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Messaggi del 05/04/2024

Darya

2024, Avvenire 4 aprile

Chi è Darya, la rifugiata afghana che ha disegnato le #donneperlapace

Da Kabul al Pakistan, la 24enne racconta i suoi sogni e la sua battaglia per la libertà: «Insegno a dipingere a centinaia di ragazze online. Coi colori urliamo la nostra resistenza ai taleban»

Il mondo è finito anche per Darya, quando i taleban sono entrati a Kabul. Sono passati tre anni da quel giorno di piena estate, col caos per le strade e gli spari. «All’inizio non pensavamo di dover scappare» racconta dalla stanza piena di disegni appesi e di colori sparsi, in un punto dimenticato del Pakistan, dove vive da rifugiata insieme alla sua famiglia. È lei che ha disegnato la copertina di Avvenire dell’8 marzo e il logo della campagna #donneperlapace«Noi apparteniamo ai Kizillbash, una minoranza turco sciita. Abbiamo iniziato subito a nasconderci, e a praticare la nostra religione segretamente. Ma presto il problema è diventata la sopravvivenza: non c’era più lavoro. Oltre a me, che non potevo più studiare, è toccato anche a mio padre e ai miei fratelli restare a casa». A ottobre 2022 la scelta di lasciare l’Afghanistan, in cerca di futuro. Una parola difficile, per Darya, da sempre. «Nel mio Paese non mi è stata data mai la possibilità di studiare arte o disegno, nemmeno prima che i taleban tornassero al potere» racconta. Così da piccola lei dipingeva di nascosto: «Mi piaceva creare cose, adoravo i colori, toccarli, mescolarli fra loro. Mi sentivo libera».

Ed è alla scuola della libertà, anche grafica («non ho mai conosciuto le regole del disegno, non sono mai entrata in un museo per ammirare i quadri dei grandi artisti del passato dal vivo»), che Darya è cresciuta. Col sogno di trasmetterla alle ragazze come lei, imprigionate nelle loro case in Afghanistan dal regime che le ha progressivamente cancellate dalla vita sociale: «Io mi sono salvata dipingendo. I primi tempi, quando non potevo più uscire, o incontrare le mie amiche e persino il mio fidanzato, l’unico modo che avevo per non piangere, per non soffocare, era disegnare». Donne felici nei campi pieni di colori, con in mano aquiloni, fra i capelli libri, navi, mappe di Paesi lontani. «Quando sono arrivata in Pakistan ho subito pensato alla necessità di condividere questo mio desiderio di esprimermi, che per me aveva significato la salvezza. Così ho pensato a una scuola online, un ciclo di lezioni incentrate sull’arte come terapia e come strumento di parola, di resistenza, di lotta anche».

L’annuncio viaggia sui social network e nello spazio di pochi giorni all’account di Darya arrivano oltre 400 richieste: «Studentesse in ogni parte dell’Afghanistan, ma anche rifugiate in Pakistan come me, mi chiedevano di poter partecipare e collegarsi». La scuola di Darya ha mosso i suoi primi passi con una prima classe da venti ragazze, poi un’altra e un’altra ancora, «quelle a cui tramite alcuni amici e il mio fidanzato rimasto in Afghanistan riusciamo a far arrivare fogli di carta, pastelli e tempere». Le ore di lezione sono un momento di sfogo, spesso di commozione e di pianto: le allieve di Darya dipingono i “vasi delle emozioni” («di volta in volta li riempiamo di rosso rabbia, di blu tristezza, di nero lutto»), condividono schizzi e vignette. Ed è a loro, alle ragazze afghane dimenticate da tutti, che Darya ha deciso con Avvenire di destinare il compenso per le sue illustrazioni: «Quando mi è stato chiesto di disegnare le donne di pace le ho immaginate subito piene di sogni: per questo ho disegnato la loro chioma fluente, costellata di colombe e rose rosse, il simbolo della gentilezza e della perfezione per eccellenza. Per il logo invece ho scelto l’azzurro, che è il colore del mare, dell’infinito e della libertà a cui noi afghane non vogliamo rinunciare».

Darya parteciperà, insieme a illustratori del calibro di Zerocalcare e Vauro, anche alla campagna #iosonoarenadipace, in vista dell’incontro di Verona del 18 maggio col Papa. Quando le è stato chiesto, nei giorni scorsi, così come quando ha visto il suo disegno sulla copertina di Avvenire, si è sciolta in lacrime: «Quei sogni che ho dipinto, che sono anche i miei sogni, si sono realizzati. Significa che dobbiamo continuare a sognare, ancora più in grande».

 
 
 

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