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Messaggi del 10/09/2015

Il prete ed il frate

Il prete ed il frate

Quanno che un prete predica, Pasquale,
E che te parla de la Religione,
Te spifera le cose in modo tale
Che bigna che je dichi ch'ha ragione.

Er frate è come er prete tale e quale,
A sentillo ha de tutti compassione,
Nun beve, magna poco, dorme male,
Se dà la disciprina sur groppone.

Però er prete, si more un poveretto,
Dice, tanto va a gode er bene eterno
E je nega insinenta er cataletto;

Si more un ricco che fa testamento,
Er frate per sarvallo da l'inferno
Je fà lascià l'eredità ar convento.

Augusto Marini
(1864)
Da: Cento sonetti in vernacolo romanesco, Perino 1877, pag. 8

 
 
 

Città regal chi fosti...

L'Autrice giunta in Parigi.

Sonetto.

Città regal chi fosti ognor de'miei
Desir, benchè da lungi, amato obbietto,
Per cui lieta varcai l'Alpi, e il diletto
Italo cielo abbandonar potei,

Città che de'più chiari ingegni sei,
E delle grazie e degli amor ricetto,
Oh quanto volentieri un inno eletto
Qui della Senna in riva or ti offrirei!

Ma se per celebrarti io sciorrò l'ali
A rozzi versi miei, certo n'avranno
Ira e dispetto i tuoi vati immortali.

essi che cinta l'onorata chioma
De'più bei lauri ascrei, cantando orfano
Risorgere in te sola Atene e Roma.

Contessa Paolina Secco Suardo Grismondi
Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano: poeti italiani contemporanei, maggiori e minori, (Paris: Baudry, 1843), p. 1042.

 
 
 

La guera

Post n°2005 pubblicato il 10 Settembre 2015 da valerio.sampieri
 

La guera

Doppo millanta secoli
Che fu creato er monno
C'è ancora l'omo barbaro,
Er boja, er vagabonno!
C'è ancora que la stupida
Idea de fa la guera
E quelli che l'approveno,
Gente inumana e nera!
C'è chi la chiama nobbile
'Sta razza de briganti.
Ma io che sto tra er popolo
Tra le miserie e pianti,
Vedo la madre povera
Cor core addolorato
Che sverza tante lagrime
Per fio che fà er sordato,
E pensa a quer teribbile
Macello de sordati
Che er Zare ferocissimo
Li vorse massacrati.
Er Zare co' li nobbili
Ministri - governanti
Che tra le sale sprennide
Nu' intese que li pianti
De tante madre affritte!

Doppo millanta secoli
Che fu creato er monno
C'è ancora l'omo barbaro.
Er boja er vagabonno!
Però vierà quell'epoca
Che 'sta gentaccia infame
Sarà sparita, e er povero
Nun soffrirà più fame.
E solo allora er popolo
Nun ciavrà più dolore
E regnerà incrollabdle
Pe' sempre: - Pace e amore!

Antonio Camilli
Roma, 1904
Tratto da: Poesie Romanesche, Roma, Tipografia Industria e Lavoro, 1906, pag. 22

 
 
 

Lesbia Cidonia a Palide Lidio

Lesbia Cidonia a Palide Lidio.

D'alto incendio di guerra arde gran parte
D'Europa, e intorno a lei scorre fremente
Colla orribil quadriga il fiero Marte;
L'Istro e la Neva il sanno, il sa la gente
Che la Vistola beve, e sì vicine
Del crudo Nume le minacce or sente,
Che a lei si avventa, qual per nevi alpine
Torrente altier che giù tra balzi scende,
E mugghiando terro sparge e ruine.
E d'intorno alla Senna ah quai più orrende
Desta empie faci la discordia, oh quale
Onda immensa di fumo al ciel ne ascende!
Cresce il rio foco, incontro a cui non vale
De leggi schermo, e va di tetto in tetto,
Sin che la reggia furibondo assale.
Oh reggia, oh mura, di piacer ricetto,
Di gloria un di, come di lutto or siete
E di spavento ahi lagrimoso obbietto!
Ma dove, o carmi miei che amar dovete
D'umili canne il suon, dove sì audace
Per sentiero non vostro il vol stendete?
Ah che in questo ov'io seggio, e dove tace
Ogni strepito d'armi, apriche rive,
Miti accenti so chiede amica pace,
E in dolce ozio tranquillo imbelli e schive
Sempre abborriro il marzïal furore
De pace amanti le Castalie Dive.
Poichè d'ira fremendo e di dolore
Coll'egizia regina il Nil raccolse
Nel cerulco suo sen le infrante prore,
E poichè Augusto cincitor si sciolse
Dall'aspro usbergo, e il non più dubbio impero
Con soavi a bear leggi si volse,
Nè più Bellona il sanguinoso e fiero
Suo flagello agitò, nè più le genti
Impallidîr di trombe al suon guerriero,
Delle Muse all'invito impazïenti
Corsero i vati al Tebro, e non pria uditi
Gl'insegnaro a ridir Febei concenti.
Maro gli affanni allora e gl'infiniti
Cantò del Teucro eroe varcati orrori
Seguendo il fato, i venti, i Lazj liti.
Narrò Tibullo i suoi teneri ardori,
Dolci note accordando a flebil cetra,
Che Amor di propria man spargea di fiori:
E mentre ei Delia e la vezzosa all'etra
Nemesi alzava, i forti inni sciogliea
Il Venosin dalla Dircea faretra,
Ond' or bei nomi al tardo oblio togliea,
Ed or di rose intatte e mirtee fronde
Serti a Glicera e a Lalage tessea.
Chiare in quelg'inni di Brandusia l'onde
Splendono ancor dopo tant'anni, ancora
Il Lucretile amene ombre diffonde.
Oh come a tanti eletti cigni allora
Eco fean lieta i colli e le beate
Rive cui lambe il biondo Tebro e infiora?
Nè lungo a quelle rive avventurate
Or men vivace la sua fiamma spira
De'carmi il genio a cent'alme bennate.
Roma, superba Roma, abbatter l'ira
Te non poteo del tempo; ancor nudrice
Te dell'arte d'Apollo il mondo ammira.
Vedi qual figlio oggi additar ti lice,
Di Mecenate a um tempo e degli Ascrei
Cultor più esperti emulator felice.
Palide egli è. Con piena man gli Dei
Ricchezze in lui versaro e onore e quanti
Pregi ornar ponno un'alma eccelsi e bei.
Chi di cetre le fila auree sonati
Più dotto a ricercar, chi più gradite
Rime elette a temprar fia che si vanti?
Voi che sovente la sua voce udite,
Campagne amene, e voi d'Arcadia al Dio
Diletto albergo, ombrose selve, il dite.
Ed oh potessi, o selve, un giorno anch'io
A lui dappresso offrirgli in seno a voi
Di grat'animo in segno il canto mio!
Egli il mio nome co' begl'inni suoi
Volle fregiar, e a eternità il commise
Che i nomi ha in guardia de'più chiari eroi;
Ei sin dai sette Colli amico arrise
Agl'incolti miei carmi, e là talvolta
Intorno intorno a'verdi allôr gl'incise.
E ouando il fato estremo avrammi tolta
La dolce aura di vita, e fia da questo
Infermo vel l'ignuda alma disciolta,
Nè più forse sarà chi sul funesto
Sasso ove l'ossa mie chiuse staranno
Un guardo sol volga pietoso e mesto,
E immemori di me forse ahi saranno.
Que'che amici sperai, pur sempre chiara
Vita i miei versi glorïosi avranno,
Poichè, Palide, a te Lesbia fu cara.

Contessa Paolina Secco Suardo Grismondi
Ronna, Antoine, ed., Parnaso italiano: poeti italiani contemporanei, maggiori e minori, (Paris: Baudry, 1843), p. 1041-42.

 
 
 

Ttrippa pe' ggatti

Post n°2003 pubblicato il 10 Settembre 2015 da valerio.sampieri
 

Ttrippa pe' ggatti

'N ber pezzo de settemmre se n'è ito.
Er tempo córe come 'n addannato,
'mmomento solo che tte sei vortato
e quel attimo llì t'è ggià sparito!

Te ggiri, t'ariggiri, guardi attorno,
ma nun ce sta ni mmodo, ni mmagnera
d'evade da la spece de galera
che nnasce cor vienì der nôvo ggiorno.

Magara te gustava d'arestacce
in quer momento bbell' e ddivertente,
puro si stavi a ffà solo frescacce,

ma trippa pe' li gatti nun ce sta:
pôi puro dì "Morté! Vita fetente!",
te garba o nno, te tocca d'abbozzà.

Traduzione: Già gran parte del mese di settembre è trascorsa. Il tempo scorre celermente e basta che ti distrai un solo momento e quell'attimo è perduto per sempre. Per quanto tu possa arrovellarti, non hai modo di fuggire dalla prigione che nasce all'apparire del nuovo giorno [il nuovo giorno consegna ad una sorta di prigione i ricordi di ciò che è irripetibile]. Forse ti sarebbe piaciuto crogiolarti in quel momento felice, anche se dedicato a mere futilità, ma non c'è niente da fare [ai primi del novecento esisteva un apposito capitolo del bilancio del Comune di Roma dedicato al cibo per i gatti randagi. A seguito di una crisi economica, tale capitolo fu soppresso e nei registri fu apposta la dicitura: "Non c'è trippa per gatti"]: puoi imprecare quanto vuoi, ma devi rassegnarti.

Valerio Sampieri
8 settembre 2015

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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