Siamo nati in un fazzoletto di terra baciato dalla fortuna e nella grazia di Dio.
Avevamo, per l’appunto. Ciò non vuol dire che non abbiamo più niente,
ma che abbiamo perso molto e continuiamo a vederci sottrarre
progressivamente, giorno dopo giorno, quel poco che è rimasto.
Alcuni protagonisti attivi del declino hanno propagandato questa involuzione
come necessaria, ineludibile, ineluttabile. “I tempi sono cambiati”
- ci hanno detto - “nel mercato globale si gioca con regole diverse” -
hanno aggiunto e ci hanno ripetuto fino allo sfinimento che non vi era
alternativa alla distruzione di tutto e che anzi dovevamo accogliere
con giubilo questi cambiamenti, adattandoci alla precarietà, all’emigrazione
forzata, alle disuguaglianze crescenti, all’ingiustizia sociale. Avremmo
dovuto qualificare con termini positivi questi abomini. La precarietà
dovevamo chiamarla “libertà di cambiare lavoro più e più volte”,
l’emigrazione forzata doveva essere vista come l’occasione di “essere
finalmente cittadini del mondo”, le disuguaglianze crescenti e l’ingiustizia
sociale erano il naturale risultato dei “meccanismi meritocratici
che premiano i migliori”.
Per un certo periodo di tempo ci abbiamo anche creduto a queste idiozie
e alcuni hanno persino provato ad adattarsi. Qualcuno ha fiutato
prima degli altri la fregatura, altri dopo, altri ancora sono tuttora immersi
in questo liquame di retorica neoliberale fino al collo. Poi qualcuno ha reagito,
ha provato a rileggere la storia, a ricostruire la verità e a proporre alternative.
Ha osservato che nulla è definitivo, niente è ineluttabile, che il futuro
è nelle nostre mani.
È questo il compito della generazione perduta: dimostrare che alla tirannia
del mercato globale è possibile rispondere con un modello di sviluppo
alternativo, che anteponga l’uomo al capitale. Abbiamo la fortuna
di essere nati in questo fazzoletto di terra baciato dalla fortuna
e nella grazia di Dio. Un paese in cui, tanti anni fa, italiani valorosi,
di incommensurabile valore umano, culturale e politico, hanno gettato
le basi per la realizzazione di un modello di sviluppo sostenibile,
di un capitalismo umano, mitigato, in cui lo Stato si prendeva cura
della crescita umana e professionale dei suoi cittadini, garantendo
pari dignità e diritti. Un modello di sviluppo economico che garantiva
al contempo un continua avanzamento dei diritti sociali e dunque la piena
realizzazione dell’uomo.
Quello che abbiamo fatto nei primi trent’anni del dopoguerra resta
un miracolo che non ha compiuto nessuno nella storia dell’umanità,
portando un paese uscito sconfitto da una guerra mondiale a costruire,
sulle sue macerie, un progetto di sviluppo socioeconomico che ci ha visto
scalare i vertici del mondo in termini di reddito, qualità delle produzioni
manifatturiere, influenza artistica e culturale, avanzamento
dei diritto sociali e della qualità dell’erogazione dei servizi pubblici.
Questo sarà il nostro compito: riprendere quel percorso di crescita
e di sviluppo, che si è arrestato negli anni ’80 e che ha ceduto
il passo all’involuzione che abbiamo sperimentato negli ultimi
venticinque tristi anni.
Non è una speranza questa. Non è un auspicio, una preghiera.
È una constatazione e un’esortazione ad agire. È il nostro dovere,
la missione della nostra vita. Lo dobbiamo ai nostri padri, a noi stessi,
ai nostri figli e alla nostra Patria.
Ci libereremo.
cit. G. Baldini
Inviato da: Fanny_Wilmot
il 25/09/2024 alle 17:11
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il 19/08/2024 alle 21:01
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il 15/06/2024 alle 18:18
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