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Non sempre i pagliacci fanno ridere...

Post n°102 pubblicato il 23 Gennaio 2019 da claudionegro50
 


I danni economici già realizzati e venturi del governo giallo verde sono noti. E va bè'. Ma c'è un danno forse superiore, anche se difficilmente quantificabile in numeri, che si sta scaricando sulle spalle del Paese: l'immagine dell'Italia, inevitabilmente filtrata attraverso quella del suo gruppo dirigente (democraticamente eletto) sta mutando rapidamente e sensibilmente.


Proviamo a mettere in fila: Salvini attacca il Fondo Monetario Internazionale (inutile e dannoso) che segnala come il nostro debito sia una mina vagante per l'economia mondiale; prima ancora c'è l'attacco a Bankitalia perchè segnala i rischi di recessione ("sorvegliasse le Banche": mostrando così quanto sappia il ministro di ruoli istituzionali...); prima ancora Di Maio aveva sparato sulla Banca Europea, accusando Draghi di non tutelare gli interessi italiani (...).


Di Maio parte all'attacco della Francia: siamo con i Gilets Gialli! Non contento tenta lo scoop del Franco CFA: lo stampano in Francia e incatena alla schiavitù le ex colonie francesi, causando la fuga della gente verso l'Europa. Non è vero: il Franco CFA garantisce la stabilità dei cambi e il libero scambio, ma Di Maio tradisce la sua avversione anti-euro denunciando l'impossibilità di quei Paesi di operare svalutazioni; inoltre: la grandissima maggioranza di immigrati verso l'Europa è dal Bangla Desh, dall'Eritrea, dalla Somalia, niente a che fare con l'area CFA!

Ma, aggiunge il Di Maio, la Francia sfrutta indecentemente le ex colonie africane: dietro a questa affermazione l'unico riscontro è la sinistra somiglianza con la propaganda fascista dei tempi di guerra circa la Gran Bretagna sanguisuga della ricchezza del pianeta (ricordate le vignette con Churchill vampiro?).

Conclusione: sanzioni alla Francia..! E chi dovrebbe stabilirle? L'Unione Europea? La Nato? La Casaleggio Associati?


Ma interviene Salvini a smorzare i toni : non siamo nemici del Popolo Francese ma di Macron. Certo: vuoi che il Popolo Italiano non abbia diritto di decidere chi governa la Francia..?

Ma la sete di nemici del governo giallo verde non è mai sazia (l'esistenza di nemici è imprescindibile per il consenso popolare). Così si esercitano anche le seconde linee: il Senatore Lannuti ci ha aperto gli occhi circa i pericoli del complotto giudaico internazionale (ce lo aspettavamo da tempo...) palesato dallo svelamento dei Protocolli dei Savi di Sion... Ma il Lannuti non risparmia neppure di accennare ai complottisti rettiliani..!


All'inizio tutto poteva essere riconducibile ad una sbronza populista, ma ormai un giudizio sarcastico non basta più. Il governo proietta sullo scenario internazionale l'immagine di un gruppo dirigente composto da bulli ignoranti, rissosi, boriosi e prepotenti, incapaci di valutare le conseguenze degli insulti che rivolgono con inconsapevole tracotanza a Stati e Istituzioni, di avvertire il ridicolo di cui si coprono per scelte e dichiarazioni squinternate, di pesare gli effetti sul piano internazionale del corteggiamento ai regimi autoritari dell'Est contrapposto al palese fastidio e alla polemica verso le democrazie dell'UE. Un'immagine che inevitabilmente si riflette su quella del Paese stravolgendola rispetto a quella che il mondo ha percepito negli ultimi 74 anni e che non può che generare sconcerto e sfiducia verso di noi. Una sfiducia i cui effetti potrebbero andare ben al di là di quelli economici (spread, fuga dagli investimenti, ecc.) e compromettere l'immagine dell'Italia sul piano politico e intellettuale.

Non sono tra quelli che temono un nuovo fascismo, ma certamente gli atteggiamenti più pacchiani, ridicoli, presuntuosi e bellicosi di questo governo evocano pari atteggiamenti di cui era ricco il ventennio. Ora, se è vero che la Storia quando si ripete diventa farsa, e considerando quanto di farsesco era già nel fascismo, ora siamo addirittura alla pagliacciata!


La Storia in generale non è indulgente con le pagliacciate: sarebbe il caso di darle una mano prima che i costi economici, politici e civili del dopo-pagliacciata diventino schiaccianti?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

La curva batte la politica?

Post n°101 pubblicato il 16 Gennaio 2019 da claudionegro50
 

 

Mettendo da parte il merito (sul quale peraltro qualche volta potrei anche concordare, come sulle grandi opere, la legittima difesa, la riduzione delle imposte sul lavoro - che peraltro si guarda bene dal fare) trovo inquietante l'interpretazione che Salvini dà del ruolo di Uomo di Stato.


La cosa che più dà da pensare è questo bisogno compulsivo di travestirsi: da poliziotto, da pompiere, da operatore della protezione civile, ecc. Quasi che il Ministro dell'Interno avesse bisogno di identificarsi nei suoi strumenti operativi per essere legittimato. Comprensibile solo se lo si mette in rapporto con una certa cultura (prosperante nei bar, nei negozi di barbiere, nei social) che non riconosce (magari proprio non conosce) lo Stato, ma sì la Polizia, i Carabinieri, i Pompieri, ecc. Una cultura cui non so se Salvini appartenga, ma che certamente è quella del suo elettorato. Ed ecco che Salvini serve loro un ministro che è agente della pubblica sicurezza, vigile del fuoco, operatore della protezione civile. In questo modo Salvini "accorcia" la distanza che separa il Bar Sport dalle Istituzioni, tramite la propria persona, che è quella che resta visibile: non il Ministro, ma Matteo Salvini.


Alla medesima privatizzazione del ruolo appartengono le esternazioni di cui il Nostro è stato prodigo in occasione dell'arresto di Battisti. L'insistere sul fatto che si tratti di un criminale "comunista" sollecita a domandarsi se si tratti di una categoria di delinquenti peggiori dei criminali comuni o dei criminali fascisti. Ma il punto è che il Ministro lo identifica come un "nemico" perchè comunista, al di là della sua oggettiva colpevolezza. E si comporta come se fosse lui ad eseguire la condanna ("non uscirà dal carcere vivo!). Dà vita in questo modo al sogno di tanti italiani che vorrebbero essere giudici e carcerieri: c'è uno di noi a farlo per noi! Ogni italiano desideroso di giustizia esemplare e spiccia può riconoscersi in Lui (anche se poi la realtà segue strade diverse).


Anche i rapporti internazionali non sfuggono alla compulsiva privatizzazione: è grazie al rapporto speciale con Matteo che Bolsonaro ci ha restituito Battisti; con Trump c'è una celebrata (più da Salvini, per la verità) sintonia sugli immigrati. Putin è un amico al di là delle formalità, e gli saremo prodighi di favori e sostegno. Anche Orban, i Polacchi, i Cechi e gli Austriaci sono amici (peccato non ci abbiano sostenuto sul Bilancio e sul collocamento dei migranti, ma coi veri amici non si sottilizza..)

La privatizzazione della Politica Estera del Paese ha esiti allo stesso tempo buffi e preoccupanti (siamo nemici della Francia e della Germania, ma amici della Russia e della Polonia?). Ma com'è che il Ministro dell'Interno fa la Politica Estera?

Anche qui c'è una ragione: la politica estera passa attraverso il filtro del Bar Sport. Polacchi e Ungheresi sono contro l'immigrazione? Ci danno ragione, quindi sono nostri amici (non importa che poi i migranti li scarichino a noi...). Putin fa vedere la forza concreta della sovranità? Il Bar è entusiasta, e non si domanda contro chi farà valere questa sovranità.

Ma soprattutto la politica estera diventa comprensibile come somma di rapporti personali oppure odi personali che si determinano sulla base di stati emotivi: Putin è figo perchè è un duro, Orban perchè sterilizza i fastidiosi obblighi della libertà, Macron è odioso perchè è europeista (non perchè non si prende i nostri migranti: quelli non se li prendono neanche gli amici di Visegrad...).


La Politica come arte di governare interessi differenti e anche confliggenti cede il passo alla modalità da stadio, che conosce solo amici e nemici, vincere o perdere. E il leader è quello che interpreta il sentire della curva (più in là potrà spiegare alla curva che sentimenti deve provare).

Io condivido quel che diceva il vecchio Karl Marx: quando la Storia si ripete diventa farsa. Per questo non sono eccessivamente preoccupato per le somiglianze tra la prassi sovranista e la genesi dei fascismi in Europa negli anni '20 e '30. Però anche le farse possono fare danni..!

 

 
 
 

populismo: la rivoluzione fittizia

Post n°100 pubblicato il 09 Dicembre 2018 da claudionegro50
 

 

La jaquerie francese sta levitando rispetto alle sue motivazioni iniziali e si propone come la summa e l'estrema manifestazione del populismo: l'insurrezione contro lo Stato. Inutile azzardare paragoni storici: quello con le Grandi Rivoluzioni è ridicolo. Difficile identificare le motivazioni: quella iniziale (il caro benzina) è ormai dimenticata anche dal movimento stesso. Se date un'occhiata al Manifesto dei 25 punti diffuso in rete, ci trovate un delirio onirico: perfino lo Statuto del Carnaro di D'Annunzio e De Ambris pare realistico al confronto. Eppure tanta gente ci si identifica: è l'esplosione del rancore, della cattiveria, della voglia di vendetta di chi si sente povero, emarginato, trascurato, senza speranza.

Ma davvero il popolo francese è alla fame? Ai livelli minimi di sussistenza? A naso no, ma se andiamo a verificare vediamo che reddito e consumi dei francesi si collocano decisamente nella fascia alta dell'UE. Sono disoccupati i francesi? Non molti: il tasso di occupazione è al 70% (in Italia il 58,1%). Hanno bassi salari i francesi? No, sono superiori alla media UE e nel periodo 2000-2017 sono cresciuti del 20,4%, pari a 6.000 € annui. Non possono permettersi consumi dignitosi i francesi? No: i consumi individuali sono superiori dell'11% alla media UE, e addirittura di un punto superiori a quelli della Svezia. Allora il reddito sarà distribuito in modo estremamente diseguale? Neanche: l'indice di Gini, che misura appunto il "tasso di eguaglianza sociale", colloca la Francia tra i Paesi più egualitari con un indice di 29,3, migliore perfino di quello della Germania. I francesi sono spolpati dalle tasse? Vediamo: la tassazione sulle persone fisica è alta con l'aliquota teorica al 51,4%, comunque inferiore a quella svedese, danese e belga; ma il gioco delle detrazioni e altri strumenti analoghi fa sì che il reddito netto, detratte le imposte, sia inferiore soltanto a quello della Norvegia, Lussemburgo, Austria e Islanda, e perfino un filo superiore a quello tedesco.

E questo sarebbe il paese dove una moltitudine cenciosa, stanca di chiedere invano il pane e versare il sangue per mantenere al lusso lor signori, afferra falci e forconi e si ribella, avendo da perdere solo le proprie catene?

E' ovvio che non è così: è soltanto l'immagine che una parte della società proietta per dare forma e motivazione al proprio rancore e all'odio, generando una furia cieca e vandalica che si cerca di nobilitare attribuendole intenti rivoluzionari. Una rabbia che ha bisogno di un nemico a tutto tondo, che in Francia è stato individuato nelle elites, nell'Inghilterra della Brexit negli "esperti", in molti Paesi Europei negli stranieri, in Italia (non ci facciamo mancare nulla) sia negli stranieri che nei "burocrati di Bruxelles); in Spagna sapremo tra un po'...

Il disagio che sta alla base di tutto ciò è "percepito" e spesso non ha riscontro nei fatti reali: tuttavia è chiaro che l'insicurezza e l'arretramento economico che buona parte delle società occidentali ha provato durante gli anni della crisi hanno lasciato un segno psicologico profondo, che si materializza essenzialmente nella crisi delle aspettative: l'attesa di guadagnare di più, l'aspettativa di andare in pensione alle stesse condizioni della generazione precedente, la previsione di migliorare la condizione economia e sociale rispetto a quella di partenza.

In un Occidente abituato dalla fine della guerra ad una crescita continua, per la prima volta si deve fare i conti col fatto che la crescita può fermarsi, e/o che si manifesterà in forme nuove, tali da generare un nuovo modello di rapporto tra la società e il lavoro, nuovi paradigmi per la redistribuzione del reddito, forme nuove di mobilità sociale.

Il rischio che una parte della società resti emarginata da questi processi esiste; in qualche modo gilets gialli e simili lo sentono e reagiscono con il riflesso pavloviano dei luddisti: spacco tutto perchè nessuno goda del nuovo mentre io ne soffro, spacco tutto perchè si possa tornare a come si stava prima. Questo vagheggiamento del passato è presente in generale nei populismi ma in particolare a quelli "di sinistra", in cui sono presenti anche fisicamente i dirigenti politici che ascrivono alla propria storia il merito degli oltre 50 anni di crescita e benessere dell'Occidente (anche se a quei tempi lo combattevano perchè "compromesso di classe").

Ma le jaqueries non servono: non sono neanche fascismo (anche se ne mutuano linguaggio, aggressività, intolleranza e violenza: gli squadristi avevano alle spalle ben altro consenso sociale, e tra l'altro avevano una certa professionalità in materia di violenza avendo fatto la guerra...).

Servono le politiche per il lavoro, la formazione, gli investimenti. Ma i tempi, e neanche i contenuti, non possono essere quelli della jaquerie: i gilets gialli sapranno aspettare? E se no, sapremo obbligarli ad aspettare? Perchè anche questa, in un contesto nel quale l'Occidente è aperto alle scorrerie dei populismi fin dalla sua Istituzione più prestigiosa, la Presidenza degli Stati Uniti, può diventare un'opzione da considerare.

 

 
 
 

Indietro tutta: il Governo del Cambiamento abbandona le Politiche Attive del Lavoro e torna all'assistenzialismo.

Post n°99 pubblicato il 15 Ottobre 2018 da claudionegro50
 

 

Il Jobs Act aveva compiuto una rivoluzione in materia di politiche del lavoro, spostando attenzione e risorse dalle politiche passive (sostegno al reddito) a quelle attive (servizi al lavoro).

In primo luogo la Cassa Integrazione Straordinaria dura al massimo 24 mesi, contro una prassi consolidata negli ultimi 35 anni che, tra un escamotage e l'altro, consentiva di stare in CIGS anche un numero spropositato di anni perfino ad azienda chiusa da un pezzo.

Il lavoratore che perde il rapporto di lavoro percepisce la NASPI: un'indennità di disoccupazione. C'è un rapporto tra la percezione della NASPI e la partecipazione a politiche attive di ricollocamento, tramite l'istituzione dell'Assegno di Ricollocazione, che su base volontaria finanzia la partecipazione del lavoratore disoccupato a programmi di ricollocamento. E' il tentativo di portare il mercato del lavoro italiano a livello di quelli europei, in cui alla perdita del lavoro si risponde ovviamente con misure transitorie di sostegno al reddito, ma soprattutto di ricollocazione: le Politiche Attive

Si tratta di una rivoluzione prima di tutto culturale, per un Paese abituato a ragionare in termini di assistenza come misura sovrana contro la disoccupazione, e nel quale vige l'idea di un welfare fai-da-te, in cui all'indennità di Cassa Integrazione si affianca un po' di attività in nero.

Se ci sono punti deboli nel sistema istituto dal Jobs Act sono essenzialmente nel fatto che l'Assegno di Ricollocazione è volontario, e basta che venga attivato prima che scada il NASPI (24 mesi) cioè troppo tardi per rendere credibile una ricollocazione. Nella gran parte dei Paesi Europei la partecipazione a programmi di ricollocamento è obbligatoria, pena la perdita dell'indennità di disoccupazione.


Su tutt'altro orizzonte si muove il "Governo del Cambiamento": il primo obiettivo è il ripristino della Cassa per Cessazione per cessazione di azienda, ossia il prolungamento del periodo di sussidio al reddito (2 anni di GICS + 2 anni di NASPI). E questa pare essere la priorità: ridare centralità alle politiche passive come asse portante dell'intervento dello Stato.

E' stato anche ipotizzato (per ora solo a livello di dibattito, ma dà l'idea dell'orientamento culturale) di definire il Reddito di Cittadinanza come strumento universale di sostegno al reddito, facendogli assorbire funzioni e risorse di NASPI e AdR.

Ma siccome il Reddito di Cittadinanza non è presentabile come pura assistenza, si stabilisce che esso sia subordinato alla partecipazione a programmi di ricollocamento, che però dovranno essere rigorosamente gestiti dal Pubblico: i Centri per l'Impiego. Dove l'esperienza del ricollocamento funziona (come in in Lombardia) operano insieme i CPI e altri soggetti privati accreditati dalla Regione, con risultati molto buoni. Però evidentemente al Ministro non risulta, o se gli risulta guarda con sospetto a questa "privatizzazione del collocamento": del resto già ha provato a penalizzare il lavoro in somministrazione nel cosiddetto Decreto Dignità.


E non si tratta soltanto di un problema di risorse: sarebbe già uno sforzo enorme garantire a tutti l'Assegno di Ricollocazione, e chiaramente se si finanzia un allungamento della Cassa Integrazione lo si fa a spese delle risorse per il Ricollocamento. E' anche una questione culturale: il Paese ha bisogno di più occupazione, che non si crea con con decreti e divieti ma con un Mercato del Lavoro moderno, in cui a chi cerca lavoro lo Stato fornisce le risorse e gli strumenti di cui ha bisogno.

Ma il Reddito di Cittadinanza può assolvere a questa funzione? Certamente no, per una serie di ragioni:

  1. i CPI non hanno al loro interno le risorse umane necessarie; la scelta di scartare il modello di integrazione con gli Operatori Privati rende necessario un forte investimento che ovviamente potrà dare risultati non prima di un paio d'anni (a meno che un risultato non venga considerato l'assunzione stessa di nuovi dipendenti dei CPI)

  2. le norme di condizionalità sono addirittura più lasche di quelle in vigore da sempre: oggi in teoria si può perdere il sostegno al reddito se si rifiuta una sola offerta di lavoro "coerente", con il RdC arriviamo a tre (ma parliamoci chiaro: saranno sempre teoriche!). E comunque si pongono alcuni problemi cui non è stata neppure immaginata la risposta: se mi propongono un contratto part-time di 750 € al mese (del tutto realistico, corrisponde a 1.500 € del full-time) sarò portato a rifiutarlo, ovviamente (perchè lavorare per guadagnare meno di quanto mi danno se resto a casa?); in questo caso che mi succede? Mi levano il RdC? Altra ipotesi: accetto ma lo Stato integra la mia retribuzione fino ai 780 €; ma se mi offrono un lavoro a 300 € mi integrano lo stesso? E per quanto tempo? E nel combinato disposto di proposte dubbie, mancate proposte, rifiuti discutibili, quanto tempo posso restare a carico del RdC?
    Se lo Stato garantisce a tutti di integrare il reddito da lavoro a 780 sarà la festa della sottoccupazione e del lavoro grigio.

  3. Sembra che esista in Italia un oggettivo, tanto inaccettabile quanto radicato, conflitto tra il percepimento di un sussidio di disoccupazione e la ricerca attiva di un nuovo lavoro. La sperimentazione dell'Assegno di Ricollocazione ha prodotto esiti impalpabili, e non soltanto per i problemi tecnico-procedurali: come pronosticato la discrezionalità senza sanzioni nell'attivarlo e la mancanza di vincoli temporali ha costituito un forte disincentivo per i percettori di NASPI.
    Ma c'è un altro dato, peraltro non "sporcato" da problemi tecnici, che ci restituisce lo stesso esito. Parliamo di Dote Unica Lavoro della Regione Lombardia, politica attiva funzionante con buoni risultati da alcuni anni: i lavoratori che chiedono da Dote vengono distribuiti in quattro fasce di aiuto a secondo del loro profilo di occupabilità. Soltanto la fascia 3plus, che raggruppa i candidati con maggiori difficoltà, prevede un sussidio, che viene pagato al candidato alla fine del Piano Individuale di Collocamento, positivo o no che sia stato l'esito.
    Esaminare i risultati delle quattro fasce è molto istruttivo: sul complesso dei candidati l'esito positivo è stato del 30%. Per la fascia 3, che evidenzia maggiori difficoltà di collocamento, l'esito positivo è comunque del 29%. Per la fascia 3plus, l'unica sussidiata, il risultato è il 2,46%. Il che non è spiegabile semplicemente con la maggiore difficoltà a ricollocare persone con bassa professionalità e con un lungo periodo di disoccupazione alle spalle: troppo netta la differenza con i risultati di fascia 3, che pure presenta profili analoghi anche se meno gravi. E' inevitabile vedere un rapporto inverso tra ricerca attiva del lavoro e percepimento del sussidio, che diventa il vero obiettivo di queste persone, mentre nelle fasce che non lo prevedono l'obiettivo è trovare un lavoro; questo genera un atteggiamento diverso tra i due gruppi, dove chi percepisce il sussidio sarà meno attivo e meno disponibile ad accettare proposte di impiego.


Nel Reddito di Cittadinanza il sussidio è l'elemento enfatizzato, e la Politica Attiva, che infatti non viene in alcun modo declinata in azioni definite e concrete, un effetto collaterale, poco più di una foglia di fico per celare una pura politica assistenziale.

 

 

 

 
 
 

debito pubblico e risparmio privato: occhio alla patrimoniale...

Post n°98 pubblicato il 10 Ottobre 2018 da claudionegro50
 

 

Salvini e Di Maio hanno scoperto che il risparmio privato in Italia è di dimensioni enormi e ne fa "...uno dei Paesi più ricchi al mondo". A parte il fatto che ciò contraddice la vulgata per cui il Paese è talmente in miseria da aver spinto le masse popolari a ribellarsi e a chiedere a gran voce sussidi e assistenza, resta da chiedersi come si potrebbe indurre questo mare di liquidità in mano ai privati a correre in soccorso del debito pubblico. D'altra parte nella visione un po' onirica che i giallo-verdi hanno della realtà la prospettiva è allettante, anche dal punto di vista ideologico: se il debito pubblico italiano (o di qualsiasi altro Paese) fosse detenuto da soggetti italiani non vi sarebbe più motivo per altri Paesi di interferire con le nostre scelte di bilancio e si potrebbe fare deficit e debito senza rotture di palle; le meraviglie dell'autarchia! Anzi a quel punto si potrebbe fare 31 e addirittura uscire dall'Euro... Naturalmente ci sarebbe qualche controindicazione: la ricchezza del Paese si trasformerebbe in titoli di Stato, con effetti depressivi sul credito e sugli investimenti; ma la cosa non turba più di tanto i Nostri: con tutte quelle risorse sai che MegaReddito di Cittadinanza e quanti pensionamenti anticipati si potrebbero fare per garantire i redditi..!

Attenzione: tutto ciò non è il prodotto di sostanze allucinogene, ma è stato teorizzato al "Centro Studi della Sovranità Popolare" (vedi il blog Byoblu).

Comunque, al di là delle valutazioni su cosa accadrebbe all'economia del Paese se dovesse mai realizzarsi questa "rinazionalizzazione del Debito Pubblico", resta il fatto che sarebbe molto difficile indurre privati e Banche a prestare i loro soldi allo Stato piuttosto che impiegarli in investimenti più redditizi. Faccio fatica ad immaginare quali promesse potrebbe fare il povero Tria agli Istituti di Credito, ai Fondi, agli stessi privati per convincerli a rimpinzarsi di altri Titoli di Stato dopo aver già realizzato belle perdite con quelli finora detenuti.

In realtà però un metodo c'è per trasformare il risparmio privato in debito pubblico: si chiama Tassa Patrimoniale. Un sistema cui ricorse Giuliano Amato nel 1992, ma allora fu un'operazione di salvataggio dell'economia nazionale e della Lira che impedì all'Italia di uscire da contesto dell'economia europea.

Oggi una patrimoniale servirebbe solo a pagare le sparate elettorali di Salvini e Di Maio.

 

 
 
 

Sorpresa, scandalo: ci stanno dicendo che siamo responsabili di come abbiamo votato..!

Post n°97 pubblicato il 30 Maggio 2018 da claudionegro50
 

 

Session di scandalo per le dichiarazioni del Commissario Europeo al Bilancio, Oettinger, il quale avrebbe detto che "i mercati insegneranno agi italiani a votare nel modo giusto". A parte il fatto che la pubblicazione della registrazione dell'intervista ha dimostrato come il tono non fosse intimidatorio come i media lo hanno diffuso in Italia, e al netto del fatto che chi è in condizioni di influenzare con le proprie parole persone, dinamiche sociali ed economiche dovrebbe pesare attentamente quello che dice (guardate i danni provocati dalle stupidaggini stentoree sbraitate da Salvini e Di Maio), trovo francamente esatta e lapalissiana l'affermazione di Oettinger, ancorchè poco simpatica.

Pensiamoci: qualunque azione in una società complessa e plurale produce effetti anche su chi non ha compiuto l'azione; tanto più se l'azione è un voto che determina le scelte politiche ed economiche di un Paese grande e di peso qual'è l'Italia nell'Unione Europea. Le scelte del Governo provocano effetti su tutte le Banche che hanno prestato soldi allo Stato italiano, su chi ha investito capitali in Italia, su chi ritiene che comprare titoli di stato italiani(cioè prestare soldi all'Italia) sarebbe un buon affare. Se chi ha già comprato titoli di stato vede che i suoi titoli valgono meno, se chi ha investito o vuole investire in Italia si accorge che non è più conveniente, se poi viene evocata la possibilità di un'uscita dall'Euro, con conseguente svalutazione di tutti i capitali investiti da noi, è naturale che tutti costoro cerchino di vendere (al ribasso, se non chi li compera...) gli investimenti italiani e si tengano alla larga da fare nuovi investimenti. E, attenzione, non parliamo di perfidi speculatori stranieri o della finanza giudaica internazionale (che certamente verrà evocata, come fu da Bossi durante la crisi del primo governo Berlusconi), ma di normalissimi investitori italiani: le Banche che hanno in pancia milioni di Titoli di Stato che si svalutano, Fondi di Investimento che amministrano i risparmi di milioni di cittadini...

Non c'è nessun complotto degli gnomi di Zurigo, nessuna trama delle Cancellerie: è semplicemente che se cominci a dire che potresti non onorare il debito pubblico, tutto o in parte, che per pagare i fornitori emetterai dei mini-bond ad hoc, che potresti anche uscire dall'Euro, è chiaro che chiunque ha degli interessi economici in Italia si preoccupa e magari scappa.

E' curioso che ci si indigni perché qualcuno ti ricorda che tutto ciò è provocato dal fatto che i Partiti più votati hanno sostenuto appunto queste tesi: il voto produce effetti, stupirsene è tragicomico! Sembra di sentire l'obiezione: ma allora il voto non è più libero..!

La sgarbata affermazione di Oettinger ha il merito, oltre a quello di ribadire un'ovvietà, di mettere a fuoco il pessimo rapporto che gran parte degli italiani ha con la politica: le elezioni sono l'occasione per sfogare le frustrazioni, proseguire i comizi da bar, vendicarsi di chi sta sulle palle, partecipare ad un grosso gioco sociale. Delle conseguenze del voto non vogliono responsabilità. Probabilmente nessuno di loro affiderebbe a Di Maio o Salvini la gestione dei propri risparmi, ma la gestione del Paese sì. Perchè tanto il Paese è "altro", un dispenser di assistenze, del quale non si sentono responsabili.

Forse anche la vittoria elettorale di forze politiche che propugnano l'incompetenza come valore democratico ha creato qualche perplessità, in giro per l'Europa.

Ma alla fine questa vicenda dimostra quanto ripugni a buona parte degli Italiani il principio di responsabilità delle proprie azioni, come peraltro si può constatare quotidianamente in tutti gli aspetti della vita civile. E questo non è colpa dei Tedeschi...

 

 

 

 

 
 
 

Etichettare di destra il salvini-Di Maio è rassicurante, ma è un errore. La realtà è molto peggio!

Post n°96 pubblicato il 20 Maggio 2018 da claudionegro50
 

 

Non condivido per niente la definizione che Martina e altri dirigenti del PD danno del presunto governo Salvini - Di Maio: "un governo delle destre". E' una reazione pavloviana di una sinistra che attinge al proprio bagaglio tradizionale per indicare come di destra, conservatore, reazionario e magari fascista tutto ciò che le si oppone. O magari è un tentativo, un po' patetico, di far appello allo spirito identitario di un mitico elettorato di sinistra che all'evocare la destra dovrebbe istintivamente mobilitarsi.

Ma al di là dei dubbi circa l'efficacia politica di questo atteggiamento, mi sembra opportuno rilevare che è proprio sbagliata la definizione di "Destra" per il governo Lega - M5S. Paradossalmente è un governo che, almeno nelle sue intenzioni, è orientato ad obiettivi che, ahimè, appartengono in gran parte all'armamentario tradizionale della sinistra.

Non è che voglia provocare i miei amici della sinistra - sinistra, né stupire con effetti speciali. Ma basta leggere il "Contratto" per rendersene conto.


Cominciamo da una chicca che neppure il miglior Vendola o Emiliano nei suoi contorcimenti è mai riuscito a partorire:

"Con riferimento all'ILVA, ci impegniamo, dopo più di trent'anni, a con-

cretizzare i criteri di salvaguardia ambientale, secondo i migliori stan-

dard mondiali a tutela della salute dei cittadini del comprensorio di Ta-

ranto, proteggendo i livelli occupazionali e promuovendo lo sviluppo

industriale del Sud, attraverso un programma di riconversione eco-

nomica basato sulla progressiva chiusura delle fonti inquinanti, per le

quali è necessario provvedere alla bonifica, sullo sviluppo della Green

Economy e delle energie rinnovabili e sull'economia circolare".

Aria fritta, come nella tradizione della sinistra "vera" che quando non riesce a mettere assieme produzione e ambiente brancola nelle subordinate.

Poi: una bella Banca nazionalizzata (nella fattispecie MPS) che obbedisca al Governo (si sente l'eco telefonico del povero Fassino che si meravigliava: "ma allora abbiamo una banca anche noi..?"). Ma non si dimentica il popolo vessato dai banchieri, ed ecco che anche i piccoli azionisti diventano "risparmiatori espropriati". Non si capisce perché no i piccoli azionisti di una qualunque spa vada a rotoli... Ma l'avversione all'idea stessa di capitale di rischio fa capolino in questa immagine che ci parla dell'esigenza di tornare ad un mondo dove il lavoratore lavora e il capitalista mette il capitale. Il lavoratore che volesse, nel suo piccolo, investire in capitale, sarà certamente vittima del pescecane... Appartiene al bagaglio storico della Sinistra l'insofferenza per i vincoli monetari, che nel Contratto prende la forma dei "minibond" per pagare i fornitori della Pubblica Amministrazione e occhieggia qua e là nelle strizzatine d'occhio a fantasie di sterilizzazione del debito (o di parte di esso) e/o rinegoziazione dei vincoli del fiscal compact.

Lavoro: la figura mitica dell'Ufficio di Collocamento (oggi CPI, rigorosamente pubblico) è al centro. Soldi e personale per potenziarli. Tutto quanto scoperto negli ultimi 20 anni circa le Politiche Attive del Lavoro è cancellato, poichè, ohibò, si corre il rischio di dare spazio all'iniziativa privata nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, incubo da sempre delle Regioni amministrate dalla Sinistra! Poi: mettere mano al Jobs Act perché ha favorito la precarietà. Tesi del tutto infondata, ameno che si voglia alludere al ripristino dell'art.18, caro al cuore di LeU e di tutto ciò che gli sta a sinistra. Anche lo stop alla Legge Fornero soddisfa le pretese del Sindacato e di tutto ciò che sta dietro alla sua idea do previdenza sociale (assicurazione sociale o protezione sociale?)

Quanto alla Scuola: bocciata l'alternanza scuola-lavoro e la chiamata diretta degli insegnanti da parte dei Presidi, come preteso dai Sindacati.

Un altro punto sul quale il Contratto è curiosamente in sintonia con la "Sinistra per la Costituzione" è quello che riguarda, vedi un po', appunto la Riforma Costituzionale: diminuire i Deputati a 400 e i Senatori a 200, ma "resterebbe ferma l'elezione diretta a suffragio universale da parte del popolo per entrambi i rami del Parlamento senza comprometterne le funzioni". Aveva ragione D'Alema: in pochi mesi la riforma costituzionale si poteva fare, pur di abbattere quella di Renzi...

E le grandi infrastrutture? Dei gasdotto e rigasificatori neanche si parla, per la gioia di Emiliano, della TAV Torino-Lione si dice che va ricontrattata, ma Di Maio ha già chiarito che non si fa più. Contenti anche I Centri Sociali..! E per una ancora maggior gioia di Emiliano Di Maio fa un po' di chiarezza circa il sibillino paragrafo sull'ILVA: si chiude, poche storie..!

Infine la Giustizia: per riguardo ai Magistrati non si affronta la questione della separazione dei ruoli, si preannuncia un po' di guerra alla prescrizione, si ridisegna il conflitto di interessi in modo tanto vago quanto adattabile a seconda delle esigenze. E con questo anche la Sinistra Giustizialista sarà contenta!

Del resto, se nel PD in molti erano pronti a sostenere un governo Di Maio non era soltanto per calcolo tattico o opportunismo ministerialista, ma probabilmente anche perché intravedevano una qualche convergenza nei programmi con i 5Stelle...


Ovvio che nel Contratto ci stanno anche cose distanti dalla Sinistra (flat tax, condono fiscale, vaccini non obbligatori, giro di vite a parole sui migranti...) ma l'etichetta di "destra" sta proprio stretta a questo programma. E' molto peggio! Etichettarlo come "destra" risponde ad una pulsione arcaica di una sinistra incapace di leggere e riclassificare le nuove realtà, esattamente come quella, ancora recentemente sollecitata da Prodi, di identificare la constituency del PD con un non ben precisato mondo di "ultimi", "esclusi", "perdenti", "deboli". La società italiana non si articola più per classi né è il Bangla Desh dove il problema centrale è la povertà. Sul terreno dell'arcaismo sociale, della paura del nuovo, della conservazione di protezioni e benefici più o meno grandi, i populisti sono assai meglio attrezzati di noi!

Il confine destra/sinistra ai tempi di Gaber era ridicolo, ai tempi di Moretti grottesco, oggi un morto che minaccia di trascinare i vivi.

 

 

 

 

 

 
 
 

La Costituzione o un Governo IKEA?

Post n°95 pubblicato il 17 Maggio 2018 da claudionegro50
 

 

Il “Contratto di Governo” richiederà una disanima puntuale, anche per evitare banalità e pregiudizi. Ma qualche aspetto importante dal punto di vista politico e della visione istituzionale, attinente quindi alla ragione al modo di essere dello Stato, mi sembra significativo fin d’ora.

Potrebbe sembrare buffo o insolito tradurre un normalissimo accordo di governo in un “contratto”. Non per l’implicito significato vincolante dell’accordo (in Germania da sempre i governi di coalizione si basano su un programma condiviso e vincolante) ma per le modalità attraverso le quali si realizza: un contratto tra soggetti privati depositato presso un notaio, che contempla addirittura una sede di conciliazione delle controversie. E’ ovvio pensare che questo approccio derivi dalla cultura istituzionale dei 5 Stelle, ossia da quella della Casaleggio Associati, incapace di pensare altra forma relazionale che quella del diritto societario, come peraltro ben si comprende se si considerano i vincoli che legano alla Casaleggio gli eletti del Movimento, che alla fine alla Casaleggio rispondono sotto pena di sanzioni pecuniarie e le prerogative della Casaleggio stessa in materia di contrasti politici all’interno del Movimento. Che il Governo della Repubblica sia ridotto ad un contratto tra privati, esigibile secondo le regole del diritto privato, esautora nella sostanza il Parlamento, e fa luce sulla cultura politica di chi lo sottoscrive, incapace di distinguere tra processi politici e attività privata, e portato a sovrapporre la seconda ai primi, considerati corrotti o almeno obsoleti. Occhio: è un approccio al governo della cosa pubblica che, maturato sulle tovaglie di carta della pizzeria o davanti alla birretta del bar, ritiene necessario portare i processi decisionali sempre più fuori dalle istituzioni elettive e sempre più dentro le istituzioni di natura giuridica. Non lo pensano i difensori della Costituzione più bella del mondo, paladini del rigoroso contrappeso tra poteri e istituzioni?

I cittadini elettori devono poter eleggere chi li governa, strillavano gli autori del Contratto prima delle elezioni (e dopo aver affossato col voto referendario la possibilità di una legge elettorale che effettivamente lo consentisse). Solo che adesso chi ci governerà è un mistero custodito gelosamente tra due persone. Alla faccia del basta agli accordi stretti in stanze oscure, della trasparenza, dello streaming!

Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile” recita l’art. 95 della bellissima Costituzione. In sostanza: l’elettorato non sceglie affatto chi ci governerà; lo scelgono Salvini e Di Maio. E governerà attuando il Contratto. Se cicca, è sempre pronto il Comitato di Conciliazione, o alla peggio arriva Casaleggio.

Si tratta, penso, di “Costituzione Materiale”, come si diceva negli anni passati quando la si voleva eludere senza metterla in discussione. Oppure, mettiamola così: è un Governo Fai Da te. Speriamo ci sia il Follow Me dell'IKEA.

 

 
 
 

L'Italia è una Repubblica fondata sulla protezione?

Post n°94 pubblicato il 04 Aprile 2018 da claudionegro50
 

 

Proviamo a riassumerla così: le elezioni hanno dato metà dei voti, e di fatto il pallino delle decisioni politiche, ai partiti populisti/sovranisti. Hanno massacrato il PD, nonostante sotto il suo governo l'economia sia uscita dalla crisi, l'occupazione sia sensibilmente cresciuta, i conti pubblici abbiano cessato di peggiorare, la pressione fiscale sia scesa in modo non marginale (80€, IMU, deducibilità dei costi dei dipendenti per le tasse sulle imprese, iperammortamento per gli investimenti delle imprese...), si siano per la prima volta dato risposte alle forme di lavoro non tradizionali (partite IVA, smart working), si siano fatte riforme in materia di diritti civili che aspettavano da decenni (unioni civili, testamento di fine vita, legge sul “dopo di noi” per i disabili gravi).

Gli elettori del Sud hanno votato per il Reddito di Cittadinanza, quelli del Nord per la Flat Tax e tutti insieme per l'abolizione della Fornero.

Però hanno votato per il PD Milano, buona parte di Torino e di Roma, Bologna, Firenze, oltre naturalmente alla gran parte delle vecchie regioni “rosse”.

Sarebbe importante cercare di capire il perchè di un voto che pare molto più sociologico e viscerale che politico.


Maurizio Martina ha detto che il PD non ha dato risposta alla richiesta di protezione che da tanta parte della società si levava. A me sembra che quest'affermazione vada ripensata. Quale protezione, e da parte di chi?

Dai “poveri”? Vogliamo identificar questo disagio con la povertà assoluta e relativa che ci illustra l’ISTAT? Si tratta di circa 6 milioni di persone (peraltro in calo rispetto all’anno precedente) pari a poco più o meno del 10% del corpo elettorale. Di queste soltanto una parte aveva precedentemente votato PD e ovviamente soltanto una parte non lo ha più votato (immaginando per facilitare il ragionamento ma soprattutto per mancanza di dati che la percentuale di astensione in questa fascia sia stata equivalente a quella generale). E’ chiaro che la perdita di voti su quest’area non giustifica se non marginalmente la perdita di consensi complessiva del PD.

Forse è da ripensare l’abitudine intellettualmente pigra a considerare naturaliter identificabili con la sinistra i poveri e con la destra i ricchi. Magari perché i poveri non sono più così tanti, e perché non esiste la contrapposizione di classe che in qualche modo richiamava lo schema ricchi-poveri.

Resterebbe da capire per quale motivo i “poveri” non avrebbero apprezzato il REI entusiasmandosi invece per il Reddito di Cittadinanza. Forse perchè nel nome evoca il diritto ad uno “stipendio di stato”, come nell'immaginario della plebe di tutti i tempi?


Chi altro chiedeva protezione? Gli abitanti delle periferie metropolitane in balia degli occupanti abusivi delle case popolari e della malavita spicciola dei quartieri? Siamo stati capaci di dar loro qualcosa di più delle prediche sulla tolleranza e la solidarietà? Perfino a Milano la linea dura è stata sempre accompagnata da palpitazioni e distinguo per non riconoscere che mantenere l’ordine e la legalità non è una cosa “di destra” ma una cosa dovuta, chiunque governi.

Chiedevano protezione le comunità che a torto o a ragione (più spesso a torto) temono un'ondata ingestibile di migranti? Minniti ha dato risposte efficaci, con effetti concreti e non declamatori, ma non siamo stati capaci, per pudore solidaristico, di farne argomento di propaganda sul territorio, e affermare che il Governo del PD ha messo fine all’immigrazione selvaggia.


Come ovvio è chiaro che chiedono protezione pubblici dipendenti ed insegnanti; potrebbero esser identificati con i “disagiati” del terzo millennio, che vedono messe in discussione le proprie garanzie e certezze? Ma, ohibò, costoro sono in massa elettori del PD, che quindi non avrebbe affatto abbandonato i disagiati.


Chiedono protezione gli artigiani e le imprese che non esportano e che vorrebbero un po’ di protezionismo. Le aziende di Servizi Pubblici (per lo più facenti capo ai Comuni) che non vogliono la concorrenza dei grandi gruppi italiani o stranieri.E’ opportuno notare che questo tipo di richiedenti protezione non coincide affatto col profilo della povertà, è diffuso nelle aree più ricche e “provinciali” del Paese ed ha costituito il nocciolo duro del consenso alla Lega.


Ma alla fine la richiesta più importante di protezione è quella che è stata veicolata dai due maggiori partiti populisti: più pensioni, meno tasse, reddito garantito. Questa è la vera richiesta di protezione che la maggioranza del Paese ha chiesto.


Oltre a quella,naturalmente, delle numerose corporazioni politiche, professionali, economiche, amministrative, giudiziarie per le quali è irrinunciabile che il paese non cambi nella sua struttura politica, istituzionale, amministrativa, e che già si erano espresse in tal senso con la battaglia referendaria in difesa dell'immutabilità della Costituzione.


Quando nel PD si recita il mea culpa per non aver ascoltato la richiesta di protezione si riprende quel che a suo tempo aveva sostenuto Bersani: abbiamo rotto col nostro popolo. Chiaro che nella visione di Bersani il nostro popolo è quello che rivuole l'art.18, il ritorno ai buoni vecchi ammortizzatori sociali che garantivano a vita chi sbatteva in problemi occupazionali, meno concorrenza per proteggere imprese e dipendenti, ritorno ad un governo centralizzato delle regole (per esempio sulle aperture festive) e della contrattazione, marginalizzazione dei criteri meritocratici nell'impiego pubblico.

Oppure si allude al bisogno di risposte dei giovani che non riescono ad entrare nel mondo del lavoro? Ma questa non è una richiesta di protezione: è una richiesta di avere strumenti per “fare”. La risposta è sul terreno della alternanza scuola-lavoro, sui servizi all'orientamento dei giovani, sull'apprendistato, sulla qualità della scuola (e magari qui le richieste di protezione degli insegnanti sono conflittuali con gli interessi degli studenti), sulla diffusione degli Istituti Tecnici Superiori, che costituiscono il livello più significativo di collaborazione scuola-impresa. Tutte cose che Renzi e Gentiloni hanno cominciato a fare, nell'ostilità della maggioranza degli insegnanti e attirandosi le contestazioni prefabbricate di molti studenti. Magari ad un diciottenne può sembrare appetibile un bello stipendio pubblico che lo esenta dal fare fatica, lo risarcisce del fatto di avere studiato, lo mette d'accordo col suo insegnante che gli ha spiegato che orientare la formazione al lavoro significa piegare la cultura alle voglie del capitale. Però questa non è richiesta di protezione, ma di assistenza gratuita. Vogliamo dirlo con chiarezza?


O stiamo parlando di chi cerca lavoro e non lo trova? Costoro hanno bisogno di servizi al lavoro, politiche attive che non li lascino soli ma li accompagnino e li orientino nella ricerca di occupazione. Cose che gli ultimi governi hanno iniziato a fare. Siamo ancora indietro? Certo! L'alternativa è la Cassa Integrazione a vita o, per i giovani, il reddito di cittadinanza a vita?


O parliamo degli anziani poveri? Ma chi sono e quanti sono? La statistica ci dice che mediamente gli anziani sono più ricchi dei giovani, e che il dato apparentemente tragico del numero enorme di pensioni esigue non corrisponde ad un numero neanche lontanamente equivalente di persone con redditi insufficienti, perchè la gran parte di queste pensioni povere si assommano ad altre pensioni o ad altri redditi.


Magari stiamo invece parlando di un confuso desiderio di protezione da ciò che cambia, di un oscuro terrore per le cose nuove, di una acuta nostalgia per le cose di una volta. E che si rovescia in un sentire soggettivo che si immagina rivoluzionario perché si ribella a quello che è cambiato ma che in realtà chiede di tornare indietro.


Però se è così va rivisto profondamente il criterio: disagio = richiesta di protezione = mission della sinistra. Intanto perché la richiesta di protezione non viene solo dai disagiati ma anche (e ancor più) da chi vuol proteggere i propri privilegi, grandi e piccoli. Poi perché alcune richieste di protezione causate effettivamente da disagio (ordine pubblico, immigrazione, abusivismo) fanno venire l’orticaria alla sinistra. Infine perché da buona parte della società non viene un’implorazione di protezione ma di strumenti per crescere. Questa è la chiave per capire perché Milano, Firenze, Bologna hanno votato PD: non perché alligni lì un’opinione radical chic e/o politically correct, ma perché lì vivono i ceti che non chiedono di essere protetti dal mercato, ma di essere aiutati a starci dentro; che non temono l’Europa e l’Euro, ma la considerano un’opportunità; che vogliono innovare per concorrere, non essere protetti dalla concorrenza.


Può essere faticoso, ma occorre prendere atto che il crinale che oggi divide la società è quello tra chi respinge la globalizzazione, l’Europa, il mercato e vorrebbe tornare ai modelli economici e sociali che funzionavano così bene nel primo dopoguerra (peraltro esecrati come filocapitalisti e controrivoluzionari da molti di coloro che oggi li vagheggiano) ma che oggi sono impossibili, e chi invece vuole andare avanti, sfruttare tutte le possibilità di una mercato mondiale aperto, cavalcare la quarta rivoluzione industriale, sviluppare i fattori produttivi e non metterli in frigo; e, aggiungo, pensa che essere per l’uguaglianza e le tutele implichi creare ricchezza e distribuirla, non condividere la povertà.

La Storia, bene o male, tra crisi e contorcimenti, è sempre andata avanti. Lo farà anche questa volta, con o senza la sinistra. Sta a noi decidere se vogliamo essere della partita oppure no.

 

 

 

 
 
 

Compromessi e trasformismi

Post n°93 pubblicato il 08 Marzo 2018 da claudionegro50
 

Ho lavorato per molti anni nella politica, e mi rendo perfettamente conto che in un Partito ci sia una pulsione all'autoconservazione, del ruolo istituzionale dei dirigenti, della continuità degli apparati, della salvaguardia anche economica della struttura. E' anche giusto: è parte di ciò che consente a un Partito di essere qualcosa di più di un comitato elettorale e di provare a confrontarsi con la Storia.

Il che implica la capacità del Partito a fare compromessi quando è richiesto dalla sua esistenza stessa, o quando è necessario per svolgere la funzione di governo del Paese. A proposito: il fatto che i gruppi dirigenti degli attuali partiti usino il termine "inciucio" al posto di "compromesso" ci permette di misurare la decadenza, anche sul piano semantico, della cultura politica del Paese.

Ciò premesso, vorrei fare qualche considerazione su due aspetti del recentissimo dibattito post elezioni.


Primo: in un quadro di tripolarismo perfetto, capisco che qualunque soluzione di alleanza non possa essere esclusa a priori, e vada valutata anche sul piano tattico e magari anche dell'interesse del Paese (preoccupazione che a dire la verità mi pare un po' sfumare oltre la linea dell'orizzonte). Ma ci deve essere un criterio almeno un po' oggettivo per valutare se vale la pena o no. Nell'ipotesi di un qualche accordo PD - 5Stelle sarebbe bene metterlo a fuoco: la Presidenza di una Camera? Qualche Ministro? Posti importanti di sottogoverno? Perchè no? Anche attraverso queste cose passano gli equilibri politici che poi determinano le scelte concrete. Ma in cambio di che? L'abrogazione della Legge Fornero? L'abrogazione del Jobs Act? L'istituzione del Reddito di Cittadinanza? Ci sono dei provvedimenti che hanno segnato la strategia di governo del PD, universalmente conosciuti (e fuori dai Bar dello Sport anche apprezzati) che non possono essere negoziati, se non si vuole rimettere in discussione la scelta strategica riformista che è il brand del PD. Brand spendibile anche nei prossimi anni, se non viene svenduto. Magari su questioni come queste è meglio tenere il punto, anche perché la politica non finisce con queste elezioni.


Secondo: vedo un infervoramento nei media che fanno capo ai salotti dei media e della finanza in favore del dare un'opportunità ai 5 Stelle, e un implicito appello al PD a consentirlo. Dopo avere speso chilometri di editoriali contro il populismo e la spesa pubblica, i congiuntivi di Di Maio e l'impresentabilità di Salvini, ora diventano pensosi interpreti dell'esigenza di confrontarsi coi 5 Stelle o addirittura entusiasti scopritori del ruolo di "nuova sinistra" per Grillo (aveva ragione De Benedetti...). Capisco Confindustria, che non è un partito e deve pure campare, e in fondo si limita a dire che si tratta di partiti democraticamente eletti, il che è vero. Mi rendo conto che per gli imprenditori sarebbe un guaio enorme sia l'abrogazione delle leggi sul lavoro sia nuove elezioni tra qualche mese, proprio mentre la ripresa cresce.

Ma esiste un compromesso che contempli il mantenimento del Jobs Act e della Fornero, la rinuncia al reddito di cittadinanza e alla lotta all'Euro in cambio della distribuzione di contropartite politiche? Se qualcuno ce l'ha venga fuori, altrimenti è meglio che ciascuno si assuma le proprie responsabilità di fronte ai cittadini, all'Unione Europea, ai Mercati. Ne parliamo tra qualche anno (o tra qualche mese...).

 

 
 
 

La pensione rapita..?

Post n°92 pubblicato il 23 Novembre 2017 da claudionegro50
 


Finalmente! Si sentiva la mancanza del richiamo alla lotta, del conflitto sociale, del ruggito delle masse. Sarà anche per il pathos del centenario della Grande Rivoluzione che finalmente la più grande organizzazione del proletariato (la CGIL) ha scelto di rompere la tregua con il Comitato d'Affari della borghesia (il Governo) e chiamare alla lotta, gli oppressi, gli sfruttati, coloro che nulla hanno da perdere se non le proprie catene (ossia i 5 mesi di lavoro in più per andare in pensione).


Tutto questo è legittimo: se sia necessario,opportuno o ridicolo lo dirà il giudizio della gente (non della Storia, perché di questa lotta annunciata tra qualche mese si sarà persa la memoria).

Ma qualche considerazione mi pare necessaria.


Innanzitutto: sembra che si stia parlando della cancellazione di un diritto fondamentale per la vita stessa dei lavoratori. Attenzione: non stiamo parlando di perdere il lavoro, ma di lavorare 5 mesi in più per andare in pensione. Non del diritto alla pensione o del suo ammontare. Senza contare che nella proposta del governo numerose sarebbero le eccezioni, sulla base della gravosità dei lavori svolti. Ma davvero il vulnus è così grave ed insanabile da dover chiamare alla lotta?

E' chiaro che non è così: né i diritti fondamentali né le condizioni di vita sono messe in discussione. A dire le verità trovo difficile comprendere l'accanimento dei sindacati per una questione che ha un impatto concreto del tutto marginale per i lavoratori, e nell'orizzonte di 4-5 anni, per un numero molto limitato di loro. Così come l'affannarsi del Governo ad offrire limature del provvedimento. Abbiamo rischiato una bella guerra per qualche mese avanti e indietro per qualche migliaia di pensionandi. Manco la Secchia Rapita..!

Buffa poi l'argomentazione insinuata, che sa vagamente di scie chimiche, per cui non è attendibile la statistica sull'aspettativa di vita: sembra quasi che sotto sotto alligni una vaga speranza che la speranza di vita diminuisca!

C'è da rallegrarsi che la maggioranza dei Sindacati non abbia spinto fino in fondo il ricatto dello stato di agitazione in pieno periodo elettorale, e che il Governo abbia scelto di non ripetere la capitolazione accettata per i Voucher!


Ma la scelta di lotta della CGIL, è evidentemente non tanto per i 5 mesi e relative limature, quanto per la questione di fondo (il problema è sempre a monte, nella storia culturale della sinistra). La questione di fondo è relativa al fatto che saranno 5 mesi in più nel 2019, ma poi ce ne saranno verosimilmente altri alle successive verifiche statistiche circa l'aspettativa di vita.

Si tratta di un meccanismo finalizzato a tenere in equilibrio entrate contributive e uscite per pensioni: se vivi più a lungo dovrai versare più contributi, quindi lavorare più a lungo, per pagarti una pensione che durerà più tempo. L'alternativa è che i giovani versino più contributi (per pagare la pensione e te, non a loro stessi).

Ma è proprio questo "determinismo" che a molta sinistra ripugna. Il fatto, cioè, che le vicende della previdenza debbano tenere conto più della statistica che della volontà politica; e che pertanto la pensione tenda ad assomigliare più ad un'assicurazione sociale che ad uno strumento di welfare erogato dallo Stato con criteri egualitari e risarcitori.


La CGIL non riesce ad accettare il fatto che se la gente vive di più deve lavorare di più per pagarsi la pensione. Ma se invece diciamo "per avere la pensione" allora entriamo in un ambito in cui la pensione è un risarcimento per il lavoro. E allora è comprensibile che si rivendichi per il "risarcimento" un criterio politico e non oggettivo. Però siccome nessun pasto è gratis, l'indulgenza ai pur comprensibili desideri di chi andrà in pensione nei prossimi anni verrà pagata da qualcun altro. Ma evidentemente è un problema del domani, non dell'oggi ("ci penserò domani: domani è un altro giorno!") E la CGIL si mette a posto la coscienza rivendicando garanzie previdenziali per i giovani per i tempi a venire. Ai quali, par di capire, si garantirà anche il lavoro tramite la sostanziale cancellazione dei contratti a termine e la resurrezione dell'art.18.


Sostiene Folli su Repubblica che questo sussulto insurrezionale ha soprattutto una spiegazione tattica: preparare un terreno comune tra sinistra-sinistra e CGIL in funzione delle elezioni. Certamente sortirà questo effetto, ma testimonia anche di una barriera culturale che divide sempre più in due campi quella che fu la sinistra. E che rende sempre più simile ad un vaniloquio anacronistico parlare di una "sinistra che deve riunificarsi".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Grazie a Gori che sa distinguere tra politica e guerra civile

Post n°91 pubblicato il 11 Agosto 2017 da claudionegro50
 


Come Gori, neanch'io ho mai votato Formigoni. Anzi, mi sono rassegnato nel corso degli anni a votare candidati di centro sinistra che erano improponibili. L'unico buono lo abbiamo liquidato al primo frusciar di toghe. Ciò detto penso che sia possibile dare un giudizio sull'Amministratore Formigoni che non sia propaganda o parodia.

Io nelle cinque legislature in cui Formigoni ha governato la Lombardia ero nella Segreteria Regionale della UIL, e avevo in particolare la delega ai rapporti con il Governo Regionale. Ricordo che Formigoni aprì da subito, in oggettivo contrasto con gli orientamenti del centro destra nazionale, al coinvolgimento e responsabilizzazione delle Parti Sociali nelle scelte di governo. Nel 1998 viene siglato il Patto per lo Sviluppo dell'Economia e del Lavoro in Lombardia, col quale Regioni e Parti Sociali si impegnavano a procedure nei fatti concertative (Confronto Preventivo e Confronto per Accordi) sulle principali scelte di governo della Regione. Più o meno contemporanea la Riforma della Sanità, concordata con le Organizzazioni Sindacali, che introduceva il principio della parità tra strutture pubbliche e private e la separazione tra gestione delle strutture e pagamento dei servizi: assetto che, senza penalizzare il pbblico, ha permesso alla sanità lombarda di raggiungere livelli di eccellenza. Allo stesso modello di sostegno alla domanda anziché all'offerta han fatto riferimento le riforme del sistema di istruzione-formazione e l'istituzione (prima Regione in Italia, e in grande anticipo sul Jobs Act) di Politiche Attive del Lavoro. Fortemente concordate con le Parti Sociali queste riforme finanziano la domanda degli utenti tramite un sistema di "doti" anziché finanziare l'offerta degli operatori, cui anzi viene sottratta una condizione di semi monopolio in favore di un autentico regime di concorrenza regolato dal sistema di accreditamento degli operatori pubblici e privati.

E' un modello al quale, esplicitamente, ancora si richiama l'ANPAL nel progettare i servizi all'impiego.

Negli stessi anni è stato, nel confronto con le Parti Sociali e gli Enti Locali, prima istituito il Servizio Ferroviario Regionale, poi la riforma del 2012 sul Trasporto Pubblico Locale.

L'attuazione delle Leggi Bassanini (l'unica cosa concreta che si sia fatta in materia di decentramento nonostante la Lega abbia governato il Paese per tre legislature) è stata concordata passo passo con le Parti Sociali all'interno dei meccanismi del Patto per lo Sviluppo.

San Formigoni? Magari no! Su molte cose ha dimostrato di esser più uomo di parte che di governo: penso a tutta la partita dei Diritti Civili, dove risorse e poteri della Regione sono stati impiegati per contrastare normative nazionali per motivi puramente ideologici. Penso a un sistema che ha consentito alla Compagnia delle Opere di giocare un ruolo pervasivo nell'economia lombarda (in realtà nulla di peggio di quanto la sinistra abbia consentito alla LegaCoop in Emilia, ma anche quello mi sembra un errore). Non è stato disponibile ad inserire nel nuovo Statuto Regionale un istituto di consultazione delle Parti Sociali, col risultato che, passati quasi 10 anni dal Patto per lo Sviluppo, il rapporto con le Parti Sociali è diventato un orpello ornamentale incapace di produrre risultati. Non è stato in grado di dar vita, nonostante le forti richieste dei Sindacati, ad un Fondo organico per la non autosufficienza e a un Fondo Previdenziale Integrativo per i lavoratori non coperti da Fondi Contrattuali. Non si è mai molto interessato ai lavoratori autonomi "economicamente dipendenti".

Ciò detto, son convinto che il giudizio su una persona che ha governato la Regione per 18 anni debba distinguere tra ciò che ha prodotto come amministratore e le cretinate che può avere fatto nel suo interesse privato.

E mi pare che sia ciò che Gori ha tentato di fare, sfidando quella cultura per cui è sempre molto sospetto distinguere tra battaglia politica e guerra civile, l'avversario deve sempre finire a Piazzale Loreto o nelle Patrie Galere, la damnatio memoriae deve sempre cancellare il ricordo di ciò che è realmente accaduto. Perchè alla fine è molto più facile linciare una persona che discutere le sue opere e le sue idee.

Grazie a Gori per aver affermato un principio di civiltà e di buona politica: ho speranza che stavolta mi sarà risparmiata la vergogna di sentire il mio candidato evocare il paragone, richiamato nel corso del Comizio in Piazza Duomo domenica 17 febbraio 2013, tra una vittoria elettorale del centro sinistra e la Liberazione...

 

 
 
 

"INSIEME" ossia Arsenico e Vecchi Merletti

Post n°90 pubblicato il 04 Luglio 2017 da claudionegro50
 

La proposta di coloro che si sono radunati sabato scorso a piazza SS. Apostoli è efficacemente e sinceramente declinata nel titolo dell'iniziativa: INSIEME. Presta il fianco ovviamente a ironie (ma insieme a chi..?) e celie (chi non ricorda gli "insieme" invocati da Romano Prodi, coi toni solleciti e amabili di un Cardinale di Curia, ai tempi dell'Unione?), scetticismi: già Fratoianni e Montanari si sono chiamati fuori; è uno dei paradossi storici della gauche minoritaria: al massimo dell'invocazione unitaria corrisponde il massimo della faziosità e dell'intransigenza ("unità unità fuori chi non ci sta" declamava una volta ogni gruppuscolo intimando agli altri gruppuscoli di unificarsi ai suoi ordini...).

Ma sarebbe riduttivo e sbagliato derubricare SS. Apostoli a incontro di combattenti e reduci, anche se i volti e l'atmosfera facevano molto "the way we were". Intanto perché parliamo certamente di una minoranza, ma di una minoranza non insignificante: se tutti gli Apostolini si mettono assieme alle elezioni possono stare attorno a 5% (Berlinguer si rigirerà nella tomba, Togliatti si sarebbe suicidato, io che ero dello PSIUP me la godo...). In secondo luogo perché quel che è stato messo in scena ai SS.Apostoli è una rappresentazione di ciò che la sinistra pensa di se stessa, e di quella che considera la sua missione in questo momento di cambio epocale (crisi economica, quarta rivoluzione industriale, lotta tra sovranismo e globalizzazione, ecc.). Mettiamola così: la Sinistra crede che per far fronte a tutto ciò occorra riunire la Sinistra. Ricompattare tutte le Sinistre delle diverse diaspore, delle diverse sensibilità politiche, civiche ed estetiche. L'attenzione è tutta puntata sul mettere insieme i soggetti sparpagliati, molto più che sul cosa fare. C'è un po' una sorta di attesa messianica, quasi che il risorgere della mitica "Sinistra" potesse riportare indietro l'orologio della storia, ad un'era dell'oro di cui si sono perse le tracce. Il contenitore prevale largamente sul contenuto. E del resto ciò è nel codice genetico di una sinistra che adora separarsi e riunificarsi sulla base di scontri e intese dottrinarie, i cui protagonisti sono gruppi organizzati, piccoli o grandi, sigle che misurano la realtà in base alle distanze o alle contiguità che riscontrano tra di loro.

E comunque risponde ad un'esigenza che ha una sua dignità: mantenere in vita una cultura che è stata un motore del 20° secolo, nel bene e nel male.

Ma se diciamo agli Apostolini che apprezziamo il loro impegno museale si impenneranno, e ci spiegheranno che la loro Nuova Sinistra nasce (mah..?) per un programma ben preciso sui contenuti. Non è vero: ai primi posti del "programma" ci stanno tutta una serie di affermazioni di identità e di schieramento: coalizione di sinistra, no a intese con Forza Italia, via Renzi, viva Corbyn. Solo dopo arrivano i "contenuti", in verità più riconducibili a slogan che a proposte di governo; essi derivano da una percezione luttuosa della realtà del Paese: le dichiarazioni di Speranza ricordano le affermazioni delle Agenzie sovietiche che denunciavano le miserabili condizioni di vita negli USA, o quelle dell'Unità che in pieno miracolo economico predicevano la disoccupazione di massa e la fame. Ma quando poi andiamo sul concreto le proposte indicano ben chiaro la direzione di marcia: TORNARE INDIETRO, su Articolo 18, Jobs Act, Buona Scuola, IMU, taglio della fiscalità, riforma della Pubblica Amministrazione, riforma Fornero. E' la coerente prosecuzione della battaglia contro la riforma istituzionale culminata nel Referendum.

E' la Sinistra che anche quando invoca le riforme inorridisce quando le riforme si fanno davvero. Alla fine, se vai a vedere bene, le "riforme" che ogni tanto invoca consistono nell'istituzionalizzazione di (vecchie) rivendicazioni massimaliste: rigidità nel Mercato del Lavoro (difesa della job property; centralizzazione della definizione delle retribuzioni); divieto di qualunque contratto "precario"; patrimoniale e qualunque manovra fiscale sia funzionale al tax and spend; recuperare un ruolo pianificatore allo Stato in economia (basta privatizzazioni, nazionalizziamo le imprese che non ce la fanno); limitare la globalizzazione là dove possibile, per esempio sul piano del commercio internazionale: e infatti non vota il CETA, con un riflesso condizionato che ci riporta ai bei tempi in cui il PCI diffidava dell'istituzione della Comunità Europea.

INSIEME è (se mai esisterà) un'operazione di autoidentificazione culturale, nella quale paradossalmente confluiranno (forse) personaggi e tradizioni politiche dell'ultima diaspora della sinistra. Tra qualche anno una curiosità storica, come il Partito Carlista in Spagna o il Partito Comunista degli USA. Ma per adesso una presenza concreta e ingombrante: il Partito di chi vuole la Sinistra "come eravamo" contro chi vuole una Sinistra capace di governare la quarta rivoluzione industriale, la globalizzazione, i bisogni di chi è fuori dai recinti di tutela tradizionali, una società fluida destinata a travolgere le rigidità che la vecchia Sinistra le oppone.

Non potrà vincere, ma potrà impedire alla nuova Sinistra di vincere: del resto condannare il Paese a un'avventura cos'è, rispetto ad aver rivendicato e testimoniato la continuità di un'identità condivisa da tante e tante persone?

Ma in fondo potrebbe essere giusto che vada così: i D'Alema & co hanno diritto a un pase de adios prima di scomparire dietro le dune della storia. Il loro ultimo contributo sarà aver affossato l'ennesimo tentativo riformista, dopo i fasti del rifiuto del PcdI ad un fronte comune antifascista, della lotta senza tregua al centro-sinistra, l'esecuzione sommaria di Craxi.

E' possibile che, come sempre, la Sinistra-Sinistra ci faccia perdere un giro. La Storia e gli elettori giudicheranno.

Ma almeno potrebbe essere l'ultima volta. Mi accontenterei..!

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Lo Stato garantisce la sicurezza ai cittadini. O no..?

Post n°89 pubblicato il 22 Giugno 2017 da claudionegro50
 

Populismi o meno, qualche riflessione sullo Stato e sul suo rapporto concreto, reale, percepito (termine che in linea generale non uso, ma che stavolta un senso ce l’ha) con la gente concreta e reale è opportuna farla.Mi ha indotto a cominciare a pensarci la recentissima hit parade di episodi di stalking denunciati (“denunciate, denunciate” dicevano le Forze dell’Ordine, la Magistratura, il Governo…) senza che la denuncia abbia sortito il minimo effetto, e che si sono conclusi tragicamente per il (di solito “la”) denunciante. Non faccio l’elenco: chiunque legga i giornali o guardi la TV lo conosce benissimo.C’è poco da dibattere: lo Stato nelle sue diverse articolazioni non è quasi mai riuscito a proteggere i cittadini che (peraltro su sua esplicita sollecitazione) gli chiedevano protezione. Per sottovalutazione, sciatteria, incapacità, mancanza di risorse: a chi ci ha lasciato la pelle, e a chi pensa di correre lo stesso rischio, poco importa. Quando finisce male lo Stato e le sue articolazioni chiedono scusa: responsabili comunque non ce ne sono, e se per (raro) caso vengono individuati pagano solo il prezzo di una severa riprovazione e (se proprio va male) di una carriera rovinata (i PM recentemente condannati per un episodio di questo tipo pagheranno una pena pecuniaria soltanto se e quando lo Stato, che intanto paga lui, deciderà di rivalersi su di loro).Ma attenzione: a nessuno venga in mente che se lo Stato non protegge i cittadini questi possano prendere in considerazione l’ipotesi estrema di proteggersi da soli! Questo lo Stato non lo può tollerare. Il cittadino che si vede archiviata senza che nessuna protezione gli venga concessa una denuncia per stalking deve rassegnarsi. Ma chi si difende da un’aggressione deve sapere che lo Stato scatterà subito, lo rigirerà come un calzino (© Piercamillo Davigo), per verificare se per caso il cattivo cittadino non abbia usurpato l’esclusiva dello Stato nel difendere i cittadini. E, naturalmente, al cittadino non verrà consentito di cavarsela chiedendo scusa, come consentito allo Stato. Dice: ma buona parte dei casi di supposta legittima difesa si concludono favorevolmente per l’imputato. Ma quando lo Stato manca al suo dovere di difendere il cittadino c’è non c’è nessun “imputato”. L’autodifesa è di default una violazione, salvo prova contraria; il mancato rispetto dello Stato dei suoi doveri un “deprecabile errore”.Ho magari calcato un po’ i toni per rendere più visibile (tinte forti…) la contraddizione di cui sto parlando: uno Stato che rivendica (come da copione) il monopolio della sicurezza e, dove necessario, della risposta violenta e non è capace di farlo, finisce per accanirsi più contro chi viola questo monopolio che contro chi viola il diritto alla sicurezza.Questa realtà, più o meno strillata dai media e dai social, non è però relegabile alle fake news proprio in virtù dei numerosi e conosciuti riscontri.Io penso che una riflessione sul sistema della sicurezza-giustizia e del modo in cui si declina in relazione alla realtà concreta della società italiana vada sviluppato. Magari tornando (per carità, per un semplice esercizio intellettuale) alle fonti del Contratto Sociale...

 
 
 

Il Fantasma del Voucher: un thriller terrificante!

Post n°88 pubblicato il 05 Giugno 2017 da claudionegro50
 

 

 

 

La CGIL fa l'offesa per i nuovo provvedimento sul lavoro occasionale ma non si capisce perché. Il suo problema era affermare che il lavoro occasionale è a mala pena tollerabile in ambito familiare, ed escluso in ambito d'impresa. L'abrogazione del Voucher è stato un trionfo. Certo, l'abrogazione è stata una scelta strumentale per evitare un referendum pericoloso (non per l'argomento in sé, ma per il contesto politico in cui si sarebbe inserito, come la CGIL sapeva perfettamente); del resto anche la CGIL sapeva benissimo che l'argomento del referendum era strumentale, e l'obiettivo era dare un'altra botta a Renzi.

Siccome però l'economia reale non è commissariabile dalla CGIL (quanta nostalgia per il Gosplan..!) il Governo ha ritenuto (giustamente) necessario introdurre qualche norma per regolare e tutelare il lavoro occasionale.

Ma, se io fossi la CGIL, prenderei realisticamente atto con soddisfazione che:

  • i tetti di reddito percepito per il lavoratore sono stati ridotti (5.000€)

  • il tetto spendibile per ogni utilizzatore viene ridotto a 5.000€

  • il massimo percepibile dal lavoratore per ogni utilizzatore viene ridotto a 2.500€

  • le aziende con più di 5 dipendenti non possono più fare ricorso al lavoro occasionale (o alle sue forme legittime...)

  • aziende sotto i 5 dipendenti e famiglie potranno utilizzarlo ma solo passando attraverso un portale INPS, pagando a parte i contributi alla Gestione Separata INPS e all'INAIL. Prima, attraverso l'acquisto del Voucher, questo obbligo era automaticamente assolto. Adesso occorrerà il commercialista. E vai, un po' di adempimenti burocratici in più..!

  • Last but not least: niet voucher per le imprese over 5. Si era proposto: vietiamolo per i lavoratori che sono sotto contratto con l'azienda utilizzatrice... Troppo poco! Almeno leviamo i vincoli di età al contratto a chiamata... Jamais!


Eppure la CGIL è insoddisfatta e annuncia il ricorso alla Corte Costituzionale (una specie di TAR del Lazio dei ricchi..?), D'Alema e gli altri puffi a sinistra del PD minacciano la crisi di governo (ma dopo aver dichiarato che avrebbero fatto scudo col loro corpo al governo Gentiloni non è un argomento un po' esile quello dei voucher per mandarlo a casa?)

Due considerazioni: primo, l'abbattimento dei tetti di utilizzo e le limitazioni all'uso dei voucher per le aziende erano già ampiamente proposti ed applicabili senza bisogno di sopprimere l'imputato. In sostanza, come più volte detto, si poteva intervenire con correttivi sugli utilizzi distorti del voucher senza bisogno di abolirlo. Secondo, e più problematico: è proprio il concetto di "occasionale" che fa venire la dermatite a Camusso e Speranza. Nella poderosa visione della politica che piega l'economia alla propria demiurgica volontà non c'è posto per ciò che non sia stato consapevolmente programmato: da qui l'esigenza di vincoli strettissimi, complicati e costosi e di un controllo occhiuto che la vita reale non prenda iniziative autonome.

Ma, e insisto, se l'obiettivo era di rendere indigeribile il lavoro occasionale, è stato sostanzialmente raggiunto. Certo, le famiglie e (con qualche difficoltà in più) le aziende prenderanno una vecchia e conosciuta scorciatoia: il lavoro nero. Ahimè, la vita reale si riprenderà le sue iniziative, ma almeno la dermatite di Speranza e Camusso sarà debellata.

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 

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