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Un negozio

Post n°2494 pubblicato il 18 Gennaio 2018 da namy0000
 

Reza, “afgano. Oggi ha 24 anni, un negozio, una sartoria, ha assunto due persone, a Roma, nel quartiere Tiburtino. ‹‹Sono un piccolo imprenditore››, racconta. Un’impresa che si è guadagnato fin da piccolo, da quando, nel 2002, a 9 anni ha lasciato Ghzni per fuggire alle persecuzioni dei talebani. ‹‹Mia madre ha voluto salvare me e le mie sorelle, dopo la morte di mio padre, facendoci allontanare dal Paese››. Un Paese dove oggi non c’è più nessuno della sua famiglia. La mamma è in Pakistan con il fratello più piccolo, le due sorelle ad Amsterdam e, ‹‹per fortuna, stanno tutti bene››. Un “bambino Ulisse”, come sono stati soprannominati questi minori non accompagnati che arrivano in Italia dopo lunghi viaggi e sofferenze. Sette anni ci sono voluti a Reza, etnia ahzara, per sbarcare nel nostro Paese. Dall’Afghanistan al Pakistan e poi in Iran per 4 anni. ‹‹Ho imparato da piccolo a cucire, e questa è stata la mia salvezza››, racconta pensando al passato. A quei 6 mesi in carcere in Iran e poi alla fuga verso la Turchia. ‹‹Con altri bambini abbiamo tentato più volte di raggiungere la Grecia, ma i turchi ci riprendevano››. Il carcere anche lì e poi, finalmente, la possibilità di arrivare a Patrasso, in Grecia, e infine in Italia, nascosto sopra le ruote di un camion. ‹‹Un tempo lunghissimo, quasi 2 giorni per arrivare, finalmente, in questo Paese. Non saprei dire dov’ero. So solo che, sceso dal camion, ho chiesto dov’era la stazione ferroviaria più vicina e ho preso il treno per Roma››. Nella capitale arriva nel 2009, e chiede subito aiuto alle forze dell’ordine. È un richiedente asilo, perseguitato in patria, viaggiatore bambino con un dono tra le mani. Continua a metterlo a frutto anche in Italia, per tutto il tempo in cui viene ospitato dall’associazione Virtus Italia, e poi, da maggiorenne, quando si mette in proprio e apre la “Sartoria Reza Hussiani”, orli in cinque minuti, camicie e vestiti su  misura. ‹‹Le cose vanno bene e ho cominciato ad assumere. Sì, ho avuto anche un dipendente pasthun. Non faccio differenze, mi interessa solo che lavorino bene. Oggi sono soddisfatto della mia vita››. In Afganistan non tornerebbe: ‹‹Perché dovrei? Non c’è più nessuno della mia famiglia. E, nei miei ricordi di bambino, quel Paese è la terra dove ho sperimentato dolore, fame, povertà, sofferenza, morte››. A tavola Reza siede accanto ad altri 22 ex minori accolti dall’associazione. ‹‹Ragazzi in gamba che si sono ben inseriti››…” (FC n. 2 del 14 genn. 2018). 

 
 
 
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