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Padre mio

A Primo Levi
 
 
 
 
 

Affittasi villetta Torre Suda vicino a Gallipoli, a 400 mt. dal mare, climatizzata, 2 unità abitative, complessivamente: 2 camere matrimoniali, 2 saloni, una cameretta, sala con soffitto a stella,  8-9 posti letto, cucina abitabile + angolo cottura, grande giardino intorno, ampia veranda, posti macchina, terrazzo vista mare.

 

Acquerello: Rimini Ponte di Tiberio

 


 

Acquerello, donna allo specchio

 

 

Esercizio con grafico

Post n°1382 pubblicato il 22 Marzo 2012 da MANUGIA95


 
 
 

Come un fiume

Post n°1381 pubblicato il 04 Marzo 2012 da MANUGIA95
 

Come un fiume...

Sento la  vita come un fiume
che corre verso la foce,
e non vuole pensare più
alla  sorgente ormai lontana.

E attraversa case, persone
cime e lidi ignoti,
cade giù
rotolando verso il mare,
e  veloce scivola

mentre rami e sterpi secchi
si protendono come a ferirlo
nel suo prigioniero letto, 
inutilmente.

E scorre tra lisci sassi incurante,
portando detriti e veleni,
a volte forte, ora piano
perchè nessuno può fermarlo
e mai contento va
fino a quando non arriva alla fine.

E ora da lontano
scorge un luccichìo di mare,
una piana l'accoglie,
esso timido si allarga e si fa lento,
preso da una strana paura dell'ignoto.


 

 
 
 

L'oro

Post n°1380 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da MANUGIA95
 

Come l'oro dell'immenso sole
ricopre le cime innevate,
il tuo sorriso si spande,
entra con forza nella mia linfa,
scende nell'anima
e mi sorprende di luce.

 
 
 

ENRICO FERMI: LA SCIENZA E IL POTERE

Post n°1379 pubblicato il 14 Gennaio 2012 da MANUGIA95
 

Enrico Fermi: la scienza e il potere 
 
 
 
 

Prologo

La sera del 6 dicembre 1938 Enrico Fermi, insieme con la sua famiglia, parte da Roma per Stoccolma. Ufficialmente si reca a ritirare il premio Nobel per la fisica, di cui è stato insignito dall'Accademia svedese. Farà ritorno in Italia soltanto dopo la fine della guerra: la moglie di Fermi, Laura Capon, è di famiglia ebrea e il 17 novembre di quello stesso anno [1938] era stata promulgata dal governo fascista, a suggello di una martellante campagna di propaganda e di una serie di altri provvedimenti legislativi, la famigerata "legge per la difesa della razza".

Alla cerimonia di conferimento del Nobel Fermi non indossa né l'uniforme di accademico d'Italia né la divisa del partito fascista, ma il frac, e invece di levare il braccio nel saluto romano stringe la mano al re Gustavo V. Dopo una breve sosta a Copenaghen, il 24 dicembre, da Southampton, si imbarca sul piroscafo Franconia per gli Stati Uniti: lavora dapprima alla Columbia University di New York, nel 1942 si trasferisce all'università di Chicago, dove progetta e realizza la "pila atomica", il primo reattore nucleare. Tra il 1943 e il 1945 partecipa al progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica: le sue competenze teoriche, unite alla sua straordinaria abilità sperimentale, si rivelano determinanti per il successo dell'impresa scientifico-tecnologica responsabile delle centinaia di migliaia di morti di Hiroshima e Nagasaki.

Le vicende di Fermi sono emblematiche di un'epoca in cui gli scienziati, sempre più spesso, si trovano a doversi confrontare con interrogativi di carattere etico e politico. Quali principî devono regolare i rapporti con i governi e con le industrie? È giusto - quantomeno in certi momenti storici - mettere le proprie conoscenze al servizio del potere militare? Ha ancora senso rinchiudersi nel proprio laboratorio come in una torre d'avorio nel nome della "ricerca pura" se così forti sono gli interessi in gioco e così profonde le implicazioni morali?

Le scelte di Fermi, come vedremo, furono contraddistinte da non poche ambiguità: certamente non furono scelte obbligate. Altri suoi colleghi fisici, come Bruno Pontecorvo o Franco Rasetti, tennero condotte diverse.

La migrazione intellettuale

A partire dagli anni '30, l'aggravarsi della situazione politica, le persecuzioni razziali e, da ultimo, la guerra costrinsero molti uomini di cultura - letterati, filosofi, economisti, storici, romanzieri, registi, musicisti, architetti, artisti, medici, biologi, fisici, matematici - ad abbandonare l'Europa per rifugiarsi negli Stati Uniti (si ricordi che in questo Paese la legge di immigrazione esentava i professori universitari dalle quote fisse di immigrazione, facilitando così l'ingresso degli studiosi invitati da una qualche istituzione statunitense; inoltre, il cosiddetto Emergency Committee for Displaced German Scholars, in seguito esteso a tutte le nazionalità, offrì molti posti a termine a coloro che non avevano un contratto con qualche università, spesso con il sostegno economico della Rockfeller Foundation). Questa migrazione non fu certo un movimento di massa, ma ebbe conseguenze di grande portata: 1) creò i presupposti del predominio degli Stati Uniti in campo scientifico e tecnologico nel dopoguerra; 2) modificò in maniera definitiva la struttura stessa dell'impresa scientifica e fu all'origine della big science dipendente dagli interessi economico-industriali, dalla politica, dai progetti di ricerca militari; 3) sancì l'importanza della conoscenza scientifica all'interno della società e ridefinì il ruolo dello scienziato in quanto uomo di potere e non solo di sapere.

Einstein e von Neumann. Tra i molti fisici teorici e matematici che emigrarono negli Stati Uniti, forse le personalità più di spicco furono Einstein, Fermi e von Neumann. Le figure Einstein e von Neumann sono emblematiche di due atteggiamenti antitetici dello scienziato nei confronti del "potere".

  • Einstein (Ulm 1879 - Princeton 1955), approdato all'Institute for Advanced Studies nel 1933, fisico teorico la cui fama eguaglia quella dei divi del cinema, ha una concezione elitaria del sapere scientifico e non manifesta alcun interesse alle applicazioni della fisica. Si atteggia ad anticonformista (ma forse sarebbe ora di analizzare criticamente questo mito dello scienziato sempre spettinato e apparentemente trasandato - forse Einstein è stato il primo scienziato a curare davvero la propria immagine pubblica) e vive un'esistenza sostanzialmente isolata. Nonostante sia un pacifista convinto e attivo, scrive (1939) la famosa lettera che convince Roosevelt ad avviare il progetto Manhattan per la costruzione dell'atomica (ma Einstein non partecipa al progetto, anche perché sospettato dall'Fbi di avere simpatie comuniste). A costo di semplificare, potremmo dire che Einstein si presenta solo come uomo di sapere e non di potere.
  • John von Neumann (Budapest 1903 - Washington 1957), professore all'Institute for Advanced Studies dal 1933, matematico di straordinario e poliedrico talento, oltre ai risultati puramente teorici ha idee innovative anche nel campo applicativo (crea la teoria dei giochi, rinnova la meteorologia, getta le basi della computer science e della teoria degli automi). Von Neumann, sempre in giacca e cravatta, non esibisce comportamenti anticonformisti ed è perfettamente integrato nell'ambiente accademico: è un uomo di potere. Ha un ruolo importante nel progetto Manhattan (suoi i calcoli che permettono l'esplosione della bomba di Nagasaki) e dopo la guerra diventa consulente della Cia, della National Security Agency, dell'Ibm, membro della Atomic Energy Commission. Von Neumann contribuì ad orientare la politica degli Stati Uniti come superpotenza militare e tecnologica: a lui si deve la lucida teorizzazione, sulla base della teoria dei giochi, dell'idea di "nuclear deterrence", da attuarsi mediante la minaccia di missili balistici intercontinentali [von Neumann è il più probabile ispiratore del personaggio del dottor Stranamore dell'omonimo film di Stanley Kubrick]. Von Neumann è l'esempio paradigmatico dell'uomo di sapere che è anche uomo di potere [vedi scheda allegata per ulteriori dettagli biografici].

Si può dire che la figura di Fermi si collochi, per molti aspetti, a metà strada tra questi due opposte tipologie: è un emblema dello status ambiguo dello scienziato, in bilico tra compromesso, compromissione e libertà intellettuale. 
 
 

La rinascita della fisica italiana

Agli inizi degli anni '20 la fisica teorica è terra di nessuno, al contrario di quel che accade in altri paesi europei (soprattutto la Germania). L'unica scuola fiorente in Italia è quella fisico-matematica, che ha in Tullio Levi-Civita la personalità di maggior spicco.

Fermi (Roma 1901 - 1954) - la cui adolescenza è tragicamente segnata dalla morte del fratello Giulio, di un anno più giovane - ha una formazione essenzialmente da autodidatta (per la biografia di Fermi vedi De Maria o Cordelli et al.). Fermi non solo diventerà uno dei maggiori fisici teorici del '900, imponendosi l'ultimo fisico "completo", al contempo teorico e sperimentale, ma riuscirà a creare ex novo una solidissima e feconda scuola di fisica teorica italiana, le cui propaggini arrivano fino ai giorni nostri.

La carriera di Fermi (fino al 1926). All'esame di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa lascia stupefatti gli esaminatori trattando il tema "Caratteri distintivi del suono" non come un ragazzo appena uscito dal liceo, ma come un fisico professionista. Poco più che ventenne Fermi è sostanzialmente l'unico in Italia (a parte, forse, il suo amico Franco Rasetti) ad avere una conoscenza approfondita della relatività e della meccanica quantistica. Il suo professore di Fisica sperimentale alla Normale, Luigi Puccianti, non lo tratta come uno studente, ma come un collega e un consulente (addirittura, chiede a Fermi di tenergli alcuni seminari privati).

La carriera accademica di Fermi è rapidissima: si laurea nel 1922, nel 1923 passa vari mesi a Gottinga (all'epoca la più prestigiosa università tedesca - Fermi vi conobbe Born, Heisenberg e Pauli, tutti futuri premi Nobel), nel 1926 - al suo attivo, nonostante la giovanissima età ha già vari importanti lavori scientifici, tra i quali quello (1925) sulla statistica delle particelle a spin semi-intero (ad esempio, elettroni, protoni e neutroni), oggi denominata statistica di Fermi-Dirac - viene nominato professore all'Università di Roma.

A Roma Fermi riunisce attorno a sé un gruppo di giovani fisici (forse dovremmo piuttosto dire studenti, data la loro età), i "ragazzi di via Panisperna" (la via dove aveva sede l'Istituto di Fisica): Emilio Segrè (classe 1905), Franco Rasetti (classe 1901), Edoardo Amaldi (classe 1908), Ettore Majorana (classe 1906).

Mario Orso Corbino. Il mentore e il protettore del gruppo - l'intelligenza politica che guida il rinnovamento della fisica teorica italiana - è Orso Mario Corbino (1876-1937). Fisico di formazione, direttore dell'Istituto di fisica dell'Università di Roma dal 1918 all'anno della morte (1937), ministro della Pubblica istruzione nel 1921-1922, ministro dell'Economia nel primo governo Mussolini, legato agli ambienti industriali, in particolare alle aziende elettriche (Edison), è Corbino a ottenere per Fermi la prima cattedra di Fisica teorica in Italia e a potenziare le strutture dell'Istituto di via Panisperna. Lungimirante organizzatore culturale, Corbino, pur senza apportare contributi scientifici di rilievo, è consapevole della portata rivoluzionaria della meccanica quantistica e accoglie le ricerche condotte da Fermi sotto la sua egida: in un famoso discorso alla SIPS (Società Italiana per il Progresso delle Scienze), nel 1928, proclama che "la nuova frontiera è la fisica atomica". In particolare, Corbino capisce l'importanza di istituire grandi laboratori nazionali, in grado di competere con gli analoghi centri di ricerca degli altri paesi europei (soprattutto Germania, Francia, Inghilterra, Olanda). In fondo, a prescindere dai suoi indubbi meriti, Corbino pare agire in perfetta consonanza con la politica fascista di rivalutazione della grandezza del "genio italico".

I ragazzi di via Panisperna. Il gruppo di via Panisperna è compatto attorno alla figura carismatica di Fermi. Lo spirito - tra il goliardico e l'elitario - che anima questi giovani ricercatori è testimoniato dai soprannomi che usano tra di loro: Fermi è il "papa", Rasetti il "cardinal vicario", Emilio Segrè e Edoardo Amaldi sono gli "abati" (Corbino è invece il "padreterno", mentre Enrico Persico - amico di Fermi fin dai tempi del liceo e lui stesso fisico teorico - è il "prefetto de propaganda fide" per il ruolo fondamentale che svolge nella diffusione della nuova fisica in Italia).

Più isolato, intellettualmente e umanamente, appare invece Ettore Majorana, soprannominato non a caso il "grande inquisitore", perché sempre critico e pieno di sfiducia verso se stesso e verso gli altri, Fermi compreso. Come fisico teorico, Majorana è l'unico che, in qualche misura, possa reggere il confronto con Fermi (i contributi scientifici di Majorana hanno un accentuato carattere matematico, con intuizioni spesso in anticipo sul proprio tempo). Personalità schiva e complessa, incapace di adeguarsi alle logiche del potere accademico, Majorana scompare in circostanze misteriose il 26 marzo 1938, pochi mesi dopo essere stato nominato professore "per alta e meritata fama" all'università di Napoli (la nomina per chiara fama permette alla commissione di far rientrare nella terna dei vincitori normali anche Giovanni Gentile jr., figlio di Giovanni Gentile). Leonardo Sciascia, nellaScomparsa di Majorana, ipotizza che Majorana fece perdere deliberatamente le proprie tracce - ritirandosi in un convento, oppure emigrando in qualche paese sudamericano, forse l'Argentina - perché aveva intuito le apocalittiche potenzialità distruttive dell'energia nucleare: questa interpretazione, per quanto suggestiva, fa di Majorana un profeta capace di prevedere timori e scenari che potevano essere fondati solo dopo il 1939, quando Meitner e Frisch correttamente interpretarono il fenomeno della fissione osservato da Hahan e Strassmann.

La radioattività artificiale. Le ricerche del gruppo di Fermi sono inizialmente dirette verso la spettroscopia; successivamente, si orientano verso la fisica nucleare. Negli anni 1933-34 Fermi sviluppa la teoria del decadimento beta, con il quale consolida definitivamente la propria fama a livello internazionale.

La radioattività artificiale (o indotta) è scoperta, nel 1933, dai coniugi Joliot-Curie (Jean F. Joliot e Irène Curie, figlia di Marie Sklodowska - "madame Curie" - e Pierre Curie: una famiglia che ha raccolto ben cinque premi Nobel) bombardando con particelle ? un foglio di alluminio. Il gruppo di via Panisperna, in cui svolge un ruolo importante, ma talvolta sottovalutato, anche il chimico Oscar D'Agostino (specializzato in radiochimica presso l'Institut du radium di Parigi) ha l'idea di usare come proiettili, invece delle particelle ?, neutroni. Tra il 1934 e il 1936, in rapida successione, vengono individuati circa quaranta nuovi isotopi radioattivi. "Con questo lavoro il gruppo di Fermi fece di Roma" uno dei maggiori centri mondiali della fisica nucleare del quel tempo" (A. Pais). Questo successo si deve più all'ingegno e alla serendipity di Fermi e compagni, che non alla ricchezza di mezzi e di strumentazione, molto inferiori, ad esempio, a quelli del laboratorio di Joliot-Curie (è Giulio Cesare Trabacchi, direttore del Laboratorio di Fisica dell'Istituto di sanità pubblica di Roma dal 1928 al 1958, a regalare a Fermi un grammo di radio per effettuare gli esperimenti - il significativo soprannome di Trabacchi è "divina provvidenza"). In particolare, Fermi e i suoi scoprirono che i neutroni rallentati con paraffina sono proiettili molto più efficaci di quelli veloci (e su suggerimento di Corbino, sempre attento al lato pratico delle cose, depositarono una richiesta di brevetto per questo procedimento). Questa scoperta del "potere selettivo dei neutroni lenti" varrà a Fermi il premio Nobel e, negli sviluppi successivi, si rileverà di cruciale importanza per la costruzione del primo reattore nucleare.

Fermi e il regime. Fermi si impegnò sempre attivamente (anche negli Stati Uniti) nella politica universitaria: fu non solo un grandissimo fisico, ma anche un "barone", nel senso non necessariamente deteriore del termine. Nei confronti del fascismo nutre un'iniziale simpatia (secondo la testimonianza di Emilio Segrè); successivamente, quando diventa una personalità della cultura italiana, il fiore all'occhiello della ricerca scientifica italiana (insieme al monumento Marconi) Fermi ha bisogno di rimanere in buoni rapporti con il regime per ottenere fondi di ricerca, per avere cattedre per i suoi allievi, eccetera. Fermi iscrive al PNF, nel 1929, il giorno prima di entrare a fare parte dell'Accademia d'Italia, l'impennacchiato pantheon culturale nato per volontà di Benito Mussolini, in esplicita concorrenza con l'Accademia dei Lincei, presieduta dall'antifascista Vito Volterra. Com'è recentemente venuto alla luce (S. Fiori, "La Repubblica" 18-3-2002) nell'Accademia d'Italia vigeva una rigida discriminazione antisemita - imposta da Marconi, presidente dal 1930 al '37: ad esempio sono pubblicamente respinte le candidature di scienziati illustri come Tullio Levi-Civita, Vito Volterra, Federigo Enriques. Insomma, la feluca da accademico non è solo un copricapo da parata, ma anche un segno se non di fedeltà al regime, quantomeno di tacita accettazione della politica di grandeur e di esaltazione nazionalistica di Mussolini. Nel 1934 Fermi fa parte della giuria della sezione scienze dei primi Littoriali della cultura; è conservata una lettera del 193?(1?), nella quale Fermi dichiara senza mezze parole di accettare nel suo gruppo il giovane fisico ebreo Gian Carlo Wick purché questi rinunci a manifestare apertamente il proprio antifascismo. In conclusione, non si sbaglierebbe troppo a definire Fermi un intellettuale organico al regime.

"Il pesce inizia a puzzare dalla testa". La fuga di Fermi negli Stati Uniti e il suo comportamento alla cerimonia di premiazione del Nobel furono duramente criticati dalla stampa di regime (e non solo); già da qualche tempo, tuttavia, erano affiorati sospetti e accuse per la impurità razziale non solo della sua famiglia, ma anche del gruppo di fisici suoi collaboratori (Amaldi, Wick, Segrè erano ebrei, così come Giulio Racah a Pisa). La battuta che circolava a commento della fuga di Fermi era che "il pesce inizia a puzzare dalla testa": nel clamoroso gesto di un accademico d'Italia si scorgeva cioè l'indizio di un irreversibile processo di deterioramento nei rapporti tra il regime e la nazione.

Ma perché Fermi abbandona l'Italia nel 1938? Non soltanto per la minaccia delle leggi razziali. Il fatto è che in Italia non ci sono più le condizioni per continuare a fare ricerca di punta in fisica nucleare: 1) nel 1937 muoiono Corbino e Marconi; 2) in conseguenza dell'autarchia e, soprattutto, dell'impegno militare nella guerra di Etiopia ('35-'36) i finanziamenti alla ricerca fondamentale subiscono una drastico ridimensionamento; 3) come scrive lo stesso Fermi in una lettera al CNR nel gennaio del 1937, gli esperimenti con le sorgenti naturali non possono più competere con quelli effettuati con gli acceleratori di ultima generazione (il primo ciclotrone fu realizzato agli inizi degli anni '30 dal fisico americano Ernest Lawrence) [A, p. 18]; nel giugno del 1938, la presidenza del CNR boccia la proposta di Fermi per la creazione di un "Istituto nazionale di radioattività", il che fa naufragare ogni speranza di costruire un ciclotrone italiano.

Per proseguire la propria attività di ricerca in fisica nucleare ai massimi livelli, Fermi deve emigrare all'estero.

Dalla fissione atomica alla bomba

L'evento che dimostrò incontestabilmente l'enorme potere della scienza - e consacrò la scienza al potere - fu la costruzione della bomba atomica. Questa realizzazione - che avvenne in tempi brevissimi - non fu l'esito diretto e inevitabile delle nuove conoscenze scientifiche sulla struttura del nucleo atomico: richiese gli sforzi congiunti e organizzati di una folta compagine di scienziati - fisici, chimici, matematici, ingegneri - che misero le proprie competenze specifiche e il proprio ingegno al servizio dei militari, consapevoli di lavorare alla costruzione di un ordigno di immane potenza distruttiva.  

 
 
 

ENRICO FERMI: LA SCIENZA E IL POTERE

Post n°1378 pubblicato il 14 Gennaio 2012 da MANUGIA95
 

 

Altre volte nella storia gli uomini di scienza - da Archimede a Leonardo, fino a Fritz Haber - avevano prestato il proprio sapere alla causa bellica, ma il progetto Manhattan rappresentò un salto di qualità: non solo per le dimensioni colossali dell'impresa (oltre 5000 persone vi presero parte), ma per il travisamento collettivo del senso etico, per l'entusiasmo irresponsabile con il quale si riempirono lavagne e lavagne di calcoli come se la progettazione di un ordigno nucleare rientrasse nella normale routine di lavoro scientifico. Le foto che ritraggono questi scienziati giovani e famosi - Fermi, Oppenheimer, Segrè, Hans Bethe, Victor F. Weisskopf, Carl David Anderson - tranquilli e sorridenti davanti al laboratorio di Los Alamos o in gita domenicale sulle montagne del New Mexico, con gli occhiali da sole e l'aria del turista che si gode un meritato riposo [C, p. 71; S, p. 209], sono la testimonianza tragica della ragione scientifica svuotata di ogni principio etico. Così come tragiche, e sconvolgenti, sono le parole con le quali Fermi, in una lettera ad Amaldi del 28 agosto 1945 [A, pp. 158-160] - poche settimane dopo le stragi di Hiroshima e Nagasaki - commenta il suo lavoro a Los Alamos: "…è stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l'aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione".

La fissione. Il 10 dicembre 1938 Fermi ricevette il premio Nobel per la fisica "per aver dimostrato l'esistenza di nuovi elementi radioattivi generati dall'irraggiamento mediante neutroni, e per la scoperta, legata alla precedente, delle reazioni nucleari provocate dai neutroni lenti". Nel discorso di accettazione del Nobel Fermi accennò alla presunta scoperta di nuovi elementi con numero atomico superiore a quello dell'uranio, "che a Roma … sono di solito chiamati rispettivamente ausonio ed esperio" (la presunta scoperta risale al 34-35; all'epoca la proposta di battezzare uno dei nuovi elementi "littorio" fu liquidata da Corbino con una battuta: la vita media delle sostanze era troppo breve per associarle al regime). In realtà nessun elemento nuovo era stato scoperto dal gruppo di via Panisperna: Fermi, "il papa" si sbagliava, e aveva anche scelto male il momento per rendere pubblica la sua supposizione. Nell'autunno di quello stesso anno [1938], infatti, Otto Hahan e Fritz Strassmann, a Berlino, avevano intrapreso un'analisi radiochimica molto accurata degli elementi prodotti irradiando l'uranio con neutroni: tra questi elementi vennero identificati il bario e il lantanio, entrambi con numeri atomici molto inferiori a quello dell'uranio.

Il risultato di Hahan e Strassmann (che Fermi apprese nel gennaio del 1939, quando si trova alla Columbia University) sembrava davvero sorprendente. Eppure la spiegazione era estremamente semplice, come intuirono quasi subito Lise Meitner (ebrea viennese, rifugiatasi a Stoccolma per sfuggire alle persecuzioni razziali naziste - una grande figura, troppo spesso dimenticata, della fisica del '900) e suo nipote Otto Frisch (rifugiatosi a Copenaghen): il nucleo dell'atomo di uranio, assorbendo un neutrone, si scinde in due nuclei aventi peso atomico circa uguale, compreso tra 38 e 58.

Della giustezza di questa interpretazione si convince anche Niels Bohr - uno dei padri della meccanica quantistica - che, in collaborazione con lo stesso Frisch, pubblica una lettera su Nature (11 febbraio 1939), nella quale viene usato per la prima volta il termine "fissione".

I fisici di tutto il mondo si impegnano a chiarire gli aspetti teorici e sperimentali del nuovo fenomeno . Nel solo anno 1939 vengono pubblicati oltre cento articoli tecnici sulla fissione. In brevissimo tempo si scopre che la fissione dell'uranio è accompagnata dall'emissione di neutroni, che a loro volta possono provocare nuove fissioni (gli esperimenti sono dovuti a Fermi e Anderson alla Columbia, Walter Zinn e Leo Szilard anch'essi alla Columbia e Joliot a Parigi). Nasce così l'idea della possibilità di reazioni a catena, capaci di generare enormi quantità di energia. Subito si realizza che questa energia, se opportunamente controllata, può essere impiegata per costruire armi atomiche. Il fisico George Uhlenbeck racconta che Fermi, nel 1939, quando erano entrambi alla Columbia University, si voltò verso di lui e gli disse: "Ma ti rendi conto, George, che una piccola bomba a fissione potrebbe distruggere quasi tutto quello che vediamo qua fuori?"

Queste straordinarie scoperte non rimangono confinate a una ristretta cerchia di specialisti. Anche il grande pubblico è messo al corrente degli sviluppi della fisica nucleare. La New York Herald Tribune del 12 febbraio 1939 titola: "Nel regno della scienza: lo sviluppo pratico dell'energia atomica è solo questione di tempo"; il Washington Post del 29 aprile: "I fisici stanno discutendo se gli esperimenti [con il ciclotrone] faranno saltare in aria due miglia di territorio".

Il progetto Manhattan. Sull'Europa incombe ormai lo spettro della guerra. Nell'estate del 1939 Leo Szilard ed Eugene Wigner (entrambi profughi ungheresi) convincono Einstein (che ha sempre manifestato idee pacifiste) a indirizzare una lettera (datata 2 agosto 1939) al presidente F.D. Roosevelt per richiamare l'attenzione del governo americano sul pericolo che avrebbe minacciato l'umanità se i nazisti fossero riusciti a costruire un ordigno nucleare [E, pp. 599-600]. Einstein, in particolare, insiste sull'opportunità di "stabilire un collegamento permanente tra il governo e il gruppo di fisici che, in America, lavorano alla reazione a catena".

In realtà, la macchina governativa fu piuttosto lenta a recepire il pressante invito di Einstein, condiviso dalla maggioranza dei fisici che avevano trovato rifugio negli Stati Uniti. Questo ritardo si spiega in parte per il naturale scetticismo dei militari, piuttosto riluttanti ad accogliere gli avvertimenti di scienziati stranieri che ipotizzavano la possibilità di costruire armi di nuova concezione basate su scoperte molto recenti della fisica nucleare; d'altra parte, occorre anche ricordare che le ricerche militari erano in massima parte indirizzate al perfezionamento del radar. Soltanto alla fine del 1941, alla vigilia di Pearl Harbor, la Casa Bianca decise di stanziare fondi rilevanti per la realizzazione di un ordigno nucleare. Il progetto Manhattan prese il via nell'estate del 1942: il generale Groves scelse il fisico Robert Oppenheimer (non a caso americano di nascita) a dirigere e coordinare il gruppo di scienziati che iniziarono a lavorare nel laboratorio segreto di Los Alamos, nel New Mexico. È impressionante scorrere la lista dei fisici che saranno impegnati in questa gigantesca impresa collettiva: Bohr, Chadwick, Bethe, Fermi, Teller, Feynmann (uno dei più giovani), Anderson, Wigner, Rabi, nonché i vecchi amici e collaboratori di Fermi, Emilio Segrè e Bruno Rossi. Von Neumann - un outsider tra i fisici teorici e sperimentali - partecipa attivamente, senza prendere fissa dimora a Los Alamos, contribuendo alla risoluzione di molti problemi matematici. E non bisogna dimenticare il ruolo strategico svolto dalle grandi companies industriali, quali Du Pont, Eastman, Union Carbide, Monsanto.

La pila atomica. La prima reazione a catena è ottenuta a Chicago, dal gruppo di Fermi, nell'autunno del 1942. Naturalmente, senza questo passo preliminare non sarebbe stato possibile costruire la bomba atomica.

Il problema principale da risolvere è il seguente: neutroni che vengono prodotto dalla fissione dei nucleo di uranio 235 sono troppo veloci per dare origine ad altre fissioni e vanno quindi rallentati da un moderatore. Questo moderatore deve essere una sostanza che non assorba i neutroni. L'acqua pesante costituirebbe un ottimo moderatore, ma negli Stati Uniti non ve ne è grande disponibilità; Fermi, in collaborazione con Anderson, Zinn, inizia dunque a studiare le proprietà della grafite. Dopo i primi esperimenti alla Columbia University, Fermi si trasferisce a Chicago: nell'ottobre del '42 inizia la costruzione del primo reattore, la "pila atomica" (ufficialmente, il direttore del progetto non è Fermi, cittadino di un paese nemico, bensì Arthur Compton). La "pila" è un mastodontico apparato alto 9 metri, sistemato in un locale sotto le gradinate dello stadio della Chicago University. Nella struttura sono inserite numerose barre di cadmio (una sostanza che assorbe neutroni), che vengono rimosse per attivare la reazione e reinserite per smorzarla: questo procedimento di controllo è manuale e, potenzialmente, molto pericoloso.

gadgets. A Los Alamos furono costruite tre bombe - la parola in codice era gadgets - realizzate secondo due progetti, diversi sia per il materiale fissile impiegato (in un caso l'uranio 235, nell'altro il plutonio 239), sia per il metodo di detonazione. La prima bomba al plutonio fu fatta esplodere il 16 luglio 1945 nella località Jornada del Muerto, vicino ad Alamogordo, nel deserto del New Mexico. Cinque chili circa di plutonio produssero un'esplosione equivalente a 20000 tonnellate di tritolo: la torre cui era sospeso il gadget fu vaporizzata, la sabbia del deserto si vetrificò, si aprì un cratere profondo oltre 100 metri. Appena tre settimane dopo questo test riuscito oltre le aspettative (i calcoli dei fisici prevedevano una minore potenza distruttiva), il 6 agosto 1945, un bombardiere B-29 sganciava su Hiroshima la bomba all'uranio (non ancora testata): almeno 200000 persone morirono per le conseguenze dell'esplosione. Tre giorni più tardi, il 9 agosto, la bomba al plutonio fu lanciata su Nagasaki: circa 140000 persone morirono per gli effetti dell'esplosione e della radioattività nei cinque anni successivi.

Le scelte dei fisici. Già qualche tempo prima del test di Alamogordo, l'11 giugno 1945, sul tavolo del neoeletto presidente Truman era giunto un documento firmato dal fisico tedesco James Franck (nato ad Amburgo nell'1882, premio Nobel nel 1926 e rifugiatosi negli Stati Uniti dal 1933), insieme con altri colleghi tutti impegnati nel progetto Manhattan (tra i quali, Leo Szilard, lo stesso che aveva convinto Einstein a scrivere a Roosevelt). Il Franck report, con grande lucidità e preveggenza, ammoniva il governo americano sulle terribili conseguenze dell'uso bellico dell'energia atomica, prefigurando, tra l'altro, uno scenario futuro di corsa agli armamenti, che avrebbe finito per minacciare l'umanità intera. Per mettere fine alla guerra (la Germania aveva già capitolato il 7 maggio) si suggeriva di effettuare un'esplosione dimostrativa che avrebbe convinto il Giappone alla resa. Ma questi avvertimenti furono vanificati dal papere espresso dallo "Scientific Panel of the Interim Committee on Nuclear Power", composto da Oppenheimer, Compton, Lawrence e Fermi, che raccomandavano l'uso immediato della bomba per risolvere il conflitto (il documento dello Scientific Panel si chiude con una dichiarazione pilatesca: "We have, however, no claim to special competence in solving the political, social, and military problems which are presented by the advent of atomic power"). Altre petizioni, prima dell'irrimediabile, furono rivolte a Truman: una sottoscritte da Leo Szilard e da altri 69 scienziati che lavoravano al progetto Manhattan, altre firmate dagli scienziati del laboratorio di Oak Ridge (Tennessee) e dal gruppo di Chicago. Per quanto la decisione finale di sganciare la bomba fu presa, come ovvio, dai militari, è innegabile la corresponsabilità diretta dei costituenti dello Scientific Panel, tra i quali - come abbiamo detto - vi era Fermi.

Le reazioni dopo la carneficina di Hiroshima e Nagasaki sono ugualmente significative. Abbiamo già ricordato le parole di Fermi in una lettera ad Amaldi dell'agosto '45: "…è stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l'aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione". Non diversamente, si esprime Segrè nella sua autobiografia: "…Io certamente mi rallegrai per il successo che aveva coronato anni di duro lavoro e fui sollevato dalla fine della guerra". Si deve senza dubbio ricordare che entrambi i genitori di Segrè erano morti nei campi di concentramento nazisti, come anche i genitori di Laura Capon, la moglie di Fermi. Ma la tranquilla sicurezza delle dichiarazioni dei due grandi fisici italiani, nelle quali non si insinua nemmeno l'ombra di un dubbio, è sconvolgente.

Radicalmente opposto, come abbiamo visto, fu il comportamento di Szilard, che si adoperò attivamente affinché la bomba non esplodesse su obiettivi civili. Bruno Rossi confesserà che, subito dopo il test di Alamogordo, il sentimento di aver partecipato a un'impresa di importanza storica "veniva presto sopraffatto da un senso di colpa e da una terribile ansietà per le conseguenze del nostro lavoro". Anche Hans Bethe divenne un fervente oppositore dell'uso delle armi atomiche. Va detto che Fermi, dopo la guerra, cambiò la propria posizione: insieme con I. Rabi e Oppenheimer si dichiarò contrario alla costruzione della bomba all'idrogeno (in favore della quale era invece il "falco" Edward Teller).

Franco Rasetti. "Rasetti fu l'unico che si rifiutò di collaborare al progetto della bomba a fissione per ragioni morali" [A, pp. 36-37]. Rifugiatosi in Canada, aveva impiantato un laboratorio per svolgere ricerche prima in fisica nucleare e successivamente sui raggi cosmici. Contattato per entrare a far parte di un gruppo di fisici britannici che sarebbero poi stati assorbiti nel progetto Manhattan, declinò l'offerta: "ci sono poche decisioni mai prese nel corso della mia vita - scrive Rasetti - per le quali ho avuto un minor rimpianto. Ero convinto che nulla di buono avrebbe potuto scaturire da nuovi e più mostruosi mezzi di distruzione, e gli eventi successivi hanno confermato in pieno i miei sospetti. Per quanto perverse fossero le potenze dell'Asse, era evidente che l'altro fronte stava sprofondando a un livello morale (o immorale) simile nella condotta della guerra, come testimonia il massacro di 200000 civili giapponesi a Hiroshima e Nagasaki". Del tutto "disgustato per le ultime applicazioni della fisica", Rasetti decise di abbandonare la fisica e dedicarsi a ricerche di biologia e geologia (e divenne un grande specialista, pubblicando memorie di paleontologia e una grande monografia sulla flora alpina). La condotta di Rasetti fu quasi messa in ridicolo da molti suoi colleghi: Amaldi in una lettera a Fermi del 5 luglio 1945 parla di "un particolare processo di isolamento psichico del nostro amico" e sollecita Fermi ad intervenire per costringerlo a dimettersi dalla cattedra di spettroscopia che ancora occupava a Roma ("non vediamo la ragione di avere un professore di spettroscopia che abita a circa 6000 miglia cercando trilobiti"). Eppure Rasetti aveva le sue buone ragioni: come scrive in una lettera a Enrico Persico "tra gli spettacoli più disgustosi di questi tempi ce ne sono pochi che uguagliano quello dei fisici che lavorano nei laboratori sotto stretta sorveglianza dei militari per preparare mezzi più violenti di distruzione per la prossima guerra". 
  
  
  
 

Epilogo

Non solo in tempo di guerra, il comportamento degli scienziati dovrebbe essere conforme a rigorosi principî etici, che non hanno lo scopo di ostacolare la ricerca, ma di impedire che le conoscenze raggiunte vengono messe incondizionatamente al servizio del potere politico, militare o industriale. Affinché una nuova scoperta scientifica riesca a trovare applicazioni tecnologiche, è infatti quasi sempre necessario che gli scienziati impegnati nella ricerca di base prestino la loro cooperazione attiva agli ingegneri e ai tecnici che devono procedere alla realizzazione pratica del progetto. In altre parole, per bloccare la sinergia tra scienza, interessi politici e lobbies industriali basterebbe la consapevole non-collaborazione degli scienziati. Questo vale non solo per le armi nucleari (ormai un problema del passato: ormai chiunque abbia la tecnologia adatta può costruire una bomba atomica), ma per tutta la ricerca militare (comprese le armi batteriologiche), per la ricerca medica e farmaceutica, per le ricerche nel settore delle telecomunicazioni. Chi obietta che la scienza deve svilupparsi svincolata da qualsiasi restrizione - anche di carattere etico - dimentica che proprio nel perseguire l'alleanza con il potere, negli ultimi decenni, la scienza ha perso gran parte della propria autonomia, essendo venuta meno una delle condizioni essenziali: la libera circolazione delle idee e dei risultati, per il bavaglio sempre più spesso imposto alle innovazioni dal segreto militare o dal segreto industriale. 
  
 

Indicazioni bibliografiche essenziali

[A] E. Amaldi, Da via Panisperna all'America, Editori Riuniti, Roma 1997.

[C] D. Cooper, Fermi and the revolutions of modern physics, Oxford University Press, 1999.

[CGS] F. Cordella, A. De Gregorio, F. Sebastiani, Enrico Fermi. Gli anni italiani, Editori Riuniti, Roma 2001.

[E]. A. Einstein, Opere scelte, a cura di Enrico Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988.

[N] P. Ndiaye, Du nylon et des bombes. Du Pont de Nemours, le marché et l'État américain, 1900-1970, Belin, Paris 2001.

[P] A. Pais, Il danese tranquillo. Niels Bohr, un fisico e il suo tempo, Bollati Boringhieri, Torino 1993.

[Po] B. Pontecorvo, Fermi e la fisica moderna, Editori Riuniti, Roma 1972.

[R] E. Recami, Il caso Majorana, Di Renzo, Roma 2000.

[Ro] M. Rouché, Oppenheimer e la bomba atomica, Editori Riuniti, Roma 1966.

[S] E. Segrè, Personaggi e scoperte della fisica contemporanea, Mondadori, Milano 2000.

[St] F. Stern, Einstein's German World, Princeton University Press, 2000. 

 


 
 
 

Vuoto

Post n°1377 pubblicato il 21 Dicembre 2011 da MANUGIA95

xxxx

 
 
 

Variazione e incidenza percentuale (prime e seconde)

Post n°1376 pubblicato il 30 Novembre 2011 da MANUGIA95
 

 

 Trim 1Trim 2Trim 3Trim 4Tot.venditeCostiProfittoMediaPerc.sul totale
Nord-Est                50.986                 53.875                 57.234                 56.721             48.373    
Sud-Est                45.284                 47.122                 48.463                 49.837             46.372    
Centrale                42.326                 47.383                 49.872                 48.372             56.473    
Nord-Ovest                39.753                 42.348                 45.832                 46.372             46.464    
Sud-Ovest                41.386                 44.954                 45.983                 44.839             56.231    
Totale         
          

 

Completare la tabella calcolando:

 

Tot. Vendite = Somma delle vendite dei singoli trimestri

Profitto = Totale vendite - costi

Media = Media tra le vendite dei vari trimestri

Perc. Sul totale = Percentuale di vendita delle singole zone rispetto al totale

Totale = Somma dei vari importi

 

Inserire una nuova colonna "Variazione %" (K) per calcolare la variazione del fatturato tra la zona Sud-Est e la zona Nord-Est Trascinare la cella in basso in modo da completare la colonna. Formattare le celle della colonna in modo da visualizzare i valori percentuali.

 

Disegnare un grafico del tipo “a torta” utilizzando come dati le percentuali di incidenza degli utili mensili sull’utile totale (Colonna J) e come legenda la prima colonna; inserire  le etichette dati; esplodere la fetta più ampia.

 

Rappresentare con un istogramma cilindrico in pila le vendite delle varie zone, ponendo sull'asse delle X i vari trimestri.

 

Creare un grafico che rappresenti l'andamento totale delle vendite riferite alle varie zone nonché le variazioni percentuali di fatturato (tipo grafico: linee - colonne su 2 assi)

 
 
 
 
 
 
 

Come un bimbo

Post n°1373 pubblicato il 27 Ottobre 2011 da MANUGIA95

Come un bimbo che nasce,

o un uomo che muore,

mi circonda la vita,

Mi allungo e mi divincolo

alla ricerca della libertà.

Può essere lungo e doloroso

il passaggio,

ma presto vedrò la luce.

Cerco nelle gocce di cielo,

i ricordi

Cerco nei visi

lampi di sorrisi,

mi guardo le mani stanche.

Da qualche parte arriverò

finalmente....

 Manu

 

 
 
 

Ora l'orizzonte

Post n°1372 pubblicato il 26 Ottobre 2011 da MANUGIA95
 

Ora l'orizzonte

Ora è bello l’orizzonte, intorno sparuti gruppi

di rondini volteggiano sopra le alte piane,

morbide onde di un mare smeraldo

sferzate da dolci folate ondeggiano,

splendono di rosa i peschi in fiore

spandendo intorno il nuovo odore

e intanto in fondo, laggiù dove nasce il cielo

l’ombra si fa più scura sperando di luna e di stelle

già più vicine.

Tinte languide ai bordi dei monti salutano

il vecchio giorno, e rosa e viola e arancioni

sfumati danzano nell’etere accompagnando il sole

al tramonto.

E intanto opache luci s’accendono

e l’aria improvvisamente si fa sera,

lontana dove muore il rosso astro

si leva una virgola di luna.




Emanuela

 

 

 

 
 
 

Leopardi: A Silvio

Post n°1371 pubblicato il 05 Ottobre 2011 da MANUGIA95

A Silvio.....

Silvio, rimembri ancora quel tempo della nostra vita normale, 
quando verità splendea negli occhi nostri ridenti e fuggitivi, e tu, lieto e pensoso, 
il limitare di gioventù salivi?

Sonavan le quiete stanze, e le vie d'intorno ad Arcore
al tuo perpetuo canto, allor che all'opre femminili intento sedevi, 
assai contento di quel vago avvenir che in mente avevi. 
Era il maggio odoroso: e tu solevi così menare il can per l'aia.

Noi gli studi leggiadri talor lasciando e le sudate carte, 
ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte ancora senza Gelmini
d’in su i speroni del milanese castello 
porgea gli orecchi al suon della tua voce, 
ed alla man veloce che percorrea il membro flaccido
Mirava il ciel sereno, le vie dorate e gli orti, 
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. 
Lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno 
(ma avevo una gran paura).

Che pensieri brutali, che furbizia, che odi, o Silvio mio! 
Quale allor ci apparia la vita umana e il fato! 
Quando sovviemmi di cotanta speme, 
un odio mi preme acerbo e sconsolato, e tornami a doler di mia sventura. 
O giustizia, o giustizia, perché non rendi 
poi quel che prometti allor? 
perché di tanto inganni i figli tuoi?

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, 
da chiuso morbo di alzhaimer combattuto e vinto, 
gioivi, o porconcello. E non vedevi più il fior degli anni tuoi; 
non ti molceva il core la dolce lode or delle nigre e bionde chiome, 
or degli sguardi innamorati e schiavi dei tuoi soldi; 
né teco i compagni di merende ai dì festivi ragionavan d’amore e corna.

Anche perìa fra poco la speranza mia dolce: 
agli anni miei anche negaro i fati la libertà. 
Ahi come, come passato sei, caro compagno dell’età mia nova, 
mia lacrimata speme! Questo è il mondo? questi i diletti, 
il governo, l’opre, gli eventi, onde cotanto ragioni con Tremonti
questa la sorte delle umane genti italiche? 
All’apparir del vero tu, misero, cadesti: e con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda mostravi di lontano.

Manugia

 
 
 

Informatica 1

Post n°1370 pubblicato il 05 Ottobre 2011 da MANUGIA95

SEMPLICI ALGORITMI

 

http://www.apogeonline.com/2009/libri/9788850327614/ebook/pdf/2761_algoritmo.pdf

 
 
 
 
 

TEORIA

Post n°1368 pubblicato il 21 Settembre 2011 da MANUGIA95
 

TEORIA DEL COMPUTER

http://agentgroup.unimo.it/wiki/images/1/14/Word_base.pdf

 

 
 
 

Immagini di Aushwitz

Post n°1367 pubblicato il 21 Settembre 2011 da MANUGIA95

Lentamente nel grigio.

Camminavo a margine della piccola
strada fangosa, con la testa abbassata,
stanca e infelice. I piedi rattrappiti
in duri zoccoli sporchi, tra fango
e distese grigie di acqua piovana. Era freddo e
i pochi stracci che portavo,
scuri e laceri mi coprivano a malapena.
Lontano alcune case con tetti aguzzi e noi,
una lunga fila di deportati, camminavamo
insieme verso una méta sconosciuta.
Il cielo plumbeo pennellava tutto
di colore antracite e i nosri corpi
ci erano estranei, con la mente vagavo
sul perchè fossi lì.
Ma presto mi stancavo di pensare
e guardavo angosciata senza capire.
La ruvida stoffa delle vesti era grigia
come le pozzanghere,
le nostre poche cose inutili
chiuse nei sacchi bagnati.
Il corteo camminava ancora,
stanco e spento, in silenzio.
Solo qualche lamento di vecchio ogni tanto.

 

 
 
 

E' sera

Post n°1366 pubblicato il 13 Settembre 2011 da MANUGIA95
 

 

E' sera, è primavera,

sull'acciottolato s'allunga un'ombra

testarde fanno capolino

piccole foglie verdi

e ammiccando graziose

ammantano le zolle

profumandole di nuova linfa.

S'alza un vento caldo

e nuovo, si spargono prufumi e odori

di campi e fiori,

l'aria nuova riveste ancora la terra

e salgono i rami pieni di gemme

verso il cielo infinito.

 

 

 
 
 

La Novarese

Post n°1365 pubblicato il 06 Settembre 2011 da MANUGIA95
 

La colonia di Miramare


Quandov’eran piazze
smisurate e polverose,
e il vuoto dominava intorno
e gli alberi disordinati
e gli stagni e i salici
tra le sparute case,

stupitie incantati
nelle nostre corse tra i prati
ammiravamo, da lontano,
la chiglia e il camino immobili
dell’antica colonia a nave forgiata.

Ferma, tra un mare ondeggiante
di verde erba e canne selvagge,
tra antiche e morbide dune,
laggiù la Novarese s’ergeva
maestosa come un vero bastimento,
ma fisso e vuoto.

Eppur da lontano pareva
un vascello di ieri
ormeggiato in un porto,
ormai abbandonato,
suggeriva misteri di guerre

e tormenti di vite passate.

Grande nave di sogni
fiera e superba
pure immobile,
sempre pronta a partir pareva,
ma or così… nuda e morente.

MANUGIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Inaugurazione di una piazza fascista. Utilizzati i soldi destinati ai danni del terremoto dell’Aquila

Post n°1364 pubblicato il 05 Settembre 2011 da MANUGIA95
 

Ci sono delle azioni fatte dalla politica di cui non si capisce il motivo, nemmeno a lambiccarsi il cervello. Per esempio c’è una notizia, passata abbastanza in sordina, che racconta della rabbia e dell’indignazione montata negli abitanti del Comune di Aielli, in provincia dell’Aquila. Motivo? L’inaugurazione frettolosa, il 20 agosto, di una piazza intitolata al Prefetto Guido Letta, zio di Gianni Letta.
La cerimonia doveva tenersi già a metà luglio, poi era slittata, probabilmente per le proteste dei cittadini. È stato scelto il 20 agosto perchè cadeva a cavallo della festa dell’Immacolata Concezione. Un blitz rapido del Sindaco, in

compagnia del presidente della Provincia e qualche assessore per fare numero, senza neanche la presenza di Gianni Letta, ha dato vita alla nuova piazza Guido Letta.

Ma perchè tanta contrarietà da parte del “popolo”? I motivi ci sono tutti:
> Primo: il signor Guido Letta era un impenitente gerarca fascista, noto alla storia come artefice di un intervento a favore di Amerigo Dumini, assassino di Giacomo Matteotti.
> Secondo: la piazza che si è deciso di ribattezzare aveva nome “Piazza Risorgimento”, per cui il nome e il busto di un fascista stonano un tantino, soprattutto nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
> Terzo: i 20mila euro utilizzati per questa porcheria (si può dire?) provengono nientemeno che dal fondo per la ricostruzione, destinato a coprire i costi di una riqualificazione (che avverrà chissà quando) delle aree urbane devastate dal terremoto.

Quindi, e lo capisce anche un bambino, ci sono almeno tre colossali motivi per non doversi sognare nemmeno un’operazione come quella che invece è stata portata a termine il 20 agosto. E il perchè di questa follia resta veramente incomprensibile. Sarà complottismo o esiste una volontà di riscrivere la storia partendo da piccole insignificanti modifiche come questa?
Perchè, dopo tutta la retorica sui 150 anni, si decide di rimpiazzare proprio Piazza Risorgimento? E perchè con un busto fascista? Misteri. Di certo prendere i soldi della ricostruzione è stata una mascalzonata enorme. Pagare un busto fascista con denaro che, almeno in parte, sarebbe servito a gettare dietro le spalle una tragedia nazionale (non solo abruzzese) è imperdonabile.

Written by Frenchi

da: http://oknotizie.virgilio.it/go.php?us=49755a1deb7b0c43

 
 
 

La spiaggia di Torre San Giovanni Lecce

Post n°1363 pubblicato il 04 Settembre 2011 da MANUGIA95
 

Dopo i pochi chilometri di rocce piane o alte che sprofondano nel mare cristallino della zona di Torre Suda e Alliste e che dividono le stupende spiagge di Gallipoli da quelle di Ugento si incontra il porto di Torre San Giovanni con la sua particolare torre a scacchi. Dopo il porto iniziano le dune verdi ricoperte di macchia mediterranea che nascondono questa poco famosa spiaggia che è lunga circa quindici chilometri. Chi vi arriva non è abituato a questo splendore. Si lascia la macchina in uno dei pochi, ma capienti parcheggi e si saltano le prime dune per scoprire un mondo fantastico! Chilometri e chilometri di spiaggia bianca e sottile senza conchiglie o altri tipi di ciottoli, entrando si può camminare per cinquecento metri con l'acqua che arriva sempre alle ginocchia e ammirare il fondale bianco tipico dei caraibi. Poi lentamente il livello dell'acqua si alza per avvolgerti in questo spazio verde e di tutte le tonalità del blu e di verde. Ancora guardi sotto e la rena bianca e un pò ondulata ti appare ben visibile, in maniera limpida. A fine agosto banchi di bassa marea si alternano a striscie di acqua calda e pulita: una piscina naturale. La spiaggia è divisa in maniera alternata tra zone libere e attrezzate, la gente, a parte ferragosto, non è mai troppa. Speriamo anzi che questo posto fantastico rimanga ancora per lungo tempo sconosciuto!!!

 

 
 
 
 
 

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