplicemente siamo capaci.

Ma di quante altre cose si potrebbe allora dire altrettanto, e assai meno rilevanti anche? E certo, se l’infinita possibilità di forme ed occasioni sembra scoraggiar qualsiasi scientifico approccio alla materia, non dimeno il piacere della narrazione e dell’ascolto ad essa accompagnato, all’approccio amoroso nuocere non posson più che tanto; giacché davanti ad una siffatta narrazione, sia essa risolta in senso positivo o meno, la sensazione infine dominante più che ogni altra è quella dell’invidia, forma estrema e deviata del desiderio: perché non è successo a me? Ed a me potrà mai succedere? Così anche quegli ammonimenti che ci vengono da queste narrazioni passano in secondo piano e sembrano del tutto svanire di fronte a quel desiderio.

Del resto, le forme dell’amore sono molteplici, infinite, ed innumerevoli le occasioni, le possibilità di incontro, di innamoramento, e ad ogni momento numerosissime le scelte differenti che possono essere operate: di comportamento, di valutazione. Quante volte inconsapevolmente abbiamo perduto quella che avrebbe potuto essere l’occasione della nostra vita? Quante persone dell’altro sesso, che in condizioni differenti, o in differenti contesti, avrebbero potuto suscitare almeno la nostra attenzione, ci sono passate davanti senza lasciare in noi nel tempo nemmeno il più lontano ricordo? E quante persone non hanno tra loro intessuti ben diversi legami di amorosi sensi per mera mancanza di tempo sufficiente ad una conoscenza più profonda e sincera? Se consideriamo appena un poco le cose secondo questa visuale, indubbiamente converremo che nel più dei casi sono necessari un tempo, un luogo ed un contesto appropriati come condizioni generali per la nascita di un legame affettivo. Il quale si può poi realizzare o meno, a seconda di una somma di molte altre variabili, ben più complesse ed imponderabili, che rendono sempre difficoltoso l’affermarsi di un reciproco sentimento affettivo.

Statisticamente dunque, le potenzialità, per chiamarle così, universali dell’amore sono infinitamente maggiori delle loro realtà fattuali. In altre parole, il numero di persone delle quali ci capita d’innamorarci è infinitamente minore di quello delle persone delle quali potremmo innamorarci, e se ciò non accade è perché, per vari accidenti e combinazioni del caso, noi non incrociamo che una parte minima di tutta questa moltitudine umana, e quasi sempre in condizioni non ottimali.

Ma consideriamo allora le modalità generalissime secondo le quali nascono e fioriscono i rapporti amorosi. Nessuno, credo, oserebbe affermare che sempre e soltanto le combinazioni interpersonali migliori siano quelle che si realizzano e prendono corpo: posto per assunto che possa esistere un amore assoluto, “l’amore della vita”, ossia che per ciascuno esista l’uomo o la donna ideale, questa persona dovrà essere per definizione una ed una soltanto, tra i miliardi di individui che popolano la terra, o almeno tra i milioni che per affinità geografiche e culturali possano esserci accostati. Le possibilità di incontrare questa persona, e d’intesservi poi legami d’amorosi sensi, sono per una mente sana e sufficientemente pratica, addirittura infinitesime, se non pressoché nulle. Ma anche a voler essere più elastici e possibilisti, come il buon senso suggerisce e come in fondo tutti siamo, vediamo che amori potenzialmente forti, saldi, ben avviati, fondati su una felice combinazione di caratteri e di atteggiamenti, combinazione non improbabile da realizzare, talvolta finiscono e muoiono per dettagli, per trascurabili accidenti del caso o bizzarrie del comportamento umano, o più semplicemente perché le verità, soprattutto in questo campo, non sono mai assolute, ma relative al tempo ed ai modi: quel che è vero oggi, qui, potrebbe benissimo non esserlo più domani, o in un altro contesto, o semplicemente considerando le cose da un diversa angolatura.

Non sarà dunque provocatorio affermare che l’amore è sempre, quasi necessariamente, frutto del caso. Ci si può innamorare di qualcuno per i più svariati motivi, anche semplicemente per una lunga sua frequentazione, per una parola giusta detta in un momento cruciale; per ripicca, per noia, per deliberata volontà, per uno squilibrio ormonale, o per altri casuali ed episodici accadimenti. E la durata di questo amore andrà ugualmente soggetta alle più diverse casualità, se non soltanto all’impegno che ciascuno vorrà mettere nell’impresa: nel crearla, nel farla crescere, nel coltivarla e mantenerla, senza scordare che, una volta ch’essa è nata e cresciuta, è normalmente più facile e comodo mantenerla e lasciarla andare piuttosto che finirla, chiuderla, troncarla; magari rinunciando, e certo chiudendo la soglia, a più allettanti, stimolanti, credibilmente fruttuosi nuovi legami. E quanto questo abbia a che fare con l’Amore è cosa discutibile assai.

L’amore perciò può essere visto come semplice fenomeno statistico soggetto a varianza: posto che gli uomini si innamorano, si uniscono e si accoppiano tra loro con assoluta regolarità, non esistendo epoca nella quale, a dispetto di tutte le condizioni, le convenzioni e le proibizioni, di più si sia amato o altra in cui si sia amato di meno, e stabilito che tali unioni o accoppiamenti spesso proseguono nel tempo indipendentemente dalla loro intensità o dalla loro qualità, si può soltanto procedere ad una descrizione delle varie modalità: i tempi di frequentazione necessari, i riti di unione, le convenzioni che si stabiliscono, i vari epifenomeni sociali che ne scaturiscono, e così via.

Non v’è insomma nulla di magico, nell’amore. Dal punto divista scientifico anzi si potrebbe arrivare a negare ch’esso sia un sentimento,o almeno che sia principalmente un sentimento. Potremmo definirlo un comportamento istintivo dell’uomo, regolato in prima istanza dal caso e dalla logica combinatoria e probabilistica, cui seguono atteggiamenti sociali variamente prestabiliti; una condotta cui viene conferito di volta in volta un certo speciale interesse, che esula comunque dalla primaria necessità di riproduzione e salvaguardia della specie, anche se in fondo generalmente si riproduce solo chi meglio si innamora, in accordo con la teoria della selezione naturale. E meglio, a badar bene, può significare anche soltanto più intensamente, o volitivamente, o con maggior determinazione e sicurezza; tutte cose, cioè, che hanno poco a che fare con la qualità e molto piuttosto con la quantità.

Cos’è del resto, la qualità dell’amore? Detto che quel che piace a taluno - le attenzioni assidue, un atteggiamento protettivo o rassicurante, la dedizione, o quant’altro - può risultare ad altri insopportabile, intollerabile, inopportuno, non è evidente come il grado di trasporto amoroso non sia niente altro che una quantità?

Ciò porta in ultima analisi a considerare questi amori totali, veri, puri, sinceri, inevitabilmente sotto la luce dell’egoismo: ti amo tanto, troppo, ti ho dato tutto me stesso, quindi ho dei diritti su di te. Si sa, del resto. Chi per amore arriva a perdere letteralmente il senno, chi soltanto il sonno, chi rinuncia ad ogni altra cosa,vita normale inclusa, chi arriva ad uccidere se stesso, o l’oggetto del desiderio: non di rado, entrambi, magari con astanti e malcapitati compresi. E questi son solo gli estremi di una insanità verso la quale tutti siamo incamminati.

Sarebbe però un imperdonabile errore di prospettiva voler leggere ogni qualsiasi storia d’amore in questa chiave. Anzi, una volta stabilite tutte queste verità, e non v’è - a chi voglia vederle - qualcuno che possa non convenirne, resta da stabilire la natura della speciale rilevanza cheabitualmente assumono, quale più, quale meno, tutte le storie d’amore, almeno agli occhi dei protagonisti; quel certo speciale interesse altrimenti incomprensibile, cui s’accennava più sopra. La funzione sociale, o meglio filosofica, primaria delle storie d’amore potrebbe infine esser questa: il capire perché, e come, l’amore assuma speciale rilevanza tra le molte e differenti vicende che ciascuno vive, ed interpreta.

Diremo dunque che vi sono indubbiamente molti modi di vivere, e descrivere, una storia d’amore. Tali modi non appartengono però che in minima parte alle qualità del discorso amoroso, essendo piuttosto frutto e riflesso del carattere di ciascuno degli amanti, e naturalmente del modo con il quale i rispettivi caratteri si incontrano, si scontrano, si mediano. La varietà degli atteggiamenti possibili, delle azioni intraprese, è dovuta alla varietà dei caratteri degli umani, perché alla fine, per quanto uno possa industriarsi d’apparire migliore, e più buono di com’è, non potrà mai prescindere e nascondersi dall’animo suo proprio, e l’amore non è che uno degli specchi in cui riflettersi e che riportano all’esterno quel che abbiamo dentro, bello o brutto che sia. Non è cioè che l’amore ci faccia molto migliori, non nel tempo perlomeno.

L’assenza di amore, questo sì, può farci peggiori, ma è questo un altro discorso. L’amore è un principio di insanità, ma la mancanza d’amore è una malattia ben altrimenti perniciosa. Anche perciò, non è corretto pensare che vi siano storie d’amore diverse dalle altre. Non per principio.

Quanto al darne ragione, si tratta infine di una chimera, di una illusione nemmeno tanto pia, della quale crediamo d’aver diritto, forse a ricompensa, ad estrema consolazione delle nostre pene e dei nostri affanni. Ma non v’è ragione alcuna, infine, che possa anche soltanto dire il perché delle cose che ci accadono: come ogni altra cosa umana, se è veramente umana, esse soltanto accadono, ed infine non accadono più. Sono le stagioni a produrre tutte le cose: e così come le stagioni passano, pretendere di fermare lo scorrere delle cose in spiegazioni e ragioni è anche più inutile che sbagliato, perché a quale misura di verità potremmo mai sperare di ancorare la nostra scienza, che non sia anch’essa frutto di una qualche stagione; di un qualche attimo d’un qualche tempo che, forse, non abbiamo nemmeno gli occhi per vedere, e le parole per dire?

 
 
 
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