ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 29/06/2012

EURO 2012/IL CALCIO SPIEGATO DA PAPA BENEDETTO XVI: "E' UN TENTATO RITORNO AL PARADISO"

Post n°7268 pubblicato il 29 Giugno 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Ratzinger spiega dove sta la bellezza del calcio

Pubblichiamo una riflessione sul calcio datata 1985, che porta la firma di un insospettabile appassionato sportivo: l’allora cardinal Joseph Ratzinger. Il testo, raccolto nel libro “Cercate le cose di lassù”, è stato scritto appena prima del campionato del mondo dell’86, svoltosi in Messico, e parte da una domanda molto elementare: perché questo sport riesce a trasportare così tanta gente? Ecco come risponde il futuro papa Benedetto XVI.

Regolarmente ogni quattro anni il campionato mondiale di calcio si dimostra un evento che affascina centinaia di milioni di persone. Nessun altro avvenimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche elemento primordiale dell’umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco. Il pessimista dirà che è come nell’antica Roma.

La parola d’ordine della massa era: panem et circenses, pane e circo. Il pane e il gioco sarebbero dunque i contenuti vitali di una società decadente che non ha altri obiettivi più elevati. Ma se anche si accettasse questa spiegazione, essa non sarebbe assolutamente sufficiente. Ci si dovrebbe chiedere ancora: in cosa risiede il fascino di un gioco che assume la stessa importanza del pane? Si potrebbe rispondere, facendo ancora riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gioco era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata. Perché è questo che s’intende in ultima analisi con il gioco: un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al Paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello.

Così il gioco va oltre la vita quotidiana. Ma, soprattutto nel bambino, ha anche il carattere di esercitazione alla vita. Simboleggia la vita stessa e la anticipa, per così dire, in una maniera liberamente strutturata. A me sembra che il fascino del calcio stia essenzialmente nel fatto che esso collega questi due aspetti in una forma molto convincente.

Costringe l’uomo a imporsi una disciplina in modo da ottenere con l’allenamento, la padronanza di sé; con la padronanza, la superiorità e con la superiorità, la libertà. Inoltre gli insegna soprattutto un disciplinato affiatamento: in quanto gioco di squadra costringe all’inserimento del singolo nella squadra. Unisce i giocatori con un obiettivo comune; il successo e l’insuccesso di ogni singolo stanno nel successo e nell’insuccesso del tutto.

Inoltre, insegna una leale rivalità, dove la regola comune, cui ci si assoggetta, rimane l’elemento che lega e unisce nell’opposizione. Infine, la libertà del gioco, se questo si svolge correttamente, annulla la serietà della rivalità. Assistendovi, gli uomini si identificano con il gioco e con i giocatori, e partecipano quindi personalmente all’affiatamento e alla rivalità, alla serietà e alla libertà: i giocatori diventano un simbolo della propria vita; il che si ripercuote a sua volta su di loro: essi sanno che gli uomini rappresentano in loro se stessi e si sentono confermati. Naturalmente tutto ciò può essere inquinato da uno spirito affaristico che assoggetta tutto alla cupa serietà del denaro, trasforma il gioco da gioco a industria, e crea un mondo fittizio di dimensioni spaventose.

Ma neppure questo mondo fittizio potrebbe esistere senza l’aspetto positivo che è alla base del gioco: l’esercitazione alla vita e il superamento della vita in direzione del paradiso perduto. In entrambi i casi si tratta però di cercare una disciplina della libertà; di esercitare con se stessi l’affiatamento, la rivalità e l’intesa nell’obbedienza alla regola.

Forse, riflettendo su queste cose, potremmo nuovamente imparare dal gioco a vivere, perché in esso è evidente qualcosa di fondamentale: l’uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà. La libertà si nutre però della regola, della disciplina, che insegna l’affiatamento e la rivalità leale, l’indipendenza del successo esteriore e dell’arbitrio, e diviene appunto, così, veramente libera. Il gioco, una vita. Se andiamo in profondità, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio può darci di più che un po’ di divertimento.

Fonte: Redazione tempi.it

 
 
 

SUOR EMMANUEL: LA GOSPA A MEDJUGORJE E' UN IMMENSO CAPITOLO DI GRAZIE

Post n°7267 pubblicato il 29 Giugno 2012 da diglilaverita
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Un giorno mi trovavo sulla montagna: mi piace pregare là a lungo, prima dell'apparizione della Madonna, per accoglierla nel mio cuore, lontano dalla folla. L’apparizione ha luogo alle 17,40 (ora legale: 18,40). Quel giorno ho detto alla Beata Vergine: - Dato che so che tu ritornerai entro 24 ore, ti preparerò un regalo; potrò offrirtelo domani. - Ma che regalo? Ho avuto l'idea di controllarmi su un punto preciso. In effetti, dall'età di quattordici anni, avevo la cattiva abitudine di scorticarmi le labbra, talvolta anche a sangue. Era un tic del quale non riuscivo a sbarazzarmi. Un dermatologo mi aveva detto che rischiavo un cancro alle labbra (con metastasi molto rapide). Malgrado i suoi avvertimenti, continuavo, era più forte di me. Ho fatto questa promessa alla Madonna: - Per 24 ore farò uno sforzo supremo, non mi scorticherò le labbra, ma ti prego, aiutami! - Arrivò l'incontro del giorno dopo: aveva funzionato! Tutti gli assalti distruttori (molto numerosi) erano stati respinti, la Madonna mi aveva molto aiutato è le ho offerto con gioia il regalo. Mi è venuta allora l'idea di prepararle un'altro dono, una nuova vittoria su un punto preciso, per 24 ore. Perché non la stessa cosa? Uho fatto e Lei ha ricevuto il suo regalo. Durante tutta la settimana, a ogni incontro, facevo la stessa cosa. Cosa è successo, allora? Dopo sette giorni il tic era completamente scomparso. Se n'era andato, finito, non ci pensavo nemmeno più! La Madonna aveva toccato il mio corpo e il mio sistema nervoso, aveva tolto il male alla radice. Grande è stata la mia gioia e la mia riconoscenza.

La storia non è finita. Mentre la ringraziavo, la Madonna mi ha fatto capire nella preghiera che quello che aveva fatto per me, voleva farlo per ogni suo figlio. Mi sono ricordata allora di alcune sue parole; è stata come un'illuminazione: 'Appena avete bisogno di me, chiamatemi! Se avete delle difficoltà o avete bisogno di qualche cosa, venite a me. Dio mi ha permesso di aiutarvi ogni giorno con delle grazie, per difendervi contro il male. Cari figli, permettete a Dio di fare dei miracoli nelle vostre vite!". Ho anche capito che noi avevamo appena sfiorato un immenso capitale di grazie, che eravamo ancora mille miglia lontano dall'aver capito fino a che punto queste visite quotidiane di Maria potessero aiutarci. Che incoscienza! "No cari figli, voi non capite l'importanza della mia venuta" ci dice la Madonna. E Vicka aggiunge: - Quello che la Gospa fa a Medjugorje non è mai stato fatto in nessun luogo prima e non lo sarà dopo. E' un caso unico nella storia. - Non è troppo tardi! Mi ha molto colpito il constatare quanto sia felice il popolo di Dio di venire a conoscere questa buona novella delle apparizioni quotidiane della Gospa. Per i parroci che accolgono i testimoni di Medjugorje che stupore e gioia grandissima vedere le loro chiese improvvisamente strapiene, e tutta questa folla che non se ne vuole andare neppure dopo tre o quattro ore di preghiera e di testimonianze! Non è forse un segno sconvolgente della sete immensa che ha la gente di toccare concretamente il cuore di sua madre Maria, viva, reale, che guarisce, che compatisce, indicibilmente tenero? Si, il popolo di Dio è felice di trovare sua Madre. A Medjugorje il cielo si lascia toccare come non è mai successo prima. Quando la Madonna appare, i veggenti la vedono in tre dimensioni, come si vede una persona normale sulla terra. Possono stringerle la mano, abbracciarla, posso no tirare il suo velo implorandola per una grazia, possono ridere e piangere con lei. E' completamente reale, incarnata, viva e infinitamente bella. - La vediamo da quindici anni - dice Marija - ma non ci abituiamo, ogni giorno è una gioia più grande. - Ma noi, "non veggenti", "non udenti", che non abbiamo estasi quotidiane per conversare con la Regina del cielo, dovremmo avere un destino meno bello? Non è assolutamente così! E' la chiave di volta del dono di Dio a Medjugoije: là dove sono, come sono, io, povero peccatore, senza carismi, posso ricevere le stesse grazie dal cielo come se mi chiamassi Vicka, Marija, Ivan, Mirjana, Jakov o Ivanka. Ho fatto un'indagine fra i veggenti che spesso si sentono dire: "Hai la possibilità di vedere la Madonna! Che felicità dev'essere! Ah se potesse capitare anche a me" Ho sondato Vicka: Vicka, quando vedi la Gospa ricevi delle grazie particolari? - - Si, la Madonna ha detto che ci dava grazie speciali come non aveva mai concesso in tutta la storia del mondo. - - E io, che non vedo niente, riceverò meno grazie dite che la vedi, se le apro completamente il mio cuore? - - Certamente no! Se apri il tuo cuore, ti darà le stesse grazie che dà a me, Lei l'ha detto! Noi non siamo migliori degli altri... La Gospa desidera che si venga a Medjugorje, perché ne ha fatto un'oasi di pace e ci invita. Ma se tu non puoi veramente venire e se apri completamente il tuo cuore nel momento dell'apparizione, certamente riceverai le nostre stesse grazie, di noi veggenti, là dove tu sei. - La conclusione è chiara: le visite di Maria e il fantastico capitale di grazie che apportano non sono riservate a qualche raro eletto; sono per ognuno di noi, per voi che mi leggete, per la vostra famiglia, per tutti quelli che aprono le porte più intime del loro cuore a questa possibilità. Alle 18,40, quando la Madonna scende a conversare con i figli degli uomini e pregare con loro, quelli che lo desiderano possono fermarsi qualche minuto, là dove si trovano, per accoglierla in modo speciale, in comunione con Medjugorje e con le migliaia di persone che già in tutto il mondo vivono questo appuntamento (alcuni orologi si mettono a suonare!) E di giorno in giorno, di 24 ore in 24 ore, capitano loro. cose tali che molti libri non potrebbero contenere le loro testimonianze. Che gioia, in effetti, quando ogni giorno io posso tuffare il mio cuore in quello di mia Madre, certa che ritornerà tra 24 ore, che la mia solitudine non esiste ormai più, che io sono ogni giorno una cugina Elisabetta che esclama: "A che debbo che la madre del mio Signore venga a me... Che gioia offrirle ogni giorno un regalino, mettersi d'accordo con Lei su una determinata piccola cosa, per superarla, per convertirmi. Se sono schiavo della sigaretta, dell'alcool o della pornografia... posso rinunciarci per 24 ore. Se picchio mia moglie... posso smettere per 24 ore! (e reciprocamente). So di essere troppo debole per promettere uno sforzo di tre mesi, o anche di un mese solo, ma 24 ore... è proprio nelle mie possibilità. Lei lo sa bene e perciò dice spesso: "Di giorno in giorno crescerà l'amore in voi. Sono con voi per aiutarvi a realizzarlo nella sua pienezza" "Di giorno in giorno" è il suo motivo conduttore; 24 ore, la sua unità di tempo. Anche Madre Teresa ci focalizza su questo "oggi" come punto d'impatto della grazia: "Ieri épassato, domani non c 'è ancora, ho solo oggi per amare A ogni venuta, Maria si impadronisce dei nostri cuori per imprimervi la sua ineffabile bellezza... "Datemi il vostro cuore perché possa trasformarlo, perché diventi simile al mio" dice. Si impadronisce con l'avidità dell'amore del nostro regalino promesso la vigilia. Cosi compie in noi un lavoro immenso: "Voglio purificarvi dalle conseguenze dei vostri peccati passati, voglio arricchirvi della mia pace materna Quella che viene a me è la Donna che schiaccia la testa al serpente. E' colei davanti alla quale tremano le potenze infernali e tutti i demoni, perché è l'Immacolata e ha ricevuto la grazia di vincere Satana. A ogni appuntamento ricevo colei che è. più forte del male che abita in me: lo toglierà dalla radice. Tutti noi soffriamo della mancanza di buoni esorcisti, ovunque. Con la proliferazione delle pratiche sataniche coscienti o incoscienti, un numero crescente di persone ètorturato terribilmente dalle potenze delle tenebre. E chi c'è per accoglierli, ascoltarli, soccorrerli? Dove? Come? C'è il deserto. Ecco che nostra Madre risponde. Non abbandona i suoi figli alla triste sorte che l'ateismo dell'ambiente ha loro riservato. Durante gli appuntamenti con la Regina della Pace, avvengono gli esorcismi più belli, come per incanto. Quello che uno psichiatra non ottiene in dieci anni, Maria lo ottiene, Lei è la Regina. "La vostra sofferenza è anche la mia". "Cari figli voi dimenticate che vi chiedo dei sacrifici per aiutarvi a cacciare Satana da voi" (settembre 86). Inoltre, queste visite della Madonna sono un antidoto efficace contro la confusione di New Age, dove si nega l'incarnazione di Dio. A Medjugorje si scopre la realtà della vita spirituale. Maria non è fuori della realtà; ci tuffa nella vita concreta, sotto lo sguardo del Dio vivente e non di una energia impersonale. E' una grande liberazione dal New Age che fabbrica ogni giorno dei nuovi SDF: Senza un Dio Fisso.

Fonte:medjugorje.altervista.org

 
 
 

PADRI, PADRONI E PADRINI: SARA' BEATIFICATO PADRE PINO PUGLISI

Post n°7266 pubblicato il 29 Giugno 2012 da diglilaverita
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Sarà beato il parroco di Palermo martirizzato dai mafiosi. Padre Pino Puglisi è martire perché in lui è compiuta l’immagine della Paternità di Dio, quel Cristo che lo Spirito scolpisce nella pietra informe e indocile di ciascuno di noi.
 
Non è la morte, ma la causa della morte a fare il martire. Padre Pugli­si è stato ucciso il 15 settembre 1993, il giorno del suo compleanno, proprio per­ché i fratelli Graviano, capi mafiosi del quartiere Brancaccio, già complici dei Corleonesi negli attentati a Falcone e Bor­sellino, non tolleravano che Padre Pino facesse il prete: sottraeva consenso ai pa­drini della terra e lo indirizzava al Padre celeste. Palermo è una città in cui le pa­role purtroppo hanno spesso il massimo della loro estensione possibile: si pensi a parole come "famiglia", "onore", "padre".

Ogni parola importante, come ci ha in­segnato Dante, si estende dall’Inferno al Paradiso in un crescendo che va dall’or­rore del ribaltamento della parola stessa, al suo pieno compimento. Basti pensare alla parola 'padre', che nella Commedia troviamo nel dannato più dannato di tut­ti, per questo più in fondo di tutti: Ugoli­no, un padre che muore con i suoi figli, o meglio un padre che dà la morte ai suoi figli. Egli, causa della loro reclusione nel­la torre da parte del vescovo Ruggeri (al­tro padre che ha sovvertito il suo ruolo ed è condannato con Ugolino in un ban­chetto cannibalistico), invocato dai suoi figli che chiedono pane, tace: non ha pa­ne, né parole. I figli, sopraffatti dal dolo­re del padre, arriveranno a chiedergli di cibarsi dei loro corpi, dal momento che è lui ad avere donato la carne di cui sono fatti, quella carne gli ap­partiene. I figli vorrebbe­ro dare la vita al padre, invertendo l’ordine na­turale delle cose. Trage­dia della paternità è quella di Ugolino: un pa­dre che sovverte la sua paternità e finisce con il divorare – lasciando in­tatta l’ambiguità dell’ef­fettivo banchetto filiale – le carni dei suoi figli. È un padre che invece di dare la vita la toglie, è un pa­dre che invece di rende­re liberi, imprigiona; è un padre che invece di par­lare, tace; è un padre che invece di imbandire la tavola con il pane, banchetta con le carni dei figli. Non è un padre, ma un padrone carnefice, come i padrini.

All’altro polo – rispetto a quello infernale – della parola "padre", trovia­mo il Padre del cielo, passando per tutte le sfumature di paternità che Dante met­te in campo e che ne sono la manifesta­zione da Virgilio a Bernardo. Il Padre che Dante incontra faccia a faccia nell’ultimo del Paradiso è un Padre che dà la vita, che imbandisce il banchetto eterno dove il pane non finisce mai e non va guada­gnato dai figli, né deve essere da loro ri­chiesto, perché è donato, prima ancora di qualsiasi merito o richiesta, gratuita­mente e infinitamente. Questo Padre ren­de liberi e dà la vita: Dio è Creatore per­ché Padre. La vicenda di Padre Pino Puglisi, come la Commedia dantesca, contiene tutte le ac­cezioni della parola padre. Dal padre che è padrino e padrone, perché controlla e ha diritto di vita o di morte sul suo terri­torio, al padre che è pastore dello stesso quartiere dove il padrino detta legge. Ma padre Pino Puglisi, bonariamente chia­mato dai suoi amici 3P, è la vera formula della paternità. Questo tripudio di 'P' lo conferma. Un padre che dà la vita, ren­dendo liberi e dando pane.

Non è un ca­so che avesse deciso di chiamare "Padre Nostro" il centro di accoglienza per i ra­gazzi del quartiere, che al pomeriggio in­vitava a giocare, studiare, pregare (pane e parola) con l’ausilio dei liceali della mia scuola, dove insegnava religione. Era il modo di sottrarre i giovani di Brancaccio alla strada, ai soldi facili, ai lavoretti spor­chi che garantivano manovalanza sempre nuova ai capi mafiosi e l’inizio di una car­riera tra le fila dei picciotti, in un quartiere dove, alla morte di Falcone, alcuni ragaz­zi avevano esultato per strada come do­po una vittoria calcistica.

Quei giovani potevano intravedere un’altra possibilità e soprattutto sperimentavano quell’amicizia che solo la vera paternità sa offrire. Quella del padrino è basata sul controllo, è quella dell’animale addestrato, al contrario quella del Padre invece è un’amicizia basata sulla libertà. Quei ragazzi si sentivano amati e sperimentavano le parole del Vangelo: «Vi ho chiamati amici perché vi ho fatto conoscere le cose del Padre mio».

 Padre Pino è icona della paternità di Dio, come lo è stato Cristo, per questo è martire e per questo morì con il sorriso sulle labbra, come Cristo, perdonando e affidandosi al Padre: non è un’immaginetta devota o un santino dai colori fluorescenti. Sorrise davvero, come Cristo. E lo sappiamo proprio da chi gli ha sparato. Infatti Salvatore Grigoli, uno dei giovani killer, dopo aver confessato l’omicidio, raccontò: «Il padre si stava accingendo ad aprire il portoncino di casa. Aveva il borsello tra le mani. Fu una questione di pochi secondi: io ebbi il tempo di notare che lo Spatuzza si avvicinò, gli mise la mano per prendergli il borsello. E gli disse piano: "Padre, questa è una rapina". Lui si girò, lo guardò, sorrise – una cosa questa che non posso dimenticare, che non ci ho dormito la notte – e disse: "Me l’aspettavo". Non si era accorto di me, che ero alle sue spalle. Io allora gli sparai un colpo alla nuca».

Il killer lo chiama «il padre». Il killer mandato dai padrini esegue l’atto che il padrino ha decretato: togliere la vita. La vittima in un paradossale capovolgimento, nella sua inermità è padre, sorride, perché ha già la vita, aspettava solo il momento in cui l’avrebbe data, anzi l’aveva già donata, come Cristo nel Getsemani: non è un caso che Padre Pino avesse parlato in quelle ore di quella scena in cui Cristo suda sangue. Aveva affrontato già la paura della morte, nel suo orto degli ulivi interiore. E sul suo volto il sorriso del Padre si dipinge come un sorriso che non gli appartiene, il sorriso di chi la vita la dona. Non sono i padrini che gliela tolgono, ma è lui che la dona, perché è il Padre che la dona a lui, rendendolo padre persino dei suoi assassini, che non potranno neanche dormire la notte, al pensiero di quel sorriso. Non al pensiero dei loro delitti, ma al pensiero del vero sorriso del Padre, che ama a prescindere da chi siamo e cosa facciamo.

Padre Pino Puglisi è martire perché in lui è compiuta l’immagine della Paternità di Dio, quel Cristo che lo Spirito scolpisce nella pietra informe e indocile di ciascuno di noi. E il padrino, relegato in prigione, simile ad Ugolino, si sgretola e torna ad essere quello che è sempre stato: una ridicola maschera blasfema della paternità. Per questo padre Pino è morto in odio alla fede ed è martire: provò a sostituire la maschera vuota del padrino con il vero volto del Padre. E quel volto fu lui.

Alessandro D'Avenia - avvenire.it - donboscoland.it -

 
 
 

INDIA, QUEI MIRACOLI "IMPOSSIBILI"

Post n°7265 pubblicato il 29 Giugno 2012 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Nella diocesi di Itangar accadono guarigioni inspiegabili. E i cattolici aumentano la loro presenza del 40 per cento

Strane cose accadono a Itangar, una diocesi dell’India, e le ha raccontate il vescovo, mons John Kattrukudiyl, mentre si trovava in Germania, di recente all’incontro periodico organizzato da “Aiuto alla Chiesa che soffre”, l’organizzazione internazionale che si occupa delle chiese e dei cristiani nei Paesi in cui la loro situazione è più difficile.

Secondo il presule le numerose guarigioni inspiegabili, precedute e causate dalle preghiere, sono la principale causa dell’aumento straordinario dei cattolici – il 40 per cento in 35 anni – in questo angolo remoto dell’India. Il vescovo riceve segnalazioni di questo genere con frequenza; e le storie “mi riempiono di sbalordimento. Ho un’impostazione di fondo teologica, ed è facile arrivare a essere scettici, in questo genere di cose. Però le persone interessate sono assolutamente convinte di ciò che è accaduto loro”.

Il presule ha riportato il caso di un uomo che ha smesso di perseguitare la Chiesa cattolica dopo che si è sposato con una ragazza cattolica. “Dopo essersi convertito al cattolicesimo, gli è stato chiesto di pregare su un uomo paralitico. Non voleva, ma lo fece egualmente; il giorno dopo l’uomo paralitico si alzò e camminò verso la chiesa”. Il neo convertito restò talmente sbalordito da questa esperienza miracolosa che cominciò a frequentare la chiesa, e ora “è un membro molto attivo della parrocchia”.

Mons. Kattrukudiyl è ben consapevole dello scetticismo con cui in genere vengono accolti questi miracoli; gli capita, quando racconta questi avvenimenti “in Europa e altrove, che le persone dicano: ‘Ehi, vescovo, ci stai raccontando delle favole’”. Ma a dispetto dell’incredulità “ci sono molte storie di guarigione che mi vengono riportate, e non le possiamo ignorare”.

Una possibile spiegazione storico-teologica si rifà alla relativa freschezza della chiesa locale. “E’ l’esperienza di una Chiesa molto giovane, che sperimenta la stessa grazia della Chiesa nei tempi degli apostoli”, quando le guarigioni miracolose erano frequenti, come narrano i libri sacri.

Secondo il presule i fedeli della sua diocesi sono stati testimoni di queste guarigioni miracolose avvenute dopo che si erano riuniti in casa di qualche malato per cui pregavano. “Persone che erano malate da molto tempo sono state curate. E’ realmente un’esperienza della Chiesa primitiva quella che hanno vissuto queste persone”. Nei tempi della prima Chiesa, “la cura, con l’orazione a Gesù, attrasse molte persone verso la Chiesa. E’ una specie di pace spirituale che ottengono dalla loro appartenenza alla Chiesa”. Il vescovo ha rivelato che il numero dei fedeli cattolici è cresciuto del 40 per cento negli ultimi 35 anni. La situazione della Chiesa adesso è molto migliore di una volta; non è solo tollerata, ma lodata per le sue attività filantropiche. “I politici non perdono occasione per elogiare la Chiesa per le sue opere umanitarie”.

Marco Tosatti - vaticaninsider.lastampa.it -

 
 
 

PAPA BENEDETTO XVI: PIETRO E PAOLO, SOLO LA SEQUELA DI GESU' CONDUCE ALLA NUOVA FRATERNITA'

Post n°7264 pubblicato il 29 Giugno 2012 da diglilaverita
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Benedetto XVI celebra la solennità dei santi Pietro e Paolo in "spirito ecumenico". Presenti la delegazione ortodossa del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e il coro (anglicano) dell'Abbazia di Westminster. Il dramma di Pietro (e del papato) per "la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane". Il "potere delle chiavi" e di "legare e sciogliere" è "potere di rimettere i peccati... che toglie energia alle forze del caos e del male". La "buona battaglia" di Paolo non è quella "di un condottiero, ma quella di un annunciatore della Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso". Consegnato il pallio a 44 arcivescovi metropoliti, fra i quali alcuni asiatici.

"Solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità": così Benedetto XVI sintetizza il valore della solennità dei santi Pietro e Paolo, durante la celebrazione avvenuta stamane nella basilica di san Pietro. La sottolineatura sulla "fraternità" ha un'importanza attuale perché alla cerimonia è presente la delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e i 44 nuovi arcivescovi metropoliti ai quali il pontefice ha consegnato il pallio, segno della comunione con la sede di Pietro. A dare maggior "spirito ecumenico" , alla celebrazione è presente anche il coro (anglicano) dell'Abbazia di Westminster, che esegue i canti liturgici insieme a quello della Cappella sistina.

"La tradizione cristiana - ha spiegato il papa - da sempre considera san Pietro e san Paolo inseparabili: in effetti, insieme, essi rappresentano tutto il Vangelo di Cristo. A Roma, poi, il loro legame come fratelli nella fede ha acquistato un significato particolare", quasi un contraltare ai "mitici Romolo e Remo" i fratelli fondatori di Roma, ma anche ai fratelli biblici Caino ed Abele.

"Pietro e Paolo - continua -  benché assai differenti umanamente l'uno dall'altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro".

"Solo la sequela di Gesù  - spiega il pontefice - conduce alla nuova fraternità: ecco il primo fondamentale messaggio che la solennità odierna consegna a ciascuno di noi, e la cui importanza si riflette anche sulla ricerca di quella piena comunione, cui anelano il Patriarca ecumenico e il Vescovo di Roma, come pure tutti i cristiani".

Il dialogo con gli ortodossi (e anche con gli anglicani) rimane bloccato sulla funzione del ministero del papa (pietrino).

Soffermandosi poi sul vangelo di oggi (Matteo 16, 13-19),  Benedetto XVI mette in luce il dramma di Pietro (e del papato) che "riconosce l'identità di Gesù", non "«dalla carne e dal sangue», cioè dalle sue capacità umane, ma da una particolare rivelazione di Dio Padre". Allo stesso tempo, "subito dopo, quando Gesù preannuncia la sua passione, morte e risurrezione, Simon Pietro reagisce proprio a partire da «carne e sangue»: egli «si mise a rimproverare il Signore: ... questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù a sua volta replicò: «Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo...» (v. 23)".

"Appare qui evidente - egli spiega -  la tensione che esiste tra il dono che proviene dal Signore e le capacità umane; e in questa scena tra Gesù e Simon Pietro vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzata proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall'alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall'altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l'apertura all'azione di Dio può trasformare".

Benedetto XVI spiega poi il "non prevalebunt" , il fatto che "le porte degli inferi non prevarranno". In passato l'interpretazione di questo passo è scivolata in retorica trionfalistica, tanto criticata da protestanti e ortodossi. Il papa spiega con umiltà: "la promessa che Gesù fa a Pietro è ancora più grande di quelle fatte agli antichi profeti: questi, infatti, erano minacciati solo dai nemici umani, mentre Pietro dovrà essere difeso dalle «porte degli inferi», dal potere distruttivo del male. Geremia riceve una promessa che riguarda lui come persona e il suo ministero profetico; Pietro viene rassicurato riguardo al futuro della Chiesa, della nuova comunità fondata da Gesù Cristo e che si estende a tutti i tempi, al di là dell'esistenza personale di Pietro stesso".

Viene poi la spiegazione del "potere delle chiavi", di "legare e sciogliere": "Le due immagini - quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere - esprimono pertanto significati simili e si rafforzano a vicenda. L'espressione «legare e sciogliere» fa parte del linguaggio rabbinico e allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall'altro al potere disciplinare, cioè alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica. Il parallelismo «sulla terra ... nei cieli» garantisce che le decisioni di Pietro nell'esercizio di questa sua funzione ecclesiale hanno valore anche davanti a Dio".

"Alla luce di questi parallelismi, appare chiaramente che l'autorità di sciogliere e di legare consiste nel potere di rimettere i peccati. E questa grazia, che toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del ministero della Chiesa. Essa non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell'amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo. I detti di Gesù sull'autorità di Pietro e degli Apostoli lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l'amore, l'amore che irradia la sua luce dal Calvario. Così possiamo anche comprendere perché, nel racconto evangelico, alla confessione di fede di Pietro fa seguito immediatamente il primo annuncio della passione: in effetti, Gesù con la sua morte ha vinto le potenze degli inferi, nel suo sangue ha riversato sul mondo un fiume immenso di misericordia, che irriga con le sue acque risanatrici l'umanità intera".

Volgendosi poi alla figura dell'apostolo Paolo, Benedetto XVI ricorda che "la tradizione iconografica raffigura san Paolo con la spada, e noi sappiamo che questa rappresenta lo strumento con cui egli fu ucciso. Leggendo, però, gli scritti dell'Apostolo delle genti, scopriamo che l'immagine della spada si riferisce a tutta la sua missione di evangelizzatore. Egli, ad esempio, sentendo avvicinarsi la morte, scrive a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia» (2 Tm 4,7). Non certo la battaglia di un condottiero, ma quella di un annunciatore della Parola di Dio, fedele a Cristo e alla sua Chiesa, a cui ha dato tutto se stesso. E proprio per questo il Signore gli ha donato la corona di gloria e lo ha posto, insieme con Pietro, quale colonna nell'edificio spirituale della Chiesa".

Il papa ha concluso la sua omelia con un appello alla comunione verso gli arcivescovi metropoliti, ma anche alla delegazione ortodossa: "Cari Metropoliti: il Pallio che vi ho conferito vi ricorderà sempre che siete stati costituiti nel e per il grande mistero di comunione che è la Chiesa, edificio spirituale costruito su Cristo pietra angolare e, nella sua dimensione terrena e storica, sulla roccia di Pietro. Animati da questa certezza, sentiamoci tutti insieme cooperatori della verità, la quale - sappiamo - è una e «sinfonica», e richiede da ciascuno di noi e dalle nostre comunità l'impegno costante della conversione all'unico Signore nella grazia dell'unico Spirito. Ci guidi e ci accompagni sempre nel cammino della fede e della carità la Santa Madre di Dio. Regina degli Apostoli, prega per noi!".

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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