Creato da mjkacat il 24/05/2005

Eighties

Psicoanalisi Filosofia Teologia

 

 

Le regole del gioco

Post n°201 pubblicato il 21 Settembre 2008 da mjkacat

E' logico ipotizzare, ammesso e non concesso che il mondo non si sia fatto
da solo come Berlusconi, che chi lo ha "inventato" abbia posto delle regole.

Ora, queste regole parrebbe studiarle la scienza, con la monotonia di tutti
quei secchioni che, invece di giocare ne studiano la forma in modo più o
meno con-forme alle loro ipotesi sempre più parziali e settoriali perdendo
così la visione dell'insieme e restando fuori dal gioco ne più ne meno con
il divertimento di un'arbitro rispetto a un calciatore o un giudice di linea
rispetto a Nadal e Federer.

Ma chi aspira alla soddisfazione di un Nadal, un Federer, un Del Piero pensa
solo a giocare, a divertirsi e si lascia giocare dal gioco dell'"inventore"
recuperando così quell'unità originaria del tutto "giocatore-stadio" che
inutilmente gli uomini hanno cercato di ritrovare scientificamente in
quell'unità egualitaria posticcia che si denominò "comunismo" il cui
"peccato originale" risiedeva appunto in quella scientificità spezzettante
che è esattamente l'opposto dell'uguaglianza primordiale che si può solo
ritrovare SPEZZANDO le regole come con una sonora risata.



http://www.ibs.it/code/9788816431140/sini-carlo/comico-vita.html




 
 
 

Cosa realmente è un "dogma"

Post n°200 pubblicato il 18 Settembre 2008 da mjkacat

".Uno potrebbe appunto dire: di fatto la fede viene dal "sentire", non dal
"riflettere" (come la filosofia) ed il suo essere consiste nel
"ripensare"ciò che si è udito. Il che significa: c'è in essa una precedenza
della parola sul pensiero; nella filosofia il pensiero precede la parola,
questa è il tipico prodotto della riflessione che si sforza poi di tradurre
in parole il pensato.  La parola tuttavia è sempre secondaria rispetto al
pensiero e perciò sostituibile in ogni tempo con altre parole.
La fede invece si avvicina all'uomo dall'ESTERNO (in corsivo nel testo), non
è autoinvenzione, ma ciò mi è detto, mi colpisce, mi chiama e mi
responsabilizza precisamente non come qualcosa di pensato o di pensabile:
infatti è essenziale per la fede questa doppia struttura del "Credi tu ?-Io
credo", dell'essere chiamati dall'esterno e del rispondere.  Perciò la sua
parola non è per me qualcosa di disponibile e sostituibile, ma mi è sempre
preordinata e precede il mio pensiero.  La positività di ciò che mi si
avvicina, che non è qualcosa di mio e non può mai diventarlo completamente,
ma che viceversa chiede che io mi affidi, contrassegna il senso del
procedimento della fede.
   Ora si comprende anche che cosa "SYMBOLUM", simbolo, voglia dire quando
dal termine dogma siamo rimandati ad esso.  Il simbolo è in rapporto con
SYMBALLEIN.  Significa mettere insieme parti di un segno attraverso il quale
gli uomini si riconoscono l'un l'altro e diventano coscienti del loro
rapporto.  Con queta parola l'antichità comprende due parti congiungibili di
un cerchio, di un bastone,  di una tavoletta per gli ospiti, gli
ambasciatori e i contraenti di un contrattovalgono come segno di
riconoscimento.  Il possesso di una parte serve come carta di
riconoscimento, autorizzando a ricevere un previlegio o semplicemente
ospitalità.  Il linguaggio della fede ha il senso di un simbolo in questo
significato originario; cioè esso rimanda all'altro e rende possibile
l'unità:  Il suo significato è creare l'unità dello spirito attraverso
l'unità della parola e in ciò l'unità della comune glorificazione di Dio.
Il senso originario del dogma è la possibilità del comune servizio divino,
la possibilità della comunione nel sacro.  Così ora la parola SYMBOLUM,
nella quale abbiamo riconosciuto la precedenza e la permanenza,
caratteristiche della parola e della realtà "dogma", ci conduce alla sua
essenziale determinazione di fondo:
1) In quanto simbolo il dogma ha sempre il carattere di una metà, di
incompiuto ed insufficente (...)
Solo attraverso l'apertura infinita del simbolo la fede avanza come
permanente autosuperamento dell'uomo verso il suo Dio.
2) In questo modo diventa chiaro l'essenziale carattere comunitario,
liturgico, letterale del dogma. (...)  Il suo senso è essenzialmente
costituire la possibilità di non poter mai dire abbastanza ciò che si deve
dire in comunione (...)  Si tratta, ripetiamo di rendere possibile la
comunione dello spirito attraverso la comunione della parola.
Il dogma ha carattere di parola (...)
Poichè noi abbiamo la sua realtà solo nella parola, e questa parola è al
servizio del Dio della comunione, per questo il dogma è e deve essere
sottratto all'arbitrio individuale. "

Joseph Ratzinger
"NATURA E COMPITO DELLA TEOLOGIA"
Il teologo nella disputa contemporanea
               Storia e dogma
Edizioni Jaca Book
Pag. 139-140

Concludo dicendo che,...in una "grammatica" del linguaggio della fede, i
simboli, (dogmi) sono forze obbliganti di questa lingua-grammatica.

In termini ancor più semplici i dogmi sono l'equivalente dei chiodi piantati
nella roccia "obbliganti" per salire.

http://www.itacalibri.it/Template/detailArticoli.asp?LN=IT&IDFolder=144&IDOggetto=29502



 
 
 

Wonderfull Sini

Post n°199 pubblicato il 14 Settembre 2008 da mjkacat

LA DECOSTRUZIONE DELL'IDEOLOGIA

Il punto di partenza è questo: la scienza si avvia ormai a trasformarsi
completamente in tecnoscienza, ricerca finalizzata alle sue applicazioni
tecniche guidata da esigenze economiche (sono sempre più gli interessi del
capitale finanziario a dirigere e orientare la ricerca stanziando fondi per
progetti economicamente remunerativi, come farmaci, tecnologie e nuovi
prodotti da piazzare sul mercato) incidendo sempre più profondamente sul
globo terrestre (sia con innovazioni tecnologiche sia con politiche
economiche su scala planetaria) e sulla vita dei suoi abitanti, ridotti
sempre più a ingranaggi (consumatori-propulsori) di questo Meccanismo. Tale
Apparato è sorretto da una conforme «visione del mondo» - alla quale
scienziati e ingegneri vengono istruiti e sulla base della quale si formano
professionalmente - che ha le sue radici nella storia della cultura
occidentale, nel suo linguaggio e nelle sue «scritture». Salvo che questa
«visione del mondo» (che abita tutti i «saperi» dell'Occidente, sia
scientifici che umanistici) è, come la filosofia contemporanea da più di un
secolo ha messo in luce, profondamente ideologica («metafisica» direbbe
Heidegger, «logocentrica» direbbe Derrida) in quanto veicolata da un
linguaggio, da concetti e da nozioni «storicamente determinati» (contingenti
e relativi) e dogmaticamente assunti come ovvie e pacifiche verità. E'
allora su questo piano che per Sini è anzitutto necessario operare,
attraverso una decostruzione dell'ideologia implicita nell'attuale
formazione scientifica e professionale: un altro mondo non è possibile se
anzitutto scienziati e ingegneri continuano ad avere nella testa quella
rappresentazione ideologica della realtà che la nostra cultura, in modo
involontariamente dogmatico, propina loro dalla scuola elementare alla
formazione universitaria. La materia delle cose. Filosofia e Scienza dei
materiali offre quindi una documentata critica alla formazione professionale
degli attuali ingegneri, i quali vengono educati nei Politecnici a una
disciplina accademica (la Scienza dei Materiali) che è un vero coacervo di
ideologie e presupposti dogmatici non privi di ricadute sul piano politico
e, più in generale, sulla vita globale della popolazione mondiale (è infatti
proprio su questi presupposti ideologici, dati come ovvii e mai messi in
discussione, che gli ingegneri impiantano la loro prassi, volta a
trasformare sempre più profondamente il globo terrestre). La «decostruzione»
dell'ideologia implicita nella Scienza dei Materiali è condotta con i
consolidati strumenti del bagaglio teoretico-concettuale di Sini, che muove
dalla rappresentazione del mondo che essa offre nel cosiddetto «ciclo dei
materiali e delle risorse»: una rappresentazione ideologica, basata sui
tipici dogmi del «naturalismo» e dell'«oggettivismo», ma spacciata ai futuri
ingegneri come descrizione del mondo «in sé», ovvero per come esso sarebbe
«in natura»; Sini mostra come in essa il rapporto teoria-prassi sia
surrettiziamente invertito e dunque come quella teoria e «visione» del mondo
e del suo funzionamento - lungi dall'essere una «verità necessaria», ossia
una rappresentazione della realtà «in sé» - dipenda invece proprio dalla
prassi umana, dalle concrete «pratiche» scientifico-tecnologiche messe in
opera sulla base di interessi contingenti e relativi. Dopo aver dissodato i
fondamenti di tale disciplina, così conclude l'autore in un linguaggio
quanto mai chiaro e diretto: «Sono gli stati nazionali, sono i cartelli
internazionali delle società produttrici e distributrici, sono gli interessi
del capitale finanziario, è la logica del mercato e della borsa mondiale
che, come abbiamo compreso, decidono via via quali sono i "materiali", le
loro "riserve", le loro "fonti" preferibili, le loro elaborazioni
tecnologicamente vantaggiose, i modi, i tempi e soprattutto i luoghi dei
loro smaltimenti nocivi. Quindi il reale ciclo dei materiali non è affatto
esaurito dallo schema che abbiamo sotto gli occhi: questa è una tipica
finzione del naturalismo "oggettivistico" ed è una menzogna che ricopre una
realtà ben più complessa: una realtà essenzialmente "politica" che ha in sé
elementi esplosivi di conflittualità largamente "soggettivi" (niente affatto
necessari o immodificabili) e storicamente contingenti [.]. Ecco come la
giusta e condivisibile preoccupazione di diffondere tra i giovani (e non
solo) la cultura scientifica si traduce in una mostruosità culturale e in
una per altro involontaria trasmissione di spirito dogmatico e acritico» (La
materia delle cose, pp. 43-45). Viene qui chiaramente in luce il profondo
intento che muove la più imponente opera di Carlo Sini, i sei volumi di
Figure dell'Enciclopedia Filosofica: quello di elaborare una nuova
«enciclopedia dei saperi», rifondando genealogicamente la cultura umanistica
e scientifica e liberandola dai presupposti ideologici e dogmatici
(«metafisici» e «logocentrici») che ancora la abitano nel profondo e che
agiscono nel suo tessuto restando inavvertiti. La prassi rivoluzionaria
passa cioè attraverso quella che Wittgenstein avrebbe definito una
«purificazione» del linguaggio dalle sue incrostazioni dogmatiche e
storicamente determinate. Si tratta dunque di una rifondazione del sapere
(lungi da qualsiasi intento «fondativo» in senso classico) che mira a una
formazione (culturale ma anche scolastica) intesa come costante esercizio
anti-ideologico di liberazione dai dogmi e dalle superstizioni
storico-culturali scambiati per verità «in sè». È ciò che Sini chiama
«rivoluzione etica» (cfr. Etica della scrittura, Il saggiatore, 1992) dove
«etica» non sta per «morale» bensì per ethos (formazione, costume, habitus).
Un ethos che sappia far fronte alle insidie dell'Apparato e alla
strumentalizzazione biopolitica operata dal sistema
scientifico-tecnico-economico ormai planetario, decostruendone il fondamento
ideologico e il funzionamento interno. Compito quanto mai urgente, poichè
«nella globalizzazione scientistica e capitalistica - si legge in Le arti
dinamiche, p. 204 - è all'opera l'intento della palese regolamentazione
dell'intera
kinesis sociale: determinare la produzione e la riproduzione degli individui
sociali secondo il criterio quantitativo dell'incremento lineare progressivo
(moto uniformemente accelerato, se mai fosse possibile). A favore
naturalmente di chi già ne detiene i vantaggi; spudoratamente e cinicamente
a favore, ma con l'aggiunta, largamente bugiarda ma buona per gli illusi e
per gli sciocchi, che questo sia infine il "bene" dell'intera umanità
(sempre futura)».

Vi stupite che queste siano parole di Carlo Sini, emerito e distinto
professore di Filosofia Teoretica dell'Università di Milano, brillante
conferenziere e profondo conoscitore della opere di Platone e della
semiotica peirceana, nonché Accademico dei Lincei? Ma è sufficiente
addentrarsi nei suoi percorsi teoretici, superando la diffidenza verso il
sofisticato linguaggio filosofico, per trovare, anche nelle sue opere più
insospettabili e apparentemente lontane dall'orizzonte politico, gli
strumenti di una rivoluzione ancora tutta da fare.

http://enciclopedia.splinder.com/tag/sini


 
 
 

La Religione oggi

Post n°198 pubblicato il 14 Settembre 2008 da mjkacat


                                        l'Altro
                                            I
                                            I
                                            I
                             _______  io________ l'altro
                                            I
                                            I
                                            I
                                            I


Credo che oggi la religione si esprima nel passaggio inevitabile dall'"altro
all'Altro".
Più che mai trovo attuali le parole del Vangelo "Ama il prossimo tuo" come
inevitabile Via per raggiungere quel Dio "differente" da noi come lo è
anche, nel suo piccolo, chiunque incontriamo a cominciare, come dicevo
l'altro giorno, il "nostro vicino di casa", l'ultimo, cioè, che ci saremmo
aspettati che fosse il vero "superuomo".

Troppe volte ci siamo illusi, metafisicamente, di poter aver un rapporto
diretto con quel "Dio , Altro" e ci siamo INFLAZIONATI in un modo o
nell'altro peccando in varie forme di "arianesimo".
Viceversa nell'escludere quello stesso Dio e sviluppando solo il lato
ORIZZONTALE della CROCE senza quello VERTICALE abbiamo solo generato mostri
materialisti.

Solo nell'equilibrio simbolico della Croce, alla luce delle letture di
Lévinas, Derrida, Gadamer, Binswanger, tutti figli a vario titolo di
Husserl-Heidegger, si può arrivare a quella nuova concezione della religione
come regno dell"altro e dell'Altro ancora"
La Religione, oserei dire , della "DIFFERENCE", paradossale nuovo nome
dell'Uguaglianza.



 
 
 
 
 

Rane & rospi

Post n°196 pubblicato il 12 Settembre 2008 da mjkacat

"Il mondo desacralizzato e secolarizzato della scienza, alla ricerca di
nuovi miti, fa dell'artista una sorta di "redentore terreno" da cui
dipenderebbe la salvezza del mondo e la cui tragicità sta nel non poter
operare che una redenzione particolare - che è la negazione della
redenzione - e nello sperimentare, attraverso il pubblico che raccoglie
intorno a sé, lo scacco di questa particolarità"

H-G Gadamer
"Verità e metodo"
Bompiani
pag 117

 
 
 

Elaborazione etica dell'invidia

Post n°195 pubblicato il 09 Settembre 2008 da mjkacat

Quando le società erano molto gerarchizzate il risentimento sociale era meno
diffuso rispetto alle società democratiche poichè nelle prime erano solo
piccoli dettagli a fare le differenze.

"Questo "odio immortale", osserva Toqueville, e sempre più infuocato che
anima i popoli democratici contro il minimo previlegio favorisce
particolarmente la concentrazione graduale di tutti i diritti politici nelle
mani del solo rappresentante dello stato".

A questa "tentazione totalitaria egualitarista" l'America ha saputo
anteporre la MERITOCRAZIA quale anticorpo a differenza dell'Europa alfiere
dell'interventismo sociale per porre rimedio alle differenze del mercato.

Esempio estremo in questa direzione è la Svezia dallo stato assistenziale
totale, dove questa "elaborazione etica dell'invidia" è riconosciuta dagli
svedesi stessi tanto da essere comunemente etichettata con "svenska
avundsjukan", ovvero "la regia invidia svedese"

Questa "regia invidia" si può poi sintetizzare ulteriormente nel cosidetto
"Modello di trasparenza" .
"Caduta del segreto, deprivatizzazione, gestione pubblica del privato:
l'ossessione dell'etica comunitaria e socialdemocratica è di giungere a una
trasparenza completa di tutti i rapporti, in tutti i campi della società".

Ecco dunque all'opera quel "Grande Fratello" che si vorrebbe introdurre
anche qui in Italia nell'ossessione spiona delle illimitate intercettazioni
telefoniche ad opera dello stato-giudice, nella fattispecie.

In sintesi, quindi, solo i paesi che hanno sufficenti "anticorpi
meritocratici" possono disporre di un'elettorato che può usare il voto senza
sfasciare tutto, prerogativa indiscussa di una certa sinistra che, grazie al
cielo, è rimasta fuori dal parlamento sebbene cerchi di farne le veci il
"buffo Antonino".

 
 
 

Il '68 di P.P.Pasolini

Post n°194 pubblicato il 08 Settembre 2008 da mjkacat

Nell'ottica pasoliniana il movimento del '68 non rappresentava affatto un
"contropotere" bensì un momento di attuazione del "Nuovo Potere",
economico-politico-mediatico, che si andava costruendo.

Quel nuovo potere richiedeva la dissoluzione dei valori tradizionali onde
poter attuare la mercificazione integrale dell'esistenza.  Il '68 era
funzionale a ciò.  L'esito è una gioventù che, rinnegando il passato,
ritornava a una sorta di rozzezza primitiva, palese anche nell'aspetto
esteriore.

Il Pasolini che per primo aveva colto la degradazione morale della società
consumistica, demitizzava, al contempo, la presunzione sessantottina.

"Il nuovo potere consumistico e permissivo si è valso proprio delle nostre
conquiste mentali di laici, di illuministi, di razionalisti, per costruire
la propria impalcatura di falso laicismo, di falso illuminismo, di falsa
razionalità.  Tale nuovo potere ha portato al limite massimo la sua unica
possibile sacralità: la sacralità del consumo come rito, e, naturalmente,
della merce come feticcio.
In questo contesto i nostri vecchi argomenti di laici illuministi,
razionalisti, non solo sono spuntati e inutili, ma, anzi, fanno il gioco del
potere.
Dire che la vita non è sacra, e che il sentimento è stupido, è fare
un'immenso favore ai produttori".


(Scritti corsari, Garzanti)

 
 
 

La "fubba" ...e il "pocco" 

Post n°193 pubblicato il 05 Settembre 2008 da mjkacat

Ciao,
mi chiamo Giuliana, ho 21 anni, direi che sono una ragazza normale, carina e
piccolina, di carattere dolce, mite, buona. Credo nella Chiesa e nei valori
cattolici. Non ho problemi, tranne uno grande, di cui mi vergogno: mi
masturbo tutti i giorni. Vorrei diminuire la frequenza, ma non ci riesco.
Vivo il sesso come pratica umiliante, come valvola di sfogo e non come
completamento dell'AMORE. Ogni giorno mi piego ad una forza superiore e
negativa che mi prende, mi domina e mi lascia solo quando finisco. Subito
dopo mi sento stanca e spossata, sporca e umiliata. E' così da molti anni,
giorno dopo giorno. Vivo l'intensità di un piacere forte e incontenibile,
pur sapendo di offendere me stessa e i valori cattolici in cui credo. Valori
che rispetto convintamene rifiutando rapporti occasionali, ma che non mi
salvano dalla dipendenza di una pratica degradante, fonte di godimento
intenso ma abnorme e turpe. Mi riprometto sempre che è l'ultima volta, ma
poi il giorno seguente ci ricasco puntualmente. Ormai evito di resistere,
perché poi mi sento male, perché sono schiava di una dipendenza che mi
perseguita e che mi non abbandona mai, se non quando mi libero. Non so
neppure se è giusto sentirmi colpevole, perché lo faccio per una necessità
quasi meccanica.
In me convivono due persone: la parte negativa mi impone di farlo con
fortissima intensità, trascinandomi in una specie di abisso e di trance, da
cui mi libero solo quando vengo; la parte positiva, quella più debole e
perdente, mi costringe comunque a vivere quei momenti in modo sofferto e
"costretto", con la coscienza di peccare contro me stessa. Mentre lo faccio,
sento il disgusto di ciò che mi sto procurando, eppure non riesco a
fermarmi, anzi la coscienza di fare qualcosa di grandemente sporco rende più
forte il mio godere, più intenso il desiderio di continuare in modo sempre
più frenetico, per arrivare alla fine e sentirmi totalmente esausta e senza
respiro, avendo consumato ogni stilla di piacere. Vorrei cambiare e
rinascere, vincere per sempre questo mio irrefrenabile e bestiale bisogno di
mortificarmi, di raggiungere sempre l'apice di un "godere" brutale e insano.
Ma non ci sono mai riuscita. E non ci riuscirò mai.
Ma la mia sofferenza più grande è che in conseguenza di ciò che mi faccio
quotidianamente, non posso fare la Comunione. La mia domanda è la seguente:
vorrei sapere se secondo la morale cattolica, una ragazza nelle mie
condizioni di disordine morale può ugualmente accostarsi ai sacramenti. Per
me cattolica praticante è motivo di enorme dolore non potermi comunicare.
Non ho il coraggio di confessarmi faccia a faccia con un sacerdote e
raccontare tutto quello che vi ho descritto, non solo per vergogna ma anche
perché so bene che è inutile, che posso resistere qualche ora ma non di più.
Chiedo scusa per la mia franchezza e per il lunghissimo sfogo, avevo bisogno
di confidarmi totalmente con qualcuno, senza alcun pudore. Vi assicuro che
la mia richiesta d'aiuto è assolutamente seria e sincera. Mi preme sapere
cosa dice la morale cattolica su questo punto.
Vi prego di evitare commenti ironici o strafottenti, la mia vergogna è già
grande e non ne ha bisogno. Scusate per la mia estrema e forse eccessiva
sincerità.
Sinceramente vostra, Giuliana

Caaaaaara Giuliana
non è un'uomo che ti parla, è tuo fratello, ma che dico fratello...fra...
Ma ora veniamo a noi, mia giovane (sbav) sorella che facilmente ti immagino
ignuda (sbav sbav) con le tue sode tettine (slurp sbav) di ventunenne così
acerbe (sté palle) e mai toccate da verun uomo (eeeeeeeee)
Si ti immagino mentre ti coglie il peccato (inzooooommaaaa) e ti lascia
andare alla lascivia (vengo anch'io ? No, tu no..) che ti sale dalle
cosciettine (sbav sbav slurp sbav miaaaaaaooooooouuuuuu) sù sù fino alla
patatina (si! due chili di gnocca!) e tu ne sei preda innocente
(inzoooooooommaaaaa..)
Ora io son qui per aiutarti (così così) e ti voglio riportare sulla strada
(quale?) della rettitudine (a, beh!) perchè questo peccato (inzoooooommaa)
va estirpato con tutta la forza e la potenza...eccetera (ma che cazzo dici ?)
Vieni qui da me giovin e fresca virginea fanciulla (sé, se li mettiamo in
fila quelli che ha preso arriviamo a Roma) e bacia questa sacro cordone
della mia veste talare (the fox)...ecco, così braaaaaaava (brot porz) sento
che il perdono stà per arrivare (perdono,..sto' cazzo)....ecco....lo
sento....ancora un bacino (purzlaz dla malora)....eccooooooooooo....e
venuto...son arrivato....ecco....ora vai in pace (grazie e caz)...ego te
absolvo (schifos d'un fré)...Pace e bene (per te sicur !!)


 
 
 

Dono & Risentimento

Post n°192 pubblicato il 05 Settembre 2008 da mjkacat

L'Invidia ha un grande ruolo nelle lotte sociali e nei programmi politici.
Il Risentimento, quindi, predilige la visione politico-economica a "somma
zero" delle economie primitive statiche in cui il maggior reddito e il
maggior patrimonio dell'uno implica il minor reddito e patrimonio dell'altro
e quindi, in dette economie primitive, il DONO, aveva la funzione sociale di
riequilibrare tutto ciò al fine di evitare il risentimento invidioso.

Ora, tralasciando che vi è anche il gioco positivo delle economie di mercato
in cui tutti migliorano ma alcuni di più, cosa comunque improponibile per
gli invidiosi e imperdonabile per i loro corifei, quello che si voleva
evidenziare è come abbia ragioni psicologiche abissalmente differenti il
"dono" inteso in senso marxista e il DONO inteso in senso Cattolico.

Nel primo caso il motore è l'INVIDIA, un VIZIO, nel secondo è l'AMORE, una
VIRTU'.

Ovvio poi che tali "rivoluzioni" falliscano miserevolmente quando il
substrato psicologico resta inalterato e si ha un bel travestirsi da "santi"
che sotto traspare solo la solita diabolica "volontà di potenza" e non certo
la divina "nolontà", ovviamente in versione cristiana e non ottusamente
schopenhaueriana-new-age !



 
 
 

Santità & Empietà

Post n°191 pubblicato il 05 Settembre 2008 da mjkacat

La cultura laica, che della differenza tra santita ed empietà non sa nulla,
non sa conseguentemente neppure distinguere tra le religioni ritenendo tutti
i fondamentalismi religiosi uguali.

Ora, premesso che la natura rigorosamente laica delle diverse dottrine
degl'ultimi due secoli hanno sì potentemente contribuito alla nascita del
moderno spirito europeo ma  non è riuscita, però, ad impedire che questo
spirito si esprimesse nella creazione di alcuni dei regimi più fanatici,
settari, criminali, terroristici e totalitari della storia umana.
Dal che si deduce che la cultura cosidetta laica, lungi dall'essere come
essa ama immaginarsi, cioè il solo valido antidoto al virus fondamentalista,
ha dimostrato da un pezzo di essere all'occorrenza capacissima di generare
mostri; il grande terrore giacobino, il gulag sovietico e il lager nazista,
più voraci di quelli partoriti dalle fedi che intendevano annientare

La liquidazione dell'Innominabile ha, di volta in volta cercato di
sostituirLo con qualche nominabilissimo Idiota...o Idolo che dir si voglia
e ieri come oggi e un fiorilegio di nuove invenzioni: Classe, Razza,
Nazione, Partito, Stato, Storia, Ragione, Scienza, Capitale, Tecnica, Sesso,
Progresso e simili.

Ora, premesso questo, che dovrebbe già essere sufficente a tacere i
predicatori laici dai loro ridicoli pulpiti, sarebbe anche il caso di saper
distinguere, una volta per tutte , una differenza non da poco, che mentre le
infamie di cui si sono macchiate alcune religioni sono state commesse
NONOSTANTE il loro messaggio originario; vedi il Cristianesimo i cui
misfatti storici non derivano certo dagli insegnamenti del Nuovo Testamento,
quelle di cui si macchiano e continuano a macchiarsi tante altre fedi,
furono e sono invece autorizzate proprio dall'insegnamento dei loro
fondatori, come nel caso dell'islamismo, le atrocità del quale sono quasi
tutte confermate dagli insegnamenti del Corano.

Oggi, non le analogie tra le tre religioni del Libro, bensì l'abissale
DIFFERENZA tra di esse urge, al contrario, sottolineare.

Valga, come plateale esempio, l'EMPIA concezione del "martirio"
Certo, la Chiesa, su questo argomento ha già detto tutto fin dai tempi in
cui l'autore dell'Apocalisse definendo Cristo "il testimone fedele", decretò
implicitamente che "martirio" vuol dire affrontare la PROPRIA morte, non
quella altrui, per testimoniare la fede.
Ora però va molto di moda, fra i nostri cugini maomettani, quell'orribile
idea di "martirio" che consiste nel votarsi simultaneamente al suicidio e al
massacro.
Non sarà forse il caso di proclamare alto e forte che non si tratta di
martiri bensì di INDEMONIATI ?

Sarebbe comunque ora che la cultura (sic...) laica cominciasse, quantomeno,
a provare di essere un po' meno LAIDA...almeno quello !!.
Thank...

 
 
 

Sacro & Santo

Post n°190 pubblicato il 04 Settembre 2008 da mjkacat

Il Sacro è lungi dall'essere, come vorrebbe  la cultura laicista e
nichilista,
un serbatoio di Utopie, un sistema di valori che permette ancora di
"sognare"
mondi migliori; un pensiero cioè che accetta  sì il Cristianesimo ma solo
come
grande NARRAZIONE, per il suo aspetto di simbolo, la sua capacità di
sintetizzare immagini universali. cioè DE-PRESENTIFICANDOLO e
 lasciandolo sempre A LATO.come ARCHIVIO da conservare, da
dissepellire e tirare a lucido, ma niente di più.

Ecco che il Sacro, lungi dall'essere tutto ciò,  è si qualcosa che giace nel
profondo di ognuno di noi,  ma che aspetta solo di essere estrinsecato
nel SANTO attraverso il SIMBOLO inteso come correttamente precisa
René Guénon

"Le precisazioni guénoniane sulla dottrina dei simboli si presentavano con
una loro particolare urgenza nella prima metà del XX secolo a causa
soprattutto delle interpretazioni psicanalitiche, particolarmente insidiose
nel distorcere i simboli delle tradizioni occidentali e orientali, fino al
completo ribaltamento dei loro significati. La psicologia moderna, con
l'appello al subconscio, riteneva di poter spostare in una zona "infera" la
possibilità di accedere a questi significati. Guénon affronta la questione
ricollocando al vertice della conoscenza un intelletto in grado di andare al
di là del dualismo e di cogliere, intuitivamente, le verità metafisiche che
i simboli, per loro stessa natura, racchiudono e trasmettono. Non al
"super-conscio", dunque, elemento superiore capace di oltrepassare il
dualismo conoscitivo posto dal razionalismo moderno tra conoscente e
conoscibile, ma ad un informe "sub-conscio" la moderna psicologia affida la
capacità di entrare in relazione con il divino. Con ciò, evidentemente, si
precludeva la possibilità che i simboli potessero continuare a trasmettere
il loro significato sul piano dell'esistenza umana, introducendo una
discontinuità che avrebbe impedito definitivamente il recupero in senso
tradizionale della civiltà occidentale".

Ora, dopo questa premessa, parliamo di che cos'è il SANTO e partiamo
da quelli che nella Chiesa Cattolica stessa sono considerati i più "avviati"
su questa via e cioè i monaci e le monache di ogni tipo, ordine e grado.

Premetto che questo discorso è fatto non con l'intento di esaltare, seppur
lo meriterebbero ampiamente, questi particolari ordini religiosi visto
l'enorme
sacrificio e sforzo da veri e propri SUPERUOMINI che questa scelta
comporta, ma solo per trarre delle utili indicazioni ad una vita gioiosa per
ognuno di noi.

Ora, qual'è la caratteristica saliente di questi ordini religiosi ?
La COMUNITA', ovviamente.
Questo perchè nella COMUNITA' il nostro IO viene ridimensionato.
Il Sacro và sempre affrontato con l'attenzione nell'"altro" da sè
Occorre un'APERTURA, un DONARSI in cui va ricercato il vero
senso della POVERTA' che è una povertà dell'Io.
"Quando l'altro ti si para davanti con la sua urgenza tutto il resto
è nulla".
La gioia stà anche nell' essere-insieme scanzonato e semplice.
All'opposto dei discorsi intellettuali complicati in cui va inteso anche la
famosa frase evangelica "Beati i poveri di spirito"

In questo allontanamento dalla VOLONTA' per vivere "adombrati" da Dio,
come quando Maria accetta la volontà di Dio su di Lei, si raggiunge la
vera LIBERTA' e la PACE che è fare la volontà di Dio.
E in ciò si raggiunge fin da subito la liberazione dalla morte, non perchè
promessa certa di vita eterna, ma perchè il pensiero della morte avviene
sempre e solo nella solitudine.

Oggi, che viviamo in un mondo "malato di interiorità", cioè di quel
narcisismo che è l'esatto contrario del donarsi, la morte è l'ossessione per
eccellenza, poichè è figlia di quella VOLONTA' dove tutto è "gloria mia",
protagonismo, quando invece tutto è solo gloria di Dio e non sei tu che
ti glorifichi.

Ecco, allora, che il Sacro porta al Santo nell'APERTURA che, come
insegnava la mistica Santa Teresa del Bambin Gesù, raggiunge il suo
massimo nell'apertura al nemico e all'amore per lui.
Ma anche questo non per guadagnar meriti e scalare posizioni in Paradiso,
ma solo perchè, come insegnava Santa Teresa  "...cercavo la più antipatica
(delle sorelle del convento) per misurare la mia umanità e santità" perchè
sono limitato da chi odio e se invece mi apro a lui mi spalanco nella
LIBERTA'

Si può guarire, quindi, ma solo imparando a fidarsi del MISTERO.




 
 
 

IL SIMBOLO

Post n°189 pubblicato il 04 Settembre 2008 da mjkacat

Le precisazioni guénoniane sulla dottrina dei simboli si presentavano con
una loro particolare urgenza nella prima metà del XX secolo a causa
soprattutto delle interpretazioni psicanalitiche, particolarmente insidiose
nel distorcere i simboli delle tradizioni occidentali e orientali, fino al
completo ribaltamento dei loro significati. La psicologia moderna, con
l'appello al subconscio, riteneva di poter spostare in una zona "infera" la
possibilità di accedere a questi significati. Guénon affronta la questione
ricollocando al vertice della conoscenza un intelletto in grado di andare al
di là del dualismo e di cogliere, intuitivamente, le verità metafisiche che
i simboli, per loro stessa natura, racchiudono e trasmettono. Non al
"super-conscio", dunque, elemento superiore capace di oltrepassare il
dualismo conoscitivo posto dal razionalismo moderno tra conoscente e
conoscibile, ma ad un informe "sub-conscio" la moderna psicologia affida la
capacità di entrare in relazione con il divino. Con ciò, evidentemente, si
precludeva la possibilità che i simboli potessero continuare a trasmettere
il loro significato sul piano dell'esistenza umana, introducendo una
discontinuità che avrebbe impedito definitivamente il recupero in senso
tradizionale della civiltà occidentale.

http://www.massimopacilio.it:80/guenon/opita20.html

 
 
 

Scienza & Uomo

Post n°188 pubblicato il 01 Settembre 2008 da mjkacat

In tutte le psicologie che riducono l'uomo a un oggetto, soprattutto in
quelle dei nostri naturalisti, come Freud, Bleuler, Monakow, Pavlov, ecc.,
troviamo una spaccatura, ossia una fessura dalla quale appare chiaro che non
è tutto l'uomo, cioè l'uomo come totalità, che giunge alla elaborazione
scientifica.  Dappertutto troviamo "qualcosa" che sommerge e fa saltare i
confini di una simile psicologia; e questo "qualcosa", che non viene degnato
di uno sguardo dallo psicologo naturalista, per l'antropologo è invece
proprio il fattore decisivo.  Limitandoci a Freud basta aprire una pagina
qualsiasi dei suoi scritti, per trovarvi questo "qualcosa".
Per esempio egli parla della struttura e del funzionamento del NOSTRO
apparato mentale, oppure della NOSTRA mente in quanto prezioso strumento a
mezzo del quale ci manteniamo in vita; inoltre parla della NOSTRA vita
mentale, oppure dei NOSTRI pensieri.
In tutti questi possessivi si parla di un essere che viene considerato
ovvio, e che ovviamente viene omesso: si parla cioè della PRESENZA COME
NOSTRA PRESENZA.  Lo stesso vale naturalmente anche per i PRONOMI PERSONALI
come : io penso, io preferisco, lui crede, lui racconta, lui si ricorda, lui
ha dimenticato, lui si rifiuta, io gli chiedo, lei mi risponde, noi abbiamo
stabilito, noi confidavamo nel futuro, noi eravamo d'accordo, ecc.  Anche
qui si parla di una presenza in quanto MIA, SUA, ecc., e di una
comunicazione tra presenze o di un rapporto interumano ovvero "tra-noi",
cioè di un rapporto tra una persona e un suo SIMILE, ossia un'altra persona.
Se si omette questo MIO o NOSTRO, questo IO e LUI o NOI, si ottiene il
risultato che la psicologia diviene si "impersonale" e "oggettiva", ma allo
stesso tempo perde il carattere scientifico di un'autentica psicologia e
diventa una scienza naturale.
Freud esamina l'uomo colla stessa "oggettività" e colla stessa dedizione
esistenziale "all'oggetto", colla quale ha esaminato nel laboratoria di
Brucke la MEDULLA dell'ammoceto-Petromizonte (la larva di lampreda), lì con
l'occhio reso più penetrante dal microscopio, qui con l'orecchio reso più
sensibile dalla sua infallibile consapevolezza e sensibilità per le
"situazioni umane".  Alla comunicazione reciproca e 2personale" del rapporto
"tra-noi" si sotituisce la relazione unilaterale e cioè irreversibile del
medico col paziente, e quella ancora più impersonale del ricercatore con
l'oggetto della sua ricerca teoretica.  Dall'esperienza, dalla
partecipazione e dal dialogo interumano e "presente"  è sorto l'esame
teoretico di un "preterito".  In questo modo Freud giunge ad un'IMMENSO
SAPERE sull'uomo come creatura scissa, sofferente, in lotta, che vela e
disvela se stessa; egli ha servito e soddisfatto la scienza (naturale)
dell'uomo come nessuno prima di lui e forse anche come nessun'altro dopo di
lui.

Ma ormai sappiamo che la scienza naturale non esaurisce la totalità
dell'esperienza umana dell'uomo. Dato che essa omette la persona e la
comunicazione e, come vedremo in seguito, il Sé e il significato o senso;
dato che insomma omette l'esistenza, essa non può spiegare perchè in realtà
l'uomo si assume la divina missione di essere produttivo nella ricerca della
verità scientifica, facendone il fondamento e il senso della propria
esistenza, soffrendo e combattendo per essa, ritrovandovi la propria forza e
la propria missione da compiere fino in fondo con eroica perseveranza contro
la resistenza di un mondo ottuso.

In questo modo abbiamo allargato la fessura di cui parlavamo.  La psicologia
naturalistica (una contraddizione in termini) non degna di attenzione
scientifica il fatto antropologico originario (anthropologische Urtatsache)
che la presenza è sempre, MIA, TUA, NOSTRA, e che noi ci comportiamo sempre
in qualche modo sia nei confronti del concetto astratto di corpo che nei
confronti di quello di anima, inoltre essa ignora anche l'intero campo dei
problemi ontologici legati alla questione di CHI sia effettivamente quello
che si comporta in questo modo, cioè alla questione del Sé.  Se questo Sé
viene oggettivato, isolato, e teorizzato in un Io, o in un Es, un Io, e un
Super-io, esso viene esiliato dal suo vero campo di presenza, cioè
dall'esistenza, e viene soffocato in senso ontologico e antropologico.
Invece di seguire questo problema antropologico fondamentale, invece di
RICERCARE se stesso come Eraclito, o di TORNARE IN SE STESSO, come Agostino,
Freud (e con lui tutti gl'altri ricercatori che abbiamo menzionato) scavalca
il problema del Sé come se fosse qualcosa di ovvio. E' proprio qui che si
vede come esistano due vie per fare della psicologia; l'una porta lontano da
noi verso la fissazione teoretica, cioè verso la percezione, l'osservazione,
l'esame e la distruzione dell'uomo reale allo scopo di COSTRUIRE una sua
immagine scientifica (un apparato, un "meccanismo di riflessi", una totalità
funzionale, ecc.); l'altra porta "in noi stessi", non in un senso
ANALITICO-PSICOLOGICO (ché non faremmo altro che ridurre proprio noi stessi
ad oggetti) o CARATTEROLOGICO (ché ci oggettiveremmo di nuovo nella
direzione della nostra "tipologia" psicologica individuale), ma nel senso
antropologico, cioè nella direzione delle condizioni e delle possibilità
della presenza IN QUANTO NOSTRA PROPRIA presenza oppure, ma è lo stesso,
nella direzione della maniera e delle modalità possibili del nostro
esistere.  Questa via "in noi stessi" si riferisce in primo luogo al Sé
della particolare esistenza del ricercatore e a quello su cui egli sta sul
fondamento più propriamente e veramente suo, cioè alla presenza che egli ha
assunto come propria in quanto egli CREA NEL FONDAMENTO DELLA SCIENZA e
ricerca, costruisce, ed esprime la vertà scientifica NEL mondo e CONTRO il
mondo.  Per i ricercatori di cui abbiamo parlato tutto ciò costituisce una
premessa ovvia; invece è ciò che è meno ovvio di tutto, e proprio quello che
viene cercato e indagato da una psicologia che non voglia essere solo una
scienza naturale, ma appunto una PSICO-logia.

Ludwig Binswanger

 
 
 

Galileò flambé

Post n°187 pubblicato il 01 Settembre 2008 da mjkacat

Nel libro "CRISI DELLE SCIENZE EUROPEE" Edmund Husserl analizza la scelta
teorica che sta idealmente alla radice della crisi intellettuale moderna.
Tale scelta è quella compiuta dal sapere galileiano, il quale ha creduto di
poter conoscere adeguatamente il mondo riducendo le qualità primarie a
strutture quantitative suscettibili di espressione matematica ed eliminando
tutte le altre caratteristiche dei fenomeni non riportabili ai suoi schemi.
Il punto di approdo di questo sapere è stato così la
sovrapposizione-sostituzione di determinate architetture formali al ricco e
complesso contenuto della realtà empirica, che è stato in gran parte celato
nel momento stesso in cui, per un'altro verso, se ne scoprivano certe leggi.
Operando in tal modo, il sapere galileiano ha inoltre contribuito a
separare, nel mondo umano, la realtà naturale dalla realtà psichica e ha
assolutizzato il metodo delle scienze naturali, allargandone indebitamente
l'applicabilità a sfere conoscitive diverse da quelle del puro mondo
CORPOREO.

 
 
 

Scientismo socialista

Post n°186 pubblicato il 31 Agosto 2008 da mjkacat

Ovvero
Odio di sé, delle società passate e delle sue Tradizioni +
progetto scientifico tecnologico =
Vuoto progettuale postcomunista compensato dalla
CRITICA
della società Occidentale che
privata di un nucleo ideologico ben definito (vecchio PCI)
può esprimersi a seconda delle convenienze:
Razzismo, consumismo, guerra, ricchezza, culto del denaro,
maschilismo, xenofobia, omofobia, americani, israeliani,
la Chiesa, le religioni ecc...ecc...

In questo clima di disgregazione propositiva,
il radicalismo estremista è diventato una virtù
(non più assogettabile come "malattia infantile")
e l'ala riformista,
che paga il prezzo di una mancata critica profonda
dell'eredità comunista,
è paralizzata dall'accusa di essere asservita al potere
e di essere incapace di reagire.

All'analisi "scientifica" marxiana
delle cause economiche determinanti dei processi storici
si è sostituita la banale e MORALISTICA DIETROLOGIA
DEL COMPLOTTO

Il pacifismo
da movimento meramente politico
subordinato a "Mosca"
si è sostituito un movimento
millenarista ed escatologico
secondo i cui profeti
basta essere buoni e "guancinisti"
e tutto si risolverà MAGICAMENTE

Infine alla "classe proletaria"
si son sostituiti i "diversi"
di ogni ordine e grado
purchè RIBELLI
perchè dei "boveri operai"
non ce ne frga un cazzo.
Infatti, gl'operai l'hanno capita e li hanno trombati.

 
 
 

La fotomodella René

Post n°185 pubblicato il 30 Agosto 2008 da mjkacat

Vi siete mai accorti che Descartes ragiona come una fotomodella ?

Osservate una fotomodella quando sfila sù e giù per la  passerella.
V'accorgerete che non guarda nessuno, non vede nessuno, osserva solo se
stessa che sfila mentre sfila, e se ne compiace.

Osservandone meglio l'espressione degl'occhi noterete che sono
"AUTORIFLESSI".
Si osserva dall'esterno.

Praticamente, in termini cartesiani, stà dicendosi:
"Penso, quindi sono...BELLISSIMA"

Rotfl...
.....non so ma, vi rendete conto ?
Avete una pallida idea in che mani di deficienti siamo, umanamente parlando
?!
Per forza poi che gli epigoni di questo modo demente di pensare impediscono
al Papa di andare a parlare in un'Università !!!

 
 
 

Nichilismo & "Colf philosophy"

Post n°184 pubblicato il 28 Agosto 2008 da mjkacat

Hans Georg Gadamer,
http://it.wikipedia.org/wiki/Hans-Georg_Gadamer
http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Gadamer.htm
che nichilista non è a differenza di GianniVattimo,

" Ermeneutica della finitezza che intende  distinguersi dal pensiero debole
come da ogni deriva nichilista o  relativista."
http://www.liberonweb.com/asp/libro.asp?ISBN=8815114769
http://groups.google.it/group/it.cultura.filosofia/browse_thread/thread/6e0bf39c8914bfdc?hl=it#

...suo pessimo allievo e di cui vanta l'inopportuno titolo di "ermeneutica"
al suo "pensiero debole", travisando quello che è l'essenza dell'Ermeneutica
come è vista dal suo indiscusso maestro, e cioè

"Comprendere, non è interpretare né sapere, perché
si delinea piuttosto come una esperienza. Esperienza di verità che accomuna
l'uomo e che si declina nell'arte, nella storia e nel linguaggio. Esperienza
che Gadamer intende rivalutare, contro la riduzione della verità e del suo
senso operata dal metodo scientifico, attraverso l'opera cardine, Verità e
metodo, pubblicata nel 1960. Per il suo autore, nella comprensione è da
vedersi l'articolazione stessa dell'esistenza .

In questa prospettiva, ulteriormente elaborata negli anni successivi a
Verità e metodo, nulla può essere definitivo: la ricerca filosofica è sempre
aperta, non può mai fissarsi, trovare sistemazione, tanto meno nei limiti di
un testo scritto, rinviando perciò al dialogo orale e alla vita vissuta. Si
rivela qui l'ispirazione socratica dell'ermeneutica filosofica. Articolata
nel movimento di domanda e risposta, e perciò costitutivamente aperta al
confronto con l'altro, la dialettica di Socrate, così come la troviamo
raccontata nelle opere di Platone, è da Gadamer assunta a modello di
riferimento

Si spiega così il suo interesse per la filosofia greca. La sua lettura della
dialettica antica e il ruolo decisivo che essa ha rivestito per
l'ermeneutica  sono la vera e propria chiave interpretativa con cui si
legge il pensiero gadameriano


Questa lunga premessa ci permette allora di capire il perchè del titolo in
queste ulteriori parole che ben descrivono il nichilista-mentalista a cui
non rimane altro da fare che fare il "servo" della scienza :

"E' come se il nostro io non si lasciasse provocare più da quello che c'è,
da cio che accade, ma riducesse il dato, ciò che c'è o accade alle immagini
a-priori che l'io stesso ne ha, ossia agli schemi ideati dalla cultura
dominante.
E' come se la realtà venisse progressivamente a perdere il suo peso rispetto
alle opinioni, alle interpretazioni, ai desideri del soggetto.

Il vero non si presenta come un'assoluto ma come un'accaduto, un qualcosa
che accade, non come qualcosa di sciolto dalla nostra vita ma come qualcosa
che INTERFERISCE  nella nostra vita, che in qualche modo prima non c'era..
Il vero è vero !!!
In qualche modo prima che io lo scoprissi è come se non ci fosse.  Tanto è
congenita alla esperienza della verità l'essere SCOPERTO e quindi l'essere
noi raggiunti da qualcosa.

La verità sta proprio nel venirci incontro, di qualcosa di altro...
http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Levinas.htm
http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Derrida.html
da me, quindi come manifestazione di qualcosa che accade, che mi si dà è
manifesta.

Il dato vibra come un'evento, perchè implica nascostamente, confusamente,
implicitamente un donatore, e un dato, un destinatario.


http://www.cmc.milano.it/2006/testi/060301Esposito.pdf

 
 
 

Il "peccato originale"

Post n°183 pubblicato il 28 Agosto 2008 da mjkacat

Con la "morte di Dio" oltre ai vari "missing" conseguenti c'è, ovviamente,
anche il "peccato originale"

Certo, obbietterà qualcuno,  ci siamo liberati da una nozione "oscurantista"
foriera solo di inutili sensi di colpa.

Giustissimo, fermo restando però che ora ci ritroviamo con i "Giusti" e i
"Corrotti" senza intermediazioni ; i "Buoni" e i "Cattivi" senze vie di
mezzo.

Beh, così la vita si è semplificata, sicuramente.

Resta da capire come si potrà mai conciliare questo con la "Pace" senza
previa eliminazione di detti "Corrotti & Cattivi"

Mah,...misteri per "eletti" non certo per noi poveri uomini ignoranti !!

 
 
 

Immagini & somiglianze

Post n°182 pubblicato il 27 Agosto 2008 da mjkacat

Come una madre "crea" il proprio figlio, poi, da grande, lo dovrà lasciar
libero di fare i suoi errori,
così Dio, PRIMA da la vita all'uomo nell'Amore, poi lo lascia libero di
peccare.

Come nella madre così è in Dio.
PRIMA è l'Amore (vita), poi il "Peccato" (morte)

Mettere DUALISTICAMENTE sullo stesso piano le due cose è solo GNOSI manichea
spacciata per Simbolo.

Quando, quindi, sia Freud sia Jung "non c'azzeccano" cosa resta della
psicoanalisi ?

Resta di buono, della psicoanalisi, il TRANSFERT, cioè la RELAZIONE che cura
e guarisce.

Ma anche qui sorge un'analogia con la religione :
Per stabilire il "transfert" è necessario, come spiega Freud nelle dieci
regole del paziente ideale, dove gli psicotici son preventivamente esclusi
per la loro "impermeabilità" tipica del solipsismo narcisistico, e ponendola
al primo posto è.che il paziente sia prima di tutto INTELLIGENTE.

Non è forse la stessa cosa per l'uomo che può mettersi o meno in relazione
con Cristo ?
E' solo infatti in questa "sottospecie", il RIFIUTO, che analogamente al
matto che resta matto perchè VUOLE che sia così, pure l'uomo resta nel
peccato, analoga pazzia da solipsisti fuori di testa che "vogliono restare"
nel loro narcisistico mondo separati dalla "Comunione" con gli altri
attraverso la quale raggiungerebbero la "Liberazione" dalla loro malattia
mentale che non perchè è maggioritaria lo è di meno.

Etiam si omnes ego non !

 
 
 

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