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Messaggi del 17/07/2015

Rime eteree 06-10

Post n°1846 pubblicato il 17 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

VI

Amor, se fia giamai che dolce i' tocchi
il terso avorio de la bianca mano,
e 'l lampeggiar del riso umile e piano
veggia d' appresso, e 'l folgorar de gli occhi;

e notar possa come quindi scocchi
lo stral tuo dolce, e mai non parta in vano,
e come al cor dal bel sembiante umano
d' amorose faville un nembo fiocchi;

tuo fia questo legame, ond' ora il braccio
non pur, ma via più stretto il core avolgo:
caro furto, onde 'l crin madonna cinse.

Gradisci il voto, ché più forte laccio
da man più dotta ordito alma non strinse;
né perch' a te lo doni, indi mi sciolgo.

VII

Ove tra care danze in bel soggiorno
si traean le notturne e placid' ore,
face, che nel suo foco accese Amore,
lieto n' apriva a mezza notte il giorno;

e da candide man vibrata intorno
spargea faville di sì puro ardore,
che rendea vago d' arder seco il core,
e scherzar, qual farfalla, al raggio adorno:

quand' ecco a te man cruda offerta fue,
e da te presa e spenta; e ciechi e mesti
restar mill' occhi a lo spirar d' un lume.

Ahi come allor cangiasti arte e costume!
tu ministra d' Amor, tu che le sue
fiamme suoli avvivar, tu l' estinguesti!

VIII

A i servigi d' Amor ministro eletto,
lucido specchio anzi 'l mio sol reggea;
e specchio intanto a le mie luci i' fea
d' altro più chiaro e più gradito oggetto.

Ella al candido viso ed al bel petto
vaga di sua beltà, gli occhi volgea;
e le dolci arme, onde di morte rea,
affinar contra me prendea diletto.

Poi come terse fiammeggiar le vide
ver me ratta girolle, e dal bel ciglio
m' aventò al cor più di un pungente strale.

Lasso, ch' io non previdi il mio periglio!
Or se madonna a' suoi ministri è tale,
quai fian le piaghe onde i rubelli ancide?

IX

Chiaro cristallo a la mia donna offersi
sì ch' entro vide la sua bella imago,
qual ha punto il pensier formarla è vago,
e qual procuro di ritrarla in versi.

Ella da' pregi suoi tanti e diversi
non torcea 'l guardo di tal vista pago,
gli occhi mirando, e 'l dolce avorio e vago
del seno, e i capei d' or lucidi e tersi.

E parea fra sé dir: "Ben veggio aperta
l' alta mia gloria, e di che duri strali
questa bellezza mia l' alme saette".

Così pur, ciò ch' un gioco anzi credette,
mirando l' armi sue, si fé poi certa
quai piaghe abbia il mio core aspre e mortali.

X

Re de gli altri superbo altero fiume,
che qualor esci del tuo regno e vaghi,
atterri ciò ch' opporsi a te presume,
e l' ime valli e l' alte piagge allaghi;

vedi che i Dei marini il lor costume
serbando, i Dei sempre di preda vaghi,
rapito han lei, ch' era tua gloria e lume,
quasi il tributo usato or non gli appaghi.

Deh tuoi seguaci omai contra 'l Tiranno
Adria solleva; e pria ch' ad altro aspiri,
racquista il Sol che 'n queste sponde nacque.

Osa pur, ché mill' occhi a te daranno
mille fiumi in soccorso, e de' sospiri
il foco al mar torrà la forza e l' acque.

Torquato Tasso

 
 
 

Canzoniere petrarchesco 16

Post n°1845 pubblicato il 17 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

Canzoniere

106

Nova angeletta sovra l'ale accorta
scese dal cielo in su la fresca riva,
là 'nd'io passava sol per mio destino.

Poi che senza compagna et senza scorta
mi vide, un laccio che di seta ordiva
tese fra l'erba, ond'è verde il camino.

Allor fui preso; et non mi spiacque poi,
sí dolce lume uscia degli occhi suoi.


107

Non veggio ove scampar mi possa omai:
sí lunga guerra i begli occhi mi fanno,
ch'i' temo, lasso, no 'l soverchio affanno
distruga 'l cor che triegua non à mai.

Fuggir vorrei; ma gli amorosi rai,
che dí et notte ne la mente stanno,
risplendon sí, ch'al quintodecimo anno
m'abbaglian piú che 'l primo giorno assai;

et l'imagine lor son sí cosparte
che volver non mi posso, ov'io non veggia
o quella o simil indi accesa luce.

Solo d'un lauro tal selva verdeggia
che 'l mio adversario con mirabil arte
vago fra i rami ovunque vuol m'adduce.


108

Aventuroso piú d'altro terreno,
ov'Amor vidi già fermar le piante
ver' me volgendo quelle luci sante
che fanno intorno a sé l'aere sereno,

prima poria per tempo venir meno
un'imagine salda di diamante
che l'atto dolce non mi stia davante
del qual ò la memoria e 'l cor sí pieno:

né tante volte ti vedrò già mai
ch'i' non m'inchini a ricercar de l'orme
che 'l bel pie' fece in quel cortese giro.

Ma se 'n cor valoroso Amor non dorme,
prega, Sennuccio mio, quand 'l vedrai,
di qualche lagrimetta, o d'un sospiro.


109

Lasso, quante fïate Amor m'assale,
che fra la notte e 'l dí son piú di mille,
torno dov'arder vidi le faville
che 'l foco del mio cor fanno immortale.

Ivi m'acqueto; et son condotto a tale,
ch'a nona, a vespro, a l'alba et a le squille
le trovo nel pensier tanto tranquille
che di null'altro mi rimembra o cale.

L'aura soave che dal chiaro viso
move col suon de le parole accorte
per far dolce sereno ovunque spira,

quasi un spirto gentil di paradiso
sempre in quell'aere par che mi conforte,
sí che 'l cor lasso altrove non respira.


110

Persequendomi Amor al luogo usato,
ristretto in guisa d'uom ch'aspetta guerra,
che si provede, e i passi intorno serra,
de' miei antichi pensier' mi stava armato.

Volsimi, et vidi un'ombra che da lato
stampava il sole, et riconobbi in terra
quella che, se 'l giudicio mio non erra,
era piú degna d'immortale stato.

I' dicea fra mio cor: Perché paventi?
Ma non fu prima dentro il penser giunto
che i raggi, ov'io mi struggo, eran presenti.

Come col balenar tona in un punto,
cosí fu' io de' begli occhi lucenti
et d'un dolce saluto inseme aggiunto.


111

La donna che 'l mio cor nel viso porta,
là dove sol fra bei pensier' d'amore
sedea, m'apparve; et io per farle honore
mossi con fronte reverente et smorta.

Tosto che del mio stato fussi accorta,
a me si volse in sí novo colore
ch'avrebbe a Giove nel maggior furore
tolto l'arme di mano, et l'ira morta.

I' mi riscossi; et ella oltra, parlando,
passò, che la parola i' non soffersi,
né 'l dolce sfavillar degli occhi suoi.

Or mi ritrovo pien di sí diversi
piaceri, in quel saluto ripensando,
che duol non sento, né sentí' ma' poi.


112

Sennuccio, i' vo' che sapi in qual manera
tractato sono, et qual vita è la mia:
ardomi et struggo anchor com'io solia;
l'aura mi volve, et son pur quel ch'i'm'era.

Qui tutta humile, et qui la vidi altera,
or aspra, or piana, or dispietata, or pia;
or vestirsi honestate, or leggiadria,
or mansüeta, or disdegnosa et fera.

Qui cantò dolcemente, et qui s'assise;
qui si rivolse, et qui rattenne il passo;
qui co' begli occhi mi trafisse il core;

qui disse una parola, et qui sorrise;
qui cangiò 'l viso. In questi pensier', lasso,
nocte et dí tiemmi il signor nostro Amore.


113

Qui dove mezzo son, Sennuccio mio,
(cosí ci foss'io intero, et voi contento),
venni fuggendo la tempesta e 'l vento
c'ànno súbito fatto il tempo rio.

Qui son securo: et vo' vi dir perch'io
non come soglio il folgorar pavento,
et perché mitigato, nonché spento,
né-micha trovo il mio ardente desio.

Tosto che giunto a l'amorosa reggia
vidi onde nacque l'aura dolce et pura
ch'acqueta l'aere, et mette i tuoni in bando,

Amor ne l'alma, ov'ella signoreggia,
raccese 'l foco, et spense la paura:
che farrei dunque gli occhi suoi guardando?


114

De l'empia Babilonia, ond'è fuggita
ogni vergogna, ond'ogni bene è fori,
albergo di dolor, madre d'errori,
son fuggito io per allungar la vita.

Qui mi sto solo; et come Amor m'invita,
or rime et versi, or colgo herbette et fiori,
seco parlando, et a tempi migliori
sempre pensando: et questo sol m'aita.

Né del vulgo mi cal, né di Fortuna,
né di me molto, né di cosa vile,
né dentro sento né di fuor gran caldo.

Sol due persone cheggio; et vorrei l'una
col cor ver' me pacificato humile,
l'altro col pie', sí come mai fu, saldo.


115

In mezzo di duo amanti honesta altera
vidi una donna, et quel signor co lei
che fra gli uomini regna et fra li dèi;
et da l'un lato il Sole, io da l'altro era.

Poi che s'accorse chiusa da la spera
de l'amico piú bello, agli occhi miei
tutta lieta si volse, et ben vorrei
che mai non fosse inver' di me piú fera.

Súbito in alleggrezza si converse
la gelosia che 'n su la prima vista
per sí alto adversario al cor mi nacque.

A lui la faccia lagrimosa et trista
un nuviletto intorno ricoverse:
cotanto l'esser vinto li dispiacque.

Francesco Petrarca

 
 
 

Ponte Sisto

Post n°1844 pubblicato il 17 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

Ponte Sisto

Sona lavemmaria. A ttre ppe' ttre,
Òmmini, donne, ggiovini, zzitelle.
Sfileno in prescia in prescia avanti a mme
So' faccie bbrutte, bbrutte, o bbelle bbelle:
Nere, patite, palide, grinzose,
Oppuramente tonne e bbutiróse.

Arivièngheno tutti da' llavoro.
Vardate ch'allegria:
Co' cche ppiacere, sente ognun de loro.
Sona l'avemmaria!

U' llampionaro, tutt'incappucciato,
Accenn' in prescia li lampioni, e ttéla. (1)

- Ma cche fFreddo! che ffredd' indiavolato!
- Si sseguita ccusì, 'sta notte ggèla.
Sònen' una, dua, tre, quattro campane
Le ppiù vvicine; poi le ppiù llontane.

Llaggiù, llaggiù, llaggiù, sse vede u' llume;
Qua, se n' accenn' un antro su la riva,
Che fa 'na striscia d'oro drento er fiume..
Nun gira anima viva!

Sortanto quattro pori cenciolosi,
Ignudi, freddolosi,
Che strilleno der paro:
"Prosperi: lo volete er prosperaro!"

Nota: 1) Fugge.

Giggi Zanazzo
30 gennaio 1883.
(Da: "Poesie e prose scelte", Perino, pag. 127)

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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