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Messaggi del 18/12/2015

 

Giulietti eletto presidente della Fnsi. Le reazioni di politica e società civile da articolo21

Post n°12853 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da Ladridicinema
 

beppe giulietti2

Beppe Giulietti, giornalista della sede Rai di Venezia, è il nuovo presidente della Fnsi. Lo ha deciso il Consiglio nazionale del sindacato unitario dei giornalisti italiani. Giulietti ha raccolto 78 preferenze (la maggioranza qualificata prevedeva almeno 72 voti) ed è stato eletto alla prima votazione. 20 le schede bianche, 2 le preferenze andate a Stefano Tallia e a Paolo Butturini, un voto per Giovanni Negri e una scheda nulla.

Più dei tre quinti dei membri del Consiglio Nazionale della FNSI lo hanno eletto. Una nomina che non è passata inosservata proprio per l’impegno speso da Giulietti proprio nel sindacato e poi nell’impegno parlamentare. Ma anche in quell’impegno ha conservato la sua indipendenza restando un punto di riferimento per i temi della libertà di informazione ed espressione.
“Ho accolto l’appello di amici e colleghi a candidarmi a presidente della Federazione della stampa con l’idea di mettermi a disposizione di una squadra che punti a rinnovare il sindacato dei giornalisti”, ha detto Giulietti nel suo intervento in Consiglio nazionale.
“Ringrazio tutti, chi mi ha votato e chi ha deciso di manifestare le sue perplessità in modo serio. Auspico che il confronto, anche quando sarà aspro, si mantenga sempre rispettoso delle persone. Il primo impegno – ha concluso il neoeletto presidente – sarà incontrare i colleghi che hanno rivestito prima di me il ruolo di presidente del sindacato e la prima proposta è di dedicare lo sportello antiquerele della Fnsi alla memoria del compianto Santo Della Volpe”.
In conclusione Giulietti ha annunciato che lascerà il ruolo di portavoce dell’associazione Articolo21.

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LE REAZIONI

“Una scelta di altissimo profilo. E di straordinaria caratura. Con l’elezione di Beppe Giulietti a Presidente, la Fnsi sceglie un progetto riformatore. Sceglie di costruire il futuro sulle solide basi dell’art.21 della Costituzione”.  Così l’Esecutivo Usigrai commenta l’elezione di Beppe Giulietti a presidente Fnsi avvenuta questa mattina.
“La strada scelta è tracciata nella storia sindacale, politica, associativa e di impegno sociale di Beppe Giulietti.
La capacità di includere, anche chi per storia e cultura è più distante.
La coerenza sulle regole, senza distinzioni né deroghe.
Il no ai bavagli, di qualunque colore e provenienza.
La presenza costante al fianco delle giornaliste e dei giornalisti di frontiera, minacciati, sotto scorta.
I valori della solidarietà, per mettere al centro gli ultimi, gli invisibili, per illuminare le periferie.
La centralità della Rai Servizio Pubblico, libera e autonoma dal controllo dei partiti e dei governi. Alla Presidenza Fnsi, Giulietti raccoglie il testimone di Santo Della Volpe, con il quale insieme diedero vita all’associazione Articolo21, e al quale oggi va ancora una volta il saluto commosso di tutte le giornaliste e i giornalisti della Rai”.

Una candidatura, la sua, che era stata sollecitata da ampie aree culturali del giornalismo italiano, dal mondo della cultura, del cinema, del teatro. Dalle associazioni di difesa dei diritti, quelle antimafia, con le quali da sindacalista, parlamentare e portavoce di Articolo 21, è stata fatta tanta strada insieme. Non è quindi un caso che la notizia della sua elezione a Presidente della Fnsi non è passata inosservata, ricevendo consensi provenienti dai più vasti settori

LA POLITICA
“Desidero rivolgere un sincero ed affettuoso augurio di buon lavoro a Giuseppe Giulietti eletto quale nuovo presidente della Federazione nazionale della stampa italiana. Per competenza ed autorevolezza è una scelta di alto profilo, di una personalità impegnata da trenta anni nel sindacato dei giornalisti, con il quale mi sono confrontato e scontrato negli ultimi venti anni non poche volte, ma non si può non riconoscere al neo presidente Giulietti una grande serietà professionale ed un’indiscussa correttezza politica. Auguri di cuore, caro Beppe”. E’ uno dei primi auguri di buon lavoro a Beppe Giulietti ed arriva da un suo oppositore, il forzista Giorgio Lainati, vice presidente della Commissione di Vigilanza Rai.

“Buon lavoro a Giuseppe Giulietti, modello di competenza e passione, nuovo presidente della Federazione nazionale della stampa italiana”. Così, su Twitter, è detto in un comunicato, il deputato del Pd Ernesto Magorno si congratula col nuovo presidente della Fnsi.

“Un augurio sincero a Beppe Giulietti, chiamato a rappresentare, come presidente della Fnsi, i giornalisti italiani in un momento particolarmente delicato per il mondo dell’informazione e per i rapporti tra cittadini, media e istituzioni. Una scelta di professionalità e di impegno civile di alto livello che sicuramente favorirà il dialogo tra la libera stampa e le istituzioni”. Così il presidente della Regione Veneto Luca Zaia si complimenta con l’elezione, ricordando che il giornalista Rai, dopo il suo percorso parlamentare, è tornato a lavorare con serietà e umiltà proprio nella sede di Venezia.  “I cittadini e le istituzioni  – prosegue Zaia – hanno bisogno di un rapporto leale e trasparente con gli operatori dell’informazione, perché l’informazione è infrastruttura essenziale della democrazia. Nel suo impegno professionale, sindacale e parlamentare Giulietti ha perseguito con passione, tenacia e coerenza la libertà e il dovere di imparzialità e completezza di chi fa informazione. La sua elezione alla presidenza del sindacato dei giornalisti italiani  è impegno a tenere alta la barra della qualità, della sensibilità e dell’onestà dei professionisti della notizia, e garanzia di correttezza e di rispetto nella diversità di ruoli”.

Se c’è l’augurio del suo presidente di Regione, un leghista, arriva anche quello di una regione “rossa”. La Toscana.

“Con l’elezione di Beppe Giulietti alla guida della Fnsi autonomia, indipendenza e liberta’ d’informazione assumono oggi maggiore forza”. Lo dice Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, “portavoce di tante battaglie contro i bavagli e per i diritti dei lavoratori”, alla guida del sindacato.    “Oggi ha davanti il difficile compito di guidare la Federazione nazionale della stampa italiana – continua Rossi -. La sua elezione e’ una scelta di alto profilo che premia una storia di vita dedicata agli invisibili, agli ultimi e all’articolo 21 della Costituzione. A Giulietti e a tutta la Fnsi i miei migliori auguri di buon lavoro”.

Esprime gli auguri a Giulietti Sinistra Italiana con Nicola Fratoianni, membro della commissione di Vigilanza Rai. “Nel Paese del mai risolto conflitto di interessi, nel Paese della crisi dell’editoria che viene fatta pagare ai giornalisti, nel Paese del leader del governo che si permette di fare le liste dei giornalisti e delle testate sgradite, c’è davvero bisogno che continui ad operare un’organizzazione sindacale degli operatori dell’informazione che si batta per la libertà di stampa”.

“Mi congratulo con il nuovo presidente della Fnsi Beppe Giulietti. A lui, sempre impegnato nella difesa della professione giornalistica e del giornalismo di qualità, sempre leale avversario negli anni dei governi Berlusconi, rivolgo i miei migliori auguri di buon lavoro, certo che saprà svolgere al meglio un compito difficile in questo momento di crisi e di rinnovamento dell’informazione”. Lo dichiara il senatore Paolo Bonaiuti (Ncd), componente della commissione di Vigilanza sulla Rai.

Per area Popolare a esprimere gli auguri per l’elezione è la vice presidente dei deputati Dorina Bianchi “Siamo certi che la sua esperienza, competenza ed autorevolezza saprà essere un valore aggiunto per il mondo dell’informazione e le istituzioni, in un momento di crisi per il settore e di difficoltà per la categoria”.

“Tantissimi auguri di buon lavoro a Giuseppe Giulietti”. Li formula il senatore del PdFrancesco Verducci, vicepresidente della commissione di Vigilanza sulla Rai, che aggiunge: “Le sue qualita’ e la sua esperienza gli permetteranno di svolgere al meglio un ruolo cosi’ significativo per la qualita’ della nostra democrazia, di cui l’informazione e’ fulcro fondante, in una stagione caratterizzata da grandi mutamenti sociali e da radicali innovazioni tecnologiche”.

E non manca uno degli amici di Articolo 21 come Valter Verini, parlamentare del PD. “Un augurio sincero a Beppe Giulietti, eletto presidente della Federazione della Stampa Italiana.  Si tratta di un fatto importante, perché Giulietti è una delle personalità più significative che, durante la professione di giornalista, nel corso della sua esperienza parlamentare e alla guida dell’associazione Articolo 21, si è sempre battuto per la libertà di informazione, la difesa e la tutela della professione giornalistica e il ruolo dell’informazione per le battaglie contro i poteri criminali e la legalità”.
Verini, che è capogruppo Pd in commissione giustizia prosegue. “Sono sicuro che con la guida di Giulietti, la Federazione della Stampa rafforzerà il suo ruolo per questi obiettivi, in un rapporto di confronto corretto e positivo con il Parlamento. In questo momento – conclude – voglio rivolgere un pensiero e un ricordo anche a Santo Della Volpe, suo valoroso predecessore, protagonista indimenticabile di un modo è uno stile coraggiosi di fare giornalismo”.

“L’elezione di Giuseppe Giulietti – per gli amici Beppe- alla guida della Federazione nazionale della Stampa, è una bella notizia. Non solo per la sua competenza ma anche per la sua dedizione alla causa dei diritti dei lavoratori dell’informazione e per la sua passione nei confronti di un tema quanto mai sensibile per la democrazia. Giulietti assume la presidenza dell’Fnsi in un momento di enorme difficoltà per il settore: ci sarà bisogno di tutto il suo impegno e la sua competenza per cercare soluzioni. Buon lavoro dunque caro Beppe!”. Lo dichiara Sandra Zampa, deputato e vice presidente del Pd.

“A Beppe Giulietti vanno le mie congratulazioni e gli auguri di buon lavoro alla presidenza della Fnsi”. Lo scrive sul suo proprio profilo Twitter il deputato Pd e presidente della commissione Trasporti della Camera, Michele Meta.

“Auguri a Giuseppe Giulietti, nuovo presidente della Federazione nazionale stampa italiana. Un’ottima scelta, Giulietti è una persona di qualità ed esperienza e, cosa che non guasta, dotata anche di autoironia”. Lo afferma Ermete Realacci, presidente della VIII Commissione Ambiente della Camera, plaudendo all’elezione di Giulietti alla presidenza della Fnsi.

I SINDACATI
“A Giulietti vanno le nostre congratulazioni e i migliori auguri di buon lavoro”. Così, in una nota, la Cgil .    “Siamo sicuri – aggiunge la Cgil – che Giulietti saprà battersi, anche in una fase difficile e di rinnovamento del settore, per un’informazione libera e di qualità, e che saprà tutelare nel modo migliore la professione giornalistica”.

“A Giuseppe Giulietti eletto oggi presidente della Fnsi vanno le congratulazioni e gli auguri di buon lavoro da parte di tutta la Cisl”. Così la segretaria generale della CislAnnamaria Furlan, saluta l’elezione del nuovo presidente del sindacato dei giornalisti.  “Siamo convinti – prosegue Furlan – che Giuseppe Giulietti oltre ad essere un giornalista molto competente ed autorevole, possieda la giusta e saggia esperienza sindacale per rappresentare in maniera unitaria ed autonoma le istanze dei giornalisti, garantendo il pluralismo, la necessaria interlocuzione e collaborazione con il sindacato confederale in una fase di cambiamenti e difficili ristrutturazioni editoriali”.

Il Movimento Unitario Giornalisti è lieto dell’elezione di Beppe Giulietti alla presidenza della FNSI, il sindacato dei giornalisti italiani”: lo dice Domenico Falco, presidente del Movimento Unitario Giornalisti.    “Siamo convinti – aggiunge – che con Giulietti, uomo del dialogo ma dai principi solidi, riusciremo in Campania e non solo, a riavviare un dialogo interrotto dopo la scomparsa del compianto Santo Della Volpe. In ballo c’e’ il futuro di una intera categoria che nella nostra regione è in condizioni drammatiche, tra licenziamenti, chiusure di testate, casse integrazioni e precariato cronico. Diamo dunque appuntamento al neoeletto presidente Fnsi a Napoli per un incontro in cui si possa discutere, apertamente e senza filtro, dei problemi riguardanti la nostra professione e l’editoria”.

L’Associazione della Stampa di Basilicata, in una nota, ha espresso “grande soddisfazione per l’elezione di Giuseppe Giulietti alla presidenza della Federazione Nazionale della Stampa Italiana”.    “Collega di altissimo profilo, protagonista per decenni delle battaglie per la liberta’ di informazione e la tutela dei soggetti piu’ deboli – e’ scritto nel comunicato – Giulietti e’ stato sempre vicino alle giornaliste e ai giornalisti della Basilicata fin dalla fondazione della nostra Associazione. Dirigenti e iscritti dell’Assostampa lucana lo ricordano al loro fianco fin dall’assemblea di fondazione del marzo 1993, e in tutti questi anni hanno sempre potuto contare sul suo sostegno nella battaglia per far crescere il sistema della libera informazione anche in una terra di frontiera del mezzogiorno. Avere una personalita’ come Giuseppe Giulietti alla presidenza del sindacato unitario dei giornalisti dara’ nuovo vigore alle comuni battaglie per liberare la societa’ da ogni forma di oscuramento, di integralismo, di pensiero unico, e contribuira’ a non spegnere le speranze di tanti giovani che si avvicinano con entusiasmo alla professione in un momento particolarmente difficile dal punto di vista occupazionale”.

La Fnsi ha finalmente votato ed eletto il successore di Santo Della Volpe e il Sindacato cronisti romani saluta in Giuseppe Giulietti l’uomo degno di prenderne il testimone. Giulietti, da sindacalista prima, poi da parlamentare e infine da portavoce di Articolo 21, è sempre stato accanto a noi in tutti questi anni nelle battaglie in difesa della libertà d’informazione e della qualità del nostro lavoro. Mai ci ha fatto dubitare della sua indipendenza.

Il percorso difficile che ha portato alla sua elezione non deve essere dimenticato. Non vanno dimenticate le pagine meno edificanti, le contrapposizioni fuori le righe, il sabotaggio di un Consiglio nazionale per mettere all’angolo chi legittimamente non si riconosceva nel candidato alla presidenza. Ogni dissenso, se costruttivo e leale, è una risorsa, certo molto di più di un consenso acritico. E una decisione difficile è spesso più proficua di un’intesa unanime.

C’è la novità di una scelta fuori dalle correnti, e solo in nome del prestigio personale. C’è l’opportunità di una riflessione all’interno del sindacato, a cominciare dai suoi malesseri, che può ridare credibilità al ruolo della Fnsi. C’è la consapevolezza della necessità di difendere i più deboli nella professione: i precari, i collaboratori sfruttati, i cronisti minacciati. Il Sindacato cronisti romani non si è mai mosso da questa difficile linea tracciata, e riconosce in Giulietti il coerente compagno di viaggio”.

“Giulietti eletto presidente #Fnsi. Scelta importante. Autorevole. Fnsi trova la sua strada in un tempo complicato con bella fatica democratica”. Sono i complimenti al neo presidente della Federazione nazionale della stampa che arrivano via Twitter da Franco Siddi, oggi consigliere di amministrazione Rai, in passato ai vertici del sindacato dei giornalisti.

IL SACRO CONVENTO

“Siamo molto felici dell’importante traguardo raggiunto da Beppe Giulietti. Uomo di buon servizio, da sempre vicino agli ultimi, ai bisognosi per un’informazione lontana da qualsiasi malvagità o paura. Con lui abbiamo intrapreso cammini importanti come l’iniziativa “Illuminare le periferie del mondo”. Facciamo a Beppe sinceri auguri di buon lavoro che porterà avanti sicuramente con la passione e la determinazione di sempre”.   Questa la nota della Sala Stampa dei frati della Basilica di san Francesco d’Assisi. Giulietti è tra i protagonisti della nascita della rete “illuminare le periferie del mondo” che si propone l’obiettivo di far uscire dall’oscuramento mediatico temi, persone e periferie dimenticate o cancellate. Un’iniziativa nata durante l’ultima marcia Perugia Assisi e condivisa da Rivista San Francesco, Articolo 21, Tavola della pace e tutte le associazioni dei giornalisti italiani. Il prossimo 18 dicembre prenderà il via il nuovo portale www.illuminareleperiferie.it che riunirà insieme decine e decine di associazioni unite dal desiderio di provare a portare la luce, laddove prevale il buio della disperazione, delle povertà, delle guerre e del terrore.

LA VOCE STONATA

“Nell’assumere la presidenza della Federazione Nazionale della Stampa, l’ex deputato trombato Giulietti non trova di meglio che rinnovare luoghi comuni critici nei confronti dell’ottima legge Gasparri, che ha aumentato l’offerta televisiva e garantito maggiore pluralismo. Giulietti si rimangi le fesserie che va enunciando. E si renda conto che la Federazione della Stampa ha atteso quarantotto ore prima di deprecare le aggressioni fatte da Renzi alla Leopolda, dove, nel silenzio della Federazione, sono stati messi ai voti i giornali più sgraditi alla Presidenza del Consiglio. La Federazione della Stampa ha atteso quarantotto ore prima di emettere una blanda nota di critica. Giulietti è il degno presidente di un’accolita così scadente. Studi quello che non sa e conti fino a cinquecento, se è in grado di farlo, prima di parlare”. Lo dichiara il senatore di Forza Italia Enzo Fasano.

Vale la pena mettercela questa nota stonata. Perché indica che  davvero si è sulla strada giusta!

17 dicembre 2015

 
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Il 1945, come 'La scuola di Atene' da cinecittànews

Post n°12852 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da Ladridicinema
 
Tag: news

Ang15/12/2015
"Nella storia del divenire dell’Umanità, ci sono passaggi strani, spesso importanti e memorabili. In essi, contemporaneamente, prende un senso ciò che era avvenuto prima e si forma quello che succederà dopo. Sono 'attimi' magici, perché rompono la banale catena causale e temporale che tanto amiamo, rivelando la profondità della Storia"

Con queste parole si apre 1945. L’anno che non c’è, film doc di Beppe Attene, prodotto da Istituto Luce Cinecittà(con immagini di repertorio dell'Archivio Luce)  che racconta un momento storico particolare e memorabile, a 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dalla Liberazione dell’Italia, e a 70 anni dalla nascita di un nuovo Paese. I testi, letti dalle voci intense di Massimo Ranieri e Ludovica Sistopaoli,  ci aiutano a rileggere i termini-chiave della nostra Storia recente, attraverso le parole di alcuni suoi imprescindibili protagonisti: politici, intellettuali, militari, combattenti, ma anche gente comune. Ma in generale, molti sono gli autori che aiutano, con le loro riflessioni, a comprenderne il significato, e non necessariamente provengono dallo scorso secolo. Nel film gli spunti arrivano da molti pensatori illustri: da Giano Accame a Corrado Alvaro, Jean Améry, Armando Amprino, Tina Anselmi, passando per Winston Churchill, Vittorio Foa, Giovanni Gentile, Giacomo Leopardi, Primo Levi eAlberto Moravia, solo per citarne alcuni. 

Che cosa davvero è stato il 1945 per chi lo ha vissuto? Con la guerra formalmente terminata ma ancora mille difficoltà da affrontare e gestire? Quali  i dubbi di chi, pur trovandosi sul carro dei vincitori,  doveva ricostruire un paese diviso a metà, e di chi invece improvvisamente si era trovato dalla parte dei vinti senza aver avuto nemmeno il tempo di capirne il motivo ? E che cosa di quell’anno è rimasto nella realtà moderna, come la condiziona?     

“Quando penso al 1945 – spiega Attene –  cosa che ho fatto spesso in  questi ultimi mesi, lo immagino come“La scuola di Atene” di Raffaello. Filosofi e pensatori che hanno fondato il nostro mondo, conversano e si guardano indifferenti al fatto che spesso li separano diversi secoli… Così mi appare anche quell’anno cruciale. Un momento in cui i fattori e i valori su cui (nel bene e nel male) si basa anche l’Italia attuale stanno tutti in campo, contemporaneamente. Al centro giganteggia, nelle parole di Salvatore Satta, la morte della Patria che in quel momento nessuno sembra voler rappresentare. Attorno gli esseri umani, i soldati, le donne, gli operai, i fascisti, i partigiani: tutti con un ideale provvisorio, immediato ma mai volgare. Destinato spesso ad essere sconfitto o deluso, ma mai degno di disprezzo. Per questo ho scelto di non avere un testo originale, mio. Ho preferito (e difendo questa scelta) un gran numero di testi, spesso di grandi intellettuali e altrettanto spesso di persone comuni. A tutti ho chiesto di rappresentare un frammento di quell’affresco che ancora ci parla.  Nella Storia nulla va perduto, come nella vita. Ma il ricordo, come la dimenticanza, deforma spesso le cose che prendono sapori falsati e falsanti. Gli uomini stupiscono di quel che appare improvvisamente come nuovo e non prevedibile. I fatti drammatici e impietosi degli ultimi mesi, con l’attonito imbarazzo o le reazioni strumentali che li accolgono, sono la ennesima dimostrazione di questo. Nel film non ci sono né ipotesi storiografiche né rivelazioni clamorose. La speranza è che l’unione di brevi testi, tutti considerati importanti, e immagini tratte dall’Archivio Luce possa far balzare nel cuore dello spettatore una inaspettata evidenza. Se, tra i tanti temi proposti, anche uno solo parlasse ancor oggi a chi guarda il film ed egli dicesse “Ah, ecco” riconoscendosi in quel passato che non è mai morto e vi trovasse delle radici credute perse, ci sarebbe già da essere contenti ed anche un poco orgogliosi”.   

Il film viene presentato alla Casa del Cinema di Roma da Giuliano Amato, presidente del Consiglio dei ministri dal 1992 al 1993 e dal 2000 al 2001.    

 
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Giulio Ricciarelli: "Processo ad Auschwitz"

Post n°12851 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da Ladridicinema
 
Tag: news

Cristiana Paternò17/12/2015
Arriva in sala il 14 gennaio con Good Films Il labirinto del silenzio, che ricostruisce l'inchiesta che portà al processo di Francoforte contro i crimini delle SS
Un giovane pubblico ministero nella Germania del 1958, quella della rinascita e del miracolo economico, un paese che vuole chiudere gli occhi sul passato e superare l’umiliazione della sconfitta, riapre il caso Auschwitz, deciso a portare in tribunale con l'accusa di omicidio quei criminali che molti, il cancelliere Konrad Adenauer per primo, vorrebbero lasciare indisturbati nei loro nuovi commerci e affari per "guardare avanti". Un personaggio di fantasia, questo Johann Radmann, protagonista de Il labirinto del silenzio di Giulio Ricciarelli, dietro il quale c'è una figura storica reale, quella del pubblico ministero generale Fritz Bauer (nel film lo interpreta Gert Voss, grande attore tedesco scomparso nel 2014). Bauer era un giurista di origine ebraica che dedicò tutta la sua vita a perseguire gli assassini nazisti e che fu coinvolto anche nella cattura di Eichmann da parte del Mossad (mentre il dottor Mengele viveva indisturbato in Sudamerica dove morì annegato). 

Il processo di Francoforte, che sarà alla fine celebrato nel 1963, portò in aula 211 testimoni sopravvissuti alle atrocità del campo di sterminio e 19 imputati, tutti membri delle SS con diversi gradi: 17 di loro vennero condannati, ma soprattutto le nuove generazioni conobbero finalmente ciò che era realmente accaduto nei lager che molti consideravano “campi di protezione”, quasi tutti poi aderivano alla giustificazione per cui i soldati avevano solo obbedito agli ordini. 

A parlarci di questa vicenda di cruciale importanza storica per la Germania è un'opera che in Italia uscirà il 14 gennaio con la Good Films, proprio in contemporanea con l’annuncio delle candidature all’Oscar. Il labirinto del silenzio infatti è stato scelto per rappresentare la Germania nella categoria del miglior film straniero. Una scelta che ha fatto notizia, sia per i temi trattati, ancora fortemente urticanti per l’opinione pubblica tedesca, sia perché a dirigerlo c’è un italiano, sia pure cresciuto in Germania dall’età di 4 anni, come Giulio Ricciarelli. Attore, produttore, autore di cortometraggi (uno dei quali, Vincent, molto premiato) qui alla sua opera prima, ha scritto il film insieme all’austriaca Elisabeth Bartel, mentre nel ruolo del protagonista, il giovane pubblico ministero Johann Radmann c’è Alexander Fehling, attore famoso in patria che abbiamo visto anche in Bastardi senza gloria di Tarantino.

Sorprende vedere che i tedeschi, negli anni ’50, non sapevano neppure cosa fosse Auschwitz. 

È proprio così. E oggi è la storia del processo di Francoforte ad essere sconosciuta tranne che agli storici. Lo era anche per me, che sono cresciuto in Germania. Il film racconta proprio questo cambiamento di prospettiva: per questo abbiamo scelto un giovane protagonista, ignaro di tutto e non coinvolto. E per questo Fritz Bauer, dall'alto del suo incarico politico, aveva affidato il caso a pubblici ministeri molto giovani, che non avevano avuto un coinvolgimento personale nel nazismo. 

Il labirinto del silenzio è un film di finzione, con impianto drammaturgico tradizionale. E tuttavia attinge a materiale storico documentato con grande precisione. 
Ci siamo basati sui documenti della Fondazione Bauer. Nessun dettaglio storico è inventato, molte delle frasi che vengono pronunciate sono esatte parola per parola. Una delle fonti di ispirazione è stata un libro della Fondazione, Nel labirinto della colpa: da lì viene il titolo del film, ma abbiamo evitato il concetto di “colpa” e preferito quello del "tacere", perché era quello che accadeva. 

I tedeschi oggi conoscono Fritz Bauer? 
È un eroe dimenticato, non gli è stata dedicata neanche una via, una piazza e la sua storia non viene insegnata a scuola. Negli anni ‘50 si tentava di dimenticare l'olocausto, oggi si dimentica quanto sia stato complesso e doloroso ricordare, anche se ormai la cultura della memoria è un dato acquisito per noi. 

Il giovane procuratore è ossessionato dalla figura di Mengele e dai suoi terribili esperimenti sui gemelli. Vorrebbe a tutti costi portarlo a processo e arriva a dire che Mengele "è" Auschwitz.

È facile odiare il male assoluto e Mengele lo incarna. Ma è importante capire che tutti quelli che hanno partecipato, che non hanno detto no, sono Auschwitz, come gli dice Fritz Bauer. Del resto il protagonista, che all’inizio ha un atteggiamento di drastica difesa della legge, si trova via via a rendersi conto della complessità del passato. In particolare quando scopre che anche suo padre, che considerava un antifascista, aveva avuto la tessera del partito. Condivido l’atteggiamento di umiltà che mostra nel momento in cui si reca ad Auschwitz di persona e si rende conto di non sapere cosa avrebbe fatto lui stesso. 

Perché è così importante ancora oggi parlare di Auschwitz? 
Perché ognuno nella sua vita presente possa cercare di fare la cosa giusta, di riflettere sul tema dell’azione e della scelta. Quando la Germania ha compiuto questo processo di autoanalisi è rientrata nel consesso dei popoli. 

Il film ha avuto successo nel suo paese, ma non ha temuto neanche per un attimo un effetto di saturazione per i temi dell’Olocausto così spesso rappresentati dal cinema? 

Come dicevo è e resta importante coltivare la memoria. Anche se la colpa è individuale e non si trasmette da una generazione all’altra, la responsabilità rimane. Come tedesco mi sento comunque coinvolto e non posso dire “oggi siamo un popolo diverso e non ce ne frega più niente”. 

Cosa pensa delle tendenze neonaziste che riaffiorano in Germania, del ritorno a Mein Kampf di alcune frange? 
Non si può impedire di leggere Mein Kampf, ma negare l’Olocausto è oggi un reato in Germania. E facciamo di tutto per tenere viva la memoria. 

Nel film lei mostra tutte le difficoltà che Radmann deve superare: l’ostilità, l’ironia, a volte le accuse di essere un traditore. 

Ci furono molte lettere anonime e minacce all’epoca, anche se non si arrivò all'aggressione fisica. Non ho inventato niente, tutto quello che si vede, come dicevo, è storicamente accertato, è un tema troppo delicato. 

E ha avuto contestazioni oggi? 
Mi sarebbe piaciuto, poteva fare notizia, ma il mondo del cinema  e l’estrema destra sono due universi che non comunicano. 

Cosa pensa del romanzo di Timur Vermes Lui è tornato che immagina il risveglio di Hitler nella Berlino contemporanea. 
È un lavoro coraggioso, ma personalmente non potrei mai fare una commedia su Hitler. 

Cosa si aspetta dall’Oscar? Ci spera?
L’Oscar è un mito, ma un film è un film, non c’è una competizione come quando corri i cento metri, quindi provo a non pensarci troppo. Il giorno in cui si decideva che film mandare ero al mare con il telefonino spento. 

 
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Caligari fuori dagli Oscar

Post n°12850 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da Ladridicinema
 
Tag: eventi, news

ssr18/12/2015
Non essere cattivo di Claudio Caligari, il film prodotto daValerio Mastrandrea, non è stato incluso tra le pellicole in corsa per l'Oscar per il migliore film straniero. L'Academy ha annunciato i titoli dei nove film che hanno ottenuto la nomination per la fase finale della corsa all'Oscar come migliore film in lingua originale:Dio esiste e vive a Bruxelles (Belgio) di Jaco Van Dormael; Embrace the Serpent (Colombia) di Ciro Guerra; A War (Danimarca) di Tobias Lindholm The Fencer (Finlandia) di Klaus Haro;Mustang (Francia) di Deniz Gamze Erguven; Labyrinth of Lies (Germania) di Giulio RicciarelliSon of Saul(Ungheria) di Laszlo Nemes; Viva (Irlanda) di Paddy Breathnach e Theeb (Giordania) di Naju Abu Nowar.

''L'impresa era dura" dice Valerio Mastandrea all'Ansa commentando da coproduttore l'esclusione di Non essere cattivo. Non rinuncia all'autoironia e da tifoso romanista prosegue: ''L'impresa era dura specie dopo che l'aveva già fatta lo Spezia all'Olimpico''. Mastandrea che si è impegnato in prima persona per dare visibilità al film all'estero dopo la candidatura italiana conclude: ''Noi continuiamo a giocare in giro per il mondo e per le città d'Italia in spazi meno ufficiali ma dove il cinema di Claudio fa quello che deve fare il cinema: emozionare, parlare, stare insieme''.

''E' stato un grande sogno ma tutti eravamo consapevoli che l'avventura verso gli Oscar era un'impresa difficilissima. Abbiamo sognato, è stato bello, ma il film ha già vinto comunque nell'attenzione in Italia e nell'interesse internazionale'' commenta Paolo Del Brocco, AD di Rai Cinema e coproduttore del film di caligari..''E' un film piccolo piccolo, produttivamente parlando, ma con grande cuore ed è stato circondato dall'affetto. Averlo candidato per l'Italia è stato importante, ha dato grande visibilità a questo lavoro con le proiezioni a Los Angeles e a New York, quanto all' Oscar - conclude - sapevamo di compiere una mission impossible perchè si tratta anche di fare grandi investimenti''. 

 
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I CIELI DI ESCAFLOWNE da http://anime.everyeye.it/articoli/recensione-i-cieli-di-escaflowne-2339.html

Post n°12849 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da Ladridicinema
 

Se c' è un' anime che può mettere d' accordo i fan di Gundam e quelli di Kimagure Orange Road (E' quasi magia Johnny) questo è senza dubbio Tenku no Escaflowne (I cieli di Escaflowne). L'anime(attualmente in replica su mtv ore 18,30 lun- ven��.ma siamo alle ultime puntate!) propone una storia ricca di colpi di scena e che non mancherà di appassionare tutti i fan del genere fantasy�� e non solo. Perché quest'anime rappresenta lo spirito del genere fantasy meglio di ogni altro, riuscendo nel contempo ad attirare gli amanti dell' azione. Epici scontri tra giganteschi Guymelef - mastodontici robot guidati da valorosi piloti - si intrecciano con una storia d' amore veramente ben riuscita.Il tutto sullo sfondo medievaleggiante del pianeta Gaia��

La Storia

La trama vede come protagonista una giovane studentessa liceale Hitomi Kanzaki che, trasportata sul pianeta Gaia grazie ai magici poteri della pietra che porta al collo, si troverà al centro, suo malgrado, di una epica lotta tra il bene e il male. Durante il suo lungo viaggio scoprirà le tante verità che si nascondono nel suo passato e incontrerà molti nuovi amici ( alcuni dei quali piuttosto strani...). In sua compagnia ci saranno Van Fanel, re di Fanelia, discendente dalla stirpe degli uomini drago e Allen Chezard un biondissimo cavaliere con un triste passato . I tre protagonisti, durante le 26 puntate dell' anime tenteranno, in un crescendo di emozioni, di contrastare i pericolosi piani del regno di Zaibach��. La trama, abbastanza lineare, non brilla eccessivamente per originalità - Atlantide è un filone piuttosto inflazionato��oops ho parlato troppo!- ma grazie a delle idee interessanti il risultato globale è più che soddisfacente.

Disegni

I disegni sono chiari e puliti e tutti i personaggi, dai protagonisti all' ultima delle comparse, sono magistralmente animati. L' uso della CG è ridotto al minimo ma ben "amalgamato" con i disegni. I combattimenti tra i Guymelef, grazie anche alla stupende musiche di sottofondo hanno un chè di epico. Unica nota particolare��i nasi. Effettivamente la scelta di disegnare dei nasi così particolari ( collodiani direi�� ) all' inizio può sembrare poco indovinata�� ma poi, considerando il contenuto fantasy della storia, non si può che apprezzare lo sforzo di caratterizzazione dei disegnatori.

Musiche

Una nota particolare merita la colonna sonora che si avvale della collaborazione di Yoko Kanno ( vedi Cowboy Bebop ) e che di per se basterebbe a giustificare l' acquisto dell' anime. I brani spaziano dalle classiche melodie "fiabesche" a riarrangiamenti di musica classica ( c'è addirittura un brano composto dai soli rumori dei Guymelef ) .Tra tutti i brani dell' ost mi preme segnalare the "Dance of Curse"�� ascoltatelo, ogni altra parola è superflua!

 
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Dragon trainer 2

Post n°12848 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da Ladridicinema
 

Locandina Dragon Trainer 2

Nel villaggio di Berk ormai i draghi vivono in totale armonia con gli esseri umani, li aiutano e sono integrati perfettamente in tutte le funzioni del villaggio che è ora diventato prospero grazie a questa amicizia. Nelle sue esplorazioni Hiccup però si imbatte in un gruppo di cacciatori di draghi, scoprendo che esiste un rinnegato che sta radunando un esercito di bestie al suo servizio. Informato della cosa, il villaggio decide di dichiarargli guerra ma Hiccup è determinato a parlargli per convincere anche lui della bontà dei draghi. Nel farlo si imbatterà in un mondo e persone che credeva perdute e che si uniranno a lui nel grande ed inevitabile scontro finale.
Fedele al proprio titolo, Dragon Trainer 2 continua, sulle orme del primo, imbastendo un'altra storia di animalismo e superamento delle diffidenze come allegoria del superamento dei preconcetti verso gli esseri umani. 
Questa volta con molta più enfasi e meno metafora sono infatti apertamente i ragazzi a guadagnare il rispetto (là dove nel primo film erano i draghi nei confronti delle persone e i figli sui padri). Sono i bambini e i più giovani gli unici in grado di salvare tutti e possono farlo proprio in virtù delle qualità precipue di disobbedienza e pensiero autonomo proprie della loro età.
Senza l'apporto fondamentale di Chris Sanders, rimane a dirigere e scrivere (o meglio adattare dalle storie di Cressida Cowell) il solo Dean DeBlois, da sempre sodale del maestro Sanders e con lui co-autore di piccoli capolavori di originalità prodotti tra le maglie del colosso dell'ordinario Disney come Lilo & StitchMulan, nonchè del precedente Dragon Trainer. Il passaggio non è indolore però, Dragon Trainer 2 infatti è decisamente più convenzionale di quanto non fosse il primo (solo fintamente classico e decisamente più audace nelle sue scelte, non ultima la mutilazione del protagonista) ma riesce a centrare tutte le scene madre.
Come se si concentrasse unicamente nello sforzo di realizzare al meglio possibile lo svolgimento più tradizionale questo secondo Dragon Trainer non è un campione di pensiero divergente come i protagonisti che esalta ma più un buon soldato agli ordini del proprio padrone (come i villain che condanna). Esalta, quando gli eroi cavalcano verso la vittoria, e intimorisce nel metterli in difficoltà. Tuttavia, dal precedente film, eredita alcuni personaggi strani e peculiari come gli amici del protagonista ma li rende innocui, ammortizza la portata del fabbro-spalla comica e nella miglior tradizione entro la fine del film riesce ad accoppiare tutti i draghi ad un padrone (una delle più fastidiose leggi della buona forma a cui il cinema contemporaneo ha deciso di obbedire), in perfetto accordo con la legge di La carica dei 101, per la quale ad ogni padrone corrisponde un animale che gli somigli.
Anche la rinnovata presenza di Roger Deakins come consulente visivo, solo a tratti, sembra in grado di fare la differenza. Il geniale direttore della fotografia dei fratelli Coen (probabilmente il migliore in attività oggi ad Hollywood) aveva contribuito a dare a molti punti del primo film un impatto estetico solitamente sconosciuto all'animazione, sfruttando il bello per ottenere il sentimentale. In questo film accade (e a tratti) solo il primo effetto, tra le nuvole e nel fumo Dragon Trainer 2 conquista più di un'immagine affascinante (e debitrice a Miyazaki specie nella comparsa del nuovo personaggio), ma non c'è nessun lavoro di sponda con gli eventi o i personaggi. Bello e fine a se stesso.

 
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Le meraviglie

Post n°12847 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da Ladridicinema
 

Locandina Le meraviglie

Gelsomina è un'adolescente introversa che vive nella campagna umbra con i genitori e le sorelline. Primogenita tutelare e solerte nelle faccende familiari, Gelsomina è inquieta e vorrebbe andare via, scoprire il mondo che comincia dopo il suo casale. A trattenerla è un padre esclusivo e operaio, alla maniera delle sue api, che guarda a lei ancora come a una bambina. La loro routine, scandita dalle stagioni e dall'impollinazione delle api mellifere, è interrotta dalla presenza di una troupe televisiva e dall'arrivo di Martin, un ragazzino con precedenti penali che deve seguire un programma di reinserimento. L'esoticità di una conduttrice tv e di un adolescente senza parole impatteranno la vita di Gelsomina e della sua famiglia, promettendo ciascuno a suo modo 'meraviglie'. L'estate intanto sta finendo e una nuova stagione è alle porte.
Truffaut diceva che "l'adolescenza lascia un buon ricordo solo agli adulti che hanno una pessima memoria" ma quella di Gelsomina sembra essere una stagione felice, condivisa con la natura e una famiglia anarchica che parla italiano, tedesco e francese. Figlia di Wolfgang e di Angelica, la giovane protagonista di Alice Rohrwacher, conferma il coinvolgimento della regista per quell'età delicata di cui coglie ancora una volta la gravità rispetto alla futilità della vita adulta. Perché l'adolescenza porta con sé la scoperta dell'ingiustizia, dell'impunità dell'adulto, a cui tutto è permesso, anche un cammello in giardino. Di contro, una ragazzina che rovescia il miele nel tentativo di rendersi utile, crede di aver commesso un delitto, di aver deluso il padre, referente mitizzato e maschile dei suoi pochi anni. Ma l'ora del distacco suona e arriva con Martin, un piccolo amico che le corrisponde e che la corrisponderà. 
Delicato e sensibile, lo sguardo di Alice Rohrwacher si infila in quella relazione, realizzando una nuova cronaca dell'adolescenza dopo quella di Marta, corpo celeste dentro un paesaggio urbano depresso e fanaticamente osservante. Il talento dell'autrice, rivelato nel suo primo lungometraggio e negli interstizi di una Calabria miserabile e bigotta che simulava interesse per la formazione spirituale dei sui figli, si riconferma ne Le meraviglie e dentro un paesaggio rurale che esalta la sua vocazione documentaristica. 
Attraverso gli occhi di Gelsomina contempliamo una comunità 'dissidente' che si è ritirata in una dimensione bucolica, dove produce miele, insaccati, marmellate, salse di pomodoro e prova a resistere al mondo fuori. Un mondo che prende la parola e il microfono per mezzo della televisione regionale e naïf, dei suoi concorsi a premi, le coreografie rudimentali, le melodie stupide, le promesse di fare meraviglie per la gente del luogo. Ma la vera meraviglia è assicurata dalle api di Wolfgang e dischiusa dalla bocca acerba di Gelsomina, che ha il nome di un fiore e come un fiore è richiamo per le api. 
Indeciso nella prima parte sulla strada da percorrere, Le meraviglie è intuito e afferrato dagli sguardi di Alexandra Lungu e Sam Louwyck, figlia e padre riconciliati in un campo e controcampo che rinnamora e annulla la distanza. Ramingo sulla natura e sugli ambienti, il film aderisce progressivamente al personaggio centrale, Gelsomina, ormai aliena alla sua 'comunità' e pronta a salpare per l'isola che c'è e ha il volto di Martin e di una nuova età. Wolfgang, preferendo finalmente farsi amare che temere, la 'reintegra' in seno alla famiglia, ammirando la giovane donna che è diventata dentro una notte chiara. Per loro è il tempo della comprensione, è il conseguimento della complementarietà: Gelsomina è uguale a suo padre, Gelsomina è diversa da suo padre. È un corpo che spinge alla vita ma spinge a suo modo. A papà non resta che guardarne la bellezza, accettando la legge irreversibile delle stagioni.

 
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The president's staff da badmovie

Post n°12846 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da Ladridicinema
 

“Perché ci vogliono uccidere?”

Difficile dare una risposta semplice ed esaustiva a un bambino di cinque anni che fa una domanda del genere. Ancora più difficile se a farla è tuo nipote, in fuga come te dai rivoltosi che hanno rovesciato il regime dittatoriale da te guidato per decenni. La storia che si propone di raccontare The President, film d’apertura della sezione Orizzonti del 71esimo Festival di Venezia, è facile da riassumere: in un paese caucasico non meglio identificato, il sanguinario presidente Dachi vede crollare il proprio regime. Messa in salvo la famiglia e non rassegnatosi all’ormai imminente fine, decide di restare nel paese assieme al nipotino di cinque anni, che porta il suo nome ma differisce da lui in tutto e per tutto.

La fuga per la sopravvivenza porterà entrambi a intraprendere un percorso sempre più impervio, al termine del quale intuiamo esserci solo la morte o la salvezza. E gli spettatori alternano momenti di rancore nei confronti del mostro implacabile dipinto dai rivoluzionari e un sincero moto di solidarietà per il vecchio in fuga, che fa di tutto per proteggere il nipotino. Tanto più che il manicheismo iniziale viene smentito in breve dalle atrocità compiute a loro volta dai rivoltosi, che si dimostrano all’altezza del loro predecessore, perché la violenza genera sempre altra violenza.

The President non è un film impeccabile, sia chiaro: si lascia spesso andare a soluzioni narrative convenzionali, impregnando la seconda parte del film di sentimentalismo non sempre all’altezza della parabola che si propone di raccontare. Eppure, al di là delle sbavature dovute indubbiamente all’intenso coinvolgimento emotivo del regista Mohsen Makhmalbaf nel raccontare una vicenda che è emblematica della situazione di tanti paesi vessati da un regime oscurantista – tra cui l’Iran, non si può negare l’efficacia del duo di protagonisti: se Misha Gomiashvili riesce a costruire l’appassionato e appassionante ritratto di un ex Dio caduto nell’inferno che egli stesso aveva creato per il suo popolo, il giovanissimo Dachi Orvelashvili ne è un tenero contraltare di innocenza e lealtà incrollabile, sebbene messo costantemente di fronte agli orrori scaturiti dalla dittatura del nonno. Così, attraverso gli occhi del piccolo Dachi, che nell’ex dittatore vede solo il burbero nonno che si lascia andare via via sempre a momenti di tenerezza sempre più autentici, anche il pubblico ha la possibilità di cambiare prospettiva.

Per concludere, il valore di un film come The President sta soprattutto nel coraggio del proprio messaggio finale: messaggio che potrebbe sembrare buonista, ma che assume una statura che riecheggia quella del Pianista polanskiano, che seppellisce il rancore per rimboccarsi le maniche e seminare il germe del perdono e della speranza.

 
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L'arcano incantatore da http://splattercontainer.com/recensioni-film/9584-l-arcano-incantatore-recensione-film.html

Post n°12845 pubblicato il 18 Dicembre 2015 da Ladridicinema
 

Giovanni Vigetti è un giovane seminarista che deve sfuggire alla Chiesa da cui è inseguito per i suoi crimini (aver costretto la sua amante ad abortire), viene salvato dal diavolo che lo manda in una specie di castello situato nell'Appennino tosco-emiliano a far compagnia ad un vecchio eremita scomunicato di nome Achille Ropa Sanuti, dal momento che l'assistente di questi, un presunto satanista, è morto. Il giovane e l'anziano diventano grandi amici. Giovanni aiuta Achille nelle sue ricerche esoteriche e pratiche occulte, ma nel paese comincia a girare la voce secondo cui, il defunto aiutante dell'anziano stia per risorgere dalla tomba. Il giovane comunica ciò ad Achille che non da alcun peso alla cosa .. Anche qui, come in tutti i film thriller/horror di Pupi Avati, si parla di resurrezione, avvenuta solo parzialmente in Zeder, mancata ne La Casa dalle Finestre che ridono, e.. No, non posso fare spoiler alla mia prima recensione, anche perché non è mica semplice spiegare ciò che accade nell'ultima mezzora di questa pellicola! Non è però giusto definire L'Arcano Incantatore un semplice film dell'orrore o giallo all'italiana, con questo film si può parlare di neogotico italiano. Infatti già dai titoli di testa, si respira un grande classicismo, sia nelle musiche che nei caratteri utilizzati. Avati fa un lavoro molto simile a quello svolto da Herzog nel suo Nosferatu, film che riprese alcuni aspetti dell'espressionismo tedesco e li riadattò al colore e agli esterni. Così Avati riprende le atmosfere del primo cinema di paura italiano, e sfruttando il colore e le nuove tecniche fa qualcosa di mai visto prima, e forse neppure dopo. Ma le analogie col gotico influiscono sulla trama fino a un certo punto, dal momento che ad Avati non interessava raccontare le avventure macabre di qualche scrittore inglese o professore russo, personaggi molto presenti nei film di Mario Bava e Antonio Margheriti, capostipiti del cinema gotico. Avati preferisce ambientare la sua vicenda nell'Italia del 700, tra inquisizione, satanismo, paganesimo e magia. Il film è imperniato di un sottile anticlericalismo, nulla a che vedere con la sbandierata propaganda de Il Codice Da Vinci. Pupi Avati si limita ad evidenziare qualche dettaglio sgradevole del comportamento degli uomini di Chiesa, dandoci la sua visione di essi, e se vogliamo dell'Italia intera, l'Italia bigotta, ma allo stesso tempo pagana. Interessante anche la reazione del protagonista, interpretato da uno Stefano Dionisi alla sua migliore interpretazione (forse perché la meglio diretta, non amo particolarmente quest'attore) che continua per tutto il film a temere il diavolo, nonostante abbia avuto contatti con esso. Devo avvertire che si tratta di un film molto lento nella prima parte, costruito sull'atmosfera, che conserva tutta la tensione per il finale, dove si dipana l'intrigo giallo (chi è abituato ai thriller moderni non mi crederà, ma garantisco che tutto viene chiarito senza spiegone alcuno!). Molti non saranno d'accordo, ma credo sia il migliore tra i film di Avati citati in questa recensione e uno dei più bei film d'orrore del bel paese. Una pellicola in costume realizzata benissimo, che venne ingiustamente ignorata dal pubblico e stroncata dalla critica, l'ennesima convalida di come questi fattori siano deboli e ingiusti rispetto al seppur crudele filtro del tempo (va precisato che ai critici italiani dell'epoca non andava mai bene niente, geniali autori come Argento, Fulci e Soavi venivano regolarmente sminuiti).

 
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