PREMIO
Questo blog si fregia del premio
assegnatogli da me medesimo con la seguente motivazione:
"Per il divertimento che ho provato nello scriverlo, e per esser riuscito nell'intento iniziale, parlar di musica per parlar anche d'altro. Con un riconoscimento speciale a Nick Hornby e al suo libro 31 canzoni, di cui il presente blog costituisce una mimesi dello stile di scrittura."
Post n°71 pubblicato il 05 Gennaio 2012 da fattodiniente
La grandezza tutta umana dell'arte consiste nel farci acquisire consapevolezza dei nostri sentimenti e delle nostre pulsioni, e in qualche modo di dare una forma concreta, percepibile ai nostri desideri. Non che non lo sappiamo fare anche da soli, ma spesso siamo presi nelle trappole delle nostre contraddizioni, e certamente l'angoscia dell'urgenza ci fa mancare di lucidità, portandoci ai comportamenti più immondi. Da questo punto di vista, la bellezza, e se vogliamo l'utilità, dell'arte sta dunque nel rendere più distesa, alta e consapevole l'ansia del vivere, con quel che si porta dietro. Joni Mitchell, per dirne una (ma che una!), con questa splendida canzone, prende con delicatezza la peronospera quotidiana, apparentemente così banale e tuttavia così pervasiva, legata alle sensazioni che si provano quando finisce un legame amoroso: le immagini del prima e del dopo, quel senso così angosciante di smarrimento, di mancanza, di vuoto provato. Quella sensazione di mancanza di significato del tutto, ora, contrapposta al senso di pienezza, di fiducia, provato prima. I due lati dell'amore, appunto. Non conosco nessuno che non li abbia visti entrambe. Che poi, riflettendoci, ciò che la canzone ci mostra è il senso ultimo dell'amore, e in fondo il segreto del suo successo, prima, e del suo dolore, dopo: qualcuno che dia un significato più completo, ricco, nuovo, sorprendente, entusiasmante, ai nostri anni. E la mancanza di questo orizzonte infinito, inarrivabile e tuttavia costantemente perseguito e ricercato, dopo. In fondo, vedendo le cose nella prospettiva rovesciata, è la ragione - il trucco se vogliamo - per cui qualcuno si innamora di noi, e una indicazione sulla via da seguire in queste faccende. L'amore è l'arte del rendersi indispensabili. |
Post n°70 pubblicato il 01 Gennaio 2012 da fattodiniente
Battiato è un altro che quando parla, va ascoltato. Tanto per dire, non riesco ad immaginare una canzone più appropriata di questa per celebrare l'avvento di un nuovo anno. Certo, sembra parlare di tutt'altra cosa, ma la celebrazione di un nuovo anno, di una nuova stagione della vita, non è nient'altro di quel che tratta LA STAGIONE DELL'AMORE. Dipende naturalmente dal fatto che il tutto ha a che fare con quella passione del tutto umana che è il tempo. "Il tempo è il fuoco che mi brucia/ma io sono il fuoco/E' la tigre che mi divora/ma io sono la tigre" diceva Borges. Certo, dice bene lui, di occasioni se ne hanno, e si perdono, ma non bisogna rimpiangerle, mai, che ci saranno poi altri entusiasmi che faranno pulsare il cuore. Probabilmente è questo uno dei segreti della leggerezza. Casomai, bisogna stare attenti a dove dirigi il naso, tenendo conto che è sempre un qualche centimetro davanti a te (anche una spanna, dipende dalle dimensioni), e se non calcoli bene le misura degli spazi, è la prima cosa che si rompe se poi vai a sbattere. Per cui va bene l'entusiasmo, ma un po' di giudizio ci vorrebbe sempre ("Adelante Pedro, con juicio". Anche Manzoni insegna sempre qualcosa...). Non sempre l'ho avuto. E' vero: gli orizzonti cambiano, e non ce n'è uno solo, per cui non sono perduti mai. In effetti, ogni persona è un mondo, e il mondo è segnato dal suo orizzonte, che al tempo stesso lo delimita e ne segna l'inarrivabilità della sua conclusione. Per cui, quando ti metti ad esplorare una persona, non raggiungerai mai i confini della sua anima, come diceva Eraclito. Il senso dello smarrimento dell'abbandono sta in questo, nella perdita di quel che è ormai diventato il TUO orizzonte; con gran soddisfazione di Eros, che da parte sua se ne frega dei guai in cui ti ha cacciato, semmai ci gode. Poi, scopri che ci sono altre persone. E ricomincia una nuova stagione, e ricomincia un nuovo anno. |
Post n°69 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da fattodiniente
Il meraviglioso TRA LE NUVOLE, con George Clooney, parla esattamente di quel - sentimento? stato d'animo? modo d'essere? - di cui canta Giorgio Gaber in questa canzone. La leggerezza. Immaginate - dice il protagonista del film - di dover fare un viaggio e di mettere in uno zaino ciò che è importante per voi. Gli oggetti indispensabili, le cose che vi sono care, gli affetti; ma poi le cose di cui siete responsabili, i ricordi... Alla fine vi accorgerete di avere caricato sulle spalle un peso immenso, che vi blocca, vi impedisce di spostarvi. Davvero è QUESTA la leggerezza? Ma quello di cui parlano Clooney e Gaber è un aspetto diverso, e riguarda indubitabilmente in prima persona chi la leggerezza sa o debba praticarla. E dunque, cos'è mai la leggerezza? Il Sileno, per dirne uno, è in un certo senso un prototipo della leggerezza, ma era un tipo da prender con le molle, ed in ogni caso le risposte che dava non erano granché incoraggianti; quando Mida gli chiede cosa sia più desiderabile per un uomo, quello gli risponde "Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto." Alè. Certo, più leggeri dell'esser morti non si può, ma è un po' troppo radicale come risposta, e in ogni caso tanto leggera non mi pare, vista anche la sua utilità... Gaber dal punto di vista pratico centra meglio la questione, per quanto riguarda il rapporto con le cose, mentre Clooney lo coglie meglio da quello dei rapporti con le persone (quantunque Sartre ci abbia resi accorti del fatto che, molto spesso, cose e persone finiscono per esser la stessa cosa, ma lasciamo perdere). Sicché la leggerezza avrebbe a che fare col rapporto con le cose e le persone, visto che noi questo siamo, e allora si capisce anche la risposta tranchant del Sileno. Ma a voler prendere sul serio questa ineffabile accoppiata, la leggerezza, pensandoci, avrebbe a che fare con l'ironia, che non è poi tanto il prender le distanze dalle cose (cosa che magari piaceva al Sileno, ma è poco pratico), quanto il galleggiare sopra di esse, che rende meglio il senso sinestetico della metafora. Una persona 'leggera' è una persona ironica; potrei dire una persona che 'sa dare il giusto peso' alle cose, se non fosse che trovo la definizione farlocca. Mai conosciuto uno così. Ciascuno dà alle cose il significato che crede o che è capace, semplicemente, e poi si cucina nel suo brodo. Dopo di che, sono cazzi di chi lo frequenta. Mi sa che alla fine, 'dare il giusto peso alle cose' si risolve in un non pesare troppo sugli altrui zebedei, per cui la leggerezza è più di questo. Tuttavia, che sia una faccenda che ha a che fare col rapporto con le cose (e le persone) resta fuori di discussione. Eh sì, com'è misteriosa la leggerezza, è una strana cosa... |
Post n°68 pubblicato il 04 Settembre 2011 da fattodiniente
I posti cambiano, come le persone. Lo so, l'ho sempre saputo. Solo che delle volte si fa finta di no, per pigrizia, per superficialità, ma anche - ma soprattutto, per affetto. Un posto, come una persona, conserva di te ricordi, desideri, modi d'essere: ciò che eri, ciò che vorresti essere, ciò che non potrai essere più. È così. Sono tornato in Irlanda, dopo ventitre anni. Una eternità, a pensarci. Solo che nel frattempo molte delle cose che per me l'Irlanda significava, non sono cambiate, e dunque perché sarebbe dovuta cambiare l'Irlanda? Che poi questo abbia significato stravolgere queli che erano dopotutto tranquilli paesini come Killarney, facendone una specie di Disneyland, immagino significhi qualcosa solo per qualcuno dei suoi abitanti. Ma di nuovo, il non riconoscere più il luogo, fino a perdervi le coordinate, il non ritrovare più edifici e posti che custodivo gelosamente nellla memoria e nell'affetto, è una esperienza che avrei volentieri evitato, e che certo avrei fatto meglio a non fare. Ciascuno di noi ha (credo) un suo posto mitico, una sua Avalon in cui - presto o tardi - tornerà ad approdare. Ciascuno di noi ha (penso) un suo luogo sicuro, che è anche la proiezione delle sue aspettative, un posto in cui il mondo è come deve essere, e sarà così per sempre, perché rappresenta, sintetizza, ciò che nel nostro intimo, nella nostra essenza, siamo e saremo per sempre. E allora, ripercorre quelle strade - che quelle ormai non sono più - cambiate pure quelle - con la colonna sonora di vent'anni prima, come questo strepitoso brano della Bothy Band, che già allora era l'eco di un mondo di dieci anni prima, è risultato alla fine di una malinconia assoluta. Mundus senescit. Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemos. |
Post n°67 pubblicato il 12 Maggio 2011 da fattodiniente
Una volta scrissi che c'è una musica per ogni momento della giornata. Beh, allo stesso modo c'è una musica per ogni stagione, per ogni mese, e in generale per ogni momento dell'anno. È una mia fissa; una delle tante, e neanche la più perniciosa. Non saprei dire quando m'è sorta: probabilmente nel momento in cui ho cominciato davvero a capire che il tempo passa, e che un bel po' ne era passato. Il che rende la cosa diversa, e un tantino più originale (eh beh) dalla ovvia considerazione che a Natale ascolti le musiche natalizie, a Pasqua quelle pasquali (?), e a ferragosto quelle ferragostane. Quali poi siano, non è affar mio. Ma la cosa di cui parlo io è tutta diversa, ed è strettamente legata al mio vissuto personale. Proust diceva che un certo sapore è in grado di richiamare gli aspetti più intimi e profondi di un ricordo; secondo Poe era invece l'olfatto il senso più acuto ed evocativo. Per me è l'udito, ovvero (come dubitarne?) la musica. Siccome generalmente, per i più intendo, il senso deputato a questo genere di delizie è la vista, se poi qualcuno pensa che invece sia il tatto, abbiamo fatto filotto. Basta non litigare sulla questione, e siamo tutti contenti. Ora, il punto - per quanto sta a me, naturalmente - è capire perché e percome accada questa cosa, ma tutto sommato non c'è nemmeno granché da spiegare. In certi periodi della mia vita, ascoltavo una certa musica, un certo artista o un certo disco: lo riascolti e torni indietro nel tempo; capirai che c'è da comprendere. Ora però, più passano gli anni, più il ricordo e la cosa si fa sistematica, il che suppongo dica - una volta ancora, ma in modo diverso - che in fondo non siamo che ciò che siamo diventati: tornare a pensare a come questo sia successo, è un po' ripercorrere il labirinto della nostra vita, sapendo che - piaccia o non piaccia - ad ogni bivio, ad ogni svolta, una e solo una era la via da seguire, la scelta da fare, per sbagliata che poi la giudichiamo (due volte su tre, a star leggeri...). |
Post n°66 pubblicato il 14 Gennaio 2010 da fattodiniente
Beh, questi non erano davvero granché. Un onesto gruppo di rock-folk, dai risultati diciamo pure dozzinali: musica per il proletariato, nessuna rilettura del patrimonio folk che andasse al di là di due chitarre e una ritmica ad elettrificare danze e melodie interpretate con più originalità da chiunque ci sia provato. Roddy Doyle, già. E' probabile che facce così siano ancor quelle che popolano l'isola di smeraldo, anche se a quanto pare la situazione sociale ora è alquanto cambiata: "successe, direi, verso la metà degli anni Novanta. Andai a letto in un Paese e mi risvegliai in un altro posto, completamente diverso". L'immigrazione, dall'Est prima, dalla Nigeria e da altri posti dell'Africa nera poi. Forme diverse di una stessa miseria, fatta di disoccupazione, disperazione sociale, precarietà esistenziale. Avendo passato gran parte degli anni '80 ad ascoltare musica irlandese, un certo orecchio ed una certa conoscenza della materia potevo (e posso) comunque vantarla, e devo dire che quando riuscii a visitare quel benedetto paese, oltre vent'anni fa, trovai esattamente ciò che mi aspettavo, ed in fondo cercavo. E ci stavo pure bene. |
Post n°65 pubblicato il 28 Dicembre 2009 da fattodiniente
L'ascolto di questa (canzone? opera? sinfonia?) è una esperienza. Non tanto per la sua lunghezza (quasi un'ora e un quarto), o per la sua ripetitività: sarebbe facile e del tutto fuori luogo ironia. Non c'è nessuna magia, nessun incantesimo: solo la dignità di un vecchio barbone che canta - nonostante tutto? - l'amore di Gesù. Di passaggio in passaggio, secondo la lezione di Steve Reich, si aggiunge una sezione di fiati, un'arpa, uno xilofono, una campana, un coro, quasi inavvertiti, discreti, solo ad accompagnare. Un vecchio barbone, la sua quieta dignità, l'amore, e la fede vera. |
Post n°64 pubblicato il 10 Ottobre 2009 da fattodiniente
Quest’estate sono stato a Londra, soggiornando, senza rendermene inizialmente conto, nel quartiere di Homerton. Un posto davvero come un altro, la prima periferia: case e palazzoni, supermercati, un ospedale, parcheggi, la ferrovia… Niente di particolare, non fosse che non c’è nessun posto come Homerton. A renderlo unico è una ‘canzone’ (ammesso che il termine sia adeguato, e non credo), Son of ‘There’sNo Place Like Homerton’: ci voleva l’ironia di Dave Stewart per elevarlo a posto speciale perché non ha niente di speciale. Un po’ come la nostra vita. Chi nasce di ottobre ha quest’animo sempre un po’ così, a mezzo, che ben si sposa con giornate come questa, dal tempo grigio, in cui piove a tratti e non si capisce se faccia quasi freddo. Paesaggio da anni marroni,che è anche paesaggio dell’anima; ben illustrato – musica ed immagini – da quello che oltre ad essere per generale considerazione uno dei dischi più belli mai pubblicati, ha nel mio giudizio la più bella copertina di ogni epoca. Ascoltando questo disco, vorrei tornare a quegli anni. |
Post n°63 pubblicato il 28 Settembre 2009 da fattodiniente
Com'è e come non è, m'han chiesto di tenere delle conversazioni, delle conferenze, un corso insomma, sulla musica pop. Pagato, ovviamente. Insomma come essere pagato per andare con una bella donna. A me vien da ridere, perché continua a sfuggirmi il titolo che avrei per fare una cosa del genere, ma ammetto che la cosa mi diverte. Oddio, una volta vista la locandina, m'è sfuggita una imprecazione e l'ilarità è sparita, o almeno ha cambiato segno: 'musicologo'. Io musicologo? Ma quando mai. Cosa poi sia un musicologo, neanche lo so bene, ma qualunque cosa sia, di sicuro non lo sono io. Musichiere, al massimo, toh. Il Mario Riva delle canzonette pop. Non nascondo che la cosa mi mette in un certo imbarazzo, perché immagino che occorra avere non solo una buona cultura musicale (e va beh, tutto da dimostrare, ma è possibile), ma anche una certa conoscenza di teoria della musica. Ora, va bene che non occorre essere cavalli per capire di ippica, ma il solo fatto di avere due orecchie e di ascoltare (e possedere) quintali di dischi, è una qualifica che hanno svariate migliaia di persone, delle quali tutto direi, ma non che siano musicologi. Insomma, è lo stesso ragionamento in base al quale svariati milioni di individui, sol per il fatto di avere una tastiera (per metonimia: un computer, uno schermo e tutto il resto) e di scrivere mandando forsennatamente a capo, non per questo possono esser definiti poeti. Io la vedo così, ecco. Ma tant'è. E allora mi son dato da fare, e ho messo su un programmino (non è un eufemismo) che mi tenga lontano dalle secche in cui non so navigare, anche ripescando (oh yes) cose e considerazioni sparse qua e là in questo pregiato blog (umpf!), e poi vediamo come va a finire. Giuro che se va a finire bene, aggiungerò la qualifica 'musicologo' al mio profilo. Ah, la canzone. C'entra. E' un punto nodale nello sviluppo del pop: il momento in cui il gospel (musica sacra) si mescola col blues, e inventa un nuovo stile. Perché la musica pop questo è: commistione, ibridazione, mescolanza, operate al fine di vellicare le parti più o meno nobili del nostro corpo, per cercare di venderne più copie che si può. Non lo sapevate? |
Post n°61 pubblicato il 30 Luglio 2009 da fattodiniente
Questa è una canzone che trent’anni fa amavo da morire; poi, ho smesso di ascoltarla, sedotto da altre cose, e, riascoltata a distanza di anni, la trovo insulsa, banalotta, inutilmente enfatica e un tantino noiosetta. |
Post n°60 pubblicato il 27 Luglio 2009 da fattodiniente
Questa è una canzone talmente bella che ti vien voglia di darle ragione. Parla ovviamente della prima delusione amorosa, e del fatto che dopo di essa innamorarsi non è più la stessa cosa. |
Post n°59 pubblicato il 10 Luglio 2009 da fattodiniente
Migliaia di canzonette. Centinaia di migliaia. Alla fine sembrano cantare tutte all’incirca le stesse tre o quattro cose, le stesse tre o quattro emozioni, gli stessi tre o quattro sentimenti. Trattasi di canzone, dopotutto, appunto. Mi piacciono le canzonette, perché mi piace vivere. « Thou reader throbbest life and pride and love the same as I, (Tu lettore fremi di vita e orgoglio e amore come io fremo, Walt Whitman |
Post n°58 pubblicato il 17 Giugno 2009 da fattodiniente
Il 7 giugno se ne è andato Hugh Hopper; per me - ma non solo - il bassista dei Soft Machine nel loro periodo più glorioso, a dispetto di una carriera quarantennale e mai banale. Primo Levi parlava del senso di colpa provato dai superstiti del lager. Ecco, credo sia qualcosa di simile. Non è mica giusto che chi ha fatto parte della tua vita se ne vada, perché dopo non è mica la stessa cosa, non è mica la stessa vita. I ricordi, c'è poco fare, in qualunque modo sono cose morte, ed è la morte che raccontano. Puoi accettarlo, o maledire gli eventi. Puoi incolpare te stesso, o chiunque altro. Puoi conviverci dignitosamente, o piangere. Puoi cullarti in essi, coltivando malinconie e nostalgia, e puoi persino sperare che ciò che è stato, ritorni - allo stesso modo, o in forma diversa. Ma ciò che è stato, per l'appunto è stato. Forse sarebbe meglio che chi custodisce i tuoi ricordi, andandosene se li portasse via con sé.
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Post n°57 pubblicato il 20 Aprile 2009 da fattodiniente
Vi sono molti tipi diversi di storie d’amore, e ciascuno potrebbe con una certa precisione raccontarne più d’una, oltre alle sue proprie, s’intende. Queste storie, quale più quale meno, interessano sempre qualcuno; vuoi per diretta o indiretta conoscenza dei protagonisti, vuoi per interesse specifico verso uno degli interessati, vuoi per mera curiosità dei fatti altrui. Abitualmente, non ci si dà ragione di tale interesse, quale esso sia, probabilmente ritenendolo di poco o punto peso, anche se nell’intimo ciascuno sa benissimo non essere così. Che cosa raccontino queste storie, ovvero che cosa esse insegnino e quale utilità possano esse avere, è di per sé argomento meritorio di miglior attenzione. Pure nel loro essere variamente analizzate, per solito si ritiene ch’esse comunque possan ricondursi tutte a varie tipologie generali, sia pure definibili a piacere con criteri propri e particolari. O diversamente, se ne può dedurre che ciascuna storia d’amore, anche se solo per piccoli ma non perciò marginali aspetti, sia diversa da ogni altra; e dando ugualmente per assodato che ogni singolo individuo sia per l’appunto singolo, individuale, unico, essendo perciò una storia d’amore prodotto di due fattori di per sé irripetibili, ogni rapporto d’amore e di unione sarà allora un accadimento vieppiù particolare e del pari irripetibile, dalle caratteristiche e peculiarità sue proprie, non riconducibile se non in modo molto vago e generalissimo ad altri. Del singolo, lo sappiamo, non si dà scienza, come Aristotele c'insegnò. Ciò porterebbe allor dunque a considerare tutti gli amori come partecipanti di una unica generalissima qualità costituente l’umana categoria dell’amare, nella cui unità ritrovare l’infinita varietà dei casi possibili. Consideriamo poi che per ogni unione amorosa esistono sempre almeno due storie: quella vista dalla parte di lui, ed una storia vista dalla parte di lei; spesso non son tra loro che lontanamente simili, perché ciò ch’è vero per l’uno non altrettanto lo è per l’altro, ed in tali faccende il modo di vedere di ciascuno non è tanto un punto di vista su una realtà, quanto piuttosto la realtà dei fatti stessa; e senz’alcuna possibilità di discussione, pure. Come sperare di poter cogliere il senso di legami siffatti, senza tradire l’una o l’altra delle ragioni, e la realtà stessa del rapporto? Ossia, quel che è vero per una donna, non lo è ugualmente per un uomo; ma non nel senso che sia falso, semplicemente il vero di lei, è per lui sovente al di fuori della gamma delle possibilità, con le conseguenze filosofiche e pratiche che senza difficoltà se ne possono trarre. Sono cioè i presupposti, i modi di pensiero, i valori talvolta, ad esser proprio altri, differenti; e che farci, dunque? Queste considerazioni possono sembrare stranianti ed indurre ad un certo scetticismo, se non altro sulla possibilità che si possa dare scienza dell’amore e dei sentimenti, cosa che in effetti è sostenuta da molti, e con molte buone ragioni. Ed ancor meglio può far concludere che parlare e ragionare dell’amore sia una attività finalmente inutile, se non addirittura sbagliata e limitante. È l’utilità stessa del raccontare l’amore che parrebbe venir meno, non potendo sperare di trarre da questo narrare un qualsivoglia utile insegnamento. Qualche ammonimento forse, ma di nessuna utilità infine,perché poi tutti continuiamo ad innamorarci, e nelle forme che più ci aggrada, o ci capita, o nelle quali semplicemente siamo capaci. Ma di quante altre cose si potrebbe allora dire altrettanto, e assai meno rilevanti anche? E certo, se l’infinita possibilità di forme ed occasioni sembra scoraggiar qualsiasi scientifico approccio alla materia, non dimeno il piacere della narrazione e dell’ascolto ad essa accompagnato, all’approccio amoroso nuocere non posson più che tanto; giacché davanti ad una siffatta narrazione, sia essa risolta in senso positivo o meno, la sensazione infine dominante più che ogni altra è quella dell’invidia, forma estrema e deviata del desiderio: perché non è successo a me? Ed a me potrà mai succedere? Così anche quegli ammonimenti che ci vengono da queste narrazioni passano in secondo piano e sembrano del tutto svanire di fronte a quel desiderio. Del resto, le forme dell’amore sono molteplici, infinite, ed innumerevoli le occasioni, le possibilità di incontro, di innamoramento, e ad ogni momento numerosissime le scelte differenti che possono essere operate: di comportamento, di valutazione. Quante volte inconsapevolmente abbiamo perduto quella che avrebbe potuto essere l’occasione della nostra vita? Quante persone dell’altro sesso, che in condizioni differenti, o in differenti contesti, avrebbero potuto suscitare almeno la nostra attenzione, ci sono passate davanti senza lasciare in noi nel tempo nemmeno il più lontano ricordo? E quante persone non hanno tra loro intessuti ben diversi legami di amorosi sensi per mera mancanza di tempo sufficiente ad una conoscenza più profonda e sincera? Se consideriamo appena un poco le cose secondo questa visuale, indubbiamente converremo che nel più dei casi sono necessari un tempo, un luogo ed un contesto appropriati come condizioni generali per la nascita di un legame affettivo. Il quale si può poi realizzare o meno, a seconda di una somma di molte altre variabili, ben più complesse ed imponderabili, che rendono sempre difficoltoso l’affermarsi di un reciproco sentimento affettivo. Statisticamente dunque, le potenzialità, per chiamarle così, universali dell’amore sono infinitamente maggiori delle loro realtà fattuali. In altre parole, il numero di persone delle quali ci capita d’innamorarci è infinitamente minore di quello delle persone delle quali potremmo innamorarci, e se ciò non accade è perché, per vari accidenti e combinazioni del caso, noi non incrociamo che una parte minima di tutta questa moltitudine umana, e quasi sempre in condizioni non ottimali. Ma consideriamo allora le modalità generalissime secondo le quali nascono e fioriscono i rapporti amorosi. Nessuno, credo, oserebbe affermare che sempre e soltanto le combinazioni interpersonali migliori siano quelle che si realizzano e prendono corpo: posto per assunto che possa esistere un amore assoluto, “l’amore della vita”, ossia che per ciascuno esista l’uomo o la donna ideale, questa persona dovrà essere per definizione una ed una soltanto, tra i miliardi di individui che popolano la terra, o almeno tra i milioni che per affinità geografiche e culturali possano esserci accostati. Le possibilità di incontrare questa persona, e d’intesservi poi legami d’amorosi sensi, sono per una mente sana e sufficientemente pratica, addirittura infinitesime, se non pressoché nulle. Ma anche a voler essere più elastici e possibilisti, come il buon senso suggerisce e come in fondo tutti siamo, vediamo che amori potenzialmente forti, saldi, ben avviati, fondati su una felice combinazione di caratteri e di atteggiamenti, combinazione non improbabile da realizzare, talvolta finiscono e muoiono per dettagli, per trascurabili accidenti del caso o bizzarrie del comportamento umano, o più semplicemente perché le verità, soprattutto in questo campo, non sono mai assolute, ma relative al tempo ed ai modi: quel che è vero oggi, qui, potrebbe benissimo non esserlo più domani, o in un altro contesto, o semplicemente considerando le cose da un diversa angolatura. Non sarà dunque provocatorio affermare che l’amore è sempre, quasi necessariamente, frutto del caso. Ci si può innamorare di qualcuno per i più svariati motivi, anche semplicemente per una lunga sua frequentazione, per una parola giusta detta in un momento cruciale; per ripicca, per noia, per deliberata volontà, per uno squilibrio ormonale, o per altri casuali ed episodici accadimenti. E la durata di questo amore andrà ugualmente soggetta alle più diverse casualità, se non soltanto all’impegno che ciascuno vorrà mettere nell’impresa: nel crearla, nel farla crescere, nel coltivarla e mantenerla, senza scordare che, una volta ch’essa è nata e cresciuta, è normalmente più facile e comodo mantenerla e lasciarla andare piuttosto che finirla, chiuderla, troncarla; magari rinunciando, e certo chiudendo la soglia, a più allettanti, stimolanti, credibilmente fruttuosi nuovi legami. E quanto questo abbia a che fare con l’Amore è cosa discutibile assai. L’amore perciò può essere visto come semplice fenomeno statistico soggetto a varianza: posto che gli uomini si innamorano, si uniscono e si accoppiano tra loro con assoluta regolarità, non esistendo epoca nella quale, a dispetto di tutte le condizioni, le convenzioni e le proibizioni, di più si sia amato o altra in cui si sia amato di meno, e stabilito che tali unioni o accoppiamenti spesso proseguono nel tempo indipendentemente dalla loro intensità o dalla loro qualità, si può soltanto procedere ad una descrizione delle varie modalità: i tempi di frequentazione necessari, i riti di unione, le convenzioni che si stabiliscono, i vari epifenomeni sociali che ne scaturiscono, e così via. Non v’è insomma nulla di magico, nell’amore. Dal punto divista scientifico anzi si potrebbe arrivare a negare ch’esso sia un sentimento,o almeno che sia principalmente un sentimento. Potremmo definirlo un comportamento istintivo dell’uomo, regolato in prima istanza dal caso e dalla logica combinatoria e probabilistica, cui seguono atteggiamenti sociali variamente prestabiliti; una condotta cui viene conferito di volta in volta un certo speciale interesse, che esula comunque dalla primaria necessità di riproduzione e salvaguardia della specie, anche se in fondo generalmente si riproduce solo chi meglio si innamora, in accordo con la teoria della selezione naturale. E meglio, a badar bene, può significare anche soltanto più intensamente, o volitivamente, o con maggior determinazione e sicurezza; tutte cose, cioè, che hanno poco a che fare con la qualità e molto piuttosto con la quantità. Cos’è del resto, la qualità dell’amore? Detto che quel che piace a taluno - le attenzioni assidue, un atteggiamento protettivo o rassicurante, la dedizione, o quant’altro - può risultare ad altri insopportabile, intollerabile, inopportuno, non è evidente come il grado di trasporto amoroso non sia niente altro che una quantità? Ciò porta in ultima analisi a considerare questi amori totali, veri, puri, sinceri, inevitabilmente sotto la luce dell’egoismo: ti amo tanto, troppo, ti ho dato tutto me stesso, quindi ho dei diritti su di te. Si sa, del resto. Chi per amore arriva a perdere letteralmente il senno, chi soltanto il sonno, chi rinuncia ad ogni altra cosa,vita normale inclusa, chi arriva ad uccidere se stesso, o l’oggetto del desiderio: non di rado, entrambi, magari con astanti e malcapitati compresi. E questi son solo gli estremi di una insanità verso la quale tutti siamo incamminati. Sarebbe però un imperdonabile errore di prospettiva voler leggere ogni qualsiasi storia d’amore in questa chiave. Anzi, una volta stabilite tutte queste verità, e non v’è - a chi voglia vederle - qualcuno che possa non convenirne, resta da stabilire la natura della speciale rilevanza cheabitualmente assumono, quale più, quale meno, tutte le storie d’amore, almeno agli occhi dei protagonisti; quel certo speciale interesse altrimenti incomprensibile, cui s’accennava più sopra. La funzione sociale, o meglio filosofica, primaria delle storie d’amore potrebbe infine esser questa: il capire perché, e come, l’amore assuma speciale rilevanza tra le molte e differenti vicende che ciascuno vive, ed interpreta. Diremo dunque che vi sono indubbiamente molti modi di vivere, e descrivere, una storia d’amore. Tali modi non appartengono però che in minima parte alle qualità del discorso amoroso, essendo piuttosto frutto e riflesso del carattere di ciascuno degli amanti, e naturalmente del modo con il quale i rispettivi caratteri si incontrano, si scontrano, si mediano. La varietà degli atteggiamenti possibili, delle azioni intraprese, è dovuta alla varietà dei caratteri degli umani, perché alla fine, per quanto uno possa industriarsi d’apparire migliore, e più buono di com’è, non potrà mai prescindere e nascondersi dall’animo suo proprio, e l’amore non è che uno degli specchi in cui riflettersi e che riportano all’esterno quel che abbiamo dentro, bello o brutto che sia. Non è cioè che l’amore ci faccia molto migliori, non nel tempo perlomeno. L’assenza di amore, questo sì, può farci peggiori, ma è questo un altro discorso. L’amore è un principio di insanità, ma la mancanza d’amore è una malattia ben altrimenti perniciosa. Anche perciò, non è corretto pensare che vi siano storie d’amore diverse dalle altre. Non per principio. Quanto al darne ragione, si tratta infine di una chimera, di una illusione nemmeno tanto pia, della quale crediamo d’aver diritto, forse a ricompensa, ad estrema consolazione delle nostre pene e dei nostri affanni. Ma non v’è ragione alcuna, infine, che possa anche soltanto dire il perché delle cose che ci accadono: come ogni altra cosa umana, se è veramente umana, esse soltanto accadono, ed infine non accadono più. Sono le stagioni a produrre tutte le cose: e così come le stagioni passano, pretendere di fermare lo scorrere delle cose in spiegazioni e ragioni è anche più inutile che sbagliato, perché a quale misura di verità potremmo mai sperare di ancorare la nostra scienza, che non sia anch’essa frutto di una qualche stagione; di un qualche attimo d’un qualche tempo che, forse, non abbiamo nemmeno gli occhi per vedere, e le parole per dire? |
Post n°56 pubblicato il 15 Aprile 2009 da fattodiniente
« L'atto di coricarsi è come un addio, una separazione, una presa di congedo, (devo dir così?) una stretta di mano con Dio; e quando stringi la mano di Dio, procura che le tue mani siano pure. (...) Dormi, con le mani pure, sia che tu le abbia mantenute pure tuttoil giorno, nell'integrità; o che tu le abbia purificate, la sera, nel pentimento (...) » Buon sonno, a tutti coloro che dormiranno, sereni. Buonanotte... buonanotte...
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Post n°55 pubblicato il 12 Aprile 2009 da fattodiniente
Una delle regole non scritte di questo blog è ovviamente ‘non mettere due brani dello stesso artista’, ma prima o poi doveva succedere di disattenderla. Beh, i Supertramp sono un’ottima occasione per infrangerla. Perché chi non ama i Supertramp? A chiederlo in giro, probabilmente nessuno. Ma quanti possono dire di conoscerli davvero? Quanti cioè davvero li amano? Forse sarebbe più corretto dire che praticamente tutti apprezzano i Supertramp, o almeno apprezzano qualcosa di loro. Perché amarli, quella è un’altra faccenda: significa capirli fino in fondo, e quindi conoscerli, riconoscerne le sfumature, i riferimenti, i significati, il modo in cui costruiscono le emozioni… Mille citazioni, in un gioco di rimandi a specchio, in cui tutto viene usato per significare qualcosa di molto diverso, in cui tutto diventa qualcos’altro, sempre molto molto personale. In un certo senso, la musica dei Supertramp è un gioco mimetico, ma non nel senso del nascondere stili e stilemi, ma in quello del reinterpretarli, illuminandoli di nuova luce: un blues è e resta un blues, un sax soul resta esattamente quel che è, ma elevati ad una potenza diversa e nuova. Esercizi di stile, ma mai fini se se stessi: al contrario eseguiti alla ricerca di una forma espressiva precisamente finalizzata, più consona ad un contenuto che c’è sempre, eccome. Come un gioco di burattini, nel quale i bambini fanno parlare le loro angosce e malinconie con la voce del personaggio,che solo apparentemente racconta un’altra storia. Certo, a colpire è quel tono ilare e leggero, sempre piacevole e accattivante, anche divertente, di affrontare la vita e le sue difficoltà, le sue malinconie. Una leggerezza che però confina, o meglio si coniuga e si fonde, in un pathos intensissimo, fatto di emozioni, di altitudini e profondità persino vertiginose; e senza rendertene conto, ti accorgi che nel mentre sorridi, sei stato portato dentro ad una tensione lacerante, altissima, espressa da un lirismo persino sfacciato nella sua purezza, e sincerità: cose che alla fine nemmeno le parole sanno descrivere, e raccontare. Un pathos fatto di niente. Perchéi Supertramp sanno essere delicati, intimisti, lievi lievi, e poi trascinanti, e travolgenti, per poi diventare drammaticamente lirici e persino commoventi, quando ci si mettono; e sempre in modo inaspettato, sorprendente. Tu ascolti i Supertramp, e trovi sempre qualcosa di bello, di piacevole, di gradevole. Da ameni ma serissimi menestrelli della vita quotidiana, della quale essi cantano con apparente levità, con un distacco ironico e un po’ sornione, le sue miserie, i suoi drammi esistenziali, i conflitti irrisolti, descritti sempre come alla fine irrisolvibili. I loro testi raccontano una amarezza, un disincanto davvero radicali: disagi esistenziali, più che esistentivi, per usar il lessico di uno che se ne intendeva. Occorre spiegare chi siano realmente i Supertramp perché chi li ascolta, li capisca; e spiegare – si sa – fa sparire la magia. |
Post n°54 pubblicato il 07 Aprile 2009 da fattodiniente
Sospesi tra il senso di infinito (le capacità immaginative della mente? l’anima?) e il senso finito della povertà e della brevità della nostra esistenza, perdiamo di vista il fatto che siamo una specie giovane, e quantunque le capacità immaginative ci rendano incommensurabilmente più potenti di qualunque altra specie mai esistita, tuttavia le risposte che ci diamo perdono di vigore, di potenza, nel limbo tra il pensiero dell'infinito e la relativa dimensione spaziale e temporale della nostra esistenza. Noi siamo abituati a misurare l’umanità in larghezza, in estensione: quanti sono i miliardi di uomini che nel tempo hanno popolato la Terra? Qualcuno ha fatto il conto, e qualunque sia il numero risultato, esso eccede ampiamente le nostre capacità di visualizzarlo. Lo sgomento di fronte a questo numero iperbolico ci fa perdere la nostra dimensione individuale, ridotta a poco più di nulla: un granello, un niente. Ma nessuno prova a considerare l’umanità nella sua lunghezza, nelle dimensioni temporali della sua estensione. Nessuno considera che a separarci dai primissimi uomini – i Cro-Magnon, dotati di intelletto, cioè di pensiero astratto - sono poco più di 1300 generazioni. E tuttavia, questo è straordinariamente confortante. La nostra dimensione individuale, che si perde nei miliardi di individui esistiti ed esistenti, riacquista profondità ed significato straordinari, se considerata verticalmente… (2005) |
Post n°53 pubblicato il 04 Aprile 2009 da fattodiniente
"Nel futuro tutti avranno lo stesso taglio di capelli e gli stessi vestiti Nel futuro tutti saranno estremamente grassi per la dieta a base d'amido Nel futuro tutti saranno estremamente magri per carenza di cibarie Nel futuro sarà pressoché impossibile distinguere i ragazzi dalle ragazze, anche a letto Nel futuro gli uomini saranno "ultramascolini" e le donne "ultrafemminili" Nel futuro la fusione atomica ci consentirà di costruire un grattacielo da un granello di sabbia Nel futuro la chirurgia genetica creerà una razza di schiavi lavoratori: stalloni, "puttane", personaggi televisivi e politici Nel futuro metà di noi avranno "malattie mentali" Nel futuro non ci saranno religioni né spiritualismi di sorta Nel futuro le "arti psichiche" troveranno un uso pratico Nel futuro non penseremo che la "natura" è bella Nel futuro il tempo sarà sempre lo stesso (relativamente a com'è adesso) Nel futuro nessuno combatterà più con nessun altro perché chiunque potrà essere qualsiasi cosa voglia essere Nel futuro ci sarà una guerra atomica che ridurrà i sopravvissuti a selvaggi Nel futuro l'acqua costerà cara Nel futuro tutti i beni materiali saranno gratuiti Nel futuro ogni casa sarà una piccola fortezza Nel futuro tutti passeranno il tempo a pensare all'amore Nel futuro la televisione sarà di tale qualità che la parola scritta avrà soltanto una funzione artistica Nel futuro le persone con lavori noiosi prenderanno pillole per alleviare la noia Nel futuro tutti tranne i ricchi saranno molto felici Nel futuro tutti tranne i ricchi saranno molto sporchi Nel futuro tutti tranne i ricchi saranno in ottima salute Nel futuro i sistemi di comunicazione/distribuzione saranno così efficienti che nessuno vivrà più in città Nel futuro le fattorie saranno dirette da una rete computerizzata nazionale Nel futuro ci saranno mini guerre dappertutto Nel futuro le decisioni politiche (e non solo) saranno integralmente basate su sondaggi d'opinione Nel futuro solo i grandi ricchi saranno in grado di viaggiare o spostarsi dalle proprie case Nel futuro gli individui con inclinazioni militaresche praticheranno sport "assassini" Nel futuro ci saranno macchine che produrranno esperienze religiose in chi le userà Nel futuro ci sarà una società senza classi, nessuno sarà più ricco di chiunque altro Nel futuro la gente si farà costantemente interventi di chirurgia plastica, alterandosi i lineamenti più volte nel corso d'una vita Nel futuro ci saranno molti suicidi di massa Nel futuro ci saranno gruppi di selvaggi, che vivranno nelle zone incolte e rapineranno gli abitanti dei quartieri residenziali Nel futuro ci saranno soltanto banconote e saranno personalizzate Nel futuro nessuno riuscirà a tornare a casa più di una volta l'anno Nel futuro tutti staranno perennemente a casa Nel futuro non avremo tempo per gli svaghi Nel futuro non"lavoreremo" più di un giorno la settimana Nel futuro i nostri corpi saranno rinsecchiti ma sani e i cervelli più grandi Nel futuro ci sarà gente affamata dappertutto Nel futuro nessuno potrà permettersi televisioni o giornali, con il risultato che nessuno saprà più che cosa succede Nel futuro la gente vivrà nello spazio Nel futuro solo i grandi ricchi avranno animali da compagnia Nel futuro i poveri saranno regolati dai ricchi Nel futuro gli storpi, i ritardati e gli indifesi saranno uccisi Nel futuro tutte le case saranno centri di divertimento, con video, pillole, balli, attrezzi sessuali, film olografici e macchine da gioco Nel futuro tutti avranno il proprio stile individuale di vestiti da libera uscita Nel futuro tutti mangeremo i nostri cibi preferiti, solo che saranno tutti sintetici Nel futuro ci scoperemo qualunque cosa in qualunque momento e in qualunque luogo Nel futuro accadranno tante cose che nessuno riuscirà a farsene un'idea " In fondo, qualsiasi logica antimetafisica resta prima di tutto una logica, perciò qualcosa che precede ogni qualsiasi altra determinazione. Come fa David Byrne intutti i suoi testi. E tra tutti questo è il più mirabile. Uno dei recitati per le Civil Wars del coreografo Bob Wilson, su temi musicali ispirati alla leggendaria Dirty Dozen Brass Band di New Orleans. Sino a che, istupiditi dalla incombente massa di significati indiscussi e perciò indiscutibili, chiediamo, e necessitiamo, di una parola diversa: di uno scarto sorprendente nell'ordine del possibile, che ci riveli una ricchezza altra, più vera, più profonda, più autentica e autenticamente emozionante. Qualcosa che non ci rifletta nel mondo, ma ci illumini di una luce in cui realmente poterci osservare, e vedere. Ed ecco "a che i poeti nell'epoca della povertà". "Un albero lo si misura meglio quando è abbattuto".
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Post n°50 pubblicato il 02 Aprile 2009 da fattodiniente
Una delle poche persone che riuscirono a chiudere la bocca a quel rompicoglioni di Socrate, fu Diotima. Vado a memoria (potrei sbagliare): fu anzi l’unica che ci sia riuscita. Sarà perché parlava d’amore, dicendo cose rimaste definitive da allora; o sarà perché era un donna. O sarà per qualche altro motivo, ma così è. Poi, potranno stare sulle balle tutti e due, Socrate e anche Diotima, non c’è problema: ognuno riconosce le autorictas che più gli aggradano. Alla fine, aveva ragione Alvy Singer (citazione colta), con la morale sulla barzellettina del tizio che parla allo psichiatra del fratello convinto d’essere una gallina, ma non glielo porta perché ha bisogno della uova: “Ecco, io direi che è più o meno quello che penso dei rapporti umani. Sono totalmente irrazionali e pazzi e assurdi, ma… eh, io credo che continuiamo a cercarli perché abbiamo bisogno delle uova”. |
Post n°49 pubblicato il 26 Marzo 2009 da fattodiniente
Io sarò un re, e tu… tu sarai la mia regina. Una melodia più che memorabile, con una chitarra (Adrian Belew) a tirare le note nel modo più struggente che c’è. Ed ecco qua, il gioco è fatto. Canzone antemica per definizione, inno dei grandi sognatori disincantati, e un po’maledetti. Una storia da gran cazzaro, insomma. E parecchio paraculo. Sempre detto nel senso più positivo che c’è, beninteso. E come fai a resistere? |
L'AUTORE
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Musiche per i momenti della giornata
Sul significato della musica
E se fossi stato un musicista?...
Istruzioni per il mio funerale
Del dove vivo e della sua colonna sonora
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Consigli e musiche per le sofferenze d'amore
Venditori di tutto il mondo (unitevi!)
Il senso di un pomeriggio di tanti anni fa...
I suonatori Jones
Io e mio padre
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