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Messaggi del 23/03/2017

Brexit

Post n°2117 pubblicato il 23 Marzo 2017 da namy0000
 

Inghilterra. (J.D. Taylor, New Statesman, Regno Unito, Internazionale n. 1196 del 17 marzo 2017) Dopo il referendum del 23 giugno 2016, cerchiamo di capire perché gli inglesi – mentre gli scozzesi no – hanno votato per l’uscita del loro Paese dall’Europa. Il ricco sud del Paese ha votato per l’uscita dall’Unione europea con percentuali molto ampie. ‹‹Non c’entrano niente il commercio, l’Europa o altre cose, è solo per l’immigrazione. È per impedire ai musulmani di venire in questo Paese, molto semplice››, dice un signore.

A Sheffield il 51% degli abitanti è a favore della Brexit. ‹‹La Brexit è stata una gran cosa››, dice un ex minatore che incontro in un circolo operaio. Qualcuno è d’accordo, altri scuotono la testa. Alcune persone mi spiegavano di aver votato per l’uscita dall’Unione per paura dell’immigrazione incontrollata dall’Europa dell’est, che toglierebbe lavoro alla gente del posto. Circolano molte dicerie, sento ripetere in continuazioneHo saputo chetutti ne hanno sentito parlare

Ma la preoccupazione più grande non è l’immigrazione in sé o l’identità culturale: è il calo dei salari e dell’occupazione. ‹‹Qui non c’è più niente tranne i call center››, dice un giovane. Il lavoro è precario, stressante e soggetto a un livello umiliante di controllo sulle percentuali di risposte alle chiamate, gli obiettivi raggiunti, il tempo passato al bagno. Altre società che danno lavoro sono i magazzini della grande distribuzione e le fabbriche di alcuni importanti marchi di abbigliamento.

‹‹È come se le aziende applicassero la logica del divide et impera. Dobbiamo batterci per avere stipendi migliori e mettere alle strette i capi››, dice una donna. (Però poi noi, nell’acquistare, vogliamo pagare un prodotto a prezzi sempre più bassi! E se investiamo qualche soldo vogliamo che ci renda bene. Come si conciliano le due cose?). Gli sgravi fiscali e i contributi per la casa sono un’ancora di salvezza per i lavoratori e le famiglie povere, ma non risolvono il problema di fondo dei salari troppo bassi e della disoccupazione, né tanto meno rispondono alla necessità di una nuova strategia pubblica per incoraggiare l’offerta di lavoro qualificato e di salari più alti. A causa dei contratti “a zero ore”, i lavoratori si trovano in balìa di turni sempre più incerti e imprevedibili: questi contratti prevedono lunghi periodi di inattività, senza nessuna garanzia su quante ore lavorerà, su quanto guadagnerà. Le carte di credito, gli anticipi sullo stipendio e i prestiti di amici e familiari diventano i principali mezzi di sussistenza.

Secondo un recente rapporto della confederazione sindacale Trades union congress, 3.200.000 famiglie britanniche hanno problemi con i debiti accumulati, e spendono più del 25% del reddito per ripagare prestiti non garantiti. La metà di questi nuclei familiari sono in una situazione di “debito estremo” e ogni mese versano più del 40% di quello che guadagnano ai creditori.

‹‹A che servono le raccolte alimentari quando la gente non riesce neanche a pagare il gas o l’elettricità per cucinare?››, dice Sonya. ‹‹Oggi siamo tutti classe media››, diverse zone del Paese sono sempre in grande difficoltà. Comunità che si sentono travolte da un destino ingiusto.

Gli effetti politici di questi sconvolgimenti sociali non sono ancora venuti completamente alla luce. Per strada pochi parlano di politica. I politici, di qualsiasi partito siano, raramente parlano con cognizione di causa delle decisioni difficili che bisogna prendere quando si hanno dei debiti, o delle contrastanti sensazioni che prova una persona quando è costretta a chiedere un sussidio. In posti dove la povertà è una preoccupazione immediata, tutte le altre cose suonano troppo distanti, troppo borghesi. La sensazione di essere rimasti indietro rispetto allo sviluppo economico di quell’entità aliena che è considerata Londra è diffusissima. Contro l’élite.

Gli agricoltori hanno appoggiato in massa la Brexit, pur dipendendo dalle sovvenzioni dell’Unione. ‹‹Si sta creando un caos spaventoso››, dice Eden, che ha un allevamento di pecore. ‹‹Non mi piace la gente che chiede il sussidio››, afferma la barista di un pub. ‹‹La gente non sopporta quelli che approfittano dei sussidi. Ma la maggior parte delle persone che conosco cerca solo di tirare avanti››, dice Emma, un’insegnante part time. Chi vive di sussidi o gli stranieri che usufruiscono dei servizi della sanità pubblica diventa una persona da disprezzare.

‹‹La nostra è una storia bellissima. Peccato che oggi la città sia ridotta a un cesso››, dice Ian. Il problema è che nel mondo dei centri commerciali e della finanza è scomparso ogni senso di appartenenza, di condivisione.

Votare per l’uscita dall’Unione è stata una rabbiosa manifestazione di protesta dopo decenni d’impotenza. ‹‹In Inghilterra è già ieri››, dice il pittore John Wilkinson. La celebrazione del passato è quasi un’ossessione per una popolazione che fa fatica a individuare nuovi motivi di orgoglio in un mondo che si sta sfasciando. Il voto sulla Brexit non è la causa di queste contraddizioni, le ha solo portate alla luce.

Che tipo di società desiderano gli inglesi? Quali fonti energetiche useranno? Come vivranno e lavoreranno? E come saranno governati?

Invece di rivolte contro i bassi salari, l’immigrazione e gli effetti dell’austerità, in Scozia ci sono state discussioni sulle energie rinnovabili, la proprietà comune della terra e la riscoperta della storia locale e della lingua gaelica. Forse è da ingenui e da idealisti pensare che lo stesso possa succedere anche nell’Inghilterra della Brexit. Ma in questa speranza c’è anche la spinta a reagire”.

 
 
 

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