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Messaggi del 25/07/2015

Saggezza antica

Post n°1867 pubblicato il 25 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

Si non sarà troppo antica, ma i vecchi sanno sempre ciò che dicono

 

 
 
 

Rime eteree 41-42

Post n°1866 pubblicato il 25 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

XLI

Amor, tu vedi, e non hai duolo o sdegno,
chinar madonna il collo al giogo altrui:
anzi, ogni tua ragion da te si cede.
Lasso, se 'l bel tesoro, ond' io già fui
sì vago, altri s' ha tolto, or qual può degno
premio il merto adeguar de la mia fede?
Qual più sperar ne lice ampia mercede
da la tua ingiusta man, se 'n un sol punto
hai le ricchezze tue diffuse e sparte?
Anzi pur chiuse in parte,
ov' un sol gode ogni tuo ben congiunto.
Ben folle è chi non parte
omai lungi da te, ché tu non puoi
pascer se non di furto i servi tuoi.
Ecco ch' io dal tuo regno il piè rivolgo,
regno crudo infelice: ecco ch' io lasso
qui le ceneri sparte e 'l foco spento.
Ma tu mi segui e mi raggiungi, ahi lasso,
e per fuggirti indarno il nodo i' sciolgo:
ch' ogni corso al tuo volo è pigro e lento.
Già via più calde in sen le fiamme sento,
e via più gravi al piè lacci e ritegni,
e come a servo fuggitivo ingrato
qui sotto 'l manco lato
d' ardenti note il cor m' imprimi, e 'l segni
del nome a forza amato:
e perch' arroge al duol, ch' è in me sì forte,
formi al pensier ciò che più noia apporte.
Ch' io scorgo in riva al Po Letizia e Pace
scherzar con Imeneo, che 'n chiaro suono
chiama la turba a' suoi diletti intesa.
Liete danze vegg' io, che per me sono
funebri pompe, ed un' istessa face
ne l' altrui nozze e nel mio rogo accesa;
e quasi Aurora in oriente ascesa
donna apparir, che vergognosa in atto
i rai de' suoi begli occhi a sé raccoglia,
e ch' altri un bacio toglia,
pegno gentil, dal suo bel viso intatto,
e i primi fior ne coglia:
quei che già cinti d' amorose spine
crebber vermigli infra le molli brine.
Tu ch' a que' fiori, Amor, d' intorno voli
qual ape industre, e 'n lor ti pasci e cibi
schivo omai di tutt' altre esche mortali,
deh come puoi soffrir ch' altri delibi
umor sì dolce, e 'l tuo nettar t' involi?
non hai tu da ferir gli usati strali?
Lasso, e ben fosti allor pronto a' miei mali,
che da vaghezza tratto incauto i' venni
là 've spirar tra le purpuree rose
sentii l' aure amorose,
e ben piaghe da te gravi sostenni,
ch' aperte e sanguinose
ancor dimostro a chi le stagni e chiuda:
ma trovo chi le inaspra ognor più cruda.
Ohimè ché 'l mio pensier ciò che più duole
a l' alma inferma or di ritrar fa prova,
e più s' interna ognor ne le sue pene.
Ecco che la mia donna, in cui sol trova
sostegno il core, or come vite suole,
che per se stessa caggia, altrui s' attiene;
qual edera negletta or la mia spene
giacer vedrassi, s' egli pur non lice
che la sostegna chi ad altrui s' abbraccia.
Ma tu, ne le cui braccia
sorge vite sì bella, arbor felice,
poggia pur, né ti spiaccia
ch' augel canoro intorno a' vostri rami
goda sol l' ombra, e più non speri o brami.
Né la mia donna, perch' or cinga il petto
di novo laccio, il laccio antico sprezzi
che di vedermi al cor già non le increbbe,
od ella, che l' avinse, ella lo spezzi;
ché sciorlo omai, così è 'ntricato e stretto,
né la man stessa che l' ordio potrebbe.
E se pur anco occultamente crebbe
il suo bel nome ne' miei versi accolto,
quasi in fertil terreno arbor gentile,
or segua in ciò suo stile,
né prenda a sdegno esser cantato e colto
da la mia penna umile:
ché forse Apollo in me le grazie sue
verserà, dove scarso Amor mi fue.
Canzon, sì l' alma è ne' tormenti avezza,
che, se ciò gli è concesso, ancor confida
paga restar ne le miserie estreme:
ma se di questa speme
avien che 'l debil filo altri recida,
deh tronchi a un colpo insieme
(ch' io 'l bramo e 'l cheggio) al viver mio lo stame,
e l' amoroso mio duro legame.

XLII

Mentre ch' a venerar movon le genti
il tuo bel nome in mille carte accolto,
quasi in sacrato tempio idol celeste;
e mentre c' ha la Fama il mondo volto
a contemplarti, e mille fiamme ardenti
d' immortal lode in tua memoria ha deste;
deh non sdegnar ch' anch' io te canti, e 'n queste
mie basse rime volontaria scendi;
né sia l' albergo lor da te negletto,
ch' anco sott' umil tetto
s' adora Dio, cui d' assembrarti intendi;
né sprezza il puro affetto
di chi sacrar face mortal gli suole,
benché splenda in sua gloria eterno il sole.
Forse, come tal' or candide e pure
rende Apollo le nubi, e chiuso intorno
con lampi non men vaghi indi traluce,
così vedrassi il tuo bel nome adorno
splender per entro le mie rime oscure,
e 'l lor fosco illustrar con la sua luce;
e forse anco per sé tanto riluce,
ch' ov' altri in parte non l' asconda e tempre
l' infinita virtù de' raggi sui,
occhio non fia che 'n lui
fiso mirando non s' abbagli e stempre:
onde, perch' ad altrui
col suo lume medesmo ei non si celi,
ben dei soffrir ch' io sì l' adombri e veli.
Né spiacerti anco dee che solo in parte
sia tua beltà ne' miei colori espressa
da lo stil ch' a tant' opra audace move:
però che s' alcun mai quale in te stessa
sei tal ancor ti ritraesse in carte,
chi mirar osaria forme sì nove
senza volger per tema i lumi altrove?
o chi mirando folgorar gli sguardi
de gli occhi ardenti e lampeggiar il riso,
e 'l bel celeste viso
quinci e quindi aventar fiammelle e dardi,
non rimarria conquiso,
bench' egli prima in ogni rischio audace
non temesse d' Amor l' arco e la face?
E certo il primo dì che 'l bel sereno
de la tua fronte a gli occhi miei s' offerse,
e vidi armato spaziarvi Amore,
se non che riverenza allor converse
e maraviglia in fredda selce il seno,
ivi peria con doppia morte il core;
ma parte de gli strali e de l' ardore
sentii pur anco entro 'l gelato marmo,
e s' alcun mai per troppo ardire ignudo
vien di quel forte scudo,
ond' io dinanzi a te mi copro ed armo,
sentirà 'l colpo crudo
di tue saette, e arso al fatal lume
giacerà con Fetonte entro 'l tuo fiume.
Ché per quanto talor discerne e vede
de' secreti di Dio terrena mente,
che da Febo rapita al ciel se 'n voli,
providenza di Giove ora consente
che 'nterno duol con sì pietose prede
le sue bellezze al tuo bel corpo involi;
ché se l' ardor de' duo sereni soli
non era scemo, e 'ntepidito il foco
che ne le guance sovra 'l gel si sparse,
incenerite ed arse
morian le genti, e non v' avea più loco
di riverenza armarse:
e ciò che 'l Fato pur minaccia, allora
in faville converso il mondo fora.
Ond' ei che prega il ciel che nel tuo stato
più vago a lui ti mostri, e ch' omai spieghi
la tua beltà, che 'n parte ascosa or tiene,
come incauto non sa che ne' suoi preghi
non chiede altro che morte? E ben il Fato
di Semele infelice or mi soviene,
che 'l gran Giove veder de le terrene
forme ignudo bramò, come de' suoi
nembi e fulmini cinto in sen l' accoglie,
che gli è sorella e moglie;
ma sì gran luce non sostenne poi,
anzi sue belle spoglie
cenere fersi, e nel suo caso reo
né Giove stesso a lei giovar poteo.
Ma che? forse sperar ancor ne lice
che, se ben dono ond' arda e si consumi
tenta impetrar con mille preghi il mondo,
potrà poi anco al sol di duo be' lumi
rinovellarsi in guisa di Fenice,
e rinascer più vago e più giocondo;
e quanto ha del terreno e de l' immondo
tutto spogliando, più leggiadre forme
vestirsi; e ciò par ch' a ragion si spere
da quelle luci altere,
ch' esser dee l' opra a la cagion conforme.
Né già si puon temere
da beltà sì divina effetti rei,
ché vital è 'l morir se vien da lei.
Canzon, deh sarà mai quel lieto giorno
che 'n que' begli occhi le lor fiamme prime
raccese io veggia, e ch' arda il mondo in loro?
Ch' ivi, qual foco l' oro,
anch' io purgarei l' alma, e le mie rime
foran d' augel canoro:
ch' or son vili e neglette, se non quanto
costei le onora col bel nome santo.

Torquato Tasso

 
 
 

La madre previdente

Post n°1865 pubblicato il 25 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

La madre previdente

Je lo dicevo: - Abbada a quer che fai!
Checca, nu' lo sposà, nun fa' la matta:
ché resti co' 'na scarpa e 'na ciavatta
e un bucio (1) a la carzetta (2). Lo vedrai! -

Invece, lei, tignosa (3) più che mai,
l'ha vorsuto (4) pe' forza, e mó se gratta (5);
ch'avressi da vedé come la tratta:
povera fija! sempre tra li guai!

Nun ciò che una speranza ner compare
ch'è stato ar Ministero de l'Interno,
e adesso s'interessa de l'affare.

Già lo tiè d'occhio e, presto, co' la scusa
che un giorno ha detto male der Governo
lo manna a fa' li bagni a Lampedusa (6).

Note:
1 Buco.
2 La frase equivale a «ti troverai in pessime condizioni finanziarie».
3 Ostinata.
4 Voluto.
5 Se ne pente, ma tardi.
6 Isola del Mediterraneo nel gruppo delle Pelagie (prov. di Agrigento), dov'è un bagno penale.

Trilussa

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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