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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 02/06/2017

Alabado sea

Post n°2220 pubblicato il 02 Giugno 2017 da namy0000
 

“Il santo – come disse il cardinale Ratzinger – è un peccatore che nella sua vita ha vissuto in modo eroico le virtù e che ha permesso a Dio di realizzare nella propria esistenza il disegno previsto dalla divina provvidenza. Certamente Helena è stata una santa. Già provata nella sua vita da tanti dolori – l’ultimo dei quali è stato causato dalla morte del marito, paziente nella nostra clinica –, in questo ultimo anno è stata toccata da un terribile cancro maligno al seno, che in poco tempo le ha procurato metastasi diffuse in tutto il corpo. Vi lascio immaginare il tormento che nell’ultimo periodo sembrava impedirle perfino di respirare e che neanche la morfina riusciva a calmare. Ha passato mesi in questa situazione, una prova che avrebbe distrutto perfino l’acciaio. Ma quanti l’hanno assistita non hanno visto in lei neanche una smorfia e nessun lamento è uscito dalla sua bocca. Anzi, mi ha sempre impressionato la sua serenità, che spesso si trasformava in felicità.

«Padre, sono felice!», mi ripeteva spesso. «Padre, sono cosciente che morirò presto; ma lei sa che cosa significa vedere faccia a faccia Gesù?». «I miei figli sono pronti, protetti, e questa era l’unica cosa che mi preoccupava». «Io ho bisogno solamente di pregare, perché il rosario mi calma i dolori, fa quello che la morfina non riesce a fare, è la medicina più potente che esista, e come mi piacerebbe che tutti lo comprendessero». «Padre, che bello è amare la mia Madonnina. Quando dopo un piccolo sogno mi sveglio, immediatamente prendo il rosario. E poi, tra un rosario e l’altro lavoro, ricamo e faccio braccialetti per il rosario». «Padre, desidero che mi trovi degli occhiali per trovare consolazione nella parola di Dio». «Grazie, padre, per aver dato un lavoro a mia figlia. Che Dio e la Madonna vi benedicano tutti!».

Queste sono solo alcune delle molte testimonianze che Helena mi ha regalato. Mi parlava continuamente di Dio e della sua offerta, finché un giorno ho usato un registratore per fissare tutte le parole che uscivano dalla sua bocca. Ricordo con quanto affetto e amore riceveva l’eucarestia: mi aspettava nel suo letto con la mente immedesimata nel Signore, le mani unite esprimevano la grande statura religiosa della sua personalità. Era cosciente e la posizione supplicante delle sue mani testimoniava il suo essere un mendicante dell’Eterno. Le braccia distese e le mani strette una nell’altra in forma di grido, come chi è cosciente che le manca tutto, si mette in ginocchio e con le mani supplicanti urla: «Vieni, mio Signore, mio Dio». Distrutta dal dolore, notte e giorno mendicava l’Eterno, desiderava di essere già nella braccia dell’amato Gesù.

Cantare “Alabado sea”
Negli ultimi giorni aveva ormai speso tutte le energie, domandava ai suoi figli e ai parenti che la aiutassero a mantenere le mani alzate in forma di supplica quando arrivavo con il santissimo sacramento o per darle la comunione e benedirla. Sembrava Mosè sul monte Sinai quando, mentre nella valle il popolo lottava, egli stava giorno e notte con le mani alzate e pregava perché Dio desse la vittoria al suo popolo. Allo stesso modo, Helena ha vissuto i suoi ultimi giorni aiutata in questa posizione dalle persone che la accompagnavano al destino finale. Mentre la morte già stava bussando alla porta, lei non parlava più. Ma, come per miracolo, quando ascoltava il canto “Alabado sea”, e io entravo nella sua stanza, i suoi occhi si aprivano fissandosi sulla ostia bianca come un’innamorata, la sua bocca si univa al piccolo coro cantando: «Alabado sea el Santísimo Sacramento del Amor» (che significa “Lodato sia il Santissimo Sacramento dell’Amore”). Era una sola cosa con l’eucarestia. Non si accorgeva di chi fosse al suo fianco, ma in Cristo era come se tutto il cosmo fosse presente nella sua relazione con il Mistero, nel sacramento dell’eucarestia.

 

L’abbiamo vista andarsene in silenzio, senza nessun lamento. I suoi respiri si sono fatti sempre più distanziati l’uno dall’altro (era il suo modo di pregare), finché alle prime ore dell’alba Helena è andata all’incontro con Gesù. Ogni settimana i miei cari amici ammalati muoiono in questo modo. Credo che se l’ospedale non rendesse possibile l’accadere di simili miracoli sarebbe meglio chiuderlo. Perché questi fatti accadano occorre che tutti noi, preti, medici e personale, viviamo un’autentica e drammatica posizione religiosa, l’unica che ci permette di «non essere mai tranquilli», come diceva monsignor Luigi Giussani.
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Lenta convalescenza

Post n°2219 pubblicato il 02 Giugno 2017 da namy0000
 

Spunti dalla relazione di Bankitalia. La lenta convalescenza di un Paese in bilico. Leonardo Becchetti, Avvenire, giovedì 1 giugno 2017.

 

La fotografia che emerge dalla relazione annuale del governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco è quella di un Paese in convalescenza che sta lentamente rimarginando le ferite della più grave crisi economica dal Dopoguerra. Prova ne è il fatto che ai ritmi attuali torneremo ai livelli del 2007 solo nella metà del prossimo decennio. E questo genera problemi non solo alla quantità del lavoro creato, con uno spread di qualità/dignità che cresce, visto l’aumento del divario tra qualità degli impieghi offerti e aspirazioni dei lavoratori. Le sottolineature di alcuni dei principali ostacoli alla ripresa dell’economia e dell’occupazione sono convincenti. Ben tre volte Visco parla della debolezza degli investimenti pubblici ricordando invece l’efficacia degli incentivi «intelligenti» come il superammortamento che ha fatto ripartire la domanda di beni capitali superando la grave crisi degli investimenti, e gli incentivi per la ristrutturazione edilizia che hanno generato abbastanza valore economico e nuove entrate fiscali da assicurare un saldo non negativo anche per i conti pubblici. Mettendo assieme i tre elementi possiamo generalizzare sostenendo che una riqualificazione della spesa pubblica verso iniziative ad alto moltiplicatore è importante per la ripresa garantendo al contempo la tenuta dei conti pubblici, come sottolineato dallo stesso Mario Draghi, presidente della Bce, nel suo discorso dell’agosto 2014 al simposio della Fed Usa a Jackson Hole. Assolutamente centrata l’enfasi su quello che appare come uno dei maggiori fardelli del Paese, il ritardo della giustizia civile. Secondo i dati di Doing Business in Italia ci vogliono 1.100 giorni per il recupero del credito tra due imprese contro i 700 della Polonia, i 500 della Spagna e i 400 della Francia. E 2.700 giorni in media per chiudere una causa civile contro gli 870 della Francia e i 460 della Polonia (dati Bartolomeo-Bianco e Cepej, 2016). Si tratta di un ostacolo molto grave che riduce i frutti attesi dell’attività imprenditoriale e accentua il problema delle sofferenze bancarie. Molto convincente la parte sull'Europa, quando definisce «un’illusione» l’idea che l’uscita dall’euro risolva i nostri problemi, e quando sottolinea che questa resta la casa da abitare e da migliorare, anche se talvolta si può non essere d’accordo con le decisioni comunitarie (un riferimento al divieto di usare il fondo di garanzia dei depositanti nelle crisi bancarie). Il governatore va al nocciolo del problema quando parla del vuoto di fiducia come problema fondamentale in Europa. Vuoto di fiducia che ha portato alla «ricerca esasperata di garanzie reciproche» generando vincoli di azione e un’«Unione più forte nel proibire che nel fare». Sui temi macro Visco ha anche ottimisticamente considerato che, con una crescita dell’1%, un’inflazione del 2% e un avanzo primario del 4%, l’Italia può riuscire a ridurre il rapporto debito/Pil dal 132,8% al 100% in dieci anni. Peccato che l’inflazione sia fuori linea rispetto allo scenario ipotizzato (è all’1,4% a maggio, con un calo mese su mese dello 0,2% registrato proprio ieri). Il percorso di rientro, insomma, non sarà facile. Una parte consistente della relazione non poteva non vertere sul fronte bancario. Rispetto allo scorso anno la difesa dell’operato di Banca d’Italia (svolta dinnanzi ad alcuni suoi predecessori) è parsa più accentuata nei toni. Sullo sfondo, però, vi era il convitato di pietra delle due banche venete per le quali i fondi privati non sembrano bastare ai fini del salvataggio. Quando Visco ha parlato di una crescita dell’1% dei prestiti alle imprese è mancata quella scomposizione del dato tra prestiti alle mediograndi (in ripresa) e prestiti alle piccole e piccolissime (ancora in calo), spesso sottolineata dai dati flash Confartigianato. Torniamo qui ad un punto chiave del problema Paese. Una quota molto importante di piccole e piccolissime imprese che restano indietro per motivi di produttività interna, ma anche per inefficienze del sistema e per la difficoltà di accedere alle fonti di finanza esterna. La soluzione non possono essere le grandi banche quotate che violerebbero i loro obiettivi di creazione di massimo valore per gli azionisti. Né tale soluzione va trovata solo sul fronte bancario visto l’eccesso di ricorso al credito tra le fonti esterne per le nostre imprese. In questo ambito siamo ancora in cerca di soluzioni perché i rimedi a cui si è sinora pensato (come i nuovi intermediari di microfinanza e i Piani Individuali di Risparmio) non paiono avere ampiezza di movimento tale da poter risolvere il problema. La speranza è che veicoli innovativi per il capitale di rischio e un modo diverso di fare banca (le banche di credito cooperative consolidate e rafforzate e una banca e finanza etiche volte non alla massimizzazione del profitto) possano giocare un ruolo importante nonostante limiti e vincoli della regolamentazione europea. Lo sviluppo di strumenti e metodologie per misurare con occhiali nuovi il valore creato (dal Bes alla valutazione del rendimento sociale degli investimenti) giocheranno dal punto di vista culturale e operativo un ruolo decisivo.

 
 
 

Come una vela

Post n°2218 pubblicato il 02 Giugno 2017 da namy0000
 

“La lettera agli Ebrei paragona la speranza a un’àncora (cfr 6,18-19); e a questa immagine possiamo aggiungere quella della vela. Se l’àncora è ciò che dà alla barca la sicurezza e la tiene “ancorata” tra l’ondeggiare del mare, la vela è invece ciò che la fa camminare e avanzare sulle acque. La speranza è davvero come una vela; essa raccoglie il vento dello Spirito Santo e lo trasforma in forza motrice che spinge la barca, a seconda dei casi, al largo o a riva” (papa Francesco, 31 maggio 2017).

 
 
 

Contiamo solo i giorni

Post n°2217 pubblicato il 02 Giugno 2017 da namy0000
 

(Avvenire, Antonio Maria Mira,  2016, 13 gennaio). L'intervista: Titolo Articolo

 

L'ex giocatore: «C'è una tecnica per ipnotizzare i giocatori». «Sì è vero. C’è proprio una tecnica per attirare i giocatori patologici. Io l’ho sperimentato sulla mia pelle. Non pensavo più ai soldi ma solo a quei colori e a quelle luci. Mi giravano nella testa anche di notte. Mi avevano proprio fregato... ». Agostino, pugliese, 65 anni, ex giocatore - «ma non siamo mai guariti, contiamo solo i giorni» - ha letto l’articolo di Avvenire di domenica sulla ricerca americana sui meccanismi usati dalle società dell’azzardo per incrementare la dipendenza e ci vuole raccontare la sua esperienza. Lo incontriamo a Roma, all’ostello della Caritas diocesana, in occasione dell’incontro di studio organizzato dalla Consulta antiusura per il Giubileo della Misericordia. È qui perché ora il suo impegno è portare ai ragazzi delle scuole il messaggio che «l’azzardo fa male. La vita per me è stata amara. Oggi posso dire di aver intrapreso un nuovo percorso di vita, che mi sta portando al recupero personale e a dare un senso ai miei giorni. Lo faccio come un nonno che ha sbagliato e prova a spiegarlo ai nipoti». Come ha cominciato? Ero vedovo. Ho vissuto male l’impatto dell’uscita dal lavoro e l’entrata nel mondo della pensione. Lì ho visto la mancanza di una persona vicina. Così mi sono rifugiato in quello che io chiamo 'il mondo dei colori'. Quindi è vero che c’è un sistema per attrarre le persone più deboli... Certo che c’è una tecnica per attirare i giocatori patologici. Tanto è vero che io ho iniziato coi 'gratta e vinci'. Allora non ce n’erano tanti come oggi ma erano coloratissimi, proprio per convincere ad acquistarli. Poi sono passato alle 'macchinette' che ti distruggono. Non pensi neanche ai soldi che metti dentro le slot ma vai solo per vedere il colore, quel disegno. La cosa più brutta che ricordo è che quando cercavo di riposare di notte mi girava davanti agli occhi come un arcobaleno. Anche con gli occhi chiusi io stavo in una sala giochi, davanti a quello schermo colorato. Un modo per fregarvi... Ci hanno fregato. Quando sei in quella fase di distruzione non pensi altro che ad andare avanti, anche disposto a rubare. Con quali conseguenze? In tre anni e mezzo mi sono giocato quaranta anni di lavoro. In poco tempo ho fatto un macello. Mi sono giocato tutto: la liquidazione, compreso un grosso incentivo per andare in pensione prima, e anche la casa. È stato devastante, sono finito in mano agli usurai che prima sono gentili e poi dei martelli pneumatici. Ora ne è uscito? Si sente guarito? Non gioco da sei anni. È dal 2010 che sono in recupero in un gruppo di 'Giocatori anonimi'. Conto i giorni. Noi giocatori non siamo mai guariti perché la compulsività ti può tornare in qualsiasi momento. Noi viviamo sulle 24 ore: oggi io non devo giocare, ma domani è un altro giorno. Si va avanti così. E sono arrivato a sei anni. Come ha deciso di cambiare? Chi l’ha aiutata? Devo dire grazie a chi mi ha portato il primo giorno, ma ancora prima 'Qualcuno' che si chiama Dio. Io la sera precedente avevo tentato il suicidio. Poi mi sono detto: «Devo dire qualcosa a un amico». Questa persona, un ex collega, mi ha portato direttamente alla Fondazione antiusura di Bari. Ci sono andato pensando «io li frego di nuovo, vado a chiedere altri soldi». Invece ho scoperto una vita nuova grazie a un bigliettino che mi diceva di rivolgermi là (si commuove), a quell’indirizzo, dove avrei trovato un gruppo di autoaiuto. E da lì vado avanti. Un giorno per volta... Le mie 24 ore. Finalmente mie... Senza luci e colori ma tanto più belle. E lo va a raccontare nelle scuole. Cosa dice ai ragazzi? Porto il messaggio del 'nonno' che ha consumato tutto per il gioco e che loro non devono farlo. La prima volta è stata in scuola elementare e per me è stato un’esperienza fortissima, mi sono commosso. Soprattutto per le loro domande. Io per loro ero proprio il nonno. È stata una carica in più per portare il messaggio poi ad altre scuole. Cosa le dicevano? Un bambino albanese mi ha detto: «Nonno perché hai giocato? Non potevi comprarti una bicicletta e andare a passeggiare?». È stata una cosa bellissima che mi ha fatto capire molto (si commuove ancora). Così torno spesso nelle scuole. Per sentirmi impegnato, perché la mia vita possa essere di aiuto.

 
 
 

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