Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 15/03/2017

Mentre portate avanti

Post n°2094 pubblicato il 15 Marzo 2017 da namy0000
 

"Mentre portate avanti il vostro percorso di insegnamento e di studio nell’università, provate a domandarvi: la mia forma mentis sta diventando più individualistica o più solidale? Se è più solidale, è buon segno, perché andrete contro-corrente ma nell’unica direzione che ha un futuro e che dà futuro. La solidarietà, non proclamata a parole ma vissuta concretamente, genera pace e speranza per ogni Paese e per il mondo intero. E voi, per il fatto di lavorare e studiare in università, avete una responsabilità nel lasciare un’impronta buona nella storia. Vi ringrazio di cuore per questo incontro e per la vostra attenzione. La speranza sia la luce che illumina sempre il vostro studio e il vostro impegno"...

 
 
 

Gentile professoressa

Post n°2093 pubblicato il 15 Marzo 2017 da namy0000
 

Gentile professoressa Spotorno, sono una maestra elementare e ho letto sul vostro sito on line la sua recensione di un libro che suggerisce il metodo di insegnamento della cosiddetta “flipped class” o classe capovolta. Sicuramente il testo recensito sarà interessante, ciò che però da 25 anni di insegnamento mi sento di dire, perché lo vivo ogni giorno sulla mia pelle e nelle mie classi, è che la classe non è solo capovolta ma di più, direi perfino sottosopra. E così sempre più spesso ho l’impressione che il nostro lavoro non sia più insegnare l’aritmetica o la grammatica ma cercare di contenere l’irrequietezza dei nostri allievi. Mi spiace contraddirla, ma non credo che la sola innovazione didattica serva ad affrontare questo stato di cose e tanto meno a renderci insegnanti più felici. Maurizia.

Cara Maurizia, ti ringrazio per la franchezza e per avermi dato l’opportunità di spiegare meglio quell’espressione “insegnanti felici” che si trova nel titolo del libro La classe capovolta. Risalire la corrente per insegnare felici, di Bettoni e Mangiavini. Come te, alla prima occhiata sono rimasta un po’ disorientata; ho pensato alla fatica che ogni giorno incontriamo nel nostro lavoro, alla gestione così difficile del gruppo classe, al nostro non farcela più, all’essere sempre più spesso studiati come categoria fortemente esposta al burn-out e mi sono detta: ‹‹Essere felici di insegnare in queste condizioni è impossibile››. Dopo aver letto il testo, però, ho capito il senso del messaggio, e l’ho trovato davvero rivoluzionario perché andare felici al lavoro non è scontato, soprattutto se si nuota contro corrente. Ma è proprio questo l’invito, non farsi piegare da quella corrente ma risalirla, ripartendo da noi e solo da noi, ripensando ai nostri metodi e i nostri stili di insegnamento, se necessario cambiandoli. Tu, come me, insegni da 25 anni ed è vero che i bambini, i ragazzi sono così diversi da quelli di due, tre, dieci anni fa, ma noi? Noi siamo sempre le stesse, solo un po’ più stanche ma con ancora davanti tanti anni di incontri con alunni sempre diversi. Quindi non ci rimane che provare a cambiare qualcosa e magari scoprire che funziona, forse non sempre, ma se accade, l’inaspettata felicità arriva. E credo che tale esperienza l’abbiano vissuta gli autori del testo perché è questo che emerge dalle loro parole che diventano una buona guida per una possibile sperimentazione. Cara Maurizia, lo so bene quanta energia ci voglia ad affrontare la giornata scolastica soprattutto alle elementari, proprio per questo però ben vengano proposte e stimoli a ricaricarci le pile anche quando tutto sembra ormai perso” (Paola Spotorno, Lettera pubblicata da FC n. 11 del 12 marzo 2017).

 
 
 

Senza casa e senza terra

Post n°2092 pubblicato il 15 Marzo 2017 da namy0000
 

“Abramo pastore, senza casa e senza terra, aveva a disposizione solo pascoli provvisori, da cui veniva spesso cacciato o che, comunque, doveva abbandonare per necessità. La sua vita era una continua fuga e un’interminabile rinuncia. Un giorno, però, la fuga di Abramo fu “trasfigurata”: egli non la percepì più come la via di un interminabile esilio, ma piuttosto come la via che conduce a una meta. Un senso al nostro camminare. Sentì il suo Signore dirgli: ‹‹Vattene dal tuo paese…››, e Abramo partì, fidandosi di lui e non come aveva fatto fino a quel momento, quando si spostava per necessità della vita. Da quel momento, il camminare di Abramo ha uno scopo, ricupera un senso; quello scopo e quel senso che spesso mancano anche a noi, rendendo la nostra vita piatta, piena di ansie, senza un motivo che unifichi i nostri sforzi. ‹‹Esci dalla tua terra…››. Da quel momento, la vita di Abramo non è più la vita di un pastore nomade, ma la sua vita ha una meta precisa. Come lui, anche noi abbiamo la possibilità di trasfigurare la nostra quotidianità (lavoro, gioie, ansie)…”.

 
 
 

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