Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Luglio 2017

Una mostra a Caserta

Post n°2294 pubblicato il 31 Luglio 2017 da namy0000
 

Una mostra a Caserta: da terra dei fuochi a terra dei fiori. Così sbocciano colori e futuro. Bellezza e armonia fanno vincere la vita, rafforzando la legalità. L’originale “contro narrazione” della zona d’Italia più inquinata dai rifiuti e avvelenata dalla criminalità. Presto si replica a Verona.

Gerbere e crisantemi. Bellissimi, freschi, colorati. Cuciti a mano o appuntati con la colla, uno per uno, su mantelli e drappi. La vita e la morte che si intrecciano per restituire l’uomo alla natura. E la natura a sé stessa. È di grande effetto la performance degli artisti Sasha Vinci e Maria Grazia Gallesi che portano la loro grazia in ambienti e luoghi lasciati all’incuria dalla distrazione degli uomini o violentati da abusi e illegalità. Interamente ricoperti da questa sorta di burqa realizzati a mano e tempestati di fiori impersonano, anzi diventano essi stessi, la fragilità della vita e l’eterno rinascere. ‹‹Armati di petali››, come scrive Daniele Capra, curatore della mostra che si è tenuta nella Reggia di Caserta e che si replicherà a Verona dopo l’estate, i due artisti sono capaci di rendere omaggio all’ambiente sfigurato per cominciare a sanarlo. ‹‹Per questo››, spiega il gallerista campano Gerardo Giurin, ‹‹li ho cercati e li ho portati qui, nella Reggia di Caserta, a due passi dalla Terra dei fuochi, in una mostra che abbiamo intitolato, proprio per contrasto con i luoghi inquinati e mortali, Terra dei fiori››. Un progetto sociale, oltre che estetico ed artistico, ‹‹come è la linea della mia galleria. Questi fiori così intrecciati ci dicono che dobbiamo pentirci perché dobbiamo ricordarci che dobbiamo “vivere”, non che dobbiamo “morire”. Si pensa sempre al Paradiso come qualcosa che dovrà venire, invece gli artisti immaginano un Paradiso che è qui e quindi va difeso oggi, giorno dopo giorno. Il messaggio è quello di un corpo che, quando muore, va a nutrire la terra e dunque fiorisce. Un ciclo che non bisogna interrompere. La vera morte è quando la terra, il pianeta, non è preservata. E qui, nel Casertano, lo stiamo vedendo con i nostri occhi. Abbiamo perso l’immortalità, perché questa non è più una terra che sboccia. Che dà continuamente vita. non siamo più la terra Felix, come gli antichi chiamavano questi luoghi per indicarne la fertilità››….. Ci sono i nomi delle aziende “pulite” che hanno sponsorizzato l’evento. ‹‹Volevo che ci fosse una coerenza con il messaggio della mostra››, sottolinea il gallerista. ‹‹Per questo, più che cercare semplici finanziamenti, ho voluto che a sponsorizzare questo evento ci fossero imprese e privati al di sopra di ogni sospetto, che non avessero ombre di collusioni. Soprattutto che fossero vicini al messaggio che vogliamo lanciare sul rispetto della natura e dell'ambiente››. Tra questi Olevo.it, un’azienda che si occupa di tutela e diffusione dell’olio extravergine di qualità. A Federica Lorenzetti si illuminano gli occhi, mentre parla della sua azienda con grazia e caparbietà. ‹‹Negli ulivi c’è una sapienza antica, sono piante secolari capaci di sopravvivere in condizioni difficili, che hanno una memoria superiore a quella di tante generazioni. Da loro dovremmo imparare per salvaguardare la natura››, racconta, mentre mostra le confezioni prodotte apposta per la mostra. ‹‹C’è chi ha offerto la cena per gli artisti, chi l’alloggio››, continua Giurin, ‹‹con l’idea che ciascuno concorre con la sua competenza e la sua passione alla realizzazione di un grande progetto››. Quello di riproporre la vita e la bellezza. I grandi poliedri ricoperti di fiori, simbolo fin dall’antichità di equilibrio e conoscenza, disseminano la mostra. Conducono il visitatore attraverso le foto e i disegni, per ritrovare la memoria. Per riprendere a costruire – proprio da quei mattoni esposti in mostra che sono la base di ogni edificare – un futuro diverso da quello mortifero che sta aggredendo l’ambiente e la vita. ‹‹Il territorio campano››, conclude Daniele Capra, ‹‹può essere anche la terra dei fiori. L’arte, che si propone di cambiare il mondo, deve suggerire una percorribile pratica di salvezza. E, forse, anche dall’estremo abbandono possono germinare onestà, bellezza, dignità››. (Annachiara Valle, FC n. 31 del 30 luglio 2017).

 
 
 

L'uomo saggio sa

Post n°2293 pubblicato il 31 Luglio 2017 da namy0000
 

L’uomo saggio non mette fretta alla storia. Chi corre non fa storia, ma solleva solo la polvere.

L’uomo saggio non si colloca mai al centro del mondo, perché sa che può inciampare nel suo egoismo.

L’uomo saggio sa che l’infinito è più piccolo del suo bisogno di felicità.

L’uomo saggio sa che un’ora di onestà insegna più di 100 ore di filosofia, e vale più di una laurea in teologia.

L’uomo saggio volta il viso verso il sole perché le ombre cadano dietro di lui.

L’uomo saggio sa che i sogni sono come i palloncini in un mondo di spilli, ma lui fa l’ossigeno.

L’uomo saggio sa che non c’è una seconda edizione della sua vita e corregge le bozze vivendo la prima.

L’uomo saggio sa che anche una goccia può contenere tutta la storia dell’oceano.

L’uomo saggio sa che l’avventura ha i piedi scalzi, gli occhi a mandorla, le mani nere, il cuore grande… e va lontano.

 

L’uomo saggio sa che può costruire il futuro anche con le pietre che trova ogni giorno sul suo cammino.  (Antonio Mazzi, FC n. 31 del 30 luglio 2017). 

 
 
 

La grandezza dell'uomo

Post n°2292 pubblicato il 31 Luglio 2017 da namy0000
 

“La grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio – questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! – non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela – e vive il rapporto con Lui – come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla Terra – e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno –, l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato con lui. La Scrittura parla di “cieli nuovi e terra nuova” e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa. Dio sarà “tutto in tutti” (papa Francesco, 2013).

 
 
 

Cosa è successo

Post n°2291 pubblicato il 31 Luglio 2017 da namy0000
 

Cosa è successo a una comunità religiosa americana che pratica la poligamia da cent’anni. È diventata comunissima una malattia incurabile altrove molto rara, che causa disabilità fisiche e mentali

 

Negli Stati Uniti, in una zona al confine tra lo Utah e l’Arizona, vive una comunità di persone dove la poligamia è una pratica comune e dove, per questa ragione, è comune anche una rara malattia genetica, l’aciduria fumarica, anche detta deficit di fumarasi. La zona in questione si chiama Short Creek e comprende due cittadine: Colorado City, in Arizona, e Hildale, nello Utah. Ci abitano i membri di una setta religiosa, la Chiesa Fondamentalista di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, che fece parte della chiesa mormone più o meno fino al 1935: la divisione avvenne perché la comunità di Short Creek non volle rinunciare alla poligamia, o, per la precisione, alla poliginia, cioè alla pratica che prevede che gli uomini abbiano più di una moglie (la poligamia invece può prevedere anche più mariti per una sola donna). Anche se negli Stati Uniti solo il primo matrimonio avvenuto in queste famiglie è considerato valido, la comunità di Short Creek (che oggi conta circa 7.700 persone) continua tuttora a praticare la poligamia: in quasi tutte le famiglie ci sono almeno tre mogli, perché secondo la setta è il numero indispensabile per andare in paradiso.  Ma questa pratica ha avuto come conseguenza la diffusione di una malattia genetica che nel resto del mondo è rarissima. L’aciduria fumarica è una malattia rara incurabile, che causa disabilità fisiche e mentali e si può diagnosticare anche nei bambini molto piccoli. Colpisce il metabolismo e lo rende molto meno efficiente rispetto alle persone sane: l’enzima fumarasi, che in chi ha l’aciduria fumarica è scarso, ha la funzione di portare energia alle cellule del corpo e quindi è fondamentale tra le altre cose per la salute del cervello, che consuma il 20 per cento dell’energia fornita al corpo con l’alimentazione. Le persone che sono affette da questa malattia nella maggior parte dei casi non riescono a stare sedute e ovviamente a camminare, né a parlare. Hanno inoltre alcune caratteristiche fisiche particolari, come una fronte prominente, orecchie basse e arrotondate, occhi molto distanziati e mento piccolo.  Fino al 1990 gli scienziati avevano avuto modo di studiare solo tredici casi di persone affette da deficit di fumarasi: nella popolazione mondiale si stima che una persona su 400 milioni ce l’abbia. Nel 1990 il pediatra Theodore Tarby diagnosticò la malattia a un bambino della comunità di Short Creek e in poco tempo scoprì che altri otto bambini della comunità, con età compresa tra i venti mesi e i dodici anni, ce l’avevano. Tra i mormoni fondamentalisti di Colorado City e Hildale la probabilità di nascere con l’aciduria fumarica è più di un milione di volte maggiore rispetto alla media mondiale.  La ragione per cui la poligamia ha un ruolo in tutto questo c’entra con la genetica. L’aciduria fumarica è causata dalla presenza di un gene recessivo, che ha un effetto sulla persona che ce l’ha nel DNA solo se è presente due volte, cioè se gli è stato trasmesso da entrambi i genitori. In caso contrario, la persona è un portatore sano, che a sua volta può trasmetterlo ai suoi figli con una probabilità del 50 per cento. Dopo generazioni di poligamia e isolamento rispetto al resto del mondo in una piccola comunità, le probabilità di essere affetti da questa malattia sono cresciute molto per una banale questione aritmetica: un piccolo numero di uomini ha un “impatto genetico” molto più alto sulle generazioni successive…..  L’aciduria fumarica ha più probabilità di comparire nei membri della comunità di Short Creek perché la poligamia ha ridotto notevolmente la diversità genetica della popolazione, rendendo molto più probabile la trasmissione del gene responsabile della malattia e quindi i casi in cui una persona lo riceve sia dalla madre che dal padre. Il gene della malattia è stato rintracciato fino alla famiglia di Joseph Jessop: o lui o la sua prima moglie Martha Yeates dovevano esserne portatori sani. Insieme ebbero quattordici figli e una delle figlie femmine sposò l’altro fondatore di Short Creek, John Barlow. Si stima che a Short Creek migliaia di persone abbiano il gene dell’aciduria fumarica…” (Il Post, DOMENICA 30 LUGLIO 2017). 

 
 
 

Nel regno della Nubia

Post n°2290 pubblicato il 29 Luglio 2017 da namy0000
 

NEL REGNO DELLA NUBIA. Nel Sudan settentrionale lungo la valle del Nilo. Tra tante piramidi e necropoli che si possono visitare in solitudine, perché i turisti sono pochissimi.

La porta di legno della tomba si apre e il mondo sotterraneo ci trascina nella sua morsa oscura. Hatim al Nour, la mia guida, mi precede con una torcia illuminando con un tenue bagliore i gradini coperti di terra, consumati dai millenni…

Re Tenutamani – il sovrano del settimo secolo a.C. che un tempo risiedeva nella piramide K16 della necropoli di El Kuru – è scomparso ormai da tempo insieme al suo sarcofago. La sua presenza si avverte solo sulle pareti, negli eleganti affreschi che raffigurano i suoi trionfi…

 

Ammirare queste divinità egizie, ritratte con tanta chiarezza nella tomba di un uomo morto nel 653 a.C., è un privilegio ma, a scanso di equivoci, bisogna tenere presente il contesto. Sì, perché El Kuru non si trova in Egitto, ma in Sudan, 440 chilometri a nord della capitale Khartoum. Il regno dei faraoni si estendeva molto più a sud di quello che oggi è l’Egitto: seguiva il corso del Nilo oltre l’attuale diga di Assuan e il lago Nasser e s’inoltrava nel territorio che oggi fa parte del Sudan. Proprio qui, nel Sudan settentrionale, gli antichi egizi costruirono molti templi e piramidi. Ma, 42 secoli dopo, ci sono pochissimi turisti. La parola “Sudan” è il motivo principale dell’esiguo numero di visitatori di siti archeologici che, in un paese con un’immagine migliore, sarebbero invasi dai pullman e dalle code. Questi territori avevano probabilmente già una cattiva fama ai tempi dell’invasione di Mentuhotep II, nel ventunesimo secolo a.C., ma a connotarli sono stati soprattutto gli eventi degli ultimi duecento anni: l’annessione ottomana nel 1821, l’assoggettamento al dominio coloniale britannico nel 1882, l’indipendenza nel 1956 e la successiva guerra civile che nel 2011 ha portato alla nascita di uno stato separato, il Sud Sudan. Inoltre, negli anni Novanta, gli Stati Uniti avevano accusato il Sudan di essere uno sponsor di terrorismo e avevano bombardato Khartoum. La maledizione continua ancora oggi: i cittadini del Sudan sono tra i musulmani colpiti dal divieto d’ingresso negli Stati Uniti deciso dall’amministrazione Trump. Turisti? È già tanto che ce ne sia qualcuno…..” (Chris Leadbeater, The Sunday Telegraph, Regno Unito, Internazionale n. 1212 del 7 luglio 2017). 

 
 
 

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