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Messaggi del 12/09/2015

La politica

Post n°2014 pubblicato il 12 Settembre 2015 da valerio.sampieri
 

La politica

Ma er Ministro Druinne De Luì (1)
In difesa der Papa chiacchierò
Pe politica, e puro Persigny
Quer libro de Politica stampò.

Perché sta scena a Roma ha da finì;
Ché in sto modo annà avanti nun se pò:
Napulione nun po più sta lì,
Compromette l'onore der drappò. (2)

Ma puta er caso che nun se ne va;
Er Comitato, (3) credi puro a me,
Nun se sta fermo: ce farà strillà

E si dopo sti strilli er Papa Re
Nun ce da retta e seguita a incoccià,
Vordì che allora do ragione a te.

Note: 1. Drouyn de Louys. - 2. Bandiera. - 3. Comitato Nazionale ch'esisteva in Roma, le cui azioni si restringevano a puerili dimostrazioni.

Augusto Marini
(1864)
Da: Cento sonetti in vernacolo romanesco, Perino 1877, pag. 9

 
 
 

De claris mulieribus 27

CAPITOLO XXVII.
Argia, figliuola del Re Adrasto.

Argia fu una donna di Grecia, la quale ebbe nobile origine degli antichi re d’Argo, e fu figliuola del re Adrasto; la quale come ella diede per la maravigliosa sua bellezza alla sua età lieta presenza, così lasciò a quegli che seguissero integra testimonianza, e famosa e perpetua del matrimoniale amore: per la qual cosa infino a’ nostri dì è pervenuta la sua nominanza chiara e splendida. Questa adunque maritata a Polinice, figliuolo d’Edipo, re di Tebe, essendo lui in esilio, di lui avendo partorito Tessandro; considerando il padre, stimolato di mordaci pensieri per lo inganno dei suoi fratelli, partecipe delli pensieri, priegò lo padre già vecchio non solamente con pianto, ma lo indusse ad arme contra Eteocle, lo quale contro le leggi de’ patti con suo fratello teneva con tirannia lo regno di Tebe; e acciocchè ella non ricevesse per fatale risposta nocumento di sorte, cortese oltre alla natura delle donne, diede volontariamente a Euridice, moglie di Anfiarao astrolago, lo prezioso giojello, lo quale per lo tempo passato era stato isventurato alle donne di Tebe. Per la qual cosa Anfiarao che era nascosto fu manifesto, e andò a Tebe, ma con ria fortuna; perchè dopo molte battaglie, essendo morti gli altri principi, e Adrasto essendo rimaso ignudo di aiutorio, e quasi in fuga e vedendo Argia che il corpo di Polinice era rimasto non seppellito tra gli altri corpi dei popolari, subito, piena di ansietà, non considerata sua nobiltà, l’onore del matrimonio, nè la debolezza di femmina, con piccola compagnia entrò in cammino per andare al campo: e non la ritennero gl’insidiatori dal cammino, nè le fiere, nè gli uccelli, i quali seguitano i corpi morti, nè le anime che volano intorno, secondo che pensano gli stolti, e (che era di maggior paura) non la ritenne il comandamento di Creonte, lo quale era, che niuno s’atterrasse niun corpo sono pena capitale. Anzi andò con ardente e tristo animo di mezzanotte nel campo ov’errano quegli corpi morti e volgendo questo e quello puzzolente; acciocchè con un piccolo lume ella riconoscesse la faccia che già cascava dello amato marito, non cessò finchè ella non trovò quello che ella cercava. E fu maraviglia che la faccia già mezza consumata della ruggine dell’armi, pallida e bagnata dal corrotto sangue; e che per certo già non sarebbe stata conosciuta da alcuno, non potè stare nascosta all’amante moglie; e non potè la bruttezza del guasto volto rimuovere i baci, nè il comandamento di Creonte non potè ritenere li baci, nè le lagrime, nè il fuoco. E spesse volte avendolo baciato per la bocca, e con le lagrime avendo lavato le puzzolenti membra, e spesso rivoltosselo in braccio, lamentandosi, acciocchè non lasciasse alcuna cosa di pietoso ufficio, poselo a ardere, e arso quello corpo, ripose la cenere in uno vase; e manifestato lo fuoco nel fatto, non temè la morte, nè la prigione del crudele. Molte donne hanno ispesso pianto le infermità dei mariti, la prigione, la povertà e la ria fortuna, durando la speranza di tornare a più benigna fortuna, e tolto via la paura della più crudele. La qual cosa benchè paia lodabile, non si può dire che sia pericolosa a segno d’amore, come si possono dire le cose che fè Argia. Questa andò nel campo de’ nemici, potendo piangere a casa; trovò lo ferito corpo, lo quale si poteva trovare per altrui mani; col fuoco fece lo reale onore, potendo sotterrare nascosamente, considerata la condizion del tempo, bastava; ella fece lo pianto, dove ella poteva passare tacendo; e non aveva che sperasse, morto lo marito in esilio, ma aveva onde ella temesse lo nimico, così l’avea confortato lo vero amore, la fè intera di santità del matrimonio, e conservata castità. Per le quali cose Argia degnamente dee essere lodata e onorata, e magnificata con chiara nominanza.

Giovanni Boccaccio

De claris muljeribus
VOLGARIZZAMENTO
DI MAESTRO DONATO ALBANZANI DA CASENTINO
[ca. 1336 - fine secolo XIV]

 
 
 

Ar mi' amore che sta lontano

Ar mi' amore che sta lontano

Te ne se' ita fora e mm'hai lassato
Affritto e ssolo com'un orfenèllo:
Come me sei sparita, amore bbèllo,
Er core drent'er petto m'è amancato!

E de ll'urtimo bbacio che mm'hai dato
Me n'è arimasto come un tantinèllo:
Sento incora que' llabbro tremarèllo
Che mme l'ha ssu la fronte appiccicato.

Tu ssei come la rosa, anima santa
Che ssi la tocchi appena cor un déto
La mano ggià tt'odora tutta quanta.

Ma pprima che mme môri torna arméno:
Lo sai che spero io pe' mmorì' cquièto?
De datte un bacio e dde moritte in seno!

Giggi Zanazzo
7 maggio 1889.
(Da: "Poesie e prose scelte", Perino, pag. 174)

 
 
 

La sscerta

La sscerta (1a)

Sta accusí. La padrona cor padrone,
volenno marità la padroncina
je portonno davanti una matina,
pe sscejje, du’ bbravissime perzone.

Un de li dua aveva una ventina
d’anni, e ddu’ spalle peggio de Sanzone;
e ll’antro lo disceveno un riccone,
ma aveva un po’ la testa scennerina. (1)

Subbito er giuvenotto de cuer paro (2)
se fesce avanti a ddí: "Sora Luscía,
chi vvolete de noi? parlate chiaro".

"Pe dilla, (3) me piacete voi e llui",
Rispose la zitella; "e ppijerìa
Er ciscio vostro e li quadrini sui".

Giuseppe Gioachini Belli
Roma, 21 novembre 1832 - Der medemo
Sonetto 468

Note:
1a Scelta.
1 Cenerina, canuta.
2 Paio.
3 Per dirla.

 
 
 

Ei, che di mirto Idalio

Al Signor le Mierre.

Canzone.

Ei, che di mirto Idalio

Ei, che di mirto Idalio
Cinger solea le chiome,
E di Corinna in tereni
Modi cantare il nome,
Ei, che insegnò nel pelago
Di amor dubbio e infedele
Novelle Tifi a sciogliere
La baldanzose vele,
Con vol piÙ forte ergendois,
Rivolse audace il canto
Della città di Romolo
Ad eterna il vanto.
Ma Roma ingrata videlo
Egro, da lei lontano
Languir, fra genti inospite
PIetà chiedendo invano.
Là del gelato Sarmata
In su i barbari lidi
Quai non udissi misero
Metter dolenti gridi!
E intanto del mar Scitico
La crude onde frementi,
E i sassi ripetevano
Quei non più uditi accenti
Te pur le grazie godono,
Le Mierre, ornar di fiori,
Se le tue corde suonano
Ninfe leggiadre e amori,
O se il pittor per l'arduo
Sentier tu guidi, e schiudi
L'arte onde vita spirano
Le tele informi e rudi
A te, se il piè del tragico
Coturno cingi, il muto
Circo offre ognor di lagrime
Un nobile tributo.
Ed or che della Gallia,
Con stil sonante e chiaro
A celebrar le glorie
T'ergi d'Ovidio al paro,
Non già ramingo ed esule
Qual di SUlmona il Vate,
Noi ti vedremo avvolgerti
Tra piagge inabitate;
Ma farti plauso e tessere
Bel serto a'crini tuoi
Vedrem la Gallia, solita
A coronar gli eroi.
Felice te, cui diedero
Le stelle amiche in dono
Sacrar della tua certa
A sì gran donna il suono,
A lei che de'Romulei
Fasti l'onor vetusto
Vince, e più bella innalzasi,
Mercè un più grande Augusto.

Contessa Paolina Secco Suardo Grismondi
Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano: poeti italiani contemporanei, maggiori e minori, (Paris: Baudry, 1843), p. 1043.

Nota. Ronna scrive: "Anton Maria Le Mierre, poeta francese, fu uno de'principali ammiratori di Lesbia, allor ch'ella trovavasi in Parigi, Questa canzone, ed il componimento; Che fa Le Mierre? furono pubblicati con le stampe di Bergamo, e mandati al medesimo".

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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