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Monicelli, senza cultura in Italia...
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Messaggi del 06/11/2017
Post n°14084 pubblicato il 06 Novembre 2017 da Ladridicinema
È Variety a rivelare la notizia: la Warner Bros. Television e gli eredi di J.R.R. Tolkien sono in trattative con Amazon Studios per sviluppare un nuovo adattamento della trilogia del Signore degli Anelli sotto forma di serie tv. Secondo quanto riporta il sito, lo stesso CEO di Amazon Jeff Bezos sarebbe personalmente coinvolto nelle trattative, che sono appena iniziate: nessun accordo è stato raggiunto, e non è detto che venga raggiunto. A quanto pare, però, Warner e Tolkien Estate starebbero cercando già da qualche tempo uno studio per produrre una serie tratta dai romanzi di Tolkien, e il coinvolgimento di Bezos in queste trattative dimostrerebbe il grande interessamento di Amazon nel progetto. Ricordiamo infatti che qualche tempo fa lo stesso Bezos aveva rivelato di voler spingere la produzione di Amazon Studios verso i blockbuster, dopo una prima fase più indie e di nicchia. L’Hollywood Reporter aggiunge alla notizia che al momento un accordo è abbastanza lontano, e che le trattative sono focalizzate su eventuali problemi di diritti con la Tolkien Estate, prima ancora che la ricerca di un possibile sceneggiatore. Warner Bros. e Tolkien Estate a luglio avevano raggiunto un accordo per chiudere bonariamente una causa colossale avviata nel 2012 e che vedeva le due parti contrapposte (gli eredi di Tolkien erano affiancati dall’editore HarperCollins) dopo che la Warner aveva utilizzato i personaggi creati da Tolkien in slot machine online e altri giochi. Chiusa questa importante controversia, evidentemente, le due parti hanno deciso di intraprendere una nuova fase nello sfruttamento delle proprietà intellettuali ideate da Tolkien. Vi terremo aggiornati!
Post n°14083 pubblicato il 06 Novembre 2017 da Ladridicinema
Il terzo segreto di satira dimentica YouTube e si adatta al cinema: piacevole, solida, pensante, un'ironica commedia a sfondo sociale L’eccezione che (non) invalida la regola. Abbiamo detto, cattivi ultimi i The Jackal con l’esordio Addio fottuti musi verdi, che gli youtuber al cinema devono essere vietati per legge, eppure, dobbiamo parzialmente ricrederci. Il terzo segreto di satira sbarca sul grande schermo, e non è una cattiva notizia: Si muore tutti democristiani non delude. Per due motivi fondamentali: già i loro video hanno un minimo di drammaturgia, un tot di ariosità narrativa, poi, ed è il punto saliente, questo è un film-film, ovvero ha una sceneggiatura, vergata dal collettivo con l’esperto Ugo Chiti. Nel senso, non dobbiamo ricrederci noi, si son ricreduti loro: il cinema è altra cosa, e bisogna fare un’altra cosa, non esportare i clippini e suturare col montaggio. Di che parla? Con più di qualche spunto autobiografico, di tre videomaker (Marco Ripoldi, Massimiliano Loizzi e Walter Leonardi) che realizzano documentari a tema sociale. Faticosamente, provano ad arrivare a fine mese, finché non si palesa l’occasione per svoltare o giù di lì: un doc per l’onlus giudiziariamente chiacchierata Africando, che varrebbe un bel 150k. Che fare? Non c’entra Lenin, ma l’etica del lavoro sì: “Meglio fare cose pulite con i soldi sporchi o cose sporche con soldi puliti?”. Il basso continuo è l’ironia, ironia, ehm, sociale: quello che ha sposato la pargola di un mobiliere, quello che si dibatte sulla liceità morale, quello che doveva andare al G8, ma si imboscò a La Spezia a fare il bagno. E, ancora, i sindacati che vorrebbero uno spot per il Primo Maggio innovativo, ma le coppie gay con figli anche no; e, ancora, incubi di matrice bergmaniana-kafkiana, innescati dall’acquisto di un bell’ombrello; e, ancora, la vita da coinquilini, con il subaffitto annesso e la maturità non concessa. Illustri cammei, da Paolo Rossi a Peter Gomez e Lilli Gruber, partecipazioni speciali, da Valentina Lodovini a Francesco Mandelli, Si muore tutti democristiani ha sprezzature arbasiniane, leggerezza Millennial e retrogusto da commedia all’italiana riveduta e scorretta. Ma non troppo. Promossi. Soprattutto, per i momenti marginali, le interpunzioni: “Oh, una mucca” intravista sulla strada del G8, le parole dopo il sesso con la ex, il sushi per tornare dalla moglie. Sì, sono gli interstizi a dare nell’occhio.
Post n°14082 pubblicato il 06 Novembre 2017 da Ladridicinema
Dieci anni fa, il 6 novembre 2007, moriva Enzo Biagi uno dei più grandi giornalisti italiani, sicuramente il più importante nella storia della televisione, l’inventore con Dicono di Lei (1965) del faccia a faccia televisivo e non solo. “Diamo la parola a chi ha qualcosa da dire”, ribadiva continuamente in redazione. Non c’è stato nessuno che negli anni abbia rinnovato, attraverso i programmi, il linguaggio della tv a cominciare dal suo Telegiornale del 1961, quando portò in tv due amici, due grandi giornalisti: Indro Montanelli che parlò, per la prima volta, di Trockij e Stalin, tabù per l’epoca; Giorgio Bocca, la sua prima inchiesta fu sui preti proprietari terrieri. Inventore del primo rotocalco televisivo Rt, 1962, da cui nacque Tv7; quante trasmissioni di approfondimento giornalistico hanno preso spunto da Linea diretta del 1985, alcune stanno andando in onda e con grande successo; ultimo il Fatto di Enzo Biagi: prima edizione 1995. Che straordinaria stagione per la Rai e per i telespettatori fu quella del 1985: in seconda serata su Rai1 Enzo Biagi con Linea diretta, più o meno alla stessa ora su Rai2 un altro programma che fece la storia della tv: Quelli della notte di Renzo Arbore. Ascolti in parità: trenta per cento di share con due milioni di telespettatori ognuno. I critici scrissero che le due trasmissioni avevano “operato un clamoroso cambiamento nelle abitudini, incrementando l’ascolto nella fascia oraria dalle ventitré a oltre la mezzanotte”. L’ascolto complessivo della Rai in seconda serata era passato dal trentotto per cento a oltre il sessanta. La trasmissione di Biagi aveva segnato un record: la più alta percentuale di laureati che si sia mai registrata per un programma tv. A proposito del faccia a faccia alcune interviste di Biagi, indimenticabili, hanno fatto la storia del giornalismo: da Sindona a Buscetta; da Margaret Thatcher a Gheddafi, da Malcom X a Rudolph Giuliani, il Procuratore di ferro di New York; dal suo amico presidente Sandro Pertini al segretario del Pci Enrico Berlinguer; poi Pierpaolo Pasolini, Patrizio Peci, Cassius Clay; da Primo Levi a Nilde Iotti che racconta la sua vita al fianco del segretario del Pci Palmiro Togliatti; i suoi amici attori: Mastroianni e Tognazzi, il regista Federico Fellini che Biagi considerava quasi un genio, quando glielo disse, lui rispose: “Per favore: togli il quasi”; la Regina di maggio Maria José di Savoia, che avrebbe voluto andare in montagna con i partigiani; l’amico partigiano Carlo Azeglio Ciampi alla vigilia della nomina a presidente della Repubblica; poi il cardinal Martini, che se avesse dovuto scegliere un confessore laico avrebbe scelto il grande giornalista: lo dichiarò pubblicamente; Roberto Saviano, la prima intervista dopo l’editto bulgaro in occasione della fine del suo esilio dalla Rai durato ben cinque anni: l’intervista che lanciò definitivamente il giovane scrittore napoletano; Dario Fo, Tina Anselmi; la prima intervista, rimasta storica, all’imprenditore Silvio Berlusconi, quando Biagi gli fece la battuta: “Cavaliere, mi scusi, se lei avesse un puntino di tette farebbe anche l’annunciatrice”: entrata nell’enciclopedia Treccani; il poeta Eugenio Montale, Alì Agca, l’attentatore alla vita di Giovanni Paolo II, Giovanni Falcone e Giuseppe Fava intervistato tre giorni prima di essere ammazzato dalla mafia, comprese le interviste ai boss di Cosa nostra Luciano Liggio e della Nuova camorra organizzata Raffaele Cutolo; l’unica intervista televisiva del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e tante altre ancora. Di lui Ezio Raimondi scrisse: “Anche Biagi, come tutti i grandi giornalisti, è stato a modo suo diviso tra lo spirito del nomade e quello del pellegrino, ma senza dimenticare le sue radici, tanto che alla fine sembra quasi che l’insieme naturale abbia trovato posto nell’interno della storia”. Era nato in un paese dell’Appennino Tosco-Emiliano, Pianaccio (Lizzano in Belvedere) tra Bologna e Pistoia: lì iniziò la sua storia e lì, dieci anni fa si concluse. Le sue radici lo hanno accompagnato per tutta la vita: era un montanaro schietto, leale, generoso, pacato e esigentissimo, con la schiena sempre dritta. Su quei monti per quattordici mesi fu partigiano nella brigata Giustizia e Libertà, e partigiano lo fu per tutta la vita, anche come giornalista, diceva: “Bisogna avere un punto di vista altrimenti una storia non la si può raccontare”. Per tutta la vita ha avuto un unico padrone: in tv il telespettatore, nel giornale il lettore. Sempre controcorrente come accadde con il caso Tortora quando scrisse: “E se fosse innocente?”. Nel corso della lunga carriera Biagi fu definito dal pubblico: “affidabile”, “serio”, “professionale”, “obiettivo”, “freddo”, “severo”, “dotato della inesorabilità del giusto”. Un’indagine tra i telespettatori del Servizio opinioni della Rai rilevò che per il cinquantacinque per cento Biagi “è un vero giornalista”, per il cinquantaquattro “un uomo comune”, per il settantanove “affidabile e obiettivo”, per il cinquantotto “dolce” e per tutti gli intervistati “insostituibile”. I giornali stranieri più volte scrissero di lui: Newsweek: “Quando un uomo dai capelli grigi e con gli occhiali è apparso sui teleschermi, è stato per l’Italia un momento storico: egli cercava di fare del giornalismo obiettivo”; Libération: “La sua franchezza e la brutalità delle sue domande rivoluzionano la politica dell’informazione italiana”; Financial Time: “Qualche cosa di totalmente fuori dal comune sta succedendo nel mondo della televisione italiana”; Variety: “La campana di vetro sotto la quale la Rai ha sempre tenuto protette le informazioni si è infranta”. La lunga carriera è stata caratterizzata da grandi successi e storici licenziamenti: Epoca, il Resto del Carlino, la Rai. “Noi abbiamo amici ma la nostra trasmissione non è amica di nessuno”. “Il nostro programma è anti governativo a prescindere dal colore dell’esecutivo”. Ripeteva continuamente Biagi in redazione. Per noi, che abbiamo avuto la grande fortuna e l’onore di lavorare con lui, queste frasi sono diventate codici di comportamento, imprescindibili. Sono trascorsi quindici anni dalla chiusura, per un editto bulgaro, della trasmissione che una giuria, composta da tutti i critici televisivi, premiò come il miglior programma dei primi Cinquant’anni della Rai: Il Fatto di Enzo Biagi. Biagi, che nel 2002 contribuì alla nascita della nostra associazione Articolo21, tornò in Rai dall’esilio il 22 aprile 2007, qualche mese prima della sua scomparsa, riproponendo il titolo della sua prima trasmissione: Rt-Rotocalco televisivo. Altri vinsero battaglie, lui la guerra. Questa sera su Rai3 dopo Report, Speciale “Enzo Biagi Testimone del tempo” di Loris Mazzetti
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Inviato da: Mr.Loto
il 28/03/2022 alle 11:57
Inviato da: Mr.Loto
il 15/10/2020 alle 16:34
Inviato da: RavvedutiIn2
il 13/11/2019 alle 16:33
Inviato da: surfinia60
il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45