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Creato da circololenci il 06/12/2005
circolo del PRC Genova San Teodoro
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Mi serve aiuto. Mettete mano al portafoglio chi può, please! Basta anche poco, sperando di essere in parecchi!
Un volontario del Medical Relief di Nablus, che ho conosciuto personalmente, mi chiede una mano per il padre.
E' malato di cancro da 1 anno e mezzo e da allora devono portarlo periodicamente in Giordania a fare le cure, la chemio. Ora necessita di un'operazione urgente per asportare il tumore.
Non sanno più a chi chiedere aiuto e non sanno dove trovare i soldi, gli mancano $ 9.000 per pagare l'operazione.
Milena Nebbia, osservatrice internazionale di Action for Peace, mi conferma di aver incontrato la famiglia e che le condizioni sono veramente drammatiche.
Anche io ho conosciuto la famiglia, ma all'epoca erano tutti in salute.
Se potete darmi una mano la mia poste pay è:
numero: 4023 6004 3026 1497
intestata a: Sara Chiarello
Spero abbiate capito che non è la solita bufala.
Ciao e grazie
Sara
Il circolo Lenci pubblica questa richiesta di aiuto sperando di essere minimamente utile alla causa
il Bradipo
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I Siamo testardi, agli insulti rispondiamo con determinazione: non ci faremo intimidire, non ci lasceremo scoraggiare, non torneremo con la coda tra le gambe alle nostre case. Così, quest’anno, abbiamo deciso di ritrovarci tutte e tutti al Carlini, cercando di superare la logica delle divisioni che non siano quelle delle formazioni di calcio che si incontreranno in campo… Siamo in ritardo ma cercheremo di recuperare: in allegato la bozza di programma alla quale vi preghiamo di rispondere rapidamente aderendo alle iniziative o dicendo semplicemente ‘Ci sto’. Vi aspettiamo! Comitato Piazza Carlo Giuliani l programma delle giornate, con feste e mostre, torneo di calcetto, manifestazioni. Giovedì 19 sera: Venerdì 20 pomeriggio: sera: Sabato 21 sera: Domenica 22
N.B.: L'ingresso naturalmente è gratuito ma sorvegliato per evitare a tutti e tutte noi sgradite sorprese. Per poterci organizzare meglio, vi preghiamo di segnalarci e prenotare le giornate di presenza scrivendo a piazzacarlogiuliani@tiscali.it Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo Il programma potrà subire aggiornamenti. VI ASPETTIAMO!!! |
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![](http://www.cinemah.com/reporter/genova_g_8_2001/giotto01.jpg)
Base di partenza sono le cariche che avvengono verso le 15 in via Tolemaide. «Lì - denuncia Carlo, consulente del Genoa legal forum - c'è stata una carica violenta, indiscriminata e ingiustificata contro il corteo delle tute bianche. I carabinieri hanno lanciato lacrimogeni Cs, banditi a livello internazionale, caricando e colpendo, con manganelli non in dotazione, chiunque avessero di fronte». Da questa aggressione è iniziato il caos. «Il reato di devastazione - aggiunge - non sta in piedi. E' stata una reazione legittima dei manifestanti per difendere la propria incolumità e il proprio diritto a continuare per il loro percorso autorizzato». Questo è un altro dato significativo. Il corteo delle tute bianche è stato, infatti, attaccato dai carabinieri a metà percorso, col parere contrario anche della polizia. Evidente che ci sia stata, almeno all'inizio, una discordanza tra le forze dell'ordine. Il filmato dimostra come il corpo dei Cc, mandato a piazza Giusti per fermare le scorribande degli anarchici, sceglie la strada più lunga e più insicura passando, forse volutamente, per il corteo delle tute bianche. Poi le successive cariche. «C'erano - racconta ancora Carlo - due sale operative, una dei carabinieri e l'altra della polizia alla Questura. Si sono calpestati i piedi a vicenda». Ma perché orchestrare un'aggressione preventiva? «E' un atteggiamento culturale delle forze dell'ordine ostile verso il movimento», denuncia Luciano Ummarino, che nota anche come «nella sala operativa dei carabinieri ci fossero quel giorno parlamentari di An come Ascierto e forse lo stesso Fini». In effetti che si volesse dare un segnale forte al movimento anti-G8 era nell'aria da almeno un mese.
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di Stefano Bocconetti
L ui l'ha detto e naturalmente ha subito trovato qualcuno disposto a credergli. Qualcuno che a volte rischia di farsi travolgere dalla "foga" di accontentare tutti. Dunque, i fatti. Sì, parliamo di fatti anche se si citano parole. Perché mai forse come in questo periodo le frasi, anche il chiacchiericcio della politica, rivelano aspirazioni, progetti, ambizioni. Disegni. Così - dopo la sortita dell'Eur e la presentazione del suo manifesto politico che poggia sull'antipolitica - Luca Cordero di Montezemolo è tornato sui tanti argomenti trattati. L'ha fatto su uno dei giornali più vicini al partito democratico, La Repubblica. S'è fatto intervistare per rassicurare - soprattutto la destra che ne era preoccupatissima - che non ha alcuna intenzione di «scendere in campo», come a suo tempo fece un altro imprenditore. E l'ha fatto per spiegare che le sue critiche al sistema politico non nascono da chissà quale disegno segreto. Muovono semplicemente dal suo essere «imprenditore e cittadino».
Due categorie che la politica - non quella degli sprechi e dei privilegi, ma la politica, quella vera - ha sempre tenuto a separare. Di là le imprese, di qua le persone che ci lavorano. O le loro famiglie che vivono attorno agli scarichi industriali. O i loro figli costretti a studiare in università che mai avranno le possibilità di una Luiss. Categorie diverse, insomma. Invece il sindaco di Roma, Veltroni, ha letto quel passaggio. E subito gli ha creduto.
S e vogliamo, Veltroni è andato anche al di là di Fassino. Lui, il segretario, che fa tutto e il suo contrario. Che considera importanti il Family Day e la piazza laica, che aderisce al Gay Pride ma non è d'accordo, che è interessato a quel che dice Montezemolo. Ma lo vorrebbe sommare a quel che dice Epifani. Veltroni fa però di più. Definisce espressione del «sociale» le parole del capo della Confindustria. Ieri mattina, davanti ad una platea di giovani accorsi per discutere di letteratura, il sindaco vincente di Roma ha spiegato che sì, forse, Montezemolo qualcosina di più sulla precarietà avrebbe potuto dirla. Ma insomma quel che più ha infastidito Veltroni sono «le reazioni seguite al discorso del leader della Confindustria». Le reazioni della politica. E questo il sindaco di Roma non può tollerarlo: «La società ha il diritto di dire la sua opinione sulla politica che, da parte sua non può definirsi territorio off limits».
E così anche Montezemolo entra a vele spiegate dentro quel magma indistinto che è la «società». La società civile. Che ne ha fatta di strada: partita coi girotondi chiedendo carcere per tutti si ritrova ad essere una comunità di accoglienza. Che si apre a tutti.
Eppure, a Veltroni sarebbe bastato tardare di pochi minuti l'apertura di credito verso Montezemolo. Sarebbe bastato leggere quello stesso giornale, che è molto vicino al suo - prossimo - partito. Per cercare sempre su Repubblica - magari con meno evidenza - un altro articolo. Che racconta della differenza fra imprenditore e cittadino. E leggere quell'inchiesta dove due bravi giornalisti sono andati a spulciare fra le carte della raffineria "Saras". Di proprietà della famiglia Moratti. Di quelli che si sono spellati le mani per applaudire la denuncia di Montezemolo contro la politica. E scoprire così che attraverso i "contratti di programma" - lo strumento che dovrebbe sostenere le imprese che investono per portare lavoro nelle aree depresse - lo Stato ha regalato duecento milioni di euro alla raffineria dei Moratti. Quella che sorge a due passi da Cagliari.
Soldi, una montagna di soldi. Regalati dalla politica. Da tutta la politica: perché dal '94, il gruppo ha avuto accesso a diverse tranche di finanziamento. Decisi dai governi di centrodestra e di centrosinistra. Tanti soldi che hanno portato ad una crescita dell'occupazione quantificabile: i dipendenti, i nuovi dipendenti sono duecentosettanta. Forse meno, perchè è quasi impossibile calcolare se i posti sono stati creati tutti in questa occasione o se dentro quei 270 si calcola anche qualche "trasferimento". In ogni caso, se fossero tutte nuove occasioni, allo Stato ogni posto sarebbe costato 700 mila euro. Poco più, poco meno. Un solo paragone: con gli altri "contratti di programma" s'è speso, in media, 166 mila euro per ogni nuovo impiego. Qui siamo almeno cinque volte sopra la media. Senza contare la qualità del lavoro: perché dei centri di progettazione e di ricerca, annunciati al momento di chiedere i soldi, non ce n'è più traccia.
E' questa la società che Veltroni vuole ascoltare. Quella stessa "società" confindustriale che, sempre all'Eur, s'è mostrata sprezzante verso la vera società civile. Per esempio quella che a Serre rifiuta di vedere sommersa da tonnellate di rifiuti una zona protetta. O quella che a Napoli urla la sua rabbia contro una politica dell'emergenza che va avanti da quasi quindici anni. Rivolto a loro, a queste persone, Montezemolo ha detto che si vergogna di vivere in un paese che non è in grado di risolvere neanche il problema della spazzatura. Ma anche qui, prima di avventurarsi in definizioni buone solo per la corsa alla leadership del piddì, Veltroni avrebbe potuto documentarsi. E scoprire che la Fiat è dentro fino al collo nella "Impregilo Spa". E dentro fino al collo cioè a quell'incredibile serie di commesse e contratti miliardari - sostenuti dalla politica, da tutta la politica - che avrebbero dovuto garantire lo smaltimento in Campania. E che invece hanno prodotto ricchezza per pochi, spazzatura per tutti gli altri.
Questo è il Montezemolo sociale. Che a nome dei suoi attacca la "politica". Sostenendo che costa ben quattro miliardi di euro. Se fosse vero, certo, sarebbe un costo intollerabile. Ma in ogni caso inferiore a quello che le imprese "costano" al contribuente. Che costano ora, in questi mesi: coi cinque miliardi di cuneo fiscale che stanno per intascare.
Qualcuno ha fatto notare tutto questo. E Veltroni se n'è rammaricato. Fra chi ha avuto da ridire sulle spericolate sortite confindustriali c'è anche Bossi. Uomo di destra, colpevole - in parte colpevole - della cultura xenofoba imperante. Ma con un indiscutibile fiuto politico. Sul leader della Confindustria, Bossi ha detto così: «E dove va? Non ha né la forza né i voti per vincere». Ha detto questo cose per difendere il suo alleato Berlusconi, naturalmente. Ma Bossi è uno che difficilmente si sbaglia. Non aveva calcolato però che forse, qualcun altro potrebbe far vincere Montezemolo. Regalando, per esempio, una patente di "società civile" al capitalismo italiano. A questo capitalismo impresentabile. Straccione.
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![immagine](http://www.ischiabooking.it/foto_luoghi/206548049876IL%20PORTO%20IN%20FONDO%20AL%20VESI.jpg)
Trascorrono soltanto due ore e il clima di sconcerto da Napoli arriva a Lovere, provincia di Bergamo. Un altro operaio è morto. Dipendente della Lucchini Sidermeccanica, Vittorio Bendotti, 50 anni, è stato colpito all'addome da un carrello che trasportava due travi di acciaio incandescenti. Un terzo operaio 50enne, si saprà in serata, ha perso la vita sull'autostrada A1, vicino Casalecchio di Reno, schiacciato da una gru. Luigi Davide invece, questo il nome completo del manutentore del porto di Napoli nella zona di Vigliena, aveva 43 anni, abitava a Casalnuovo, comune dell'hinterland di Napoli ed è rimasto schiacciato, probabilmente da un camion, ieri mattina all'interno del molo 56, terminal So.te.co. azienda da poco acquistata dalla Co.na.te.co. (Consorzio napoletano terminal container) e di cui Luigi era dipendente da più di 7 anni. Meccanico di professione, Luigi era padre di tre figli di 17, 15 e 5 anni, quest'ultima, pare, affetta da una forma di autismo. Negli occhi dei colleghi si legge la rabbia per non aver fatto in tempo a salvarlo.
La sorte questa volta è toccata a Luigi, e domani - si chiedono i lavoratori portuali - di chi sarà il turno? Tra la calura quasi estiva e il forte tanfo del combustibile delle navi, l'ultima traccia di Luigi è quella macchia di sangue, circondata da transenne, rimasta indelebile all'interno del molo 56. Sarebbe quella l'unica prova per risalire alla dinamica della sua morte. Inizialmente si pensava l'avesse investito un carrello per il trasporto dei container, poi quando il corpo di Luigi, già senza vita, è stato trasportato all'ospedale Loreto Mare, i medici avrebbero chiarito che sul ventre dell'uomo si sarebbero trovate le tracce delle ruote di un camion. Nessun testimone per ora è comparso per raccontare i fatti. E le risposte a quello che gli altri dicono di non aver visto - sembra infatti che in quell'ala del terminal al momento dell'incidente non ci fosse nessuno - potrebbero essere contenute nelle registrazione delle videocamere a circuito chiuso che sorvegliano il terminal della Co.na.te.co. Gli inquirenti intanto stanno continuando a visionare il materiale video per tentar di capire se l'istante dell'incidente in cui è rimasto vittima Luigi sia stato ripreso almeno dalle telecamere. «Sparirà tutto come è accaduto tante altre volte - accusano alcuni dei dipendenti dell'azienda - qui dentro siamo sfruttati e quando proviamo a far rivendicare qualche diritto ci fanno capire che è meglio non parlarne».
Lo sciopero proclamato per oggi dai sindacati di categoria segue di appena un mese quello dedicato a Enrico Formenti, ucciso dal peso di una balla di carta nel porto di Genova, al Terminal Frutta di ponte Somalia. «Chiediamo la convocazione immediata di un tavolo operativo presso l'Autorità Portuale - spiegano Filt Cgil, Fit Cisl, Uil Trasporti e Ugl Mare - con la partecipazione delle Imprese, delle istituzioni, delle parti sociali, della Prefettura, della Capitaneria, dell'Asl. È urgente che il tavolo dia risposte chiare e impegni precisi in termini di organizzazione operativa, per evitare nelle prossime ore il blocco a tempo indeterminato delle attività portuali». A fargli eco i lavoratori portuali che alla spicciolata ieri hanno raggiunto il terminal. «Il problema - spiega un giovane dipendente - è che se entrano qui dentro e vedono quali sono le reali situazioni in cui lavoriamo, bisognerebbe chiudere per 4 o 5 anni. Grasso a terra, poco spazio per muoverci, mancanza di segnaletica per la viabilità dei tir che transitano. La mancanza di spazio spesso ci costringe a fare delle pile di container molto alte e se facciamo notare che le file di materiali troppo alte rendono il lavoro ancora più pericoloso, non veniamo ascoltati». «Il problema - aggiunge un altro lavoratore - non è mettere l'elmetto e il vestiario idoneo, ma avere i responsabile della sicurezza sui luoghi, soprattutto quando arrivano le attrezzature da montare».
Il principale problema è dunque la difficoltà di spostamento negli spazi angusti. «Chi lavora qui dentro e come me guida i tir per aziende di subappalto - spiega un camionista - spesso ha contratti part-time anche se lavora più di 12 ore al giorno: è probabile dunque che a volte sei stanco o poco attento. I turni sono massacranti: ci si riposa solo un giorno dopo 7 consecutivi di lavoro anche per più di 14 ore di fila».
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Chiuso per Festa!
1° maggio 1886: scade l’ultimatum dettato dalla Federation Trade and Labor Unions e vengono proclamati i primi scioperi a oltranza per chiedere di sancire contrattualmente l’orario lavorativo di otto ore.
In dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400mila lavoratori incrociano le braccia.
A Chicago scoppiano disordini, la polizia spara sui dimostranti, che manifestano contro i licenziamenti punitivi, e uccide quattro scioperanti. Nella manifestazione di protesta scoppia una bomba e ci sono altri morti.
Risulta facile condannare a morte otto esponenti anarchici come capro espiatorio dell’attentato.
Disordini si verificano anche a Milwaukee dove periscono nove operai polacchi.
Sulle organizzazioni sindacali si abbatte una feroce ondata repressiva, con sedi devastate e dirigenti arrestati.
1° maggio 1947: a Portella della Ginestra, nel Palermitano, circa 2000 contadini siciliani, donne, uomini, bambini, anziani si riuniscono per manifestare.
Dopo secoli di sottomissione a un potere feudale, finalmente stanno riuscendo a conquistare il diritto alla proprietà della terra, per far fruttare i latifondi incolti.
Le recenti vittorie elettorali danno ragione ai lavoratori, ma i latifondisti reazionari armano la banda di Salvatore Giuliano.
Dalle colline che dominano la piana di Portella, aprono il fuoco le mitragliatrici degli uomini di Giuliano: il bilancio è di 11 morti e più di 50 feriti.
L’ambiguità del ministro dell’interno Mario Scelba esclude in partenza la pista della strage politica.
Come per gli anarchici statunitensi, torna comodo accusare soltanto Giuliano, senza indagare eventuali collusioni mafiose e manovre occulte dei latifondisti.
Quelle citate sono due pagine insanguinate nella storia del 1° maggio, Giornata dei Lavoratori.
Proprio la vicenda dei “martiri di Chicago” portò a considerare il 1° maggio una giornata nella quale il lavoro si ferma e i lavoratori manifestano per i propri diritti: “Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire”.
La prima celebrazione della Festa del Lavoro si ebbe nel 1890, in Italia nel ‘91, però con scontri, morti e feriti.
A distanza di un secolo, nel 1990, la situazione risulta radicalmente cambiata e anche il Presidente della Repubblica prende parte alla celebrazione di Milano.
E’ da ricordare che durante il ventennio fascista la Festa del Lavoro venne abolita, in quanto manifestazione operaia, quindi politicamente rossa.
Ciò spiega perché specialmente nel dopoguerra, per reazione, il 1° maggio risultava caricato di connotazioni di sinistra e tensioni politiche.
Oggi il lavoratore non si identifica più unicamente con l’operaio e il contadino, il senso di parte sociale della Festa del Lavoro resta, ma da alcuni anni le organizzazioni sindacali, Cgil, Cisl e Uil, si impegnano perché il Primo Maggio sia giornata di Festa, caratterizzata da imponenti concerti Rock nelle maggiori piazze d’Italia.
E volendo si può festeggiare anche in mongolfiera, oppure assaporando cibi e bevande deliziose!
Insomma, come già auspicava lo storico e senatore Ettore Ciccotti nel 1903: “Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l’interruzione volontaria del lavoro cerca la sua corrispondenza in una festa de’ sensi.”
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Membri del CLN genovese: sopra, da destra: Remo Scappini (PCI),
Pietro Gabanizza (PRI), Azzo Toni (PSI). Sotto, da destra: Paolo
Emilio Taviani (DC), Giovanni Savoretti (PLI), Mario Cassiani Ingoni (PdA)
23 aprile: Le nove di sera.Si riunisce il CLN genovese, per decidere se dare il
via all'insurrezione o aspettare. Il Comando germanico aveva fatto sapere
al vescovo Siri -e questi a Pittaluga (Taviani), che ne riferì subito
in apertura di seduta-d'esser disposto a rinunciare alla minacciata
distruzione del porto, se il CLN si fosse impegnato a rispettare
quattro giorni di tregua ,permettendo all'esercito tedesco una ritirata
indisturbata. Ci fu una calorosa discussione sul l'accogliere o meno il
messaggio della Curia. Infine, a notte fonda, con quattro voti contro
due il CLN liberò l'ordine di insurrezione.
24 aprile: Alle quattro del mattino i primi colpi di fucile. Subito dopo,
le raffiche di mitraglia.
Alle cinque, sempre più frequenti, i colpi di cannone e di mortaio. ..
Durissima la battaglia al centro di Piazza De Ferrari...Gli abitati di
Sestri Ponente, Cornigliano,Pontedecimo, Bolzaneto, Rivarolo,
Quarto, Quinto erano caduti fin dal mattino in mano agli
insorti. Mancava, tuttavia, la continuità territoriale fra le loro posizioni
e il centro cittadino...Sulla camionale per Milano le colonne nemiche,
bloccate nelle gallerie, tentano sortite: non possono più a lungo
restare prive d'acqua...
La sera del 24 si chiude in una cupa atmosfera... La situazione era
ancora più tragica e confusa per la minaccia che, dal Comando
di Savignone, inviava il generale Meinhold: aprire il fuoco su
Genova con le batterie pesanti di Monte Moro e con quelle leggere
del porto, qualora non si lasciassero evacuare in ordine le truppe
tedesche. Gli americani avevano appena raggiunto La Spezia, distanti
dunque più di cento chilometri...
Fin dalla sera il Comitato ero conscio del rischio che accadesse a
Genova quel che era successo a Varsavia..Adesso però - a differenza
della sera prima - non c'era più il problema di fidarsi o meno della
parola del nemico; adesso il Comitato poteva trattare in termini di
forza: aveva nelle sue mani un numero cospicuo di prigionieri tedeschi... Perciò decide d'inviare una lettera-ultimatum al generale Meinhold...
25 aprile: Alba...: riprende la battaglia, praticamente in tutta la città.
Ore nove: le Sap di Sestri ...espugnano il Castello Raggio.Ore nove e trenta:
si arrendono i presidi di Voltri e di Prà.
Ore nove e quarantacinque: si arrendono le batterie di Arenzano.
Piazza De Ferrari
Fra le otto e le dieci e trenta: le Sap conquistano Piazza Acquaverde
(ma non la stazione Principe), le caserme di Sturla, l'ospedale di Rivarolo
e alcuni punti di resistenza in Val Polcevera. Intanto il professor
Stefano (Carmine Romanzi) dopo un avventuroso viaggio in
ambulanza da Genova a Savignone ,consegna due lettere al gen.
Meinhold (una del Cardinale Boetto e la proposta di resa del CLN).
Il generale decide di trattare la resa, poiché viene a conoscenza anche
del fatto che tutte le strade per la ritirata sulla linea Kesselring del
Po, sono saldamente in mano ai partigiani (Divisione Pinan Cichero,
comandata da Scrivia) e come garanzia consegna a Romanzi la sua pistola.
Ore quindici : il gen. Meinhold e i suoi accompagnatori arrivano con
l'ambulanza in città dopo cinque ore di viaggio, scortati da due
partigiani in motocicletta,e si recano a Villa Migone, residenza del Cardinale,
dove si trovano già il console tedesco Von Hertzdorf e Giovanni Savoretti.
Ore diciassette iniziano le trattative di resa. Rappresentano il Cln
Scappini e Martino. Rappresenta il Corpo dei Volontari per la Libertà il
maggiore Mauro Aloni del Comando Piazza di Genova .
Ore diciassette e trenta: un grosso contingente dei reparti acquartierati nel porto si arrende ai partigiani.
Ore diciannoveda Savona Carlo Russo telefona che anche là sono insorti.
Ore diciannove e trenta: a Villa Migone il gen. Meinhold firma l'atto
di resa. Scappini testimonierà poi che il generale firmò quasi
improvvisamente, dopo molte incertezze, e che tutti loro, osservandolo
in quelle ore di trattative, ebbero l'impressione che stesse compiendo
lo sforzo più impegnativo della sua vita. Prima che la resa sia firmata
si è fatta la conta dei militari tedeschi prigionieri degli insorti della
città:1360. Numerosi altri sono stati e saranno catturati dai partigiani
che stanno calando dalla montagna.
26 aprile Mezzanotte e mezza:il colonnello Davidson, comandante i
n capo delle missioni alleate, giunge alla sede genovese del CLN a
San Nicola. Vista la situazione, riesce a contattare telefonicamente
gli Americani della 92a Buffalo, arrivati a Rapallo, per annunciar
loro che proseguano pure perchè la via è libera.
Ore quattro e trenta: ... il generale Meinhold trasmette l'ordine di resa
ai reparti. Deve usare toni duri e minacciosi con i presidi che ancora
resistono. Ufficiali tedeschi lo cercheranno senza esito in diversi punti
della città per eseguire la condanna a morte emessa nei suoi confronti.
Ore nove: Pittaluga ( Taviani) raggiunge la stazione radio di Granarolo
e dà l'annuncio da Radio Genova della capitolazione tedesca, legge l'atto
di resa e aggiunge: "Popolo genovese esulta. L'insurrezione, la tua
insurrezione, è vinta. Per la prima volta nel corso di questa guerra,
un corpo d'esercito aguerrito e ancora bene armato si è arreso
dinanzi a un popolo. Genova è libera. Viva il popolo genovese, viva l'Italia".
Mezzogiorno: giungono notizie inquietanti. Due reggimenti germanici
in ritirata da La Spezia hanno raggiunto Rapallo. Che cosa accadrà a
Genova se riescono a stabilire i collegamenti con gli assediati di Monte
Moro e del porto?
Ore tredici:i partigiani della Cichero e della Pinan Cichero si attestano
nei punti nevralgici della città...Intanto altre forze partigiane della
montagna tengono saldamente in mano i passi della Bocchetta, dei
Giovi, della Scoffera e di Uscio: da qui scendono a bloccare la via
Aurelia tra Rapallo e Nervi, così la colonna tedesca...si dissolve.
Ore diciannove: una interminabile schiera di prigionieri tedeschi sfila per
il centro cittadino inquadrata dai partigiani in armi.
Tarda serata: le avanguardie angloamericane arrivano a Nervi, dieci
giorni prima del tempo previsto dai piani.
Prigionieri tedeschi sfilano per le vie con i partigiani in armi.
La prima macchina alleata entra a Genova
27 aprileOre tredici il generale Almond, comandante in capo della
V° armata americana rende per primo visita al Cln, nell'Hotel Bristol.
Almond ringraziò i patrioti per l'aiuto profuso, e manifestò la sua
ammirazione per il modo in cui erano state condotte le cose e
governata la città. I genovesi ritornano nelle vie della città liberata .
(Da G. Gimelli, Cronache Militari della Resistenza in Liguria
pag. 946):
Anche se in queste cronache le vicende militari dei giorni della
liberazione di Genova possono apparire piuttosto intrecciate
a causa del tentativo fatto di verificarle contemporaneamente
in tutti i Settori di città e di montagna, dobbiamo prendere atto
che il quadro generale che ne risulta corrisponde alla definizione di
"insurrezione modello" coniata da Roberto Battaglia per indicare gli
avvenimenti genovesi dei giorni 23,24 e 25 aprile 1945. Lo
abbiamo visto nell'applicazione dei piani operativi, tutti eseguiti
nelle direttrici previste, salvo alcuni tempi di attuazione peraltro
non prevedibili.
Ne abbiamo avuto conferma nel vero e proprio salto di qualità
compiuto sul piano militare, in breve tempo, dagli effettivi e dai
quadri delle formazioni di montagna chiamate a marciare contro
i presidi e a fermare le colonne di ripiegamento.
Le formazioni cittadine ci hanno rivelato, infine, la notevole
capacità di trasformarsi rapidamente in reparti organizzati
ed efficienti impiegando i numerosi volontari "insurrezionali", altra
grande novità nel quadro militare di quelle giornate.
L'unità politica e militare appare comunque come premessa e
base di questo successo, sostenendo il CLN Liguria nella responsabile
decisione di dare tempestivamente il segnale dell'insurrezione
e di seguire la spinta popolare senza attendere l'arrivo delle unità
di montagna.
In tal modo si rende possibile, con alcune modifiche essenziali
al piano A, respingere il ricatto del comando germanico
e impedire le distruzioni, fermando, nello stesso tempo, la maggio
r parte delle truppe nemiche prima che lascino la città.
Unità, tempestività e una buona preparazione hanno reso
possibile questa operazione di importante livello strategico,
nella quale si è saputo imprimere alla grande sollevazione popolare
le giuste spinte per liberare Genova in una situazione
militare ancora tecnicamente favorevole al nemico......
Con gli ultimi combattimenti dei partigiani e delle forze insurrezionali
per liberare Spezia, Genova, Savona e Imperia finiscono le cronache
militari della resistenza nella regione Liguria: 20 000 partigiani
combattenti, 2 776 partigiani mutilati e invalidi, 2500 caduti.
Il generale Gunter Meinhold
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Un porto sicuro per vivere
e non per morire...
Alla ripresa del lavoro, dopo le 36 ore di sciopero, c'è ancora rabbia e sdegno tra i lavoratori portuali di Genova per la morte di Enrico.
Enrico è solo una delle vittime di una “strage” , ogni anno più di mille persone muoiono in Italia sul posto di lavoro.
Diciamo basta con le morti e gli infortuni, non è più possibile recarsi sul posto di lavoro e non avere la certezza di rientrare a casa.
Lo sappiamo, il lavoro in porto è pericoloso ma la privatizzazione delle banchine ha portato a peggiori condizioni di lavoro, salari inadeguati e grandi profitti ai padroni.
Inoltre l' Autorità portuale, come unico soggetto preposto alla sicurezza e alla vigilanza non è posto nelle migliori condizioni per operare, spesso i suoi ispettori e la ASL – Porto denunciano di essere sotto organico e non avere la possibilità di mantenere un presidio costante e continuo.
Proponiamo investimenti per formazione, prevenzione e sicurezza, le quali devono essere continue, differenziate, personalizzate e rivolte a tutti coloro che lavorano in porto.
Occorre creare un coordinamento tra lavoratori, RLS e parti sociali, per avere una prevenzione continua e rendere la sicurezza fattore di qualità.
Un porto in crescita ha sicuramente bisogno di nuovi spazi ed aree adeguate, per migliorare la viabilità interna e le operazioni di stoccaggio della merce.
Consideriamo prioritaria la decisione di creare una “ banchina pubblica”, che darebbe la possibilità di portare nuovi traffici commerciali nel nostro porto, con tariffe stabilite dall' Autorità Portuale, garantendole un forte ruolo centrale di gestione e controllo delle aree.
All'interno di questo spazio riconosciamo la Compagnia Unica come unico soggetto preposto per le operazioni portuali, in quanto custode di professionalità e sicurezza sul lavoro.
Federazione di Genova
Collettivo lavoratori portuali
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« P rogetto di dirottamento aereo da parte di integralisti islamici radicali»: è il titolo che campeggia sulla prima di cinque pagine di cui è composta una nota del controspionaggio francese
« P rogetto di dirottamento aereo da parte di integralisti islamici radicali»: è il titolo che campeggia sulla prima di cinque pagine di cui è composta una nota del controspionaggio francese. Data: 5 gennaio. Anno: 2001. Il primo problema è che la nota, redatta come si vede all'inizio dello stesso anno che passerà alla storia per gli attacchi con aerei dirottati alle Twin Towers di Nex York City e al Pentagono dell'11 settembre, sarebbe stata trasmessa in pochi giorni alla Cia, attraverso il suo capo a Parigi. Il secondo problema è che il facsimile di quella prima pagina del dossier, insieme a tutte le informazioni contenute e ad altre da ulteriori documentazioni dei servizi, è stata pubblicata sull'edizione di ieri da quotidiano francese Le Monde , che ha attinto a documentazioni sul tema accumulate dagli agenti francesi per ben 328 pagine. Un'occasione di non poco imbarazzo per l'Amministrazione Bush: dato che nulla di tutto ciò compare nelle informazioni trasmesse al Congresso per l'ormai famosa inchiesta ufficiale sul "September Eleven".
La Dgse, Direzione generale dei servizi esteri, avrebbe dunque allertato l'intelligence "alleata" statunitense ben otto mesi prima degli attentati. Lo avrebbe fatto consegnando copia della nota al capocellula Cia nella capitale francese, Bill Murray: che è anche stato ricontracciato e contattato da le Monde ma, purtroppo, non ha voluto fornire alcun commento. E comunque nel documento Dgse del gennaio 2001 appaiono informazioni assolutamente dettagliate, e soprattutto anticipatrici: si parla del fatto che «membri dell'organizzazione di Osama Bin Laden, Al Qaeda, in cooperazione con dei rappresentanti del movimento taleban e dei gruppi armati ceceni, stanno preparando, dall'inizio del 2000, un progetto di dirottamento aereo». C'è qualcosa di più: vengono elencate sette compagnie aeree come "target" del piano terroristico, e tra queste compaiono l'American Airlines e la United Airlines. Ossia proprio le compagnie degli aerei dirottati l'11 settembre.
Il rapporto della commissione d'indagine del Congresso Usa sui clamorosi attacchi del settembre 2001, pubblicato nel luglio 2004, se l'è cavata registranddo «profonde carenze istituzionali», attribuite con metodo bipartisan alle Amministrazioni sia del presidente Bill Clinton, precedente, sia di George W. Bush. Oltre a questa considerazione, senza conseguenze politiche, i "saggi" di Senato e Camera dei rappresentanti hanno solo dovuto prendere atto e dolersi formalmente della «mancata capacità di coordinamento» tra le branche della sicurezza e dell'intelligence, specie Cia e Fbi e in primo luogo sulla collezione delle fonti disponibili alle varie agenzie. Peccato che, nel caso clamoroso dell'informativa giunta dai servizi alleati francesi reso pubblico ieri da le Monde , né Cia né Amministrazione governativa abbiano fornito mai alcuna traccia.
Altri particolari inquietano, nel servizio del quotidiano d'oltralpe. Secondo la nota citata della Dgse, infatti, il rischio di dirottamento segnalato riguardava precisamente aerei statunitensi. In secondo luogo, sarebbero stati anche servizi "terzi" a fornire notizia del piano: le "barbe finte" francesi citano « servizi segreti uzbeki» come fonte, quando annotano che il progetto «sembra essere stato discusso all'inizio del 2000 in un riunione a Kabul
ra rappresentanti dell'organizzazione di Osama Bin Laden».
I dettagli continuano e abbondano: si registrano tappe successive nell'elaborazione del piano, si segnala - anche grazie ad «agenti infiltrati» - che «nell'ottobre 2000 Osama Bin Laden ha assistito ad una riunione in Afghanistan nel corso della quale la decisione di principio di condurre questa operazione è stata mantenuta». Quindi, tra le varie rotte civili indicate come probabili obiettivi dell'operazione, la Dgse ne indica una da Francoforte, in Germania, verso gli Stati Uniti. Qualcosa che avrebbe potuto rappresentare una traccia ancora più stringente, per la sicurezza d'oltre Atlantico: perché risulterà poi agli atti delle indagini Usa che Mohammed Atta, a capo del pugno di piloti-kamikaze che si impadronirono degli aerei dell'11 settembre e li portarono sugli obiettivi, aveva precedentemente formato una cellula di Al Qaeda proprio ad Amburgo, in Germania.
A firmare il sensazionale scoop di le Monde , ieri, è stato Guillaume Dasquié, già autore di due saggi sulla rete alqaedista e tra gli esperti del piuttosto vasto "lato oscuro" dell'11 settembre 2001 e, specialmente, del ruolo dell'intelligence Usa in quella circostanza. E il "magazzino" di 328 pagine tra testi, foto satellitari, grafici, carte, mappe, dal luglio 2000 all'ottobre 2001, viene tutto dagli uffici della Dgse: che anch'essa, sinora, ha taciuto. Ma che sin dal 1995 aveva formato una «cellula Bin Laden», dedita allo studio ravvicinato delle mosse di Al Qaeda. Tra le ragioni, probabilmente, il fatto che Parigi si era avveduta dei legami tra gli "afghani" e il jihadismo salafita nel Maghreb, specie in Algeria, che a quei tempi colpì anche sul territorio francese: con qualche compiacenza di troppo, in quel caso, dei "colleghi" di Washington.
A. D'A. L.
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Genova, muore un portuale
e i camalli sfogano la loro rabbia
di Bruno Pastorino
Genova nostro servizio
Enrico Formenti aveva meno di quarant'anni e due bambini piccoli. Lo dicono i suoi compagni di lavoro. Terminal Forest; terminal della carta. Stanno lì, i suoi compagni, su quel piazzale di Ponte Somalia, a Sampierdarena, da più di tre ore. Enrico giace ancora a terra. Tra il muletto che ha guidato per l'ultima volta e gli imballaggi che lo hanno travolto. La carta non dovrebbe neppure essere lì, spiegano. Non dovrebbe essere lasciata appoggiata al muro, sotto quel cavalcavia. La carta dovrebbe esser stoccata dentro il magazzino. La mettono lì sotto quando hanno paura che possa piovere. Per proteggerla. E non dovrebbe neppure essere appoggiata su quelle pedane, raccontano. Le pedane sono più piccole della base degli imballaggi. La appoggiano lì sopra perché non tocchi terra. Perché non si sciupi. Perché non vada sprecata. Stanno tutti molto attenti alla carta, qui al Terminal Forest.
Enrico faceva lo spuntatore. Doveva andare dalla carta, controllarla, numerarla e organizzare il carico sui camion quando sarebbero passati. Enrico era da solo ieri mattina. E pure questo forse non è tanto normale. «C'è stato l'effetto domino» spiega uno più anziano. Cioè, è caduto quello più in alto. Un parallelepipedo di due tonnellate. Quelli dopo se li è trascinati giù lui. Ne basta uno solo per restare schiacciati. E Enrico era lì sotto a lavorare.
Il primo che ha provato a soccorrere Enrico è stato Mauro, della compagnia. Loro della compagnia ci vanno spesso a lavorare su quel terminal. Uno di loro è dal giorno prima ricoverato nel maggiore ospedale della città. Cinque costole fratturate. È stato un miracolo. Quarant'anni pure lui. Un "caporale"; uno esperto. Era nella stiva della nave. Scaricava con la sua squadra delle sbarre di ferro. Le hanno alzate ma s'è rotta una fascetta. Una gli è caduta addosso. «Se qui non facessimo quello che non si deve fare - spiega uno della Grimaldi, altro terminal privato e proprietario di una sua flotta - qui non lavoreremmo mai». Anche loro hanno i loro infortuni. L'ultimo sette giorni fa. Davanti alla nave. Messo sotto da un camion in manovra. L'autista s'è allontanato senza neppure fermarsi.
Devi andarci in porto per capire quanto sia facile ferirsi. Gente che carica e scarica. Treni e camion in movimento con i loro container a bordo. Ti sfiorano mentre cammini. Nel 2004, 5mila infortuni in un anno nei porti italiani. In Gran Bretagna, tanto per fare un esempio, settecento. E non sono pochi neppure quelli. Il sindacato lo denuncia da anni. Inutilmente.
A mezzogiorno sul piazzale di Ponte Somalia arriva il magistrato, l'area è sotto sequestro. Enrico viene portato via. Speriamo solo che non diano la colpa a lui. È un Paese per niente civile quello che non trova i colpevoli delle morti bianche. Fuori dal varco, ai compagni di Enrico, si sono uniti quelli degli altri terminal e della compagnia. Hanno bloccato la strada. Che almeno si sappia che è morto un uomo poco oltre il cancello. Stanno lì prima di sfilare verso la prefettura, al presidio indetto dal sindacato che ha proclamato l'immediato sciopero di 24 ore.
Li raggiungo assieme a Michele, lavoratore della Ferport; la società che muove i treni dentro il porto. Lui sta all'officina di riparazioni. Me la mostra. La conosco. Ci ha lavorato mio padre tutta la vita. Penso adesso che è stato fortunato a lasciarci solo un dito lui. Eppure ricordo ancora quando lo raggiunsi all'ospedale. Sulla strada arriva Luca. «Con Enrico avevo giocato a pallone poche sere fa. Se scrivi di lui almeno ricordalo come una persona - si raccomanda - Non fare che diventi solo un numero».
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