Creato da giuliosforza il 28/11/2008
Riflessione filosofico-poetico-musicale

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Dicembre 2016 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
      1 2 3 4
5 6 7 8 9 10 11
12 13 14 15 16 17 18
19 20 21 22 23 24 25
26 27 28 29 30 31  
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

Ultime visite al Blog

CarmillaKgiuliosforzafamaggiore2gryllo73pino.poglianidiogene_svtPisciulittofrancesco_ceriniper_letteranorise1fantasma.ritrovatom12ps12patrizia112maxnegro
 

Ultimi commenti

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

Messaggi di Dicembre 2016

Ola Gjeilo, Sunrise Mass

Post n°930 pubblicato il 27 Dicembre 2016 da giuliosforza

Post 859

Avete mai udito i silenzi dei suoni e i suoni dei silenzi? Quelli dei non spazi e dei non tempi del Principio, quando l’Essere si autoponeva in quanto Suono, e  ne nasceva la Musica mundi? Io li ho sentiti in Santa Croce in Gerusalemme (sì, quella romana delle memorie eleniane, di cui già non benevolmente  su questi spazi scrissi), in occasione di un Concerto polifonico tra i più interessanti che nella mia vita mi sia stato dato di godere (“Sì che m’inebriava il dolce canto / Ciò ch’io udiva mi sembrava un riso / de l’universo, perché mia ebbrezza / entrava per l’udito e per lo viso” –Par. XXVII. 6-9). Un Concerto polifonico per otto voci miste, dal quale, e può sembrar paradossale dato l’organico e il programma (quattro Cori: Entropie armoniche di Roma, direttore Claudia Gilli, Coro Città di Bastia Umbra, direttore Piero Caraba, Ensemble “Floriano Canal”, direttore Arnaldo Ridolfi, Coro Aurora, direttore Stefania Piccardi, e un’orchestra, l’orchestra da camera di Gubbio) tutto avresti potuto attenderti fuorché l’immersione in una rarefatta atmosfera mistico-metafisica fatta di lunghi pianissimi, di lunghissime, quasi statiche, armonie, via via gradualmente recuperanti la solennità di un rombo cosmico, quella che dicono si respiri attorno alla divinità, sugli Olimpi, su gli Oreb o sui Meru. Forse solo un compositore “artico” come Gjeilo, nato là ove la molteplicità delle luci e dei suoni si ricompone nell’unità generante l’attonimento panico, il “muto” fremito del Tutto, poteva scrivere questa Sunrise Mass che del poema sinfonico ha anche la struttura nelle indicazioni dei quattro movimenti, The spheres, Sunrise, The City, Identity and the Ground. Per questo son mio convincimento e  mia percezione (ovviamente discutibili), essere la Sunrise Mass in realtà, nonostante il testo tratto dalla liturgia cattolica, una creazione globalmente e positivamente “pagana”, sostanzialmente a- confessionale; convincimento e percezione confortati dal modo ”sbrigativo” con cui l’autore si disfà del Credo, di quel Simbolo di Nicea che un Cristianesimo per natura liberatorio dagli impacci della littera che occidit forza entro le rigide gretole del  dogmatismo trasformandolo in cattolicesimo: improvvisamente la polifonicità del Kyrie, del Gloria, e poi del Sanctus e dell’Agnus (le cui parole dissolvono la loro specificità amalgamandosi nella impersonalità dei restanti grumi sonori) si trasforma in una sorta di monodico recitativo gregorianeggiante che in pochi minuti recupera l’Amen.  

Una Sunrise Mass, una Messa-alba, più che messa dell’alba, che chiarori suoni e silenzi aurorali  restituisce nella loro purezza ed offre incontaminati al trionfo della luce diurna sulle tetre solitudini cosmiche incombente. Un oratorio sacro, oltre che poema sinfonico, in cui Odino Brama Jehova e Allah cantano insieme la loro metastorica essenza, identità ed unità, lanciando ai loro profeti e ai loro adoratori un messaggio di universale tregua, se non di definitiva quiete, ideologica in nome dell’Arte salvifica. Un messaggio rafforzato dagli altri due brani in programma: il Concerto Op. 6 n° 8 “fatto per la Notte di Natale” di Arcangelo Corelli, e l’Adeste Fideles di Anonimo per soli coro e arpa nell’elaborazione di Piero Caraba  sui quali non pesavano, nella fresca interpretazione dei quattro gruppi corali, l’usura e l’abuso del tempo.

Ancora una volta Gelobt sei jederzeit, Frau Musika!

_______________________

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano) 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Ancora di Hoffmann e di un adolescente. Albinati e il suo 'romanzo'. Hoelderlin

Post n°929 pubblicato il 17 Dicembre 2016 da giuliosforza

Post 858

Un  maturo adolescente di mia conoscenza, molto intelligente e sensibile, che non ha avuto, come la maggior parte dei suoi coetanei, la fortuna di amare la carta stampata e di scoprire i tesori che in essa si celano,  corre il felice rischio di essere da me ad essa recuperato, complice  E. T. A. Hoffmann.

Si dà il caso che il suddetto maturo adolescente sia abituale consumatore delle orrifiche vicende dei personaggi virtuali che lo schermo del computer e dei video-giochi gli propina, vada pazzo per il genere horror in tutte le sue componenti, il fantastico, il farsesco, il burlesco, lo spaventoso, il vaneggiante, il tenebroso: tutte componenti, guarda caso, reperibili nell’opera del königberghese, l’antesignano di tutti quei grandi che, da Poe in poi, si sarebbero col genere confrontati. Ebbene, gli ho appena donato i Racconti e Gli Elisir del diavolo e pare il miracolo stia avvenendo. Il giovanotto legge, e ne è conquistato. Soprattutto Gli Elisir lo attraggono, “questo capolavoro di un romanticismo dilacerato e ormai al tramonto, scritto tra il 1814 e il 1815, che esibisce nelle sue pagine, secondo le parole di Heinrich Heine, un campionario delle ‘immagini più terribili e spaventose che lo spirito possa ideare’ e introduce nella letteratura europea la figura del sosia; tenebroso fantasma e inquietante proiezione dell’Io, emblematica rappresentazione del male e metafora del lato oscuro dell’uomo moderno; narrazione faustiana e dongiovannesca, il primo grande romanzo di Hoffmann che è anche una lucida rappresentazione della catastrofe che minaccia l’individuo abbandonato dalle certezze dell’età illuminista e della stagione romantica: un requiem per i miti e le mitologie del soggetto che costellano l’alba della modernità” (dalla quarta di copertina).

        Se ai miei tempi avessi messo tra le mani di un adolescente un libro di cotal fatta, sarei stato radiato dall’albo dei pedagogisti. Ma quante cose, grazie agli dei, sono da allora cambiate! Quali mutamenti nella visione dell’uomo e del mondo di cui anche le psicologie dell’età evolutiva son chiamate a prendere atto! Vere e proprie mutazioni genetiche , che rendono ancora più abissali gli iati fra le generazioni. Amo ritenere che attraverso una così anomala iniziazione alla lettura il maturo adolescente  si  innamori della carta stampata, dei profumi dei suoni dei sapori dei colori, addirittura dei fremiti sensuali che al solo tatto da essa emanano e che nessun esclusivo frequentatore di algidi schermi di ebook sarà mai in grado di immaginare.  

*

Ripresa la lettura del malloppo di Edoardo Albinati La Scuola cattolica, non tanto per motivi letterari (non riesco a riconoscere a quel dispersivo centone dai mille stili un valore che i giudici dello ‘Strega’, di bocca evidentemente assai più buona della mia, gli hanno riconosciuto, non ne amo la lingua ,di una sciattezza programattica  che fa di una enfatica antienfasi il suo orgoglio)  ma per una curiosità autobiografica, avendo io, per circa tre anni, a cavallo tra il cinquanta e il Sessanta, insegnato nella scuola attorno a cui ruotano le vicende, fra le quali il delitto del Circeo (che tra i suoi protagonisti ebbe anche un condiscepolo dell’Albinati) narrate nel ‘romanzo’: il SLM di Roma. Quella scuola aveva fatto parlare molto di sé già a metà degli anni cinquanta, all’epoca dello scandalo Montesi, allorché era ancora ospitata nei locali dell’edificio di via Montebello che dà su piazza della Croce Rossa, addossato alle  mura aureliane, sui cui spaziosi camminamenti un prof di botanica aveva ricavato un ameno giardino. Quella costruzione era stata poi acquistata dallo Stato per ospitarvi il liceo scientifico statale Plinio Seniore che immagino ancora vi abbia sede. Il padre di uno degli implicati maggiori in quel caso, il musicista Piero Piccioni fratello di Leone, fine critico, collaboratore e poi storico di Ungaretti, era Attilio, allora ministro degli esteri, se ben ricordo, obbligato dallo scandalo a dimettersi; lo ricordo frequentatore assiduo del San Leone, non so se in qualità di ex alunno o di padre di ex alunni. Altro particolare che sarebbe stato interessante per Albinoni: il falegname del San Leone, abitante in Tagliamento verso piazza Verbano, e quindi ancora in zona Trieste, era il padre della Montesi, la povera ragazza trovata morta sulle sabbie di Torvaianica: delitto rimasto in parte insoluto, dopo anni e anni di dibattito in tribunale, la cui maggiore attrazione era rappresentata dalle perorazioni dell’avvocato Carnelutti, grande oratore, scrittore e poeta: per andarlo ad ascoltare  si faceva la fila dinnanzi al ‘Palazzaccio’, ora sede della Corte di Cassazione, ma allora ospitante il tribunale penale.  Mi chiedo cosa avrebbe potuto scrivere Albinati se ne fosse stato testimone. Le mille e trecento e passa pagine del suo ‘romanzo’ fiume sarebbero diventate minimo duemila! Intestardendomi a leggerlo, sto sottraendo del tempo prezioso alla mia senescente vita per un puntiglio: voglio vedere quanti, come me, che hanno iniziato la lettura de La scuola cattolica, riusciranno ad arrivare alla fine.

Nella speranza di vivacizzare un po’ questo blog ho chiesto aiuto ad una mia ex allieva per anni educatrice a Rebibbia, attendendomi da essa notizie fresche e originali di prima mano sull’Autore, da un ventennio insegnante di lettere in quel carcere. Mi ha solo saputo dire di averlo visto e di avergli parlato  poche volte, e che le era oltretutto antipatico, troppo cosciente della sua bravura e della sua fisica prestanza, che non passava indifferente in un ambiente come quello carcerario. Metto perciò fine a questa chiacchierata non senza avere prima, per onestà morale e intellettuale, reso omaggio alla vastissima informazione, in ogni campo, non so fino a che punto maturata in cultura, dell’Albinati, e della sua facilità di comunicazione, fin troppo ostentata, in una lingua, come ho detto, programmaticamente  antiretorica, a tal punto da decadere  nella retorica dell’antiretorica, e perciò in un realismo sfiorante una fastidiosa piattezza.  Albinati può scrivere, nelle sue lunghe divagazioni, di tutto, di sesso, di famiglia, di scuola, di  psicologia, di sociologia, di letteratura con una competenza ed una profondità invidiabili, con originalità e indipendenza di giudizio: un vero e proprio, ma a ragion veduta, bastian cuntrari l’Albinati ; le sue disamine, lunghe lunghe lunghe e così precise da rasentar la pignoleria, sono davvero impressionanti. Solo mi chiedo se per arrivare al clou della narrazione, che inizia intorno a pagina 450, era proprio necessaria  una tal profusione di divagazioni e di incisi, perdonabili solo a un Balzac.

*

Mi rifaccio con Hölderlin.

        “Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l’uomo.

        Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia, è la sacra cima del monte, è il luogo dell’eterna calma, dove il meriggio perde la sua afa, il suono la sua voce e il mare che freme e spumeggia somiglia all’onde di un campo di grano.

        Essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone la sua austera corazza, lo spirito umano lo scettro e tutti i pensieri si disperdono innanzi all’immagine del mondo eternamente uno, così come le regole di un artista davanti alla sua Urania, e la ferrea fatalità rinuncia al suo potere e la morte scompare dalla società delle creature e indissolubilità ed eterna giovinezza rendono felice e bello il mondo.

        Sovente mi innalzo a questa altezza, ma un momento di riflessione mi butta giù. Rifletto e mi ritrovo, così come ero prima, solo con tutti i dolori di ciò che è mortale, e infranto è l’asilo del mio cuore, il mondo eternamente uno, e la natura mi chiude le sue braccia e io sto davanti a lei come un estraneo e non la comprendo.

        Oh! Non avessi mai frequentato le vostre scuole! La scienza che ho seguito fino al fondo del suo pozzo e dalla quale io, giovanilmente folle, attendevo la conferma della mia pura gioia, mi ha sciupato ogni cosa:

        Sono diventato, presso di voi, un individuo così ragionevole, ho imparato a distinguermi perfettamente da ciò che mi circonda e sono ormai isolato in questo mondo bello, sono stato scacciato dal paradiso della natura, dove ho vissuto e sono fiorito, e mi inaridisco nel sole del meriggio.

        Oh! Un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette e, quando l’estasi si è dileguata, si ritrova come un figlio fuorviato che il padre cacciò via di casa e contempla i miseri centesimi che la pietà gli ha dato per il suo cammino” (Friedrich Hölderlin, Iperione, traduzione e cura di Giovanni V. Amoretti, Feltrinelli, Milano, 1991, pp 29-30).

 

_______________________

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano) 

 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

I perché di un No. Castro. Reimverse auf den Tod. Vittoria Lepanto

Post n°928 pubblicato il 02 Dicembre 2016 da giuliosforza

 

Post 857

 

Quale dunque la posizione di un anarchico, non solo mentale, nei confronti dell'aut-aut Sì No, di fronte al quale è posto in questi giorni il popolo italiano?

Di un che non crede nelle immutabilità di nulla, nemmeno della Veritas Domini (quae) manet in aeternum; figurarsi delle Costituzioni, registrazioni di una nuova temperie politica e storica (la Francia  è alla Quinta repubblica, cioè alla V Costituzione, e noi si rimarrebbe abbarbicati alla prima?) e dell'autoregolamentazione che un popolo attraverso essa si dà?

Di un teorico della dis-educazione "estetica", cioè di quel processo di de-gregazione (de grege) che s'oppone a quello di aggregazione (ad gregem) che lo stato persegue: processo di affrancamento "estetico" del gregge, innalzamento di esso a popolo, che si dà come programma  strappare  pecore al gregge, servi ai padroni, schiavi ai tiranni, a cominciare da quelli a noi interiori, retaggi e sedimentazioni storiche dei baconiani idola specus tribus fori theatri?

"La costituzione non si tocca" non può dunque essere il mio grido insensato.

Ma quando e perché si tocca una costituzione?

Ogni qualvolta si renda necessario  fovere quod est frigidum, flectere quod est rigidum, regere quod est devium, lavare quod est sordidum, rigare quod est aridum; quando si voglia ulteriormente promuovere il processo di liberazione, cioè di umanizzazione, dell'uomo, e non quando si tenda a mortificarlo, tale processo, operando svolte autoritarie, con la scusa dell'uscita dal caos, che un burattino di turno (tale  da noi il bamboccione fiorentino, certamente furbetto, ma ridicolmente manovrato dalle abili mani della prussiana virago di pomerania che fa splendidamente gli affari delle sua gente) sta tentando di far con ogni mezzo (fiorentino era Machiavelli) passare, spinto dalle plutocrazie bancarie che hanno procurato il terremoto politico finanziario che non accenna a placarsi, delle cui conseguenze nefaste lautamente si nutrono.

Nella riforma della costituzione proposta da Renzi non trovo una , dico una sola parola che  possa spingere un come me a sottoscrivere il fatidico, ora sempre più... 'inestetico', in senso lato e in senso stretto, perché anche prodiano, Sì. L'abatello toscano e la sua Venere cloacina, come direbbe l'amico Thirsenos, possono gabbare chiunque, non me, non l'esercito composito del No, col quale è, sia beninteso, momentanea quiete strategica, non pace!

 Il mio è dunque un No. Un no talmente convinto che andrò, contro il mio consolidato costume, a votare nella speranza, in caso di vittoria, che possa qualcosa di davvero nuovo, in quest'Italia stucchevolmente ripetitiva, accadere.

*

Qualunque opinione si abbia di Castro una cosa è innegabile: di tutti gli ex alunni dei gesuiti di questo secolo egli, che frequentò il gesuitico Colegio de Belèn de l'Avana dal '41, suo quindicesimo anno di età, alla maturità, uscendone con lode soprattutto per quanto riguarda le discipline letterarie e lo sport, è indiscutibilmente il più illustre, e colui che meglio ha assorbito, indirizzandolo a fini rivoluzionari, lo spirito combattivo della 'Compagnia di Gesù', come volle denominare l'Ordine da lui fondato il capitano Ignazio di Loyola. I Gesuiti, che poi egli avrebbe giustamente cacciato da Cuba, e soprattutto il gesuita Bergoglio, celebrino il loro più illustre e coerente discepolo non solo con preghiere, ma dedicandogli il loro collegio, se ancora o di nuovo esiste, e magari qualcuna delle loro numerose università sparse nel Nuovo Mondo. Dàje, Bergoglio, spiazziaci ancora una volta: quando ti si ripresenterà una occasione come questa?

*

Anche novembre declina, e non disdice un altro pensiero sulla morte,  vanamene esorcizzato dalla stolida insipienza, dal vano affaccendarsi dei morituri. E mi piace farlo ancora col distacco, l'ironia , la saggezza stoico-epicurea, in una parola lucreziana, del giovane maestro, con Hegel, di Marx. Luwig Feruerbach.

Im grossen Buch der Werd ich's lass / Der Tod ist aller Dingen Mass. (p. 64) Nel gran libro del mondo ho letto: la morte è la misura di tutte le cose.

Dann kommt von selbst in dein Gedärme / Des sanfte Friedens linde Wärme / Beiz' erst im Tod vom Selbst dich rein / Versöhnungs kommt schon hiterdreim. (p. 98) Allora verrà da sé nelle tue viscere il soave calore della morbida pace. Prima tu disinfèttati del Sé nella morte. Appresso verrà certo  la riconciliazione.

        In calce a questi che son gli ultimi versi del poemetto feuerbachiano trovo una mia nota a matita: Beizen significa anche metter in salamoia. Il Sé messo in salamoia nella morte, esilarante!

*

Saracinesco è un paesetto dei monti Ruffi, non distante da Roma, che dai suoi circa mille metri incombe sulle vie Tiburtina ed Empolitana. Con Anticoli Corrado fu  noto per fornire bellissime modelle ai pittori (del solo Michetti restano una ventina di bozzetti) che numerosi, italiani e stranieri, nell'Ottocento fino a metà del Novecento vi affluivano. Una di queste, Vittorina Lepanto, nome d'arte probabilmente suggerito dal Vate di Vittoria Proietti, figlia  di genitori adottati , bellissima e vivacissima, era destinata a fare anche carriera nel cinema muto. Nel 1917 interpretò Elena Muti, e pare assai bene, nella riduzione cinematografica de Il Piacere per la regia di Amleto Palermi.

Tra le tante commemorazioni proposte da Guerri, non sarebbe il caso di includere quella della delle bella ...saracina?

 _______________________

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano) 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che incombe sulla propaggini dei monti Rufi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 sulla tiburtina nei presi dell'oraziana Mandela

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963