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« QUESTIONE DI SCELTE. .. A VOLTE | QUELLO CHE NON SAPEVO » |
171BOTTA DI VITA … Che uno dice: è estate, le serate sono fresche, sei già stata incastonata fra le pieghe del divano per tutto l’inverno,….perché non uscire in bici e fare un giro sino in piazza? Ti siedi con gli altri, bevi un caffè freddo, spari due scemate e poi torni a casa. Va bene.
Ho tolto i boxer, ho infilato i jeans, mi son cosparsa d’insetticida e ho preso la bici diretta in piazza. Rendendomi conto d’aver sbagliato sera. La via principale assediata di bancarelle e gente ferma a guardare le cianfrusaglie o a scambiar chiacchiere. Decido di svignarmela per le vie laterali, pedalando veloce per andar senza mani e osservandomi l’ombra che gioca a rincorrersi. Arrivo quasi alla piazza senza spingere la bici a mano. E’ tappezzata di tavoli quasi tutti già occupati, per lo più, dai miei compaesani. Tre quarti di loro, che sino a qualche anno fa incontravo tutti i giorni, l’ultima volta che li ho visti sembravano più giovani. E la frase “oh, ma ci sei ancora?! “ è così ripetitivamente ridondante che mi vien voglia di impugnare il microfono che c’è sul palchetto montato al volo per chissà quale triste spettacolo in scena a breve e dire a tutti una volta per sempre che sono viva e che sto bene (?). Che mi frega è la minaccia di misantropia che mi aleggia alle spalle. Da ragazzina …. e anche dopo... mi esibivo in pubblico con una sfrontatezza che ora non capisco come mi potesse appartenere. Ho affrontato innocenti gare canore, partecipazioni a manifestazioni sportive, semiseri saggi di danza e domestiche sfilate piu che altro riprese solo dai parenti e dal fotografo di paese. Ora invece ho problemi ad attraversare la piazza piena di gente e vorrei il mantello di Harry Potter. Per fortuna la gelateria è all’angolo dei portici, ai confini della realta’; l’unico angolo discreto del perimetro. Non tanto per un problema di visibilità quanto per il caos che di li a poco si scatenerà. Parcheggio il mezzo nel portabici, saluto veloce M seduta ad un tavolo al centro del divertimento e punto dritta verso la meta. Big L è già posizionata tutta composta e con la sigaretta in bocca al suo tavolino. Sempre quello. Da un anno a questa parte. Secondo me la barista, la sera, l’arrotola fra la tovaglia, la ritira con le sedie e i tavolini e la rimette lì il giorno dopo, insieme al vasetto di fiori. Sempre inchiodata lì. E sempre col solito puntello inchiodato in testa. Fra tutti i mutamenti e le evoluzioni possibili nel corso dell’anno, lei è rimasta una confortante certezza. Solo la sua acconciatura è diversa. Non ha piu’ le treccine africane ma porta le ciocche arroccate e aggrovigliate sulla nuca. Ora piu che big mama sembra la cuoca di Elisa di Rivombrosa. Manco a dirlo, anche i discorsi non sono cambiati. E poi dicono delle soap opera!, che se stai anche mesi senza vederne una, quando riprendi è ancora dove l’hai lasciata. Qui è trascorso un anno e sembra ieri. Soliti problemi con lui, soliti problemi con le sue due amiche. Il caffè è finito. L’effetto dell’autan pure. Il grado di sopportazione è ai livelli di guardia e big L non smette un secondo di dare fiato ai polmoni.La guardo ipnotizzata dai movimenti della sua bocca e partecipo alla conversazione limitandomi a brevi movimenti della testa che quasi mi immagino come quei pupazzetti sul pianale di certe auto. Le zanzare ti dissanguano. Gli schiamazzi dei bambini echeggiano sotto i portici. Gli altoparlanti gracchiano rumorosi buttando fuori note pateticamente mielose di tristi canzoni da piano bar. Vorrei staccare la spina e spegnere tutto. Per fortuna arriva S. Lei non è custode dei segreti e patimenti di big L . Il suo monologo quindi va a scemare fra i saluti e i convenevoli. Ordino un altro caffè. Per fortuna non mi procura insonnia. Guardo piu’ in là M al tavolo con L ed i rispettivi figli e mariti. Un bimbo rosicchia qualcosa, l’altro rotea sotto ai nasi una spada luminosa. Capisco l’ ansia di M da come fa ballare nervosamente le gambe attorcigliate sotto la sedia. Non so quale sia il problema questa volta ma la settimana in montagna da sola col figlio non le è servita a niente. E’ piu nervosa di prima. Sposto lo sguardo su un gruppo di bambine che ballano e fanno i versetti smorfiosi fra loro. Mi viene in mente quando una di loro ero io. Nella stessa piazza. In una simile serata di una simile estate. Anch’io col gonnellino di jeans, le ballerine argentate e la stessa euforia per qualche nota, due balli e una serata di festa in piazza. Forse anche lei le sta guardando perché sento big L dire “guarda i bambini come si divertono”. “mi sa che sono gli unici!” risponde S. “E’ per questo che vi lascio” dico al volo. “no, io se vado a casa impazzisco” ribatte S. “Io impazzisco se sto qui” e già sono in piedi. Big L manco a dirlo non proferisce parola. Lei sino a che non lo vede arrivare, quando lui si sarà sganciato dalla moglie, non si muove da lì. A costo di lasciarsi consumare dalla noia, dall’attesa e dalle zanzare. Lascio i soldi delle consumazioni, saluto e bacio, piglio la bici e saetto fra la gente e i tavoli sino ad uscire dal caos. Riprendo la strada di prima al contrario e ripedalo veloce verso casa. Scalcio via le infradito, ascolto il fresco del marmo sotto il piede nudo e ammicco pacifica al divano. |
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