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« Derive Rimestando »

La vita solitaria

Post n°36 pubblicato il 24 Gennaio 2008 da alfredofiorani
 

"Il libro deve essere come un sasso che si scaglia per colpire", così afferma Laudòmia Bonanni, scrittrice appartata e austera, che esordì in piena maturità (aveva poco meno di quarant’anni) nel 1948 con una raccolta di racconti dal titolo Il fosso.
E’ nata all’Aquila, ma ora vive a Roma, in uno spazioso appartamento dove sta sola.
Colpisce nelle case di alcuni scrittori, come qui, l’anonimo arredo borghese, il divano né antico né moderno da una parte, il tavolo da  pranzo lucido e rotondo accanto.
Soprattutto, come qui, quando è in contrasto con una scrittura ricercata, uguale a nessun’altra.
Laudòmia Bonanni non è conosciuta dal grande pubblico, le ragioni le spiegherà lei stessa tra poco; ma meriterebbe sicuramente più attenzione, non fosse altro perché non ha mai tradito i suoi esordi, salutati da Eugenio Montale con un celebre paragone: Gente di Dublino.
Conoscerla però è una vera impresa; i suoi libri sono quasi introvabili, nemmeno lei possiede ormai copie da regalare o da prestare a chi gliele chiede.
Hanno titoli semplici: Palma e sorelle, L’imputata, L’adultera, Vietato ai minori, Città del tabacco, Il bambino di pietra.
L’ultimo, Le droghe, edito come gli altri da Bompiani, è recente, dell’82, eppure non si trova.
Insomma succede alla Bonanni quello che capita alla maggior parte degli scrittori italiani viventi, esclusi quei pochi il cui nome si è imposto e che regolarmente appaiono come jolly sui vari mass-media, punta di un iceberg sommerso: la sparizione in un mucchio selvaggio in cui il sublime si confonde col mediocre, nella notte in cui tutte le vacche sono nere.
Ad aggravare la situazione, nel suo caso, c’è una personalità schiva e di poche parole che riempie l’espressione di sorrisi e di gesti lasciando spesso a bocca asciutta il registratore.
Dice sinceramente di essere rimasta molto delusa dopo l’uscita del suo ultimo romanzo: "Ho sofferto della completa indifferenza con cui è stato accolto, della noncuranza del mondo letterario verso il prodotto di una scrittrice il cui valore è stato riconosciuto. Lei vede quali libri e libercoli ottengono recensioni, vanno ai premi; e dunque se esce un romanzo, sia detto senza nessuna pretesa, di un’autrice impegnata già da anni, mi sembra doveroso il pensiero di recensirlo da parte di critici e intellettuali. Invece è stato il silenzio totale. Avrei preferito una stroncatura piuttosto..."
Parla con tranquillità e fermezza, senza curarsi di mitigare i giudizi più duri, seduta compostamente accanto al tavolo, le mani delicate intente ogni tanto ad accarezzare la superficie di un libro o del registratore.
Ha una voce forte e chiara, priva di inflessioni dialettali.

Signora Bonanni, cominciamo dal suo nome, Laudomia, così poco comune. Da dove viene?
       
Da mia madre. Durante la gravidanza lesse un libro, Niccolò de’Lapi, di D’Azeglio mi sembra; uno di quei romanzacci che vennero fuori a imitazione del Manzoni. La protagonista si chiama Laudomia, figura di donna angelica, come usava allora. A mia madre piacque tanto...

E lei è una donna angelica?

Non direi, non direi.

Un ritratto della scrittrice da piccola...

Della mia infanzia ricordo soltanto che volevo leggere continuamente. Ancora non andavo a scuola e già avevo imparato a leggere. Forse me l’aveva insegnato mia madre, non ricordo. Era maestra, dunque è probabile. Però ho l’impressione di aver fatto tutto da sola. Anche a tavola mi portavo un libro e lo leggevo di nascosto, mangiando, tenendolo sulle gambe. Quando mio padre se ne accorgeva mi sgridava molto. Era una pacifica famiglia borghese la mia. In casa sì, circolava qualche libro, ma niente di particolare. Leggere a tavola veniva considerato maleducato. Chissà da dove mi veniva tutta quella passione!

Poi la bambina cresce e diventa una giovane artista...

E’ stato un processo lento e per lungo tempo inconsapevole. Intanto continuavo a leggere. Compravo i libri di D’Annunzio appena uscivano. Ero solo una ragazzina, non capivo un gran che, ma andavo avanti. A diciassette anni già lavoravo, insegnavo in paesini sperduti, anch’io maestra. Ho avuto una vita semplice, persino opaca. Evidentemente avveniva tutto dentro di me. Riconosco che c’è qualcosa di misterioso anche per me stessa nel mio passato, qualcosa di dimenticato. Tutto quello che sono capace di ricordare è questa fame di libri. A diciotto anni avevo già un quadro completo della letteratura di tutto il mondo e non m’importava di nient’altro.

Nemmeno di avere un fidanzato le importava?

Questo meno del resto.

Ma scriveva? Aveva la consapevolezza di essere una scrittrice, si preparava alla sua arte futura con una serie di esercizi, come Virginia Woolf?

Scrivevo, sì, e tenevo nel cassetto. Mi sembrava naturale fare così. Non ero sotto questo punto di vista molto consapevole di me. Mia madre lo era, invece, credeva in ciò che scrivevo più di me stessa... Fu di botto, poi, che mi trovai in mezzo ai miti della letteratura italiana degli anni ’40 e ’50: la Manzini, la Banti, Moravia, Cecchi, la Morante. Festeggiavano me, me li trovai tutti intorno. Ma non mio stupì più di tanto; anche questo mi sembrò naturale.

Come avvenne questo capovolgimento di vita: l’oscura maestra di provincia che viene accolta da pari fra i più grossi intellettuali del momento?

Erano altri tempi, cose del genere succedevano ancora agli scrittori. Era il periodo successivo alla guerra, c’era nell’ambiente letterario una fraternità straordinaria; forse dopo una guerra è inevitabile che succeda così, si ha bisogno di un mondo pulito, fresco, onesto. Insomma io ero sprofondata in provincia, ignota a tutti ed anche a me stessa. Seppi che casa Bellonci  aveva indetto un premio per inediti (che è stato l’unico fra l’altro) e così mandai il manoscritto de Il fosso; ma non ci contavo molto. Concorrevano in tanti e io non avevo amicizie letterarie... Invece ho vinto ed ebbi come primo recensore Eugenio Montale. Fu un grosso lancio, che però non ho saputo sfruttare per niente.

Era molto diverso da oggi il salotto Bellonci?

Completamente. Una volta casa Bellonci era sul serio un salotto letterario. Io ricordo quei tempi addirittura con emozione. Oggi, quando vado per partecipare alle votazioni dello Strega, non mi trovo più a mio agio. C’è una gran confusione, non si fa letteratura, ma un servizio editoriale, un gioco di squadre. Vede, io a quell’imprevista consacrazione ero arrivata completamente matura, voglio dire non è stata casuale, eppure sono certa che oggi sarei passata inosservata.

Per quale motivo?

Perché oggi scrivere non basta più. Uno scrittore per prima cosa deve sapersi promuovere da solo, darsi d’attorno. Non vede? Autori e critici che una volta erano considerati seri, oggi non si vergognano di avallare sottoprodotti, ignorando le opere migliori. Perché lo facciano io non glielo so dire. Ma guardi il caso D’Arrigo. Uno scrittore eccezionale qual è Stefano D’Arrigo è stato distrutto dalla critica. E oggi chi ne parla? E’ troppo appartato e privo di potere per suscitare interesse. E’ stato divorato come la sua povera balena. Eppure è uno dei pochissimi veri, grandi narratori italiani. Ma del resto un mondo incrudelito come  quello di oggi non c’è mai stato, e di conseguenza una società letteraria così degradata non c’è mai stata. Fa impressione, è spaventosa la disonestà del mondo letterario attuale. Ma probabilmente è un processo naturale: gli intellettuali portano le cose all’estremo, proprio perché sono intelligentissimi. Se per esempio la maldicenza di una persona qualunque è solo cattiva, quella di una persona intelligente e che ha larga influenza sugli altri è corruttiva. Per questa situazione io non mi presento da tempo a nessun premio, tanto si sa da prima chi deve vincere. Ho preso i premi quando aveva ancora senso riceverli.

Il suo romanzo più famoso è L’adultera del 1964: Premio Selezione Campiello, varie traduzioni all’estero. Pensa che sia anche il suo miglior libro?

No, come accade sempre, i libri che hanno più successo non sono i migliori. E’ un romanzo più facile degli altri. Penso invece che il più importante, il più costruito sia L’imputata, che vinse il Viareggio nel ’60. Però quello a cui mi sento più vicina è l’ultimo, Le droghe, in cui ho raggiunto una prosa di una leggerezza e di una trasparenza che mi hanno reso molto soddisfatta. Purtroppo è stato un libro sfortunato. E’ uscito in un momento in cui alla Bompiani cambiava tutto il personale, la casa editrice era in crisi. Non ci fu lancio pubblicitario, l’ufficio stampa se n’è disinteressato. Non ha avuto nemmeno una recensione. Io non sono  il tipo che  va a seccare i critici perché si parli di me, né ho amici che  lo fanno spontaneamente.

Dal ’64 al ’74 ha taciuto completamente, non ha pubblicato nulla. Cosa è successo?

Ho avuto una nevrosi acutissima. Sopravvivevo con gli psicofarmaci. E’ stato un periodo orrendo, dovuto a superlavoro dopo un’esperienza ventennale come consulente del Tribunale Minorile. Me ne sono tirata fuori da me e con il sostegno di un amico, un noto psicoanalista, quel Perrotti che fu analista anche di Giuseppe Berto. Ma io non ho voluto fare nessuna analisi.

E l’amore? Che posto ha avuto nella sua vita?

Modesto. Mi sono salvata dalle spire della famiglia, del matrimonio, nonostante la mia educazione borghese. Gli uomini che conoscevo in provincia non mi piacevano mai del tutto, mi sembravano inferiori a me. Forse, fossi vissuta a Roma, fra gli intellettuali, sarei rimasta affascinata da qualcuno. Ma a Roma mi sono trasferita solo quindici anni fa. Troppo tardi. La letteratura si è presa tutto, è rimasto poco per il resto. Però non mi dispiace, anche se in cambio non ho avuto molto. Forse ho un solo rimpianto: quello di non aver voluto un figlio.

L’età l’ha resa diversa da quella che era?

No, per niente. Ero una tranquilla persona di provincia. Mi piaceva scrivere e basta. Oggi scrivo e basta. Sono rimasta una solitaria. Troppo solitaria.

Sandra Petrignani
da Le signore della scrittura, ed. La tartaruga, 1984

 
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All'amore il tempo
Romanzo

Manni Editore, San Cesario, 2007

Laudomia Bonanni.
Il solipsismo di genere femminile

Saggio
Edizioni Noubs, Chieti, 2007

 

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Omaggio Video
a Laudomia Bonanni
da un'idea di
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direzione e montaggio di
C. Nannicola

http://www.archive.org./details/
ComeSeIlFioreNascesseDallaPietra

 

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