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L'onda è il mare

Viaggio del cuore e della mente

 

 

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Pagine di diario

Post n°82 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da coluci
 

Quando l'Altro mi è estraneo


«Il vivere mi inorridisce
e affascina
siamo minimi microbi
in bilico distratto
tra disperazione e presunzione».

Danilo Dolci

Una confidenza: quando anni fa discussi la tesi in filosofia teoretica mi fu negata la lode motivando il diniego per la sprovvedutezza nell'aver contestato la posizione dell'intoccabile S. Tommaso attorno ai tre trascendentali. Sostenevo infatti che è sostanziale all'Essere anche l'ALTERITÀ oltre all'Unità, Verità, Bontà (Bellezza). Ed oggi ne sono ancora più convinto. Questione di lana caprina? Per nulla, perché il pensiero (anche filosofico) ha ricadute sul nostro vivere quotidiano, sui rapporti personali più di quanto possiamo pensare, anche se non sempre ne siamo lucidamente consapevoli. Riflettere in proprio e in semplicità non fa male, forse, a volte, confonde, ma meglio essere mossi da interrogativi che rimanere beati nell'apatia, nella ripetitività e nel consueto e stereotipato.
E per questo continuo la mia chiacchierata (sinteticissima e lacunosa) attorno alla ricerca del "chi siamo".

All'inizio di queste mie riflessioni scrivevo che "non solo il re è nudo (il modello di sistema), ma anche la nostra convivenza è nuda", cioè la relazionalità è malata. Per questo trovo fondamentale interrogarmi sul senso del mio "esserci con e tra... Altri".
L'uomo nel suo essere cosmo, terra, cielo è "essere in relazione", essere aperto al Mondo e sul Mondo.
Nel suo essere Parte del Tutto si sfila l'Alterità, una determinazione cui non si può sfuggire, come strumentisti in un'orchestra. Siamo costituzionalmente Relazione, siamo "fitta trama di rapporti" (Buber). Alterità è più che un concetto astratto o una parola: l'Altra/o è un essere in carne e ossa, una mente e un cuore che vibrano, luogo di emozioni e sentimenti, di ansie, di gioie e sofferenze, di tensioni ideali e di scelte concrete, vissuto... l'Altro è anche organismo (Terra e Cielo) che coesiste con me, domicilio del mio generarmi e svilupparmi.
Siamo esseri coscienti, liberi e con una duplice possibilità,
quella di negare ciò che siamo o evolverci in ciò che siamo: chiuderci alla relazione o aprirci alla relazione. Comincio dalla prima.

Mi chiudo alla relazione quando nego ciò che è "al di fuori" di me, cose e soggetti (persone), rinserrandomi nel mio individualismo, egocentrismo, egolatria: l'altro non esiste perché lo rifiuto o mi è indifferente, non è importante per me. Aristotele scriveva: "chi non ha bisogno di nulla, bastando a se stesso, non è parte di una città, ma è una belva o un dio". La crisi che stiamo vivendo dal punto di vista antropologico, sociologico, politico, economico ci dà motivi non irrilevanti per sottoscrivere questa affermazione.
L'individualità, che non può che costruirsi nell'abbraccio con l'alterità (Io-Tu), è infettata dal virus malefico dell'
individualismo, la correlazione-integrazione (Io-Esso) con l'ambiente è infettata dal virus malefico della manipolazione strumentale: tutto è "cosificato", funzionale all'interesse utilitaristico. La negazione dell'Alterità.
L'altra faccia della medaglia è un sentimento diffuso di SOLITUDINE, "malattia dell'esistere": una situazione concreta, tragica che invade il cuore di persone, giovani e meno giovani. Non bastiamo a noi stessi. La solitudine che separa, che esclude è condanna di esistere, come abbiamo testimonianza anche nella poetica leopardiana, intrisa di pessimismo esistenziale.

Se la vita è sventura, perché da noi si dura? [...]
Questo io conosco e sento,
che degli eterni giri,
che dell'esser mio frale,
qualche bene o contento
avrà fors'altri; a me la vita è male.

(Canto notturno di un pastore errante dell'Asia)

 
Il vivere con gli altri, quando l'Altro è il grande sconosciuto o la nostra condanna, sarà un "vivere - per - la morte" (Heidegger). L'Altro: esito di morte per me.
L'attivismo che contraddistingue l'agitarsi attuale e il dimenarsi convulso (spesso senza senso) in una società mai doma di rincorrersi non è forse tentativo di fuga dall'Altro, perché l'Altro è minaccia, imbarazzo, ci interroga, ci disagia, provoca la nostra Soggettività? Al massimo, ci si sfiora per paura di toccarsi (contaminarsi umanamente).
La seduzione personale e istituzionale, pilotata senza ritegno anche attraverso i mass media, non è forse manipolazione utilitaristica e spesso spudorata dell'Altro?
L'aggressività dilagante, la violenza dissennata, lo sfregio e lo stupro di corpi illibati non è forse negazione dell'Altro, grido strozzato di impotenza e disperazione, lacrime inasciugabili?
Il becerismo razzista (anche se edulcorato da pseudogiustificazioni) nei confronti delle diversità non è forse cecità, tracotanza culturale, paura dell'Alterità?
La cinica prepotenza del capitale che getta in miseria e condanna alla morte per fame milioni di bambini, mamme, babbi non è forse disconoscimento e disprezzo dell'Altro?
La ricerca esclusiva del proprio interesse economico che abbandona ad un destino di ansiosa incertezza migliaia di lavoratori, famiglie, visi smarriti, pianto, tragedie non è forse fredda noncuranza, insensibilità nei confronti dell'Altro?
La follia dello sfruttamento selvaggio, dello scempio e della manomissione dell'habitat non è forse rinnegare l'Alterità generatrice, l'humus che alimenta la convivenza?.. e, purtroppo, si potrebbe continuare.

La morte dell'Altro è il canto stonato e funereo del cigno, è anche la mia morte, la morte di tutti.

Ma vi è un'altra possibilità: aprirci all'Altro e "vivere-per-la vita". Alla prossima.

 
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