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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Valse Oublièe
Valse Impromptu

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Impromptu n.3 op.90
Impromptu n.2 op.142




 

Messaggi di Febbraio 2016

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Post n°606 pubblicato il 29 Febbraio 2016 da enodas

 

 

 

Donna di successo ed abissi di profonda solitudine. Questa frase, estratta da qualche parte in uno dei pannelli esplicativi, ritorna espresso in continuazione. Davvero cerchiamo il lato oscuro e tormentato dietro al genio che si eleva sopra noi persone comuni, o é il genio creativo ad esigere una qual forma di tormento per esistere?
Ad ogni modo, la solitudine di Tamara de Lempicka era quella della diva, ad un certo punto icona di stile e fautrice di moda, lei, una silhouette decisamente parigina, due occhi chiari, penetranti, capelli biondi e naso greco, leggermente ricurvo, labbra color carminio e maglione color ocra rossa, altezza considerevole per una donna, la cui sola presenza suscita curiosità, e vestiti da favola, pellicce costosissime ed una bisessualità dichiarata che ispirava la sua arte fino quasi a forgiarla.
Ecco, allora, cos'era quell'ombra nascosta, dietro una vita alla ribalta, ed un'arte amata che vendeva "a colpi di biglitti i banca"? Questa mostra parte dall'inizio, dalle origini addirittura incerte e passano per Parigi, gli esordi europei e la vita in America. Lo fa attraverso fotografie, alcune delle quai eccezionali, suggstioni di musica, vestiti disegnati ed intessuti da un'artista e, ovviamente, le tele dipinte.
I mondi, il medievalismo, la figlia, gli amori, la spiritualità, lo scandaloso erotismo: tutto sul proscenio di un mondo nuovo, in cambiamento, in cui la modernità é vetro ed acciaio, abiti fatti di latta e boccoli di capelli che sono trucioli di rame; il Futurismo sullo sfondo, l'amore e l'amirazione per la pittura italiana del Quattrocento e quella fiamminga del Seicento che rendevano la sua pittura anacronistica e dedita al particolare. Ma soprattutto, le sue opere scendevano nel profondo dei sensi e dei sentimenti. Per i suoi amori liberi e disinibiti, e le donne che amava in particolare, innanzitutto, alle quali quasi attingeva in una ricerca della visione amorosa, in una rielaborazione colma di erotismo. Nel tema dell'infanzia, nel rapporto frustrato e frustrate con la figlia - in una sola parola, semplicemente ambiguo - un'infanzia "sapiente" e consapevole dei dubbi e delle sensazioni adulte, o tenera ed intima tanto da sfiorare la sacralità. Nel modo di ritrarre, un'anatomia possente e mascolina, ed una sinuosità quasi tormentata delle linee, con un forte senso del volume - quasi fotografico - e la resa del colore come fosse applicato su una superficie di ceramica.

 

 

Quello che ne esce é un percorso avvincente ed una storia complicata quanto affascinante, dove arte e vita si intrecciano. Una vita fatta di splendore, cosmopolitismo e ricchezza, ostentata al pubblico come parte di un personaggio che era e rimane icona, dove l'identità artistica veniva di proposito sovrapposta all'immagine della nobile femme fatale.
Nella calma frigida delle sue figure, quasi scolpite, si intravedeva, per suggestione, la sua immagine. Ci si muove tra salotti buoni e luoghi sfarzosi, sotto l'eco costante di un mondo moderno e rumoroso. Si sfiora l'eleganza e la trasgressione, l'indipendenza e la celata fragilità di una personalità che ha lasciato una firma inconfondibile di se stessa. Un dandy al femminile. E questo é un traguardo riservato ai più grandi, a mio parere, la capacità di risultare sempre immediatamente riconoscibile. Gettare uno sguardo a quello che vi sta dietro é, in parallelo, un percorso diverso dal solito ed una storia emozionante attraverso il mondo di una spiccata sensibilità.

 

"Erano altri tempi ed era estremamente difficile per una donna essere riconosciuta come un’artista. I critici dell’epoca preferivano concentrarsi sui miei modi eccentrici di vivere la vita."


Le donne sono le Erinni,le Amazzoni,le Semiramidi,le Giovanna d’Arco
(Valentine de Saint Point - “Manifesto della donna futurista“)


"Mi piaceva uscire la sera e avere un bell'uomo al mio fianco che mi diceva quanto ero bella o quanto grande era la mia arte."

 

 

"Apre a Verona la grande mostra monografica dedicata a Tamara de Lempicka, una delle artiste del Novecento più amate e seguite dal grande pubblico. [...] la mostra racconta l’eccezionale avventura artistica di Tamara attraverso 200 opere tra olii, disegni, fotografie, acquerelli, video e abiti.

Il percorso dell’esposizione, in ordine cronologico, parte dalle opere parigine degli anni ‘20 e arriva all’ultima produzione degli anni ‘50 del Novecento.
Ad accogliere il visitatore è la Ragazza in verde, eccezionale prestito del Pompidou di Parigi, il quadro che decreta il pieno riconoscimento ufficiale, acquistato nel 1932 dallo Stato francese per essere esposto nella sezione polacca del rinnovato Jeu de Paume.

Durante il percorso sono analizzati i rapporti tra la sua arte e i linguaggi della fotografia e della moda – a cui è dedicata un’intera sezione – ed è raccontata la sua capacità di rappresentare la vita moderna attraverso dipinti che sono diventati icone; è infine evidenziato l’aspetto di una donna-artista che impone una figura femminile nuova, emancipata, disinibita e libera, del tutto rivoluzionaria per il suo tempo. In mostra anche i notissimi quadri “scandalosi” raffiguranti le amanti di Tamara, e i nudi pieni di sensualità per cui è conosciuta in tutto il mondo.

(dall'Introduzione alla mostra)

 

 
 
 

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Post n°605 pubblicato il 25 Febbraio 2016 da enodas

 

 

E' un film senza immagini... é musica, musica soltanto, le immagini risalgono negli occhi nascoste tra le note, perché in molti casi prima o poi é capitato di vederle. E allora, restano solo le note, tracciate nell'aria dal disegno lento della bacchetta di chi le ha concepite. Melodie attese, melodia sconosciute, melodie che non verranno suonate stasera. Sessant'anni di musica, e se ogni composizione, ogni canzone, é una storia, una colonna sonora é una storia, la sinfonia, unita ad un'altra storia, quella della pellicola. E' come se due emozioni si sovrappongano. E le immagini di un cinema lontano, tagli di pellicola ed una sala vuota non riemergono per caso... So che in un certo senso mi sento orgoglioso, per questa bellezza, e per una sottile linea di demarcazione che interpreta le emozioni. Ma, soprattutto, so che ci sono note, melodie che tanto sono distese che implicitamente allunghi la mano, quasi volendole afferrare, trattenere e rendere concrete quelle note nascoste, in qualche modo, lasciarle sgorgare in un canto libero e desiderare di arginarle perché vorresti non arrivasse fine alla partitura. Aggrapparle all'anima, in qualche modo.

 

[...]

 

 
 
 

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Post n°604 pubblicato il 20 Febbraio 2016 da enodas

 


Sognatore e' chi trova la sua via alla luce della luna...
punita perche' vede l'alba prima degli altri...

[...]

 
 
 

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Post n°603 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da enodas

 

 

Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (6)

23,24 Novembre

 

 

Probabilmente, non era come mi aspettavo. Il caos, le dimensioni, il traffico, hanno il sopravvento. Ed anche una piantina che dovrebbe essere semplice si trasforma in un labirinto senza uscita. Strade semideserte si alternano ad ingorghi pazzeschi, e di linea in linea si estendono bazaar di ogni tema. Per me, camminare a Jaipur, al città rosa e vertice del triangolo d'oro é semplicemente una sensazione diversa,ed un po' lontana, forsa anche leggermente stanca, dagli ultimi giorni. Nel caos di cui  scopro soltanto una piccola parte, non ritrovo un'anima, né il fascino di un appellativo, né la lucentezza delle gemme per le quali é famosa. Forse, sto semplicemente rientrando in un altro mondo. E chissà se nella sera, come gemme, le stelle si rispecchiano sui grandi strumenti astronomici costruiti sulla terra, magari si allineano, in un dettame magico che unisce due mondi simmetrici, ed il potere con l'immensità.

 

 

Attendo, ancora. So che si leveranno in volo, volteggeranno seguendo una traiettoria invisibile e primordiale, ed ancora si fermeranno. Il caldo del deserto arriva fino a qui, alla base di queste mura, dove l'acqua rimane immobile, stagnante, ed in lontananza c'é chi vi si immerge, c'é chi la attraversa a bordo di un'imbarcazione. Possente, enorme, incastonata sulla roccia di cui é la continuazione: é una fortezza che pure ha il nome di una pietra purissima. Una porta, un'altra, a cercare un riparo dal sole, mentre ogni gradino é una scalata. Dietro, si nasconde un labirinto ingovernabile di corridoi, stanze, connessioni tra piani differenti. Stanze dalle quali il deserto appare incorniciato entro disegni ogni volta differenti e dall'esterno non giunge che l'alito dell'aria, ed edifici che da soli sono un libro intero di disegni le cui pagine sono plasmate nella pietra. Ed ancora, scendo nel ventre della terra, lungo corridoi segreti che collegano castelli a castelli, nel cuore della montagna, attraverso un buio sinistro interrotto da sibilo dei pipistrelli. Odore acro, scale che riemergono in superficie. Dove uno stormo di uccelli, tra poco , spiccherà un nuovo volo.

 

 
 
 

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Post n°602 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da enodas

 

 

Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (5)

21,22 Novembre

 

 

Città della gioia. Così, d'improvviso, sceso dall'auto, mi salta di nuovo in mente questa espressione, come se due parole bastassero a rendere conto di un'immagine che é il sentire di un'emozione. E come l'altra volta, la prima reazione é quasi di rigetto, un'ansia profonda, quasi uno sbattere contro questa marea di colore, voci, rumori, sensazioni. Perché ogni passo é come la percussione entro una cassa di risonanza dove i sensi improvvisamente ricevono un numero straordinario di segnali. Così, quasi in apnea, percorro per la prima volta la strada del paese, un'unica linea avvolta a ferro di cavallo attorno ad un lago sacro, talmente sacro da intimidire l'accesso al mio occhio profano, che scorge quasi rubando istanti di immagini, intraviste attraverso le aperture tra gli edifici, scalinate, accessi, ai cui lati siedono mendicanti, venditori di fiori, uomini santi veri e presunti, pellegrini che si preparano, stradine, che trovano la loro via verso l'acqua. Mani protese ad offrire una benedizione ed un segno sulla fronte, chi corone di fiori, chi a chiedere direttamente soldi. Per cento, per mille, in questi giorni che moltipplicano la popolazione della cittadina. Luce del giorno si riflette su bracciali di metallo impilati, e stoffe, vestiti, pezze, ondeggiano ad una brezza di vento. Arrivato, a Pushkar.

 

 

Attorno a queste date ho disegnato linee e scritto orari su una mappa stropicciata. Per essere qui, sì, quando una cittadina tranquilla sorta su un luogo sacro alla tradizione induista esplode improvvisamente e le sue dimensioni arrivano a raggiungere connotazioni epiche. Sono giunti da lontano, alcuni, o forse neanche troppo, altri. Comunque, tutti da dietro una linea sottile e monotona che distingue il cielo dalla terra, bianco abbagliante il primo, vermiglio rovente la seconda. Dal deserto, carri, carretti e pickup. Carovane intere, di uomini, donne e famiglie di intere generazioni, che compaiono a comporre un gigantesco formicaio, o un affresco, se si preferisce, in groppa alle loro navi animali che indolenti ed infaticabili solcano la sabbia. La fiera dei cammelli prelude ad un evento sacro, quando la prossima settimana i bazaar non saranno nemmeno più un'impronta lasciata sulla sabbia e le voci si uniranno in un solo canto di preghiera in riva al lago. Ma quello che va in scena adesso é un surrogato di vita e curiosità, personaggi curiosi, incantatori di serpenti, equilibristi, venditori e figure danzanti che si perde nell'aria fitta di sabbia e nei colori intrisi del tramonto. Salito su una collina, ogni passo affondava nella sabbia, ho lasciato che questo calderone ribollisse sotto i miei occhi, come una pentola sospesa su un fuoco precario, nascosta in uno sbuffo di fumo, dietro un cespuglio di rovi agitati per ravvivare la fiamma.

 

 

Rumori per strada. E d'improvviso quella che é un passaggio stretto é stato invaso da una processione di maschere, divinità e carri votivi, fedeli e peregrini. E, sempre d'improvviso, dalle strade laterali e dai negozi si precipita la gente con bottiglie d'acqua, biscotti e piccole razioni di cibo, quasi in competizione in questa celebrazione collettiva che come il rigurgito di un fiume inonda la strada di musica e canti. E colore, sì, ancora una volta, ciò che arriva ai miei sensi di una sensazione incredibile di unione collettiva, fusione di anime e di sentire, alla quale assisto, spettatore sconosciuto, entro la quale mi immergo, lasciando che gli occhi ne escano colmi. Non so raccontare queste sensazioni.
Mi ritrovo impacchettato, risalendo verso la fiera, laddove la strada curva a gomito di fronte all'ingresso del tempio più antico della città. Qui, in un corteo che é un unico corpo in lento movimento, la gente si impila, in fila, le scarpe abbandonate al ciglio della strada, in montagne costruite sotto la protezione di questuanti, davanti all'ultimo giaciglio riservato a uomini seminudi, il volto coperto di solchi ed una barba grigiastra, che hanno scelto di non avere altro che un bastone ed una tonaca.
Sonagli, flauti, un canto sospeso. E pure il rumore insistente del clacson delle motociclette: non sai da dove vengono, non sai come faranno a passare. E si uniscono alla bolgia che, ovunque, ruota attorno come una giostra scricchiolante, montata tra le dune, ed un urlo di sfogo rimane inghiottito in un vortice dal quale sembra poter uscire se non privato del suo suono.

 

 

Ci sono tante cose dietro un'immagine. Riguardando questa foto sono risalito sul fianco di una collina e ad un certo punto mi sono fermato. Non tutto si vede. Le donne che defilate osservavano i cammellieri a poca distanza stavano per alzarsi dopo essere esplose in una risata. Da destra, un signore di mezza età con cappello da cowboy saliva quasi annaspando, mentre sulla sinistra una coppia di musicisti itineranti scendevano accompagnati dalle loro note un po' sbraitate, un po' ammassate. Ma soprattutto, oltre il profilo dei cammelli il tempo scorreva e come un faro al declino, incandescente, il sole illuminava le ombre. Ora della cena, improvvisata su un fuoco acceso sì con sapienza, ma che aggiungeva fumo e nebbia all'aria densa. Un'aria che era intrisa di polvere, quella sollevata dagli zoccoli dei cammelli che si impennavano all'ordine dei loro padroni, in una scena quasi crudele, vista dall'esterno, dove una zampa era legata al corpo e l'animale saltava prima di arrendersi alla mancanza di un appoggio naturale. E gli uomini col turbante, seduti immobili ed allineati davanti ad una teiera ammaccata, proiettavano il loro sguardo oltre le linee del paesaggio ed i solchi dei loro volti.

 

 

Tutto il mio essere ruota
frenetico
attorno ad una solitaria stella danzante
che irradia
la sua sardonica lucentezza
pugnalando
le mie cieche pupille
da tempo oramai assuefatte
all'avvolgente sicurezza
delle tenebre.

 

 

Ho cercato di alzarmi presto, per poter gettare un ultimo sguardo. Ma soprattutto per riosservare un mondo con occhi nuovi. Perché la calma del primo mattino si esprime nelle melodie cantate ed in geti colmi di significato quanto di silenzio. Mi sono seduto sui gradini, a distanza di due suonatori. Ho immaginato che le note, fisicamente, si riflettessero sulle increspature dell'acqua. La mattina é mite, l'aria fresca, e tutto sembra immerso in una sensazione di pace che sembra inimmaginabile a distanza di poche ore. Ho gettato un ultimo sguardo, che durasse un'infinità, e pensato che in un certo senso questa era l'ultima immagine selvaggia che avrei potuto raccogliere. Come quando, anche se non é ancora ora di tornare, senti che il viaggio sta terminando.

 

 
 
 

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Post n°601 pubblicato il 14 Febbraio 2016 da enodas

 

 

Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (4)

18,19,20 Novembre

 

 

Una città blu, una città bianca. Nel mezzo, chilometri di strada tortuosa, templi candidi scolpiti in ogni possibile centimetro ed una fortezza che quasi sembra una grande muraglia. La terra dei Maharaja é anche il colore di una città, che osservata la sera si stende in un labirinto di implacabile magia. Da quell'intrico senza fine salgono i rumori insistenti del traffico e della vita indiana. Non importa quasi più che si tratti di motociclette, tuctuc, cani, vacche o elefanti: sai che anche una strada che sembra quasi un passaggio può portare ad incontri inaspettati. A volte, mi ci perdo letteralmente dopo pochi passi, sovrastato dai rumori, un po' di tensione, le mille sensazioni che mi raggiungono in continuazione. Altre volte mi fermo ad osservare dall'alto di una finestra, protetta magari da una di quelle griglie di pietra decorate ognuna secondo un disegno proprio, che nascondeva le donne del palazzo alla vista. Nelle pietre tagliate quasi mi specchio, cercando di immaginare un potere antico e quasi sovrannaturale, dove donne si spingevano all'immolazione sulla pira del principe dopo aver impresso la propria impronta su quella stessa pietra, e dove i cavalieri Rajput, conosciuti in tutto il regno, combattevano con onore feroce. Frame di film o disegni di libri da romanzi che terribilmente contrastano con tutto quanto é là fuori, oltre pochi passi. Tanto da non sapere a cosa credere.

 

 

Ospitaltà ed amore per la terra. Il secondo é quello del nostro guidatore, che accosta sulla strada in un villaggio qualsiasi, a mostrarci una pianta che restituisce un frutto dalla forma curiosa e dal sapore dolcissimo. Una prelibatezza che é quasi una rarità, tanto sono ristretti il tempo e la regione in cui cresce. L'ospitalità é quella di una famiglia di piccoli agricoltori, le cui donne prima ci guardano incuriositi, e poi ci offrono una manciata di questi frutti raccolti. Accettare la loro ospitalità é un onore che quasi mi neutralizza per la sua genuinità, varcare la soglia della loro casa ed entrare nel loro mondo é un contatto semplice e profondo che mi viene concesso. Attraverso gli animali, le piante, i frutti, le fasce di rami raccolti trasportati sulla schiena lungo la via da chissà quali campi oltre il villaggio verso casa, tutto confinato dietro un muretto eretto artigianalmente, che dalla macchina non era altro che il ciglio della strada.

 

 

Udaipur é in un certo senso un altro punto di riposo. Un po' perché adagiata su un lago la parte vecchia quasi mi riporta ad una dimensione più umana, un po' perché forse mi concedo il tempo di un respiro, o perché il modo in cui vi arrivo é quasi un approdo. O forse sarà pure per un luogo che porta il nome del Piccolo Principe. Raramente, in questi giorni, ho questa sensazione di respiro. L'acqua ha sempre questo effetto, in qualche modo, di calmare le emozioni. Saranno i riflessi, il moto leggero e continuo, il rumore dell'acqua. So che vorrei fermarmi di più. Ad osservare macchie di colore variare in continuazione sulla superficie del lago, osservare un passo di danza, o guardare in lontananza, isole in controluce e profili sfumati di montagne in lontananza. E magari, perché no, aspettare nuovamente il tramonto, quando a riva qualche uomo si immerge e delle donne giungono coi bambini a lavare i panni, mentre sull'acqua famiglie di pescatori si spingono un po' più in là e gettano magre le loro reti.

 

 
 
 

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Post n°600 pubblicato il 10 Febbraio 2016 da enodas

 

 

Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (3)

17 Novembre

 

"L'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita.
Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c'è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme di dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare."

"Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.
Nel sogno c'è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch'è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare."

"Gli parve che la fuga del tempo si fosse fermata, il mondo ristagnava in una orizzontale apatia e gli orologi correvano inutilmente. La strada di Drogo era finita; eccolo ora sulla solitaria riva di un mare grigio e uniforme. [...] Gli occhi di Drogo fissavano come non mai le giallastre pareti della fortezza. Lacrime lente e amarissime calavano giù per la pelle raggrinzita, tutto finiva miseramente e non restava più nulla da dire."

(Dino Buzzati - Il deserto dei Tartari)

 

 

Come una cattedrale nel deserto, compare all'orizzonte. Imprendibile e mastodontico, forse è uno di quei miraggi che accecavano i carovanieri in cerca di un approdo sicuro. Difficilmente si potrebbe immaginare un luogo di confine più estremo. Da lontano le mura possenti sembrano quasi scogliere a picco su un mare di sabbia contro il quale niente può oltre che infrangersi: lungo quelle mura, sui bastioni, immagino attese infinite. Attraverso una porta, un'altra, un'altra ancora, sempre più al cuore di questo luogo, dove il vento soffia tra vicoli stretti e labirintici protetti dall'ombra, la sabbia stessa si fa pietra e potenza, e tra animali motociclette e pure qualche tuctuc, ogni colore attinge all'intensità abbagliante del sole. Si proietta sui muri, sulle stoffe che ondeggiano al vento, sugli oggetti tessuti ed i gioielli che brillano da vetrine cha altro non sono che banconi proiettati sulla strada. E tra parapetti improvvisi o scalinate nascoste, si ergono templi su templi, letteralmente uno sull'altro, connessi da passaggi bui e corridoi stesi sopra la strada, sculture finissime che filtrano quella stessa luce, dove l'ombra prende forma improvvisa, e canti rieccheggiano da una stanza lontana, su quello stesso alito che anima bandierine colorate sospese al soffitto. Qui il deserto lambisce la tradizione dei maharaja, l'epopea dei cavalieri Rajput, l'arte sottile dei mercanti: qui ogni cosa si fonde con un infinito che proviene da lontano ed il tempo rallenta fino a scorrere impercettibilmente.

 

 

Sono sceso dalla collina, ho varcato l'ultima porta e sono uscito scendendo per una delle tante stradine che si diramano nel labirinto che avvolge il forte. Il deserto che lo lambiva, oggi, è più lontano. Rivoli d'acqua, ombre che si allungano a neutralizzare il calore del giorno e vecchie case padronali nascoste dietro una porta socchiusa. Sono sceso, verso il lago. Oltre il mercato, un misto di motociclette selvagge, animali rassegnati e carretti sui lati. Improvvisamente, tutto rimane alle spalle, quando non resta che una stradina polverosa che quasi sembra una via di mezzo tra una passeggiata ed pellegrinaggio. E su un'acqua dorata, dove al largo piccoli templi sembrano fluttuare  come isole scampate ad un'alluvione, uomini e donne offrono fiori e cibo rivolti ad un sole che rende d'oro i loro profili. Senza saperlo, questo é un giorno particolare. Dove chi offre doni, incensi e canzoni all'acqua si mescola a chi esplode ancora i petardi per il passato Diwali. Ancora una volta, come se letteralmente non ci fosse abbastanza spazio, assisto a questa lotta e fusione continua di aspetti tanto diversi della vita. Per me é una nuova inaspettata esplosione di colori, un'immersione rinnovata in quell'India profonda che solo qualche giorno fa mi aveva rapito. Comunque intensa. Solo, più leggera nell'animo e nelle cose.

 

 
 
 

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Post n°599 pubblicato il 05 Febbraio 2016 da enodas

 

 

Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (2)

16,17 Novembre

 

 

Viaggiamo verso ovest, e verso il confine. Sempre più di frequente, ai lati della strada si riconoscono ingressi nascosti a basi militari. Una tensione silenziosa lentamente cresce, lungo questa strada che non è altro che una linea semidritta lanciata nel deserto. Il nostro guidatore mostra sul ciglio i cavi che arrivano alle varie basi disperse qua e là. Questo territorio, cui sono rimaste in dote dalla Storia povertà ed arretratezza, è luogo strategicoe di confine. Anche se la linea di separazione col Pakistan rimane un'entità lontana. L'esercito è potente e temuto, oltre ad essere una carriera remunerativa. Per me, l'immagine più bella e ripetitiva è scorgere gruppi di bambini lungo la strada che, a volte anche vestiti delle loro uniformi appena accennate, si dirigono a scuola.
Il nostro guidatore, che viene dalle montagne del nord, un luogo che tutti gli Indiani che ho incontrato e che sono nativi di là raccontano come un mondo diverso e più gentile del resto del Paese ci narra anche del suo amore per le piante e la natura. Accosta la macchina, di tanto in tanto riconosce un arbusto, ne raccoglie i frutti. E per ognuno ci spiega l'uso terapeutico, il sapore, e le sue preferenze. Il suo amore per queste cose semplici e vitali è profondo e sincero, così come il desiderio di condividerlo con noi. A volte quasi frena di colpo, perchè il suo occhio allenato ha scorto dietro un paesaggio arido e stepposo il movimento di un animale o la traccia di un'attività umana. E poi riparte, lungo una linea che sembra infinita.

 

 

Narra la storia che un giorno il governatore di Jaisalmer, uomo potente e crudele giunse qui, in questo angolo di deserto che mutava in oasi. Assetato, si riposò nelle vicinanze di un pozzo e ricevette da bere da una ragazza del posto. L'uomo rimase colpito dalla bellezza della ragazza. Ne chiese la mano, ma la ragazza rifiutò. Il governatore si trovò nudo del proprio potere, ma non della propria arroganza. Andò dal padre, mostrando la stessa richiesta e, ricevuto un rifiuto, si diresse al capo del villaggio, al quale la propria richiesta si trasformò in ordine: se non avesse avuto in sposa la ragazza entro tre giorni, il villaggio sarebbe stato cancellato come un disegno sulla sabbia del deserto ed i suoi abitanti, pastori e mercanti, sarebbero stati sterminati. La notte scese e solo il cielo illuminava la terra. Gli abitanti del villaggio si prepararono e silenziosi come il vento, invisibili come le done, si mossero e sparirono, lasciando abbandonato il loro villaggio.
Pietra calcarea, case fresche ed areate. Nelle pareti, sul pavimento, si scovano ancora le buche dove veniva conservato il cibo o dove venivano nascosti i denari. Non rimane altro che una lunga rovina, un labirinto di pietre che accennano strade ed edifici in ogni direzione, oltre le volute eleganti di una finestra scolpita. L'acqua si è ritirata. E chissà che di notte qui non si aggirino spettri danzanti sulle note di un flauto suonato da un imbonitore randagio. Solo qualche pastore cammina lungo la strada sterrata che conduce fino a qui, magari varca la soglia che era la porta d'accesso al villaggio. In cerchio le pecore si raggruppano al centro della strada, testa contro testa. Una scena comica e curiosa. E come ogni leggenda, anche le loro orme vengono cancellate dalla sabbia del deserto.

 

 

Credo che conterò le stelle. Nel silenzio che accompagna questo buio profondo, nel quale voglio andare alla deriva, lo sguardo non fa altro che lasciarsi catturare dalla tela infinita che lo sovrasta. Magari, semplicemente, le osserverò. Magari, anche, ogni tanto muoverò le braccia, per disegnare qualche figura che riesco a riconoscere, cercando di afferrare l'infinito. Cercando a tutti i costi di non lasciare che gli occhi si chiudano, cedendo alla stanchezza. Perchè so che questa notte soltanto potrò gioire di tanta bellezza. Lentamente, l'aria diventa più fredda, quasi pungente, e coperta dopo coperta so che serviranno tutte per la notte. Rannicchiato, non resta che il volto esposto al deserto. Con la mano tasto un'ultima volta la sabbia ormai fredda. Silenzio. E qualche rumore lontano, remoto, come se non appartenesse al mio mondo. Illusione. A tratti, mi sembra di udire il suono della legna che brucia, piccole sterpi strappate al deserto per accendere una luce e rubare un alito di calore, dietro una duna. Ed ancora più lontano, crepita un fuoco alto attorno cui ci si riunisce tastando un bicchiere di chai e si viene risucchiati in un giro di danza, movimenti vorticosi mantenendo un equilibrio precario, veloci come le scintille che salgono attorno alla fiamma. Sovrappongo immagini, una dopo l'altra, tante e così intense, che raccolgo, dalla giornata che si sta consumando, dai giorni passati, dalla mia vita. In ordine sparso, come una catena le cui maglie conservano una legge indecifrabile ed imprevedibile. E mi lascerò sciogliere in un tenero abbraccio, che mi riscaldi come fiamma di fuoco; e, come una canzone lontana, una voce mi cullerà dolcemente su note sconosciute, parole incomprensibili accompagneranno i miei occhi a chiudersi.

 

 

Don't ask from where I have come
My home is far, far away
Why do you wander so far
Wander so far,
wander so far

For the little bird flying in the sky
For the blue brook running in the mountain
For the broad meadow green and wide
I wander, wander so far

Then, is there more?
Yes, for the Olive tree of my dream
Don't ask from where I have come
My home is far, far away
Why do you wander?
Why do you wander so far?
Far, far away
For the Olive tree of my dream

Don't ask from where I have come
My home is far, far away
Why do you wander so far
Wander so far, wander so far

 

 

 
 
 

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Post n°598 pubblicato il 02 Febbraio 2016 da enodas

 

 

Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (1)

14,15 Novembre

 

 

Cambio di direzione e cambio di paesaggio. Sento che é come se avessi oltrepassato una cima ed in qualche modo fossi un po' più protetto. Un po' perché da oggi non viaggerò più solo, un po' perché il profilo del viaggio di conseguenza é cambiato, sia perché nei prossimi giorni ci sarà qualcuno a guidare per noi ed in qualche modo a seguirci di lontano. Verso ovest. E' come se, idealmente, si ergessero dei portono da aprire e scavalcare. Ancora una volta, un volto nuovo di un mondo dalle infinite sfaccettature. Ad accompagnarmi, petali sospesi su vasche d'acqua, il colore della sabbia ed il suono delicato del flauto di una divinità hindu: mi accoglie, la sera, dentro la corte interna di una casa colma di decorazioni ed una camera da letto che pare una fiaba.
Lentamente, il paesaggio muta in deserto, una sottile lineanera che si inoltra tra colline sempre più colme di sabbia, arbusti spazzati dal vento e laghetti nascosti come piccole oasi cui aironi bianchi giungono a dissetarsi. E lentamente, caselli di blocco sorgono sulla strada, e lungo di essa compaiono villaggi e piccole cittadine che in poco tempo esplodono in un caos totale di traffico, polveri e suoni, prima di scomparire altrettanto veloci avvolte nella scia della macchina. E lungo la strada, gradualmente, compaiono cammelli, carretti, motociclette allo sbaraglio e bambini con grembiule e cartella che allegramnte saltellano sul ciglio: il loro sorriso passa, come un lampo, incrociati dal finestrino di un'automobile.

 

 

Di qui passavano merci e ricchezze: sugli stessi muri, in colori vivi, riemerge il periodo d'oro dei commercianti e dei palazzi di questo luogo. Mentre il sole tramonta lontano, e la sabbia acceca un po' meno. La stessa che su quei colori ha depositato l'impronta del tempo. Animali del deserto, divinità indiane, scene di vita. Venezia, addirittura, come era stata impressa sulle tele di Canaletto. E forse fin da lì arrivavano, carovanieri, animali e tesori, sfidando la natura e la distanza, davanti ad una palla di fuoco. Portavano oro, tessevano relazioni fini come i tessuti caricati sulle groppe degli animali, e proseguivano, sempre più ad est.
Sembra che parlino, i dipinti degli haveli: lo scalpiccio degli animali, la voce della gente, a volte anche le prime voci della modernità. Ma nell'aria fili di piccoli elefanti sospesi a mo' di cortina tintinnano nell'ombra ed augurano il benvenuto. Una donna anziana col braccio lentamente invita ad entrare. In queste case si vive ancora, talvolta con la consapevolezza del valore artstico e storico che rappresentano, a volte abbandonati ed abusati. Oltre la soglia, qualcuno di quei tessuti preziosi in penombra, o magari un odore intenso, di trascurato e di antico, ed arcate bianche di luce.
E' come se il deserto avesse trasportato intatto un frammento del passato. E come frammenti di onde, si infrangono dinanzi mura alte e possenti, oltre le quali si celano le eleganti decorazioni di palazzi e protettorati, sovrapposizione di profili di torri e di guglie, uno dietro l'altro, e piccole isole attorno cui tutto il resto rimane praticamente indifferente. Non lontano da ciò che ho raccolto negli occhi. Solo, il sole tramonta con un altro colore alle falde del deserto.

 

 

 
 
 
 
 

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