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Messaggi del 23/07/2015

Er cammeriere indeciso

Post n°1861 pubblicato il 23 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

Er cammeriere indeciso

Devi sapé che l'antra settimana
er signor duca ha dato 'na gran festa,
che j'è costata un occhio de la testa
per via che cià la moje americana.

Ma la cosa più buffa è stata questa:
du' signorine e una signora anziana
staveno a sede sopra un'ottomana
come se nun ciavessero la vesta.

Ecco che la signora, doppo er ballo,
m'ha detto: - C'è mi' fija che vô un té
un po' allungato, ma piuttosto callo (1)... -

Io j'ho risposto: - Subbito, eccellenza!
Ma su' fija, s'è lecito, qual'è?
quella co' le mutanne o quella senza?

Nota: 1 Caldo

Trilussa

 
 
 

Sacrosanta verità

Post n°1860 pubblicato il 23 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

Raccogliete l'appello, per cortesia

Qualcuno potrebbe pensare che non ci sia di peggio? Beh, costui cadrebbe in un madornale errore.

 
 
 

Largo alla modernità!

Post n°1859 pubblicato il 23 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

Ora si che si ragiona!

Un lieve vaffanculo per chi pensa, in tal modo, di essere proiettato nel futuro è gradito? No? E allora, per l'appunto, proiettatevi affanculo senza gradimento!

 
 
 

Rime eteree 21-30

Post n°1858 pubblicato il 23 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

XXI

Non fia mai che 'l bel viso in me non reste
sculto, o che d' altra imago il cor s' informe,
né che là, dove ogn' altro affetto dorme,
novo spirto d' amor in lui si deste.

Né men sarà ch' io volga gli occhi a queste
di terrena beltà caduche forme,
per isviar i miei pensier da l' orme
d' una bellezza angelica e celeste.

A che pur dunque d' invaghir la mente
cerchi del falso e torbido splendore,
che 'n mille aspetti qui sparso riluce?

Deh sappi omai com' ha facelle spente
per ciascun altra e strali ottusi Amore,
e che sol nel mio Sole è vera luce.

XXII

M' apre talor madonna il suo celeste
riso fra perle e bei rubini ardenti,
e l' orecchie inchinando a' miei lamenti
di dolce affetto il ciglio adorna e veste.

Ma non avien però ch' ella mai deste
nel crudo sen pietà de' miei tormenti:
anzi mia cetra e i miei non rozzi accenti,
e me disprezza, e le mie voglie oneste.

Né pietà è quella che ne gli occhi accoglie,
ma crudeltà, che 'n tal forma si mostri
perché l' alma ingannata arda e consumi.

Specchi del cor fallaci, infidi lumi,
ben riconosco in voi gli inganni vostri:
ma che prò, se schivarli Amor mi toglie?

XXIII

Tu vedi, Amor, come col dì se 'n vole
mia vita, e 'l fine a me prescritto arrive,
né trovo scampo onde la morte io schive,
ché non s' arresta a' preghi nostri il sole.

Ma se pietosa del mio fin pur vuole
serbar madonna in me sue glorie vive,
i begli occhi, ond' al ciel l' ira prescrive,
volga ver lui pregando e le parole.

Ché del suon vago e de la vista, il corso
fermarà Febo, ed allungando il giorno,
spazio al mio dì vitale anco fia giunto.

Ma chi m' affida, ohimè, ch' egli compunto,
a l' alto paragon, d' invidia e scorno,
no 'l fugga e lenti a' suoi destrieri il morso?

XXIV

Giacea la mia virtù vinta e smarrita
dal duolo in sua ragion sempre più forte,
quando il sonno pietoso di mia sorte
seco addusse madonna a darle aita;

che sollevò gli spirti, e 'n me sopita
la doglia, a nove speme aprio le porte.
Così allor ne l' imagine di morte
trovò l' egro mio cor salute e vita.

Volgeva ella in me gli occhi e le parole
di pietà vera ardenti: "A che pur tanto,
o mio fedel, t' affligi e ti consumi?

Ben tempo ancor verrà ch' al chiaro sole
di quest' amate luci asciughi il pianto,
e 'l fosco di tua vita in lui rallumi".

XXV

I' vidi un tempo di pietoso affetto
la mia nemica ne' sembianti ornarsi,
e l' alte fiamme, in cui sì felice arsi,
nutrir con le speranze e col diletto.

Ora (né so perché) la fronte e 'l petto
usa di sdegno e di fierezza armarsi,
e coi guardi ver me turbati e scarsi
guerra m' indice, ond' io sol morte aspetto.

Ahi non si fidi alcun, perché sereno
volto l' inviti, e 'l sentier piano mostri,
nel pelago d' Amor spiegar le vele.

Così l' infido mar placido il seno
scopre, e i nocchieri alletta; e poi crudele
gli affonda e perde fra gli scogli e i mostri.

XXVI

Qualor pietosa i miei lamenti accoglie
madonna, e gradir mostra il foco ond' ardo,
sprona il desio, che più che tigre o pardo
veloce allor da la ragion si scioglie.

Ma se poi per frenar l' ardite voglie
di sdegno s' arma, e vibra irato sguardo,
già far non puote il corso lor più tardo,
ma più nel seguir lei par che m' invoglie:

ché s' addolcisce ivi lo sdegno, e prende
sembianza di pietate, e nel sereno
de' begli occhi tranquille appaion l' ire.

Or che fia mai ch' arresti il mio desire,
s' egualmente lo spinge, e pronto il rende
con sembiante virtù lo sprone e 'l freno?

XXVII

Sentiv' io già correr di morte il gelo
a lunghi passi per le vene al core,
e folta pioggia di perpetuo umore
m' involgea gli occhi in tenebroso velo;

quando arder vidi in sì pietoso zelo
madonna, e sì cangiar volto e colore,
che non pur adolcir l' aspro dolore,
ma potea fra gli abissi aprirmi il cielo.

"Vattene", disse "e se 'l partir t' è grave,
non sia tardo il ritorno, e serba intanto
parte almen viva del tuo foco interno".

O felice il languir, cui sì soave
medicina s' aspetti! Or ben discerno
ch' esser si può beato ancor nel pianto.

XXVIII

Stavasi Amor, quasi in suo regno, assiso
nel seren di due luci ardenti ed alme,
mille vittrici insegne e mille palme
trionfali spiegando entro 'l bel viso;

quando rivolto a me, che 'ntento e fiso
mirava le sue ricche altere salme,
disse: "Canterai tu come tant' alme
abbia, e te stesso ancor vinto e conquiso;

né tua cetra sonar l' arme di Marte
più s' oda omai, ma l' alte e chiare glorie
e i divin pregi nostri e di costei".

Così convien ch' or ne l' altrui vittorie
canti mia servitute e i lacci miei,
e tessa de' miei danni istoria in carte.

XXIX

O nemica d' Amor, che sì ti rendi
schiva di quel ch' altrui dà pace e vita,
e dolce schiera a' suoi diporti unita
dispergi e parti, e lui turbi ed offendi:

se de l' altrui bellezza invidia prendi,
che de' tuoi danni a rimembrar t' invita,
lassa, ché non t' ascondi, ed in romita
parte e selvaggia i giorni estremi spendi?

Ché non conviensi già tra le felici
squadre d' Amor, e tra 'l diletto e 'l gioco,
donna antica in imagine di Morte.

Deh fuggi omai dal sole in chiuso loco,
come notturno augel; né tristi auspici
il tuo apparir a' lieti amanti apporte.

XXX

Arsi gran tempo, e del mio foco indegno
esca fu sol beltà terrena e frale;
e qual palustre augel pur sempre l' ale
volsi di fango asperse ad umil segno.

Or che può gelo di sì giusto sdegno
spegner nel cor l' incendio aspro e mortale,
scosso d' ogni vil soma al ciel ne sale
con pronto volo il mio non pigro ingegno.

Lasso, e conosco or ben che quanto i' dissi
fu voce d' uom, cui ne' tormenti astringa
giudice ingiusto a traviar dal vero.

Perfida, ancor ne la mia lingua spero
che donde pria ti trasse, ella ti spinga
d' un cieco oblio ne' più profondi abissi.

Torquato Tasso

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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