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Messaggi del 23/09/2017

Ho capito che stavo sbagliando

Post n°2342 pubblicato il 23 Settembre 2017 da namy0000
 

Marawi. «Quando hanno decapitato un mio amico cristiano ho capito che stavo sbagliando».

Un 17enne terrorista pentito, arruolato a 11 anni da un imam, racconta come i fratelli Maute nelle Filippine sono riusciti a costruire un esercito jihadista con soldi, armi e Corano.

Solo quando Abdullah Maute, gridando “Allahu Akbar”, Dio è il più grande, ha alzato al cielo la testa appena mozzata di un ragazzo cristiano, Jalil ha capito che aveva sbagliato tutto ed era arrivato il momento di andarsene da quella folle mattanza. Il giovane di 17 anni aveva cominciato a combattere da soli sei giorni con il leader del gruppo terroristico islamico Maute, affiliato all’Isis, che il 23 maggio nelle Filippine aveva assaltato la città di Marawi, nella regione di Mindanao. La guerra che ne è nata ha già causato più di 800 morti e nonostante l’intervento dell’esercito, dopo cinque mesi i jihadisti controllano ancora alcuni quartieri del centro città.

Il ragazzo decapitato non era uno qualunque, ma un vicino di casa di Jalil, un amico. Mentre Abdullah Maute levava in alto la sua testa, una folla di jihadisti intorno a lui inneggiava ad Allah e tra questi anche molti bambini, alcuni di soli 10 anni. «Cantavano tutti con lui. Io ho capito che dovevo andarmene. Non volevo avere niente a che fare con tutto questo». Jalil, che ha raccontato la sua storia all’agenzia Reuters, è solo uno delle centinaia di giovani musulmani reclutati dai seguaci dello Stato islamico nel paese asiatico.

Jalil è stato invitato ad addestrarsi insieme ai terroristi sei anni fa, all’età di 11 anni, dall’imam della moschea del suo villaggio di Piagapo, a 20 chilometri di distanza da Marawi. L’imam ha convinto lui e altri 40 ragazzi garantendo un pasto gratis e 15 mila pesos al mese, cioè 294 dollari, una fortuna in un paese dove un quarto della popolazione vive con meno di un dollaro al mese.

L’imam insegnava loro il Corano e «a combattere gli infedeli, ci prometteva che avremmo potuto avere tutte le donne che volevamo».

Quando Jalil ha sentito per la prima volta parlare Abdullah Maute è rimasto impressionato dai suoi discorsi «stimolanti e carismatici», ma dopo aver visto per sei giorni «ogni singolo angolo della città di Marawi ricoperto da cadaveri di cristiani e musulmani», ha cambiato idea rimanendo sconvolto: «Non potrò mai dimenticare ciò che è visto». Così, mentre i suoi compagni inneggiavano davanti alla testa mozzata del suo amico cristiano, Jalil è salito su una moto ed è scappato dalla città, per poi consegnarsi alla polizia. (TEMPI, Settembre 23, 2017 Leone Grotti)

 
 
 

Misericordia non indulgenza

Post n°2341 pubblicato il 23 Settembre 2017 da namy0000
 

Chi confonde misericordia con indulgenza, e pensa che sia una specie di melassa che tutto rimedia chiudendo un occhio e pareggiando il bene e il male, rilegga oggi le parole che il papa Francesco, il profeta della misericordia, ha pronunciato sulla macchia atroce della pedofilia, e poi quelle sulla piaga sociale della criminalità mafiosa. Due temi diversi, distanti; l’uno relativo all’innocenza profanata, alla violazione d’una intimità sacra; l’altro attinente a un cancro della vita comunitaria, una putredine inestirpata. A noi pare di accomunarli a fatica, sotto una comune ombra, sotto il pensiero doloroso del male che insidia le cose più belle della vita e le guasta; il male che fa torbidi i giorni e angosciose le notti di molti; il male che ha nome di crimine per la legge umana e che per la coscienza credente ha la struttura abietta del peccato.

Sulla pedofilia il Papa è stato tagliente. Sdegno e severità, dentro un dolore acuito dai ritardi nel misurare il male e le sue ricadute. Ora noi, che vediamo le pene canoniche che la Chiesa commina in modo inflessibile a «coloro che hanno tradito la loro chiamata», in parallelo alle condanne che la giustizia civile infligge ai colpevoli, osserviamo il doppio volto del male. C’è un profilo criminologico, negli abusi sui minori, che mostra una devianza bruta, con qualcosa di guasto in se stessa, una devianza in certo modo "malata" per la sua anomala perversione. La cosa atroce è che il mondo ne è pieno, non per faccenda di preti; provate ad aprire sul web la pagina dell’Unicef "abusi"; se vi regge il cuore. Qualche anno fa il Consiglio d’Europa lanciò una campagna contro gli abusi sessuali sui minori, e il titolo "Uno su cinque" (cioè in Europa un bambino su cinque subirebbe abusi sessuali) resta ancora qualcosa che toglie il sonno.

Che cosa succede nel cuore di un bambino violato è un dolore che gli psicologi forensi stentano a descrivere; ci vorrebbero a volte le parole di Dostoevskij sull’infanzia umiliata o torturata come obiezione ultima alla "armonia" di un universo scempiato. O i pensieri veementi di Bernanos sullo "spirito d’infanzia" insozzato dalla lussuria degli adulti, simile alla pazzia. Ma c’è ancora dell’altro, c’è qualcosa che ha a che fare non solo col corpo, ma con la prossimità che hanno i bambini con l’invisibile, cioè col mondo dello spirito. Questo pensiero dovrebbe già guidare l’approccio di ogni educatore al bambino che gli si confida, che gli si affida; conscio che corporeità e affettività e sessualità toccano le dimensioni dello spirito. E per chi crede che i loro angeli vedono il Padre, e se non si diventa come loro non si entra nel Regno, il monito evangelico fa tremare. La decisione dura del Papa (chi ha abusato e ha avuto condanna canonica non sarà mai "graziato") appartiene ancora allo strato giuridico dei delitti e delle pene. Non si rinnega, certo, che la misericordia divina è più grande di ogni peccato, ma essa mette in cuore col perdono la radicale conversione e riparazione.

 

Sulla mafia, papa Francesco ha ripetuto parole che abbiamo già nella comune memoria dolorosa. La differenza, pensiamo, è che il Papa non è un sociologo, ma un apostolo del vangelo; e la mafia è, dentro la comunità umana, il controvangelo dell’empietà che si fa norma di tutto, banalizza il male e confonde la verità con la menzogna. È questa dimensione "spirituale" che fa la differenza col crimine comune. A ragione l’allarme primario colpisce la corruzione (non come episodico tradimento del dovere, ma come disprezzo dell’interesse generale, come sistema, opportunismo, inganno, frode) cioè la palude fangosa che dà alla mafia ricettacolo. Così va letta la parola, esplicita ed esigente, in un periodo di grande scontento e confusione politica, che fa da sprone fortissimo all’azione politica: non basta lottare e reprimere, bisogna bonificare, trasformare, costruire. Cioè essere giusti, metterci il cuore.” (Giuseppe Anzani, Avvenire, venerdì 22 settembre 2017)

 
 
 

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