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Messaggi del 06/08/2017

Tontitown

Post n°2300 pubblicato il 06 Agosto 2017 da namy0000
 

“La casa è stata costruita cent’anni fa da Adriano Morsani, muratore arrivato dall’Italia centrale. All’interno ci sono molte vecchie foto di questo patriarca baffuto, accanto alla moglie, con un cappello elegante e ai bambini che strizzano gli occhi accecati dal sole. Ma questa è una storia spiccatamente americana, e comincia dopo la guerra civile nelle pianure alluvionali del Mississippi, vicino al confine tra Arkansas e Louisiana.

Oggi i campi racchiusi tra il Mississippi e il ferro di cavallo del lago Chicot sono disseminati di silos di alluminio e di sparute case dei lavoratori, sorvegliate da cani annoiati. Lungo la riva del lago ci sono le ville idilliache con moli pittoreschi e barche private. Cent’anni fa, quando questa era ancora la piantagione Sunnyside, le ville non c’erano, e nemmeno il ponte sospeso che oggi collega l’Arkansas e il Mississippi, vicino a uno dei tratti di terra più stretti tra il lago e il fiume. L’acqua circonda quasi tutto il terreno, straordinariamente fertile. Un campo di prigionia naturale.

Nel 1861, la piantagione di Sunnyside era tra le più grandi e ricche dell’Arkansas. Era di proprietà di Elisha Worthington, che scandalizzò la società bianca riconoscendo due figli che aveva avuto con una schiava. Dopo la guerra, quando il prezzo del cotone cominciò a precipitare, la piantagione passò a John Calhoun, omonimo e discendente dell’ideologo sudista sostenitore dello schiavismo, poi a Austin Corbin, finanziere senza scrupoli e speculatore ferroviario, che aveva contribuito a fondare la Società americana per la soppressione degli ebrei e vietava ai cittadini di religione ebraica l’accesso al suo hotel i Coney Island. Corbin costruì un piroscafo e una piccola ferrovia, ma, come molti proprietari terrieri del sud, non riusciva a trovare manodopera. Provò con i carcerati, poi trovò un’alternativa: gli italiani.

Come molti trafficanti di esseri umani di oggi e di allora, Corbin poteva contare su un aggancio: don Emanuele Ruspoli, sindaco di Roma, che reclutava i braccianti nelle Marche, in Emilia Romagna e in Veneto. La prima ondata di italiani – 98 famiglie - salpò da Genova sullo Château Yquem, una sudicia nave a vapore che arrivò a New Orleans nel novembre del 1895. Avevano contratti d’acquisto di pezzi di terra da ripagare con il raccolto di cotone. Ma dopo un viaggio di 4 giorni lungo il fiume fino a Sunnyside, scoprirono di essere stati ingannati.

“Il primo anno morirono 125 persone”, racconta Libby Borgognoni, un’affascinante donna di 81 anni i cui parenti acquisiti arrivarono a bordo dello Château Yquem (suo nonno arrivò più tardi, dopo aver pescato la pagliuzza più corta in un sorteggio con i suoi cinque fratelli. Afosa, umida e infestata dalle zanzare, Sunnyside era tanto fertile quanto letale… Quando arrivarono gli italiani l’argine era più basso e le alluvioni erano frequenti. L’acqua che si beveva era sporca. La febbre gialla e la malaria erano estremamente diffuse…

Molti dei milioni di italiani che arrivarono negli Stati Uniti in quel periodo, in maggioranza nelle città industriali del nord, soffrirono molto. Ma i casi così estremi erano rari. A Sunnyside l’afa e le malattie erano tremende, ma il trattamento che Corbin riservava agli italiani non era da meno. Molti di loro non parlavano inglese, e spesso erano analfabeti. Ma capirono presto di aver pagato un prezzo spropositato per la terra. Tra di loro c’erano molti agricoltori, ma Borgognoni ricorda che “non sapevano assolutamente nulla del cotone”.

Nel 1896, sei mesi dopo l’arrivo dei primi italiani, Corbin morì in un incidente di carrozza nei pressi della sua esotica tenuta di caccia nel New Hampshire (si disse che aveva spaventato i cavalli aprendo un parasole). A dicembre un secondo carico di italiani salpò comunque da Genova diretto a Ellis Island.

Quell’anno arrivò un altro italiano. Pietro Bandini era cresciuto a Forlì, si era unito ai gesuiti ed era stato inviato come missionario tra i nativi americani del Montana. Poi si era trasferito a New York per dare assistenza ai suoi connazionali sfruttati. Per quelli di Sunnyside fu una specie di redentore.

Bandini protestò per le condizioni in cui erano costretti a vivere, e la leggenda racconta che quando fu respinto, disse ai suoi fedeli di aspettare, mentre lui partiva in cerca di un posto migliore. Riuscì a comprare terreni nelle pianure a ovest di Springdale, vicino a quello che all’epoca era territorio indiano e che oggi fa parte dell’Oklahoma. All’inizio del 1898 quaranta famiglie strapparono i loro contratti e lo seguirono a nord.

Non si sa precisamente in che modo arrivarono dal Delta fino all’altopiano di Ozark, lungo un tragitto che allora era estremamente pericoloso. “Camminarono”, assicura Charlotte Piazza, il cui suocero faceva parte di quella carovana. Alcuni portarono con sé il bestiame, pagandosi il viaggio con lavori occasionali nelle chiese cattoliche disseminate lungo il cammino e cacciando per sfamarsi… Alcuni indiani cherokee, chickasaw e choctaw avevano già seguito quella rotta. È un percorso che attraversa pascoli e foreste, tra cataste di legname, laghi e torrenti… Lì (a Tontitown, così chiamata per omaggiare Henri de Tonti, esploratore italiano del seicento) c’erano meno zanzare, ma la vita era sempre dura. Vivevano in capanni abbandonati, coprendo le crepe per scampare agli spifferi e ripulivano la terra. Il muratore Morsani, suo fratello e i loro cinque figli dividevano un fienile con altre famiglie. Sopravvivevano mangiando pasta, polenta e conigli selvatici. Gli uomini lavoravano per la ferrovia o nelle miniere in attesa dei raccolti, mentre le donne facevano le cameriere a Eureka Springs. Anche lì gli abitanti del luogo erano ostili: la prima chiesa degli italiani fu data alle fiamme, a quanto pare con Bandini dentro. Il prete sopravvisse e avvertì i locali che i suoi compatrioti avevano dimestichezza con le armi da fuoco (la seconda chiesa fu distrutta da un tornado).

Tontitown, intanto, cresceva. “Era come se fosse un santo”, spiega Ranalli parlando di Bandini. Era l’insegnante, il capobanda e anche il primo sindaco della nuova cittadina, oltre che il prete. Negoziò con le autorità l’arrivo della ferrovia. Importò la coltura della vite. Ranalli spiega che qui il terreno è meno fertile di quello del Delta, ma il drenaggio è più adatto alla coltivazione della vite. Bandini fu elogiato dal papa e dalla regina madre d’Italia.

Quando l’ambasciatore italiano Edmondo Mayor des Planches visitò Tontitown, nel 1905, la città prosperava. I suoi residenti erano “felici e abbienti”, scrisse l’ambasciatore. “L’Italia, il paese dove sono nati, è la madre, mentre l’America è la moglie. Rispettano la madre ma amano la moglie”. Bandini morì nel 1917, ma il successo di Tontitown gli è sopravvissuto. Piazza, che è stata tra i fondatori del museo, racconta che durante il proibizionismo gli abitanti di Tontitown nascondevano barili di vino nelle cantine e nelle vigne. Quando era una bambina, negli anni sessanta, c’erano ancora alcuni vecchi che parlavano solo italiano. Avevano realizzato il sogno americano e anche il loro sogno personale: dalla povertà in Italia, attraverso la devastazione del Delta, erano arrivati a vivere in una città dove le strade portavano i loro nomi: Morsani e Ranalli avenue, Piazza e Pianalto road. Ma altri italiani in Arkansas hanno avuto vite più tragiche. Nel suo viaggio l’ambasciatore des Planches visitò anche Sunnyside, dove vide scene terribili. Tre commercianti di cotone del Mississippi avevano preso in affitto la piantagione dagli eredi di Corbin e usavano metodi illegali per “importare” altri italiani. I nuovi arrivati si ritrovarono soffocati dai debiti: per il costo dei viaggi e altro. I debiti avevano interessi del 10 per cento. Alcuni scapparono, ma chi veniva intercettato era riportato indietro in catene.

L’ambasciatore protestò per le condizioni in cui vivevano gli italiani, e nel 1907 il dipartimento di giustizia inviò Mary Grace Quackenbos, un’audace investigatrice. Leroy Percy, uno dei proprietari, cercò di dissuaderla con la galanteria del sud e una serie di atti intimidatori. Le rubarono i documenti dalla camera d’albergo. Un suo assistente fu condannato a 3 mesi di lavori forzati per intrusione. Alla fine Quackenbos invitò comunque il dipartimento a formulare accuse di peonaggio, ovvero schiavitù del debito, ma non ci fu alcun processo…

L’immigrazione italiana nella regione rallentò, e molte delle famiglie di Sunnyside si dispersero nel Delta, entrando a far parte delle piccole comunità italiane che erano nate su entrambe le rive del fiume, lungo la costa, nei terreni della Louisiana coltivati a canna da zucchero e in Tennessee…

Tutti gli italiani facevano il prosciutto, la lonza e la salsiccia. “La chiesa era la cosa più importante del mondo”. Gli scoiattoli venivano cucinati nei forni di mattoni. A marzo si faceva una cena a base di spaghetti, e il 4 luglio la grigliata di maiale. Si suonavano fisarmoniche e mandolini. C’è chi pensa che quella musica abbia contribuito alla nascita del blues.

Nel Delta i neri e gli italiani si sovrapposero. “Mangiavamo insieme, giocavamo insieme, lavoravamo insieme nei campi, cantavamo insieme”, racconta Borgognini. “Era un mondo diverso”.

Gli italiani, dopotutto, erano una soluzione marginale al problema della manodopera nel contesto inumano del profondo sud. Le principali vittime di quel sistema furono i neri, non solo durante la schiavitù, ma anche dopo l’emancipazione, quando furono impiegati vergognosi stratagemmi, dal lavoro forzato alla trappola della mezzadria.

La storia degli italiani è una versione edulcorata di quella degli afroamericani…

La storia dei Morsani dimostra che molti aspetti della schiavitù, come la conosciamo oggi – basata sul debito e l’intimidazione – non è affatto nuova. È una storia che rivela il modo in cui le sofferenze finiscono per essere selettivamente ricordate come trionfi…

‹‹Quella donna ha vissuto una vita difficile››, spiega la nipote di sua nonna ‹‹ma quando era felice sollevava la gonna e ballava il saltarello››”. (Da Una storia di migrazione italiana, Internazionale n. 1213 del 14 luglio 2017).

 
 
 

C'è silenzio

Post n°2299 pubblicato il 06 Agosto 2017 da namy0000
 

“C'è silenzio nella casa, abbiamo chiuso le porte abbandonato il mondo al di là delle finestre. Ma, se ascoltiamo bene, il bosco vive e parla nel respiro degli animali, nel crepitio dei rami secchi che cadono, nel fruscio del volo cieco dei pipistrelli che cercano rifugio nelle soffitte. 
È il fascino di quella parte di vita cui rinunciamo perché dedicato agli dei della stanchezza, dell'oblio e del sonno. Solo sulle sponde del mare o nel largo orizzonte del deserto, quando ci lasciamo rapire da quel silenzio senza memoria né confine, possiamo sentire il nostro appartenere al mondo, all'immensità del pensiero, l'ampiezza e la profondità del nostro essere sulla terra, e quasi senza averne coscienza ci sentiamo gridare alla vita. La notte non va perduta nemmeno per te che hai già consumato tanti anni nell'affanno di vivere. Essa ti aiuterà, se lo vuoi, a godere del vento leggero del mare, anche se lontano dalla tua casa; inventerà per te paesi che non hai visto, non si stancherà a raccontarti come è grande la gioia del fuoco che hai sognato di accendere per coprire il tuo freddo e quante luci ha la notte per chi le sa cercare. Ti aiuterà ad usare la bellezza della fantasia per supplire a ciò che non hai e le sue ore saranno ricche come quelle degli uomini più potenti della terra. La notte ti regala ciò il giorno forse ti ha portato via. Se ti affidi a lei puoi godere della pace, del silenzio, del benessere che ti offre senza chiederti denaro in compenso, ma solo un sonno leggero che al mattino ti verrà restituito. Le ore che passiamo nel dormire sono un assaggio dell'eternità dove ogni pensiero ci verrà regalato, dove il dolore sarà sparito, dove l'amore ci toglierà ogni affanno.
Questa è una notte silenziosa, dove la luce delle stelle non arriva fino a noi perché tagliata da un tetto di nuvole scure. Domani nasconderemo i nostri sogni per poterli riprendere la prossima notte con l'impazienza di incontrare ancora un amico senza doverli condividere con altri. Sarà il nostro segreto che si illuminerà con il prossimo tramonto e con la notte di domani”. (
Maria Romana De Gasperi, Avvenire sabato 5 agosto 2017)

 
 
 

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