Creato da vignetorosso il 08/04/2007

LA PROVINCIA

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'O cafon e 'o pacchian!!!

Post n°20 pubblicato il 09 Maggio 2007 da vignetorosso
 

Nasce un nuovo post, ancora una volta su una tematica che mi ha trovato coinvolto sullo splendido blog dell’amico nonsolonero(consiglio a tutti di visitarlo).
Motivo del contendere quella figura insulsa e rozza del “cafone”, nonché, anzi soprattutto, l’etimo del termine di cui prima, sul quale generazioni di linguisti si sono affannati.
Io sono un vorace seguace dell’avvocato renato de falco, il miglior linguista napoletano vivente, il migliore a mio avviso anche in assoluto, ed è anche dai suoi scritti che prendo spunto, e non solo, per questo post. consiglio a tutti la lettura dell’ ”alfabeto napoletano”, un compendio senza compendio(!).
Una nota prima di cominciare: la metodologia che ho intenzione di usare per spiegare cosa è un cafone da fastidio a me per primo, essendo comparativa per antitesi(o quasi); un metodo caro a tanti sabotatori di cervelli, prima di tutto romana chiesa che spiega il bene in funzione del male, e/o viceversa, pessimo artificio. Qualcuno che mi è caro diceva che non bisogna ignorare la chiesa, ma combatterla. Nulla fu mai più saggio.

Ma mi perdo come al solito…allora…

Cos’è un “cafone” e in cosa differisce da un “pacchiano”.
Errore marchiano anzitutto considerarli sinonimi.
E direi, a mio avviso di evitare tutte quelle discendenze del termine cafone (ma anche pacchiano), dal fatto che questi utilizzassero una fune;
“ca fune”… perchè i cafoni usassero la fune per tener su i pantaloni, che la tenessero tutti legati in vita per non perdersi reciprocamente nella vastità cittadina, fino al fatto che la usassero per scendere dalle colline dell’entroterra verso la città(antesignani della funicolare!), li dove il pacchiano aveva vita facile perché provenendo dalla pianura(pomigliano, marigliano, etc.) raggiungeva più agevolmente la città venendo “pa chiana”.
Tutte queste “etimologie” puzzano troppo e per due ragioni: primo perché pongono in continua antitesi citta-entroterra, a mo di presa di distanza da parte dei cittadini; in secondo luogo perché somigliano troppo a quelle assurde derivazioni linguistiche, quegli etimi capovolti cari agli scolastici medievali secondo cui il cane è tale perché non canta(canis a non canendo) e il bosco perché non riluce(lucus a non lucendo).

Il cafone, nel senso comune, è l’individuo rozzo, volgare, dall’eloquio sgraziato e dai toni alti, zotico e volgare, che lo rende detestabile e antipatico.

Il pacchiano invece, che condivide col primo(ma che in maggior misura esprime) l’origine agreste e provinciale, è il contadino per eccellenza, paesanotto, quello cà scarpa gross e a cerevella fina, che può sbagliare un abbinamento d’abiti o di colori in un’occasione mondana, facendo na clamorosa pacchianata, mai una cafonata, e più che all’antipatia e all’insofferenza del cafone , spinge alla benevola simpatia, al sorriso, perché la rusticità e la goffaggine sono in lui connaturate (senza esigenza di mostrarsi per ciò che non è o vuole apparire-vedi cafone) e per ciò stesse scusate.

E cosa dire poi se il pacchiano “diventa” donna: la pacchiana, questa prosperosa e rubiconda contadinotta che ognuno vorrebbe avere al fianco almeno nu quart d’ora?...
na cafona non la vorrebbe nessuno, giusto?
C’è un modo di dire ancora vivo tra la gente dei miei posti, che facendo la barba, pardon radendosi,  in modo perfetto, pelo e contropelo, lasciando una pelle liscissima e gradevole dice “maggia fatt na barb a zizz e pacchiana!”. Laddove, concedetemelo, siamo di fronte a qualcosa di morbido, dolce, appetibile, carezzevole, abbondante, e l’immaginazione vola ad areole rosee e grandi, a capezzoli ben accennati, e che più che al sesso spinge all’abbandono, tra il materno e il sensuale, qualcosa che  freud non esiterebbe a definire edipico e che io definisco epico!!!

Ehm… mi ricompongo:
Se l’etimo di pacchiano è chiarissimo, da paganus, ergo abitante del pagus, del villaggio, della campagna, quello di cafone rimane incerto: dal greco “afon” (senza voce) di incomprensibile parlata, all’osco “kafar” (zappatore), di nuovo al greco "cofos" (ottuso, sciocco) e via discorrendo…
Accetto a piene mani l’ipotesi De Falco: da greco cacofonos, con aferesi della sillaba iniziale, indicante persona che si esprime sgraziatamente , dall’eloquio di brutta cadenza, e dai suoni spesso sgradevoli.
In conclusione il cafone è uno che parla sgraziatamente e che vuole mascherare quasi la sua origine villica ed è racchiuso appieno in quel motto popolare, quel wellerismo che cita:
"dicette 'o cafone: "si nun me avanta eo, m'avanto meo".


 
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