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Messaggi di Luglio 2017

Er decimo giurato

Post n°4035 pubblicato il 31 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Er decimo giurato

Er perito spiegò ch'er delinquente
ciaveva la capoccia (1) sbrozzolosa (2),
e questa fu la parte più nojosa
perché nessuno ce capiva gnente.

Er decimo giurato solamente
restava co' la fronte pensierosa
e scriveva ogni tanto quarche cosa
come d'un dubbio che ciavesse in mente.



Ma, sia pe' distrazzione o che so io,
a un certo punto prese e stracciò er fojo
e lo buttò vicino ar posto mio.

Io l'ariccorsi per curiosità;
ciaveva scritto: «Zucchero, petrojo,
ova, patate, strutto e baccalà ...».

Note:
1 Testa.
2 Piena di bitorzoli.

Trilussa
Da: Ommini e bestie - Sonetti ripescati, 1923
Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 394

 
 
 

Galeazzo Di Tarsia

Galeazzo Di Tarsia

Morto intorno al MDLX.

Già corsi l'Alpi gelide e canute,
Malfida siepe alle tue rive amate,
Or sento, Italia mia, l'aure odorate
E l'aere pien di vita e di salute.

Quante mi deste al cor, lasso!, ferute,
Membrando la fatal vostra beltate,
Culti poggi, antri verdi, ed ombre grate,
Da' ciechi figli tuoi mal conosciute!

Oh felice colui che un breve e colto
Terren fra voi possiede, un antro, un rivo,
Sua cara donna, e di fortuna un volto!

Ebbi i miei tetti e le mie paci a schivo;
Ahi giovenil desìo fallace e stolto!
Or vo piangendo che di lor son privo.

Galeazzo Di Tarsia



TARSIA. Feudo di una famiglia del regno di Napoli. Galeazzo fu guerriero, e militò per Francesco I di Francia. Ripatriatosi,visse ritirato; scrisse poco e per sè, e come 'uomo che non sa nè vuole imitare altri, e che insieme non affetta di battere nuove strade. Amò anch'egli Vittoria Colonna. - La voce siepe è un traslato invece di riparo; o artificiale, che circonda una fortezza;o naturale, che difende un paese, come le Alpi fronteggiano vanamente (pur troppo!) l'Italia. Se non che l'Italia è meretrice, la quale, per compiacere alle sue libidini ed alle altrui, rinnega i beneficj della natura e l'amore de' suoi figliuoli. - ferute per ferite non si direbbe oggi, se non da chi non si vergognasse di servire alla rima; - un volto, cioè un solo sorriso di fortuna, è frase che a me par nuova e felice.

Da: "Vestigi della storia del sonetto italiano", di Ugo Foscolo, Salerno 1816

 
 
 

Er funerale d'oggi

Er funerale d'oggi

Le messe de li morti che la cchiesa
fa ccelebbrà ppell'anime purgante,
danno sempre er zu' frutto tutte quante
senza pavura de bbuttà la spesa.

Perché, ssi (1) pp'er zuffraggio se sii presa
quarc'anima groriosa e ttrïonfante,
Iddio lo svorta (2) all'antre (3) anime sante
che stanno ancora tra la bbrascia (4) accesa.

Ecco: la messa che Ppapa Grigorio
manna (5) oggi a Rraffaelle, (6) sur zupposto
che stii da trescent'anni in purgatorio,

Iddio, caso ch'er Papa nun c'ingarri, (7)
l'appricherebbe a un'antr'anima arrosto:
presempio (8) a cquella de monzú Vvicarri. (9)

Note:
1 Se.
2 Lo rivolge.
3 Alle altre.
4 Bragia.
5 Manda.
6 Messa solenne di requie celebrata il 17 ottobre 1834 nel Pantheon, ove riposano le ritrovate spoglie di Raffael Sanzio.
7 Non c'indovini, non ci colga.
8 Per esempio.
9 Il pittore Wicar, morto di recente.

Giuseppe Gioachino Belli
17 ottobre 1834
(Sonetto 1334)

 
 
 

Quanno ce vò, ce vò

Quanno ce vò, ce vò

Pijà a schiaffi la moje è da villano:
è 'na vijaccheria che fa vergogna!
Ma se vedi la mia, quant'è carogna (1)!
Credi che te li leva da le mano.

Nemmanco a fallo apposta, cerca rogna (2)
propio ne li momenti che sto strano ...
E allora je l'appiccico: ma piano
e mai de più de quello ch'abbisogna.

È un vizziaccio, capisco: tant'è vero
che me ne pento prima de fa' l'atto,
ma l'azzione è più sverta der pensiero!

Vôr di' che doppo, pe' riavé la stima,
je chiedo tante scuse e, appena ho fatto,
ritorno gentilomo come prima.

Note:
1 Vile.
2 Mi provoca.

Trilussa
Da: Ommini e bestie - Sonetti ripescati, 1923
Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 393

 
 
 

Er penzatore

Post n°4031 pubblicato il 29 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Er penzatore

Come seduto sopra un monumento,
la schina curva, co' le gambe a raggio,
la mano destra che je regge er mento
e la sinistra che je fa d'appoggio,

lo sguardo fisso verso l'infinito,
su la fronte le rughe de lo sforzo
sta er penzatore, solo come un orso.

Ne l' immenso silenzio de la sera,
mentre che er bove rumina e sospira,
er pensatore pensa, ronza e spera.

Penza a 'na soluzione planetaria
pe' tutti li probblemi. Ma er penziero
je se confonne con un soffio d'aria.

Zambo (Giulio Zannoni)
Da: Zambo 'na storia - Poesie in romanesco di Padre Giulio Zannoni S.J.

 
 
 

Dorme il mio bimbo

Post n°4030 pubblicato il 29 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Dorme il mio bimbo

A Leone Ciprelli.

I.


Dorme il mio bimbo in caro atto d'amore
Con la piccola mano sotto il mento;
Io lo contemplo e sento entro il mio cuore
Un dolce, indescrivibile contento.

Seimbra, tra bianche coltri, un roseo fiore
Mi curvo piano sul suo viso e sento,
Della gentil sua carne, il grato odore
E nel mio petto il cuor batte violento.

Non vi sarà tesoro in tutto il mondo.
Non vi sarà bellezza in paradiso
Al par di questo fanciulletto biondo!

Forse egli sogna d'angioletti un coro
Poiché la bocca atteggia ad un sorriso...
Oh! Come è bello il mio biondo tesoro!!

Antonio Camilli
Tratto da: Poesie Romanesche, Roma, Tipografia Industria e Lavoro, 1906, pag. 124



II.

Dormi, sorridi pur fanciullo biondo,
Che il tuo lettino è bianco e profumato;
Ma vi son tanti fancliulletti al mondo
Cui tal fortuna non concesse il fato:

Nel misero tugurio screpolato
Ove sovente fischia l'irabondo
Vento, ove non v'è riso giocondo
Ivi dimora il bimbo sfortunato;

E invan la mamma, quelle membra grame
Serra amorosa sullo scarno seno
Arido e floscio per la lumga fame.

Dormi tranquillo, o mio fanciullo biondo;
Che tu sorrider possa al dì sereno
In cui sarà rinnovellato il mondo!

Antonio Camilli
Tratto da: Poesie Romanesche, Roma, Tipografia Industria e Lavoro, 1906, pag. 124, 125

 
 
 

Lo sscilinguato

Lo sscilinguato

Oh che ddiggazzia, (1) Chitto!: (2) oh che bbullacca! (3)
D'effe (4) jeli (5) ito via calo (6) me cotta! (7)
Nu ttà bbe' (8) in ne' ppottone (9) quella vacca, (10)
fi (11) e' mmi' padon (12) de cafa (13) nu la ccotta. (14)

Cuanno ttò p'alientà (15) ddento (16) a la potta (17)
vedo ch'e' ppupo mio ccivola e ccacca. (18)
Io nu mme leggo (19) ppiù: chiamo Callotta, (20)
e bbutto e' ffitto (21) de melluzzi (22) e llacca. (23)

Poi vado pe annà llà, ma in ne' ffà e' ppazzo, (24)
pun, chioppo in tella e do la tetta a' mmulo; (25)
ma e' ppelicolo (26) mio te ce lo sccazzo. (27)

Cuello che mm'impottava, (28) e tte lo ggiulo, (29)
ela (30) la fetta (31) de favvà (32) el lagazzo: (33)
del letto (34) lo fa (35) Iddio fi mme ne culo. (36)

Note:
1 Disgrazia. Aspirazione dentale delle due z presso a poco come la th degl'Inglesi in think, ma più inclinante alla durezza.
2 Cristo.
3 Burrasca.
4 Essere.
5 Ieri.
6 Caro.
7 Costa.
8 Non istà bene.
9 Portone.
10 Vasca.
11 Si, per «se».
12 Padron.
13 Casa.
14 Scosta.
15 Sto per rientrare.
16 Dentro.
17 Porta.
18 Scivola e casca.
19 Reggo.
20 Carlotta.
21 Fritto.
22 Merluzzi.
23 Lasca.
24 Passo.
25 Schioppo in terra e do la testa al muro.
26 Pericolo.
27 Te ce lo scasso per «casso».
28 Importava.
29 Giuro.
30 Era.
31 Fretta.
32 Salvare.
33 Ragazzo.
34 Del resto.
35 Lo sa.
36 Se me ne curo.

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 21 ottobre 1831 - De Pepp'er tosto
(Sonetto 217)

 
 
 

La mamma

Post n°4028 pubblicato il 28 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

La mamma

So' come 'na fojetta senza vino,
so' come un dindarolo senza grana;
me pare de sta' drento de 'n giardino
senza un arbero, un fiore o 'na fontana.

Me sento incarcerato ne la mente,
come si fussi in mezzo a forastieri;
me pare de parla', nessuno sente
e me trovo a gioca' co’ li penzieri.

E me penzo 'no sguardo innamorato,
o 'na parola sospirata piano,
o 'na carezza liscia de 'na mano;

e me risvejo tutto illuminato.
Che d'e'? No scherzo de la fantasia?
No. E' er desiderio de mammetta mia.

Zambo (Giulio Zannoni)
Da: Zambo 'na storia - Poesie in romanesco di Padre Giulio Zannoni S.J.

 
 
 

Li consiji boni

Post n°4027 pubblicato il 28 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Li consiji boni

Tu ce l'hai co' li vecchi e co' l'anziani
perché adesso sei giovene, s'intenne:
l'ucelletti che metteno le penne
vann'a beccà la coda a li gabbiani.

M'abbada a te, sia detto senz'offenne,
che quer ch'è oggi nun è più domani:
quanno t'invecchierai come arimani
se sei insurtato e nun te pôi difenne?

Presempio, l'antro giorno ho risaputo
che ner vede er sor Checco pe' le scale
j'hai dato, sottovoce, der cornuto.

Chiamà cornuto un omo de 'sta sorte!
Pensa che cià ottant'anni e, bene o male,
te potrebb'esse padre quattro vorte!

Trilussa
Da: Ommini e bestie - Sonetti ripescati, 1923
Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 392

 
 
 

Sconforto

Post n°4026 pubblicato il 27 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Sconforto
A L.S.

Cadon le foglie e il vento le trasporta
Via, turbinando, oltre la valle e il piano;
E le veggo sparir laggiù, lontano.
Come i miei sogni fulgidi d'amor.

E' una giornata tetra, senza sole,
E il cuor m'invade la maliniconia:
Son solo e penso a te, fanciulla mia,
A te che adoro ed amo tanto ancor!

Son molto triste; ho l'amima malata
E tu m'hai obliato! ... Ti 'sei fatta sposa!
Hai infranto il sogno mio color di rosa,
il più bel sogno della gioventù.

Simile alla tempesta scatenata
Che schianta un arboscello nel furore,
Cosi questa notizia inaspettata
Or m'ha spezzato or m'ha schiantato il cor.

Lo so, fu colpa mia, io fui l'ingrato,
Il folle (ma pur degno di perdono)
Che ti obliai; ed or pentito sono ...
Ma ahimè! sei d'altri, ed io non spero più.

E benché viva privo di speranza
E il pianto ognor la mia pupilla irrori,
Io t'amo ancora e forse tu l'ignori!
Tu ignori che languisco dal dolor.

Cadon Le foglie e il vento le trasporta
Via, turbinando, oltre la valle e il piano.
E le veggo sparir lapggiù, lontano,'
Come i miei sogni fulgidi d'amor!

Antonio Camilli
Tratto da: Poesie Romanesche, Roma, Tipografia Industria e Lavoro, 1906, pag. 123

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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