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Messaggi del 18/04/2014
Post n°573 pubblicato il 18 Aprile 2014 da nonna.fra
Balal Abdullah, 20 anni, doveva essere impiccato per aver ucciso a coltellate un suo coetaneo durante una rissa in strada, sette anni fa. Quando tutto sembrava già scritto, la donna invece di spingere via la sedia su cui si sorreggeva il condannato, come suo diritto per 'l'occhio per occhio' previsto dalla sharia, lo ha schiaffeggiato e perdonato. Il marito gli ha tolto il cappio
Perdonato e per questo vivo. Stanno facendo il giro del mondo le foto che immortalano il volto di sperato di un ventenne sul punto subire la pena capitale per impiccagione. Aveva già il cappio al collo, la morte era una questione di attimi. Eppure, all’ultimo momento, è arrivato l’insperato perdono da parte della famiglia della vittima, che ha scongiurato l’ennesima esecuzione pubblica inIran. La madre della sua vittima lo ha schiaffeggiato, il padre ha sollevato la corda che gl avrebbe soffocato il respiro e fermato il cuore. Balal Abdullah, 20 anni, era stato condannato a morte per aver ucciso a coltellate un suo coetaneo durante una rissa in strada, sette anni fa. Martedì era prevista l’esecuzione in piazza, in una città del nord del Paese, Noshahr. Urlando per la disperazione, Balal è stato trascinato fuori e gli è stato messo il cappio al collo. Quando tutto sembrava già scritto, la madre della vittima, invece di spingere via la sedia su cui si sorreggeva il condannato, come suo diritto per ‘l’occhio per occhio’ previsto dalla sharia, lo ha risparmiato. Prima, lo ha schiaffeggiato, poi lo ha perdonato, e il marito gli ha tolto il cappio. La donna, che aveva perso un altro figlio in un incidente stradale, ha raccontato ad un giornale di aver sognato il figlio tre giorni prima, che le diceva di non vendicarsi, assicurandole di trovarsi in un posto tranquillo. “L’assassino piangeva chiedendomi perdono, io l’ho schiaffeggiato, cosa che mi ha calmato, e poi gli ho detto: così ti punisco per il male che mi hai fatto. Alcune persone hanno applaudito, altre hanno pianto”. Il padre della vittima ha poi sottolineato che si è trattato di un incidente e che Balal non voleva uccidere il figlio. Lo stesso Balal, che è stato riportato in carcere, avrebbe poi espresso tutta la sua commozione sottolineando: “Lo schiaffo ha separato il perdono dal patibolo e mi dispiace che nessuno mi abbia schiaffeggiato prima che io abbia preso il coltello”. Questa grazia è arrivata anche in seguito ad una massiccia campagna mediatica da parte di sportivi e artisti che avevano invitato i familiari della vittima al perdono. Un fatto insolito in Iran, secondo Paese al mondo dopo la Cina per numero di esecuzioni eseguite (369 nel 2013 secondo Teheran, almeno il doppio secondo Amnesty). Il regime è particolarmente criticato per le esecuzioni pubbliche, in passato aperte anche ai bambini, con fotografi autorizzati a documentarle. Tanto che il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha accusato il presidente Hassan Rohani di fare troppo poco per migliorare i diritti umani in Iran, definendo “impressionante” il ricorso alla pena di morte. Quelle immagini del cappio intorno al mondo ora hanno fatto il giro del mondo e hanno impressionato anche il premier Matteo Renzi che su Twitter scrive: “Sono impressionanti. Specie il venerdì santo”. |
Post n°572 pubblicato il 18 Aprile 2014 da nonna.fra
di Daniela De Crescenzo NAPOLI - «Chiara, ti voglio bene». «Mamma, sei venuta...». Un abbraccio, poche parole: la ragazza segregata in casa per otto anni, ha incontrato la madre, Rosa Sgargia, nel reparto di pronto soccorso psichiatrico del San Giovanni Bosco dove resta dal primo marzo, quando gli agenti della squadra investigativa del commissariato Arenella la liberano e la portarono in ospedale. Un incontro breve, il segno di una riconciliazione possibile, ma incompiuta. Chiara si è lasciata abbracciare, non ha risposto con entusiasmo, ma non si è nemmeno sottratta. La madre ha accettato le indicazioni dei medici: probabilmente ha capito di aver bisogno di aiuto anche lei. E così per qualche minuto madre e figlia hanno parlato di cose semplici, normali. E già questo è un miracolo: la normalità era rimasta a lungo lontana dalla loro vita. Quando il 28 febbraio, dopo una segnalazione, i poliziotti dell’Arenella entrarono nella casa di via Caldieri dove la ragazza era rimasta rinserrata per otto anni, la trovarono nascosta dietro un divano, raggomitolata su se stessa, con i pochi capelli che le rimanevano unti e sporchi, coperta solo da una maglietta. Chiara era circondata da sacchetti e sacchetti di rifiuti, l’aria era irrespirabile, la puzza consigliava l’uso della mascherina. Era impaurita, ammutolita, biascicava a stento qualche parola. «Scusate», riuscì a mormorare prima di tornare al silenzio. Per una settimana era rimasta totalmente abbandonata. La madre, che fino a quel momento era andata ogni tre o quattro giorni a portarle qualcosa da bere e da mangiare, non si era fatta vedere: «Mi sono ammalata», si era poi scusata la donna con i poliziotti che avevano bussato alla porta dell’appartamento di via Omodeo dove era andata a vivere con la sorella. E quindi, imperturbabile, aveva spiegato: «Chiara è chiusa in casa perché non sta bene, è lei che non vuole nessuno». I testimoni avevano raccontato che tra le due i rapporti non erano mai stati facili. «Mia sorella ha sempre preferito il figlio maschio», raccontò la zia di Chiara. E il portiere ancora ricordava le urla che avevano spaventato i vicini quando ancora madre e figlia vivevano insieme. Poi la morte del padre della ragazza aveva fatto precipitare la situazione, dopo un violento litigio Rosa era andata via e si era trasferita dalla sorella. Da allora tornava dalla figlia solo per portare da mangiare. In casa da anni non c’era più nemmeno l’acqua corrente e la ragazza sopravviveva grazie alle provviste di minerale che le portava la mamma. Tra i vicini tutti sapevano che in quella casa c’era una donna abbandonata. Dopo, quando di Chiara si sono occupati poliziotti, magistrati e i media di mezz’Italia, tutti, inquilini, amici e parenti avevano concordato: «Non potevamo immaginare in che condizioni fosse ridotta». Ma che qualcosa in quella famiglia non andava avrebbero potuto capirlo tutti. E invece: silenzio. Un silenzio sordo, capace di far rimpiangere le urla che avevano disegnato il rapporto tra le due donne fino a qualche anno prima. Silenzio e freddo. I segni del male. Il silenzio della madre che evitava la figlia e si limitava a portarle qualcosa da mangiare «niente di cucinato, però», come aveva detto ai poliziotti. Il silenzio di Chiara che sempre più si era ritirata in una terra deserta e sconosciuta. Lei, che era stata una studentessa allegra e brillante, aveva perso le parole. O, forse, le aveva solo dimenticate. E freddo. Tanto freddo. Gelido il corpo di Chiara ricoperto solo da una t-shirt quando l’avevano ritrovata. Gelide le parole della madre che con i poliziotti si era limitata a sottolineare: «Mi costa tanto fare la spesa». Il ghiaccio che circondava madre e figlia a rischiato di ucciderle. Ora i medici, giorno dopo giorno, stanno tentando di far emergere la ragazza dal pianeta desolato dove si era ritirata. E lei, a piccoli passi ha imboccato la strada del ritorno. Dopo anni ha smesso di cibarsi con affettati e succhi di frutta consumati restando raggomitolata per terra ed è tornata a mangiare normalmente. Si siede a tavola con gli altri degenti, usa le posate. Si muove liberamente per il reparto ospedaliero dove è stata ricoverata. Scambia poche parole con i medici e con gli altri pazienti. Ha incontrato la zia e il fratello che per anni era rimasto lontano, a Massa Carrara. È un po’ ingrassata e le stanno ricrescendo i capelli che aveva perso in molte zone della testa. Non si rifiuta, non si sottrae. Accetta di vivere. E anche la madre, dopo il trauma dell’arresto, dopo l’assedio dei media, potrebbe uscire dal tunnel. Accusata di aver ridotto la figlia in uno stato pietoso, non è più agli arresti domiciliari e, assistita dal suo legale, l’avvocato Riccardo Polidoro, aspetterà a piede libero il processo. Pochi giorni fa è stata autorizzata dal magistrato che segue le indagini, Mario Canale, a incontrare la figlia. In ospedale è arrivata con la sorella. Ha parlato con il primario, Massimo Parlato, che ha poi assistito all’incontro tra madre e figlia. Anche lei, dopo tanto, troppo tempo ha ritrovato le parole. Le uniche necessarie: «Chiara, ti voglio bene». Poi il medico, la madre e la figlia, sotto braccio si sono avviati al bar dell’ospedale. Un caffè, un cappuccino, una brioche. E questa, finalmente, è la vita.
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