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sono collegate al cuore

Talvolta arrecano lacrime e dolore.

Ma si è vivi nella sofferenza

e morti nell’indifferenza.

Sunny_Poems

 

 
Creato da: fabiana.giallosole il 18/02/2012
COPDUS - Coordinamento Provinciale Docenti Utilizzati di Sassari

Messaggi del 19/02/2015

 

Immissioni in ruolo

Post n°3163 pubblicato il 19 Febbraio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “OrizzonteScuola”


150 mila immissioni ruolo. Pochi i ventenni, assunti soprattutto quarantenni, ma si arriva fino a 60 anni. Più giovani a Nord


di Paolo Damanti

 

Sarà che negli anni le assunzioni hanno riguardato soprattutto le regioni del Nord, sarà che con l'età di 22 anni hai già l'abilitazione per insegnare all'infanzia, ma i più giovani delle GaE sono al Nord e aspirano a diventare maestre dei più piccoli.

I dati relativi al 2014 sono stati forniti in esclusiva da VoglioIlRuolo ed analizzati insieme con OrizzonteScuola.

La provincia con l'età media più bassa di docenti in graduatoria ad esaurimento è Cuneo con 39 anni, segue Reggio Emilia e Udine

Per trovare una provincia del Sud bisogna arrivare a Bari, al cinquantatreesimo posto, con un'età media di 42 anni

In fondo alla classifica, Salerno con 45 anni, insieme a Catanzaro, Cosenza e Messina, Vibo Valentiza, Agrigento, Trapani, Avellino.

Folto l'arco di età tra i 43 e i 44 anni con ben 33 province, che vanno da Viterbo, Rieti, Teramo Chieti, Latina, Palermo, fino ad arrivare a Potenza con una popolazione docente di poco inferiore ai 45 anni di media.

Relativamente alle Regioni, è il Friuli-Venezia Giulia a presentare un'età media di poco inferiore ai 40 anni, il resto delle regioni supera l'età dei 40 fino ad arrivare alla Calabria, che presenta un'età media di 45 anni.

Le regioni con l'età media più bassa si concentrano, al Centro-Nord. E' la Liguria che fa da spartiacque con un'età media di 43 anni e fanno eccezione l'Abruzzo e la Sardegna che si inseriscono con un'età media di poco superiore ai 43 tra la Puglia e la Sicilia.

Nel complesso delle graduatorie, l'età che presenta il più folto numero di docenti che saranno immessi in ruolo va dai 35 ai 50 anni. Pochissimi i docenti con 25 anni di età, poche centinaia, il numero inizia a crescere soprattutto dai 31 anni in su. Un migliaio circa di docenti hanno un'età che va dai 60 e arriva fino ai 66 anni.

Per quanto riguarda le classi di concorso, in assoluto è il sostegno della Primaria che presenta un'età media di poco superiore ai 30 anni, seguita dalla primaria lingua, quindi da insegnanti di strumento musicale.

Il picco, con età che va dai 43 ai 60 anni riguarda in particolar modo le classi di concorso delle medie e superiori, con la A070 che chiude la classifica. Particolare la situazione delle classi di concorso della tabella C e D che mostrano un'età media elevata. Si tratta di classi di concorso che riguardano gli insegnanti tenico pratici.
I servizi di VoglioIlRuolo

 

 
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Liceo 4 anni

Post n°3162 pubblicato il 19 Febbraio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “Corriere della sera”


Sì del Consiglio di Stato: il liceo può essere di 4 anni

Ribaltata la sentenza del Tar del Lazio, si va avanti con le sperimentazioni


Contrordine. La sperimentazione del liceo breve, di soli quattro anni come avviene in altri Paesi europei, è legittima. Lo ha stabilito il consiglio di Stato con la sentenza pubblicata il 18 febbraio, ribaltando il giudizio del Tar del Lazio che aveva invece bocciato l’idea di una scuola che finisse a 18 anni invece che a 19. A fare ricorso contro i corsi di quattro anni era stata la Cgil, e le quattro scuole nella quali, dal settembre scorso, è in atto la sperimentazione: il liceo Orazio Flacco di Bari, l’istituto Ettore Maiorana di Brindisi, l’Enrico Tosi di Busto Arsizio (Varese) e il Carlo Anti di Verona. Ora le quattro scuole che hanno istituito questi corsi potranno continuare la loro sperimentazione, come prevista dal Miur.

La sentenza

In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato che: «l’articolazione dei richiamati moduli sperimentali risulta nel complesso omogenea e adeguata, anche in considerazione del fatto che alla riduzione di un anno nella durata del corso di studi secondari di secondo grado fanno da contraltare: a) un maggiore numero di ore settimanali di lezione; b) un maggiore numero annuale di giorni di lezione; c) la sostanziale invarianza delle materie di insegnamento; d) la piena conferma ed applicazione delle vigenti disposizioni in tema di esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione e in tema di rilascio dei titoli di studio finali».

«Più chance per l’Europa»

Il `liceo breve´ ha «un percorso di studi serio ed impegnativo, dove i numeri del monte ore complessivo dimostrano che la sperimentazione non è una scorciatoia»commenta soddisfatto il dirigente scolastico del liceo classico Orazio Flacco di Bari, prof.Antonio d’Itollo. «Questo - spiega il dirigente - vuole essere solo un progetto sperimentale di ampio respiro internazionale, che affianca e non sostituisce il liceo di ordinamento, e che può dare più chance agli studenti di entrare prima nel mercato del lavoro e nel mondo delle professioni, come avviene in ben 12 Paesi europei, tra cui Spagna, Francia, Olanda e Gran Bretagna dove già ci si diploma in 4 anni. L’obiettivo ultimo della sperimentazione è proprio quello di eliminare questo gap tra i diplomati italiani e quelli europei, assicurando, nel contempo, competenze e conoscenze di prim’ordine». «Forse - conclude - ci si dimentica che l’Italia fa parte dell’Unione Europea, siamo tutti cittadini europei e i nostri figli lo saranno sempre di più, quindi cercare di rapportare la durata dei nostri corsi di studi a quelli di tutti i paesi più importanti d’Europa è un’azione che tende a limare una disparità di trattamento già oggi esistente».

Da “La Repubblica”

Il premier: “Ci sono università di serie B”

"UN errore pensare che siano tutte di serie A, sarebbe antidemocratico. Occorre una marcia in più per imporsi sullo scenario mondiale” La protesta degli studenti: “Sembra di sentir parlare la Gelmini”. La Crui: “Ma la qualità media degli atenei deve restare alta”


Corrado Zunino

Il presidente del Consiglio si presenta al Politecnico di Torino, ateneo dell’eccellenza italiana dove il 91 per cento degli ingegneri lavora un anno dopo la laurea, e chiaramente dice: «Negare che vi siano diverse qualità nell’università italiana è ridicolo. Ci sono università di serie A e B nei fatti e rifiutare la logica del merito e la valutazione dentro le facoltà, pensare che tutte possano essere uguali, è antidemocratico, non solo antimeritocratico ». Matteo Renzi, quando era sindaco di Firenze, diceva cose anche più dure: «Il ministro Gelmini avrebbe dovuto avere il coraggio di chiudere la metà delle università italiane: servono più a mantenere i baroni che a soddisfare le esigenze degli studenti». Era febbraio del 2011. Oggi, alla vigilia della chiusura del decreto “La buona scuola” e dell’apertura della “Buona università”, il presidente del Consiglio abbassa il livello formale ma non la sostanza del suo pensiero: «Non possiamo pensare di portare tutte le novanta università italiane nella competizione globale, così ci spazzerebbero via tutti quanti ». Ancora: «Un grande ateneo ha il compito di stare non sul mercato, ma nello scenario internazionale. Ci serve un passo in più affinché le grandi realtà non siano stritolate dai confini amministrativi. Non si può gestire il Politecnico di Torino come fosse un comune di cinquemila persone». Il 2015 sarà un anno costituente per il mondo accademico, dice.

Il rettore dei rettori, Stefano Paleari, presidente della Crui, è vicino a Renzi mentre lui dichiara. E successivamente preferisce non aprire un fronte polemico, ora che potrebbero tornare i soldi per l’università italiana. «Non ho letto aggressività nelle parole del premier», dice Paleari, «le università di A e B sono un modo per dire che ci sono funzioni diverse nei diversi atenei. Alcuni stanno sul mercato internazionale, curano le eccellenze, altri sono veri e propri insediamenti sociali in territori difficili. Resta il fatto che la qualità media di tutti deve restare buona». Crede nell’anno costituente, Paleari: «Nelle ultime cinque stagioni ci sono stati sottratti 800 milioni, abbiamo perso diecimila ricercatori e tutti i docenti sotto i quarant’anni. L’inversione di tendenza è obbligatoria, ma non sarà necessario chiudere atenei. Il mondo accademico è cambiato dal 2011 a oggi. Non riceviamo più finanziamenti a pioggia, non abbiamo più rettori a vita. Io ho 50 anni e a fine anno torno a fare il professore e il ricercatore nella mia università di Bergamo».

Il rettore del Politecnico di Torino, Marco Gilli, già aveva confermato fedeltà al governo durante l’inaugurazione dell’anno accademico: «Siamo certi che l’azione riformatrice avviata saprà affrontare le principali criticità del nostro sistema e saprà creare le condizioni perché le università possano avviare in tempi brevi un significativo ricambio generazionale. Premier, le assicuriamo piena collaborazione».

A fine mese si apre il viaggio politico-amministrativo della Buona università. Questi i cardini della futura legge: uscita dei lavoratori degli atenei dalla pubblica amministrazione, creazione di un comparto autonomo con un contratto unico e poi, sulla strada del Jobs Act, tutele crescenti per i precari e soprattutto i ricercatori, quindi superamento del sistema ingabbiante dei punti organico.

Le uniche parole conflittuali arrivano dagli studenti, già critici rispetto alla Buona scuola. «Dichiarazioni chiare e preoccupanti quelle del premier», scrive l’Unione degli universitari, «ricordano le politiche della Gelmini che l’università l’ha distrutta. Le parole di Renzi esprimono un’idea di università diametralmente opposta a quella della nostra Costituzione che chiede luoghi accessibili a tutti, strumenti di ascesa sociale, motori culturali e di rilancio per il Paese tutto. Oggi proseguire gli studi sta diventando impossibile per chi non ha mezzi in partenza: il numero di laureati, infatti, è il più basso d’Europa. Antidemocratico e antimeritevole è un diritto allo studio inesistente».

 
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La buona scuola

Post n°3161 pubblicato il 19 Febbraio 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “Corriere della sera”


La Buona scuola? Frutti acerbi per tutti (precari inclusi)

I rischi di non cambiare il sistema, se il testo arriverà così com’è all’approvazione

Gianna Fregonara

I l testo della Buona scuola, anche dopo la profonda revisione di queste ultime settimane, resta una proposta di riforma della professione di insegnante più che una riforma del sistema educativo. È un tentativo comprensibile e ambizioso di modernizzare la scuola attraverso gli uomini e le donne che ci lavorano. I due pilastri su cui si reggeva la proposta presentata a settembre non hanno retto al tentativo di essere trasformati in legge. Il primo, il sistema degli scatti solo premiali per i due terzi degli insegnanti di ogni scuola, è scomparso dal decreto in preparazione. Nelle intenzioni del governo, questo avrebbe dovuto innalzare il livello di preparazione, di impegno e di performance degli insegnanti italiani: si è capito che sarebbe stato impossibile da applicare e iniquo nei risultati, oltre che inutile. È stato sostituito da un sistema misto di scatti di anzianità e di scatti di merito assegnati con un più complicato sistema di valutazione della quantità e della qualità del lavoro e dell’aggiornamento degli insegnanti. Un sistema che funzionerà soltanto, nel suo intento di premiare i più bravi, se ci saranno fondi sufficienti a spezzare quel patto non scritto del «ti pago poco ma ti chiedo poco».

Il caos in cattedra

Il secondo pilastro era il mega piano di assunzioni di precari, pensato con la lodevole quanto illusoria idea di chiudere per sempre il problema dei supplenti nella scuola, si sta rivelando inattuabile, quanto meno iniquo ( lo dicono i sindacati) e addirittura dannoso (giudizio della Fondazione Agnelli) per il sistema scolastico perché riempirebbe le scuole di insegnanti spesso senza cattedra in quanto abilitati in materie secondarie e non utili. Mentre per materie fondamentali come la matematica gli studenti continuerebbero ad avere supplenti e altri precari. C’è da aspettarsi che nel decreto si trovi una soluzione migliore, magari quella dettata dai tribunali con le ultime sentenze: assumere a tempo indeterminato chi ha lavorato 36 mesi negli ultimi cinque anni.
La scelta fatta a settembre di impiegare tutti i fondi disponibili per le assunzioni - salvo briciole per gli altri capitoli come l’innovazione tecnologica - e di rinviare la formazione degli insegnanti e le loro nuove competenze al prossimo concorso autorizza a pensare che per una riforma vera anche della professione ci sarà ancora da aspettare.

Le parole chiave

Lo slogan affascinante - «La scuola che cambia l’Italia» - ha trasmesso l’idea che una riforma della scuola serva a far ripartire il Paese: ma qual è l’idea di scuola che guida la nuova legge? Le parole chiave scelte dalla Buona scuola sono: concorso, alternanza scuola-lavoro, laboratori, autonomia, inglese, Internet, programmi contro la dispersione, formazione, scuole aperte. Tutti istituti o programmi già in vigore da tempo (i concorsi dai tempi della Costituzione) o in via di sperimentazione, ma che finora non hanno funzionato per motivi vari, e che i provvedimenti del governo cercheranno di rilanciare. Norme complicate e la burocrazia hanno frenato le innovazioni ma principalmente sono mancati i fondi e questo si ripeterà.
Dei grandi temi della scuola, a partire da quello che dovrebbe essere il curriculum degli studenti - un’ora di musica alle elementari e una di economia e arte nei licei non bastano -non c’è traccia nelle bozze: davvero così come è impostata la scuola italiana è al passo con i tempi? In passato si era parlato di riformare i cicli, di cambiare le medie, di rendere più flessibile l’ultimo biennio delle superiori, di migliorare l’offerta scientifica, solo per citare i principali temi del dibattito. Ci si attenderebbe che le nuove proposte, contrariamente al testo presentato nei mesi scorsi, parlassero di questo.

La riforma fatta in casa

Altrimenti, come spesso avviene in Italia, se non si troverà un futuro credibile per la scuola pubblica, la riforma la faranno nei fatti gli studenti. Come dimostrano già i dati anticipati ieri sulle scelte per le superiori: i genitori e i ragazzi considerano che oggi sia utile una formazione scientifica e che servano le lingue, tanto è vero che i due licei con più iscrizioni sono lo Scientifico e il Linguistico. Due genitori su 5 - sono dati della ricerca pubblicata ieri dal Corriere - pensano che i propri figli avranno un futuro professionale all’estero: sarà questa scuola all’altezza di prepararli?

 

 
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LIP

Post n°3160 pubblicato il 19 Febbraio 2015 da fabiana.giallosole
 
Tag: LIP

Da “La Tecnica della Scuola”


LIP: un'alternativa al Piano Renzi? I promotori ne sono convinti


Reginaldo Palermo

Intervista a Marina Boscaino, del Comitato per la Scuola della Repubblica.

A Marina Boscaino, insegnante, giornalista, ma soprattutto fra i più convinti sostenitori e promotori della LIP abbiamo fatto qualche domanda per capire come sta procedendo la "campagna" per la diffusione della proposta di legge che peraltro è già stata depositata da tempo in Parlamento.

Da diversi mesi il Comitato per la Scuola della Repubblica sta lavorando per diffondere in tutta Italia la proposta della LIP che adesso è anche approdata in Parlamento.
Pensate di avere raggiunto un consenso sufficientemente ampio?

Marina Boscaino
E' evidente che il consenso non è mai sufficientemente ampio da farci sentire completamente soddisfatti del risultato raggiunto, soprattutto se si considerano le forze schierate in campo: da un lato la maggior parte dei media, tutti i siti istituzionali, indirizzari articolati attinti dal Miur, passaggi continui in ogni Tg che scandiscono l'azione del Governo. Dall'altra un manipolo agguerrito ma limitato di volenterosi, forti del proprio studio e della propria determinazione, ma vincolati  alla forza dei social network e al proprio volontariato: elaborazione di articoli e documenti, assemblee, convegni, incontri in giro per l'Italia. Tutto sulle nostre proprie forze, economiche, fisiche e psicologiche. Detto questo il risultato è piuttosto apprezzabile, se pensiamo che la Lipscuola è oggi molto più conosciuta di quanto lo fosse un anno fa, quando abbiamo deciso di rilanciarla.
La puntata di Presa Diretta di qualche giorno fa vi ha dato un aiuto consistente
Marina Boscaino
Diciamo che non è stato un caso che la trasmissione di Iacona, PresaDiretta, abbia deciso di occuparsi di noi. Ma la stessa trasmissione è la concretizzazione di ciò che dicevo prima: sono bastati quei 20 minuti di servizio per raggiungere molte più persone di quante se ne siano raggiunte attraverso in un anno molto intenso di lavoro serio. E' per questo che ringraziamo Riccardo Iacona e tutta la redazione, che hanno dato alla Lip scuola un'opportunità che diversamente non avrebbe avuto.
L’adesione della FLC rafforza la proposta della LIP?

Marina Boscaino
Si tratta indubbiamente di un fatto politicamente significativo. E' evidente che un sindacato - per sua stessa natura - tiene dentro anime ed esigenze differenti e non sarà semplice farle convergere. Ma l'adesione dimostra anche quanto il nostro lavoro sia stato produttivo, soprattutto se si pensa alle "regole di ingaggio" che configurano il "metodo Lip": il confronto e la condivisione come metodo di lavoro che portò alla redazione del testo nel 2006 sono ancora alla base del nostro modo di agire, per esempio, rispetto all'attualizzazione che necessariamente andrà fatta - e si sta facendo - del testo. Stare con noi significa stare a queste modo di procedere. Alla prova dei fatti vedremo se e quando l'Flc sarà davvero in grado di intervenire. Ma, per il momento, mi sembra che sia importante sottolineare la sensibilità che il più grande sindacato italiano ha avuto nei confronti della nostra proposta e dei principi - quelli della Costituzione - che la animano.
Per essere realizzata, la proposta richiede un investimento pari al 6% del PIL.
In realtà secondo l’ultima versione del DEF prevede che la spesa per la scuola non possa comunque andare al di là del 4%.Come pensate che si possa superare questo scoglio?

Marina Boscaino
La soglia del 4% è fissata in relazione a quanto contemporaneamente si è deciso di investire in altri settori; penso che in un momento di crisi economica come l’attuale ci sia la necessità di individuare delle priorità di spesa. Il governo attuale, in perfetta sintonia con chi lo ha preceduto negli ultimi 20 anni, continua  a ritenere prioritario l’investimento in grandi opere e nel settore militare, in questo offrendo la sponda alle grandi imprese (spesso multinazionali e altrettanto spesso dal comportamento finanziario poco limpido, se non in odore di mafia), ma certo non garantendo investimenti sufficienti in welfare e cultura.
Voglio ricordare che la determinazione del 6% del Pil non è un dato casuale: si tratta della media di investimento dei Paesi europei; realtà molto simili alla nostra hanno percentuali di investimento quasi doppie del 4%. Il governo deve decidere  a cosa dare priorità nelle manovre economiche: riteniamo che l’investimento nell’istruzione sia l’unico che possa assicurare un futuro migliore al nostro Paese; ovviamente non pensiamo che il cambiamento debba essere immediato, ma se mai non cominceremo ad invertire la tendenza, mai avremo risorse stabili sufficienti per garantire un adeguata copertura a quello che è un obbligo costituzionale.

 
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 CHI SIAMO

Il Coordinamento provinciale dei Docenti Utilizzati di Sassari (COPDUS), si è costituito ufficialmente nel mese di settembre 2011, in seguito alla necessità di fronteggiare il nefasto articolo 19 della Legge 111 del 15 luglio 2011 col quale si dispone la messa in mobilità intercompartimentale dei docenti inidonei o il declassamento a personale ATA con conseguente riduzione stipendiale.

Esserci costituiti in gruppo è stato per tutti noi fondamentale in quanto ci ha dato da subito la forza e la determinazione, entrambe importanti, per intraprendere tutte quelle azioni di lotta civile allo scopo di trovare soluzioni al problema che ci ha visti coinvolti, assieme ad altri quasi 4000, a livello nazionale.

Ritrovarci con cadenza settimanale ci fa sentire, non solo più uniti e aggiornati sull'evolversi della nostra situazione, ma soprattutto più sicuri e positivi nell'affrontarla.

Per questo motivo, e non solo, abbiamo col tempo sentito il bisogno di creare questo BLOG ossia uno spazio per informarci ed informare anche coloro che trovandosi nella nostra situazione pur non facenti parte del coordinamento di Sassari, avranno piacere di visitarci e saranno i benvenuti.

Al tempo stesso vogliamo che questo sia uno spazio oltre che di informazione anche di incoraggiamento al "ce la faremo" e al "non smettere" e quindi non vuole avere e non avrà aspetti e contenuti sterili o "istituzionalizzati".


e-mail: copdus@gmail.com oppure fabianagiallosole@libero.it

 

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