Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Agosto 2017

Corso di educazione all'affettività

Post n°2327 pubblicato il 30 Agosto 2017 da namy0000
 

“Corso di educazione all’affettività e alla sessualità, tenuto da Valentina Pasqualetto e Matea Rocca nell’ambito dell’Istituto Iner di Verona, presieduto da Giancarla Stevanella in collaborazione con Pietro Boffi..

Il vero guadagno del corso è stato l’aspetto interiore: ‹‹Ci è stato fatto presente che non siamo solo un corpo ma un’anima di cui tenere conto e sentirselo dire da un adulto è stato importante››.

I ragazzi, soprattutto se maschi e dell’età delle medie, ignorano la fisiologia del corpo, ma tutti, anche alle superiori, credono nell’amore per sempre e hanno un estremo bisogno di sentirsi speciali.

Eppure per tutti loro fondamentale è stato sentirsi dire che sono speciali e importanti come “diamanti”. ‹‹Ci sentiamo come gli altri invece ognuno di noi è speciale››, commenta Asia, 14 anni. ‹‹È stata una bella lezione di autostima soprattutto in un mondo come quello in cui viviamo››. ‹‹Avevo bisogno di sentirmi speciale. Spesso ci sottovalutiamo e non capiamo quanto siamo importanti prima di tutto per noi stessi››, dice Matilde, 13 anni.

Rispetto alle conoscenze, Fabio, 14 anni, ha capito di non conoscere perfettamente il suo corpo ed è stato utile comprendere ‹‹che ognuno si sviluppa in tempi diversi e non bisogna vergognarsi, perché prima o poi tutti arrivano allo stesso punto››. E ha scoperto che ‹‹i cambiamenti del corpo determinano anche il modo di pensare e introducono a un mondo più serio››. Leo, 14 anni, dal canto suo, è rimasto colpito da come i maschi siano ‹‹più oggettivi, mentre le femmine pensano più ai sentimenti›› e per la sua vita personale ha imparato come approcciarsi all’altro sesso ‹‹e non aver paura di essere rifiutato. Perché ho già provato a innamorarmi e a non sapere come esprimerlo››. Dalila, 14 anni, conosceva il suo corpo ma non quello dei maschi. ‹‹Ora ho capito anche perché la pensano in maniera diversa››. Per Giacomo, 13 anni, è stato difficile “digerire” i cambiamenti, per lui ma anche per i suoi genitori. ‹‹Noi ci arrabbiamo per delle libertà che non ci lasciano e intanto loro stanno cercando di abituarsi››.

Anche se  genitori, e gli adulti più in generale, restano tra le persone di riferimento per confrontarsi su amore e sessualità. Dalila parla con la madre o con la sua miglior amica; Matilde con le amiche, ma anche con i genitori: ‹‹In generale con le persone di cui mi fido››. Asia ne discute con la sua miglior amica e la sorella di tre anni più grande, mentre con i genitori fa più fatica: ‹‹Il coetaneo ti capisce prima e meglio››. Fabio parla con la sorella, ‹‹anche se dei miei mi fido perché hanno già fatto questa esperienza››. Giacomo con gli amici maschi ‹‹anche se crescendo la differenza sbiadisce››. Matilde con le femmine parla di sentimenti e sessualità, con i maschi di scuola e hobby, ‹‹le cose profonde tra noi, quelle light con loro››. Leo, ‹‹ai maschi dei maschi, e alle femmine delle femmine››.

 

Tutti guardano con diffidenza a Internet per informarsi, ‹‹perché non è attendibile, non dice verità ma pareri, e lo fa con una certa incoscienza››” (Chiara Pelizzoni, FC n. 35 del 27 agosto 2017). 

 
 
 

Il difficile rapporto

Post n°2326 pubblicato il 29 Agosto 2017 da namy0000
 

“Il difficile rapporto tra giovani e fede.

Alcuni neocresimati dicono: ‹‹Finalmente è finita, ci vediamo al matrimonio››.

Che fede è mai questa? La vera fede è pane per i giovani di oggi, superficiali e fragili? Alcuni partecipano alla messa domenicale con i genitori come una prassi protrattasi nel tempo. La domenica: messa e pranzo con i genitori, grandi silenzi, telefonino, nessun dialogo.

Catechisti e parroci, quando avete preparato i cresimandi avete letto loro il Vangelo, avete parlato di fede? La fede si conquista con lo studio, con i dubbi chiariti, parlando con Cristo a tu per tu. La fede tramandata e accettata nell’infanzia poi va coltivata. Senza fede si è fragili. Fede è fiducia e va stabilito un rapporto con Dio con la guida continua di un pastore. Gli incontri con i Papa mi sembrano solo incontri di fan con il loro divo – Elena”.

Un buon numero di giovani, dopo la Cresima, non va nemmeno più a messa. E il dialogo sembra assente, perché tutti si isolano con il telefonino in mano e la cuffietta nelle orecchie. Tu fai bene, cara Elena, a sottolineare l’importanza di una fede autentica, da coltivare giorno dopo giorno e non tirare fuori solo negli incontri col Papa. Eppure proprio in questi incontri si vede come il Papa riesca a rompere il muro della chiusura. Penso che dovremmo essere noi adulti a chiederci perché non riusciamo a parlare con i millennials, perché non siamo riusciti a trasmettere loro quella fede autentica che vorremmo che loro facessero propria. Sono convinto che la crisi è prima di tutto nostra, di noi adulti, della nostra fede superficiale, a volte troppo formale, che sembra non avere a che fare con le scelte della vita quotidiana, con l’amore verso tutti che il Vangelo ci insegna” (don Antonio, FC n. 35 del 27 agosto 2017).

 
 
 

Occhi chiusi

Post n°2325 pubblicato il 29 Agosto 2017 da namy0000
 

Alaa, il violinista in fuga dalla Siria a Milano, (Avvenire, Ilaria Sesana, 21 febbraio 2016).

Occhi chiusi, concentrato sulle note del suo violino. Mentre suona, il volto di Alaa mostra più della sua vera età. Solo quando stacca l’archetto dalle corde, il suo viso si apre in un sorriso. Rivelando i suoi trent’anni e le sue speranze per il futuro. Ed è proprio Hope (Speranza) il titolo della traccia che chiude Sham, l’album di debutto del violinista siriano Alaa Arsheed. «Spero che si arrivi finalmente alla pace in Siria, voglio un futuro senza guerra e senza morte. Vorrei avere al più presto i documenti, per far venire in Italia i miei genitori, che sono rimasti sotto le bombe», racconta il giovane siriano, uno dei pochi ad aver presentato domanda d’asilo nel nostro Paese, a Milano. E che proprio nella città lombarda sogna di costruire il proprio futuro, sempre all’insegna della musica e della cultura. «Ho iniziato a suonare il violino a otto anni» spiega Alaa, nato e cresciuto in una famiglia di artisti. A Suwayda, città nel sud della Siria, il nome degli Arsheed è legato a filo doppio a quello del caffè-galleria 'Alpha' che la famiglia aveva aperto nel 2006. «Abbiamo allestito più di 140 eventi. Alpha era il primo spazio della città non legato al governo, dedicato solo all’arte», un luogo dove la gente di Suwayda poteva respirare un soffio di libertà, malgrado l’opprimente cappa del regime di Assad. Un sogno che, purtroppo, è durato solo cinque anni. Nel febbraio 2011 scoppia la breve primavera siriana. Alaa e tanti altri giovani come lui, colti e liberali, guardano quello che succede in Egitto e in Tunisia e accolgono i primi fermenti rivoluzionari con la speranza di poter costruire un Paese migliore. Il sogno, però, finisce troppo presto e in maniera tragica. Alaa decide di lasciare la Siria: la rivoluzione, appena sbocciata, lo ha già deluso. «Ci credevo. Ma adesso cosa rimane? Assad era un male per la Siria e ora invece abbiamo lui e il Daesh». Così Alaa fugge a Beirut, dove inizia a costruirsi una nuova vita, sempre accompagnato dall’inseparabile violino «comprato da un artigiano ucraino a Odessa». Suona nei teatri, ai matrimoni, nei locali. «Ho anche iniziato a studiare come tecnico del suono per lavorare nel cinema». Vive nel Paese dei Cedri per quasi quattro anni assieme al fratello Ayan e alle due sorelle Maruka e Kinda, tutti musicisti come lui. Poi, l’incontro con l’attore Alessandro Gassmann cambia la sua vita: Alaa è uno dei protagonisti del documentario 'Torn' che racconta le storie degli artisti siriani in esilio. «Poco dopo mi ha contattato la fondazione 'Fabrica' di Treviso, che mi ha offerto una borsa di studio e la possibilità di incidere il mio primo album», racconta felice il ragazzo. Così è nato 'Sham', che già nel titolo, riproponendo l’antico nome di Damasco, racchiude l’amore di Alaa per il suo Paese. «Ora il mio sogno è quello di aprire un’altra galleria d’arte come quella creata da mio padre – spiega Alaa –. Un luogo dove le persone possano parlare attraverso l’arte». È convinto che l’Italia e Milano siano il posto giusto per realizzare questo progetto.

 
 
 

ll dono della speranza

Post n°2324 pubblicato il 27 Agosto 2017 da namy0000
 

“Forse non c’è dono più grande del dono della speranza. È un bene primario. Possiamo essere sazi di merci e di ogni bene di comfort, ma morire disperati. Sempre, ma soprattutto quando attraversiamo i deserti, la terra promessa appare irraggiungibile, l’esilio infinito. Chi ci dona speranza vera e non vana, prima guarda negli occhi la nostra disperazione, l’attraversa, la fa sua. Lotta contro le false speranze, subisce tutte le conseguenze e le ferite della lotta, resiste a quella dimensione di pietasumana che porta tanti a cedere alla tentazione di offrire false consolazioni - a sé stessi e agli altri. I profeti, dal centro della notte, ci annunciano un’alba vera, che ancora non vediamo ma che possiamo intravvedere con i loro occhi. Come quando tutto attorno dice da molto tempo soltanto morte e vanitas, e un amico, un giorno, ci parla del paradiso. E, questa volta, ci sembra finalmente tutto vero, oltre i paradisi artificiali che ci avevano ingannati nell’età dell’illusione. Ed è, finalmente, tutto grazia, tutto charis, tutto gratuità: «Curerò la tua ferita e ti guarirò dalle tue piaghe» (Geremia 30,17).
Siamo arrivati ai capitoli conosciuti come "il libro della consolazione" di Geremia, un dittico che contiene versi meravigliosi, tra i più grandi di Geremia e della Bibbia. Ma per capirli dobbiamo avvicinarli con negli occhi e nell’anima tutta la prima parte del suo libro, le sue delusioni, le sue parole vere e durissime di sventura. Rivedere Geremia tradito dai suoi famigliari di Anatot, poi con il giogo al collo, con la brocca in mano, incatenato nei lacci del carcere del tempio. E soltanto dopo questi quarant’anni di deserto, arrivare sulle sponde del Giordano. Senza lo sfondo dei capitoli che li precedono, questi canti di speranza e di consolazione perdono tutta la loro forza, non ci commuovono, non ci penetrano le carni, non ci fanno esultare, non diventano una nuova preghiera tutta diversa: «Da lontano mi è apparso il Signore: Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine d’Israele. Di nuovo prenderai i tuoi tamburelli e avanzerai danzando tra gente in festa» (31,3-5).
L’annuncio di questa nuova gioia non nasce dall’oblio dei tempi del dolore e dell’angoscia. Quei giorni sono sempre presenti e vivissimi, perché è la verità del dolore di ieri che rende vera e non vana la speranza di oggi: «Una voce si ode a Rama, un lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata, perché non sono più» (31,15). Il pianto inconsolabile di Rachele, moglie amata di Giacobbe-Israele, rende più vera e bella la consolazione di Geremia, perché l’avvicina alla vita vera di tutti: «C’è una speranza per la tua discendenza: i tuoi figli ritorneranno nella loro terra» (31, 16-17).
Il pianto di Rachele e la consolazione di Geremia sono l’uno accanto all’altra dentro lo stesso canto. Perché l’annuncio dell’arrivo o ritorno di un figlio non cancella il dolore per il figlio perduto, e i dolori veri e immensi non sono i nemici della gioia, ma possono diventare i suoi amici più intimi. La consolazione di Geremia è più vera proprio perché non dimentica il pianto di Rachele per figli persi per sempre. Lo guarda, lo ama, lo assume, e lo fa fiorire in speranza. E invece troppe volte, abbagliati dalla luce pasquale, non riusciamo più a vedere i tanti che continuano a essere crocifissi, non vediamo più Rachele che piange inconsolata. E crediamo che i poveri siano finiti perché, semplicemente, non li vediamo più, ben riparati nel confort delle nostre case e nei templi di chi dimenticando i crocifissi dimentica anche i risorti, o li confonde con i fantasmi spettacolari generati dai falsi profeti.
«Pianta dei cippi, metti paletti indicatori, ricorda bene il sentiero, la via che hai percorso. Ritorna, vergine d’Israele, ritorna alle tue città» (31,21). La via del ritorno a casa è, quasi sempre, la stessa via che ci ha condotto in esilio. La strada della schiavitù e quella della libertà sono la stessa strada: è soltanto la direzione a essere opposta. Basta ribaltarne il senso, darle un significato opposto. Troppa gente non torna più a casa, e si smarrisce in sentieri tortuosi alternativi, perché il ricordo del dolore del viaggio verso l’esilio impedisce di capire che la nuova libertà si trova alla fine del sentiero della schiavitù, percorso in senso opposto. Si esce da una grande crisi semplicemente cambiando il senso della stessa strada che l’ha generata. Si torna alla fede perduta facendo lo stesso sentiero che abbiamo fatto nel perderla, ma nel senso opposto. Si torna a casa rifacendo la strada che ci ha portato via, e poi tornando scoprire che quei segnali che ci avevano guidato nella fuga avevano sul retro altre lettere e altri numeri, ma non potevamo vederli fin quando non siamo tornati facendo a ritroso la strada: «Fino a quando andrai vagando, figlia ribelle?» (31,22).
Questo verso si chiude con conclusione inattesa e meravigliosa, che continua a creare problemi agli esegeti: «Il Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna circonderà l’uomo!» (31,22). Frase misteriosa e bellissima, come molte cose che nella vita sono bellissime proprio perché incomplete, aperte, ambivalenti, vive. Da questa apertura ambigua possiamo allora intravvedere Geremia che, sotto una speciale ispirazione creativa, torna con la mente ai giorni della Creazione, al primo soffio dello spirito, alla luce, al buio, all’Adam, alla donna, alla loro disobbedienza che generò quella parola tremenda di Elohim: «Alla donna disse: "Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà"» (Genesi 3,16). I profeti hanno sofferto e continuano a soffrire quando leggono questa frase, perché l’hanno vista diventare famiglie, politiche, imprese, religioni; l’hanno visto ieri, continuiamo a vederlo oggi ancora troppe volte. Forse, Geremia nel donarci la sua speranza al termine della notte, ha voluto includere anche una promessa di un rapporto nuovo e diverso tra l’uomo e donna, che lui non poteva vedere, e che neppure noi riusciamo ancora a vedere pienamente. Ogni speranza umana piena è anche speranza di reciprocità e di comunione, di incroci di sguardi alla pari, occhi diversi e uguali.
Ci eravamo appena acclimatati in questa speranza nuova e bellissima, e mentre il capitolo sta volgendo al tramonto ci dona i suoi colori più belli. Al termine della visione della promessa del ritorno a casa, Geremia tocca un suo apice poetico-profetico, e la promessa della salvezza fiorisce nei giustamente famosi versi della Nuova Alleanza. Leggiamola come ce l’ha donata Geremia, senza perderci neanche una virgola, lasciandoci ferire qui e ora: «Ecco, verranno giorni nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (31,31-33).
Ogni speranza grande e vera di liberazione è anche promessa di una nuova alleanza. Quando il primo patto è stato tradito, ferito, profanato, la promessa di un ritorno a casa deve necessariamente diventare promessa di una nuova alleanza. Sono i momenti, decisivi, quando il ricordo e il rinnovo del primo patto non basta più: c’è bisogno di sognare un futuro diverso, insieme. Quando siamo usciti di casa e non siamo tornati più, quando abbiamo visto l’altro che lo faceva, per sperare in un futuro insieme non è sufficiente ricordare i giorni del primo amore, aprire l’album del matrimonio. C’è semplicemente bisogno di vederci insieme domani su un altro altare, mentre ci diciamo altre parole, con nuovi testimoni, con un nuovo amore. O quando il primo patto che ci ha portato in questa comunità è diventato muto, le prime preghiere un gioco infantile, la prima storia d’amore un inganno, non ci si salva senza la promessa di una nuova alleanza, se un profeta un giorno non ci annuncia un altro patto, altre preghiere, un’altra vita. La vita non giunge a piena maturazione, se dalla prima non si giunge a una nuova alleanza, fosse anche quella con l’angelo della morte che ce l’annuncia mentre ci abbraccia. Quando si entra nel tempo della nuova alleanza, ciò che era esterno diventa interno, la Legge si trasforma in carne, si inizia ad obbedire veramente alla parte migliore di noi.
Ma Geremia ci dice anche qualcosa di ancora più specifico. Questa fase nuova e decisiva delle persone e delle comunità non è una conquista individuale e/o solitaria. È alleanza, patto, comunione. Nella nuova alleanza ci possiamo entrare solo insieme, anche se, una volta dentro, è la libertà e l’amore di ciascuno che raggiungono una fase nuovissima. I frutti sono personali, ma la conquista è collettiva. Ciascuno si ritrova dentro quella legge che ieri aveva conosciuto fuori, ma non siamo noi gli scrittori di questa nuova legge. Ci ritroviamo scritti da una mano che non è la nostra. E nascono la più grande reciprocità e la più grande libertà possibili sotto il sole. Ma mentre eravamo in esilio non potevamo saperlo. Abbiamo dovuto imboccare la strada del ritorno, riconoscerla come la stessa che ci aveva condotto in schiavitù, continuare a camminare. E, nel tramonto, incontrare un profeta che ci ha annunciato la nuova alleanza. Noi gli abbiamo creduto, e abbiamo continuato a camminare. Siamo diventati nuova creazione, la speranza vera del futuro ha salvato il dolore vero del passato. E poi abbiamo capito, o almeno intuito, che quella nuova alleanza non era l’ultima. Ancora una volta ci siamo sentiti vivi, e abbiamo ricominciato a camminare”. (
Luigino Bruni, Avvenire, domenica 27 agosto 2017)
l.bruni@lumsa.it

 
 
 

Genesia

Post n°2323 pubblicato il 27 Agosto 2017 da namy0000
 

“Genesia. Una donna senza età, che ha portato avanti i suoi anni con serenità e coraggio e allegria, affrontando le difficoltà della vita con il sorriso. Venne a casa mia quando i miei primi due figli erano molto piccoli e io pretendevo che indossasse la divisa blu e il grembiule bianco. Li metteva per farmi piacere, ma preferiva i lavori più semplici, come pulire il terrazzo, mettere in ordine il giardino e cantare con i bambini. Poi le venne offerto un lavoro di grande responsabilità e soprattutto d'amore: occuparsi della vita di un ragazzo che non sapeva esprimersi e aveva bisogno notte e giorno della presenza di qualcuno che si occupasse di lui. Genesia divenne il suo angelo custode che lo accompagnò dall'infanzia alla maturità con attenzione, con affetto, con infinita pazienza. Questa donna semplice si è sempre fatta amare perché molto ha dato di sé e anche ora che la sua salute sembra che lentamente l'abbandoni ancora pensa agli altri e mi scrive: «Vi porto sempre nel mio cuore, ma soprattutto nelle preghiere. Vi voglio un bene dell'anima». Saper amare nella gioia, nella sofferenza, nella pietà ecco la lezione di questa persona di modesta cultura, ma di grande scuola di umanità. Quante volte dimentichiamo di guardarci attorno, tra la gente meno conosciuta dove vivono in silenzio i tesori più grandi della vita. Per loro non ci sono alti titoli di giornali, né trasmissioni televisive ma appena un grazie talvolta a voce bassa da chi viene aiutato. È una gratitudine che sale veloce tra le nuvole del cielo dove, ci raccontava la nonna, qualcuno scriveva sul libro d'argento le cose buone da ricordare. Una favola? Abbiamo bisogno delle favole anche oggi quando le crude realtà della cattiveria umana ci vengono dispensate ogni giorno con tutti i particolari. Impariamo a guardare il mondo con gli occhiali della misericordia e della pace, con la luce di una gioia anche creata da noi stessi forse per non piangere. Sfogliamo l'album del tempo alla ricerca di quel bene che è di tutti ed esiste, altrimenti non ci sarebbe vita sulla terra. Cerchiamo un appoggio quando siamo soli, basta saper chiedere, non temere di essere giudicati, non pretendere da noi stessi una forza che non abbiamo. Il silenzio sul proprio dolore è difficilmente positivo, mentre condividere è già vincere. Grazie anche a te Genesia per avermi fatto vedere come il proprio male è sopportabile se prima hai ascoltato quello degli altri”. (Maria Romana De Gasperi, Avvenire, sabato 26 agosto 2017)

 
 
 

AREA PERSONALE

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Agosto 2017 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
  1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29 30 31      
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

ULTIME VISITE AL BLOG

namy0000cassetta2lcacremaprefazione09annamatrigianonoctis_imagoacer.250karen_71m12ps12Penna_Magicanonnoinpensione0donmarco.baroncinilisa.dagli_occhi_bluoranginellaninettodgl19
 

ULTIMI COMMENTI

Grazie per aver condiviso questa esperienza così intensa e...
Inviato da: Penna_Magica
il 08/02/2024 alle 11:19
 
RIP
Inviato da: cassetta2
il 27/12/2023 alle 17:41
 
Siete pronti ad ascoltare il 26 settembre le dichiarazioni...
Inviato da: cassetta2
il 11/09/2022 alle 12:06
 
C'è chi per stare bene ha bisogno che stiano bene...
Inviato da: cassetta2
il 31/08/2022 alle 18:17
 
Ottimo articolo da leggere sul divano sorseggiando gin...
Inviato da: cassetta2
il 09/05/2022 alle 07:28
 
 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963