EnodasIl mio mondo... |
... " Non si conoscono che le cose che si addomesticano", dissela volpe." gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" ...
... "Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo",disse la volpe.
"Ma allora ch eci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
soggiunse: "Va a rivederele rose. Capirai che la tua è unica al mondo". ...
... "Addio",disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa…" sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…"
Tutte le foto contenute in questo blog, se non specificato diversamente, sono mie e come tali sono protette da diritto d'autore. Rappresentano un momento, un istante, un'idea un'emozione.
Ho costruito un sito per raccoglierne alcune, e condividere una passione nata e cresciuta negli ultimi anni. Il sito é raggiungibile cliccando l'immagine qui sotto:
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ultimo aggiornamento: 20 Febbraio 2014
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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura
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Messaggi di Febbraio 2016
Post n°606 pubblicato il 29 Febbraio 2016 da enodas
Donna di successo ed abissi di profonda solitudine. Questa frase, estratta da qualche parte in uno dei pannelli esplicativi, ritorna espresso in continuazione. Davvero cerchiamo il lato oscuro e tormentato dietro al genio che si eleva sopra noi persone comuni, o é il genio creativo ad esigere una qual forma di tormento per esistere?
Quello che ne esce é un percorso avvincente ed una storia complicata quanto affascinante, dove arte e vita si intrecciano. Una vita fatta di splendore, cosmopolitismo e ricchezza, ostentata al pubblico come parte di un personaggio che era e rimane icona, dove l'identità artistica veniva di proposito sovrapposta all'immagine della nobile femme fatale.
"Erano altri tempi ed era estremamente difficile per una donna essere riconosciuta come un’artista. I critici dell’epoca preferivano concentrarsi sui miei modi eccentrici di vivere la vita."
"Apre a Verona la grande mostra monografica dedicata a Tamara de Lempicka, una delle artiste del Novecento più amate e seguite dal grande pubblico. [...] la mostra racconta l’eccezionale avventura artistica di Tamara attraverso 200 opere tra olii, disegni, fotografie, acquerelli, video e abiti. Il percorso dell’esposizione, in ordine cronologico, parte dalle opere parigine degli anni ‘20 e arriva all’ultima produzione degli anni ‘50 del Novecento. Durante il percorso sono analizzati i rapporti tra la sua arte e i linguaggi della fotografia e della moda – a cui è dedicata un’intera sezione – ed è raccontata la sua capacità di rappresentare la vita moderna attraverso dipinti che sono diventati icone; è infine evidenziato l’aspetto di una donna-artista che impone una figura femminile nuova, emancipata, disinibita e libera, del tutto rivoluzionaria per il suo tempo. In mostra anche i notissimi quadri “scandalosi” raffiguranti le amanti di Tamara, e i nudi pieni di sensualità per cui è conosciuta in tutto il mondo. (dall'Introduzione alla mostra)
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Post n°605 pubblicato il 25 Febbraio 2016 da enodas
E' un film senza immagini... é musica, musica soltanto, le immagini risalgono negli occhi nascoste tra le note, perché in molti casi prima o poi é capitato di vederle. E allora, restano solo le note, tracciate nell'aria dal disegno lento della bacchetta di chi le ha concepite. Melodie attese, melodia sconosciute, melodie che non verranno suonate stasera. Sessant'anni di musica, e se ogni composizione, ogni canzone, é una storia, una colonna sonora é una storia, la sinfonia, unita ad un'altra storia, quella della pellicola. E' come se due emozioni si sovrappongano. E le immagini di un cinema lontano, tagli di pellicola ed una sala vuota non riemergono per caso... So che in un certo senso mi sento orgoglioso, per questa bellezza, e per una sottile linea di demarcazione che interpreta le emozioni. Ma, soprattutto, so che ci sono note, melodie che tanto sono distese che implicitamente allunghi la mano, quasi volendole afferrare, trattenere e rendere concrete quelle note nascoste, in qualche modo, lasciarle sgorgare in un canto libero e desiderare di arginarle perché vorresti non arrivasse fine alla partitura. Aggrapparle all'anima, in qualche modo.
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Post n°604 pubblicato il 20 Febbraio 2016 da enodas
Sognatore e' chi trova la sua via alla luce della luna...
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Post n°603 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da enodas
Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (6) 23,24 Novembre
Probabilmente, non era come mi aspettavo. Il caos, le dimensioni, il traffico, hanno il sopravvento. Ed anche una piantina che dovrebbe essere semplice si trasforma in un labirinto senza uscita. Strade semideserte si alternano ad ingorghi pazzeschi, e di linea in linea si estendono bazaar di ogni tema. Per me, camminare a Jaipur, al città rosa e vertice del triangolo d'oro é semplicemente una sensazione diversa,ed un po' lontana, forsa anche leggermente stanca, dagli ultimi giorni. Nel caos di cui scopro soltanto una piccola parte, non ritrovo un'anima, né il fascino di un appellativo, né la lucentezza delle gemme per le quali é famosa. Forse, sto semplicemente rientrando in un altro mondo. E chissà se nella sera, come gemme, le stelle si rispecchiano sui grandi strumenti astronomici costruiti sulla terra, magari si allineano, in un dettame magico che unisce due mondi simmetrici, ed il potere con l'immensità.
Attendo, ancora. So che si leveranno in volo, volteggeranno seguendo una traiettoria invisibile e primordiale, ed ancora si fermeranno. Il caldo del deserto arriva fino a qui, alla base di queste mura, dove l'acqua rimane immobile, stagnante, ed in lontananza c'é chi vi si immerge, c'é chi la attraversa a bordo di un'imbarcazione. Possente, enorme, incastonata sulla roccia di cui é la continuazione: é una fortezza che pure ha il nome di una pietra purissima. Una porta, un'altra, a cercare un riparo dal sole, mentre ogni gradino é una scalata. Dietro, si nasconde un labirinto ingovernabile di corridoi, stanze, connessioni tra piani differenti. Stanze dalle quali il deserto appare incorniciato entro disegni ogni volta differenti e dall'esterno non giunge che l'alito dell'aria, ed edifici che da soli sono un libro intero di disegni le cui pagine sono plasmate nella pietra. Ed ancora, scendo nel ventre della terra, lungo corridoi segreti che collegano castelli a castelli, nel cuore della montagna, attraverso un buio sinistro interrotto da sibilo dei pipistrelli. Odore acro, scale che riemergono in superficie. Dove uno stormo di uccelli, tra poco , spiccherà un nuovo volo.
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Post n°602 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da enodas
Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (5) 21,22 Novembre
Città della gioia. Così, d'improvviso, sceso dall'auto, mi salta di nuovo in mente questa espressione, come se due parole bastassero a rendere conto di un'immagine che é il sentire di un'emozione. E come l'altra volta, la prima reazione é quasi di rigetto, un'ansia profonda, quasi uno sbattere contro questa marea di colore, voci, rumori, sensazioni. Perché ogni passo é come la percussione entro una cassa di risonanza dove i sensi improvvisamente ricevono un numero straordinario di segnali. Così, quasi in apnea, percorro per la prima volta la strada del paese, un'unica linea avvolta a ferro di cavallo attorno ad un lago sacro, talmente sacro da intimidire l'accesso al mio occhio profano, che scorge quasi rubando istanti di immagini, intraviste attraverso le aperture tra gli edifici, scalinate, accessi, ai cui lati siedono mendicanti, venditori di fiori, uomini santi veri e presunti, pellegrini che si preparano, stradine, che trovano la loro via verso l'acqua. Mani protese ad offrire una benedizione ed un segno sulla fronte, chi corone di fiori, chi a chiedere direttamente soldi. Per cento, per mille, in questi giorni che moltipplicano la popolazione della cittadina. Luce del giorno si riflette su bracciali di metallo impilati, e stoffe, vestiti, pezze, ondeggiano ad una brezza di vento. Arrivato, a Pushkar.
Attorno a queste date ho disegnato linee e scritto orari su una mappa stropicciata. Per essere qui, sì, quando una cittadina tranquilla sorta su un luogo sacro alla tradizione induista esplode improvvisamente e le sue dimensioni arrivano a raggiungere connotazioni epiche. Sono giunti da lontano, alcuni, o forse neanche troppo, altri. Comunque, tutti da dietro una linea sottile e monotona che distingue il cielo dalla terra, bianco abbagliante il primo, vermiglio rovente la seconda. Dal deserto, carri, carretti e pickup. Carovane intere, di uomini, donne e famiglie di intere generazioni, che compaiono a comporre un gigantesco formicaio, o un affresco, se si preferisce, in groppa alle loro navi animali che indolenti ed infaticabili solcano la sabbia. La fiera dei cammelli prelude ad un evento sacro, quando la prossima settimana i bazaar non saranno nemmeno più un'impronta lasciata sulla sabbia e le voci si uniranno in un solo canto di preghiera in riva al lago. Ma quello che va in scena adesso é un surrogato di vita e curiosità, personaggi curiosi, incantatori di serpenti, equilibristi, venditori e figure danzanti che si perde nell'aria fitta di sabbia e nei colori intrisi del tramonto. Salito su una collina, ogni passo affondava nella sabbia, ho lasciato che questo calderone ribollisse sotto i miei occhi, come una pentola sospesa su un fuoco precario, nascosta in uno sbuffo di fumo, dietro un cespuglio di rovi agitati per ravvivare la fiamma.
Rumori per strada. E d'improvviso quella che é un passaggio stretto é stato invaso da una processione di maschere, divinità e carri votivi, fedeli e peregrini. E, sempre d'improvviso, dalle strade laterali e dai negozi si precipita la gente con bottiglie d'acqua, biscotti e piccole razioni di cibo, quasi in competizione in questa celebrazione collettiva che come il rigurgito di un fiume inonda la strada di musica e canti. E colore, sì, ancora una volta, ciò che arriva ai miei sensi di una sensazione incredibile di unione collettiva, fusione di anime e di sentire, alla quale assisto, spettatore sconosciuto, entro la quale mi immergo, lasciando che gli occhi ne escano colmi. Non so raccontare queste sensazioni.
Ci sono tante cose dietro un'immagine. Riguardando questa foto sono risalito sul fianco di una collina e ad un certo punto mi sono fermato. Non tutto si vede. Le donne che defilate osservavano i cammellieri a poca distanza stavano per alzarsi dopo essere esplose in una risata. Da destra, un signore di mezza età con cappello da cowboy saliva quasi annaspando, mentre sulla sinistra una coppia di musicisti itineranti scendevano accompagnati dalle loro note un po' sbraitate, un po' ammassate. Ma soprattutto, oltre il profilo dei cammelli il tempo scorreva e come un faro al declino, incandescente, il sole illuminava le ombre. Ora della cena, improvvisata su un fuoco acceso sì con sapienza, ma che aggiungeva fumo e nebbia all'aria densa. Un'aria che era intrisa di polvere, quella sollevata dagli zoccoli dei cammelli che si impennavano all'ordine dei loro padroni, in una scena quasi crudele, vista dall'esterno, dove una zampa era legata al corpo e l'animale saltava prima di arrendersi alla mancanza di un appoggio naturale. E gli uomini col turbante, seduti immobili ed allineati davanti ad una teiera ammaccata, proiettavano il loro sguardo oltre le linee del paesaggio ed i solchi dei loro volti.
Tutto il mio essere ruota
Ho cercato di alzarmi presto, per poter gettare un ultimo sguardo. Ma soprattutto per riosservare un mondo con occhi nuovi. Perché la calma del primo mattino si esprime nelle melodie cantate ed in geti colmi di significato quanto di silenzio. Mi sono seduto sui gradini, a distanza di due suonatori. Ho immaginato che le note, fisicamente, si riflettessero sulle increspature dell'acqua. La mattina é mite, l'aria fresca, e tutto sembra immerso in una sensazione di pace che sembra inimmaginabile a distanza di poche ore. Ho gettato un ultimo sguardo, che durasse un'infinità, e pensato che in un certo senso questa era l'ultima immagine selvaggia che avrei potuto raccogliere. Come quando, anche se non é ancora ora di tornare, senti che il viaggio sta terminando.
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Post n°601 pubblicato il 14 Febbraio 2016 da enodas
Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (4) 18,19,20 Novembre
Una città blu, una città bianca. Nel mezzo, chilometri di strada tortuosa, templi candidi scolpiti in ogni possibile centimetro ed una fortezza che quasi sembra una grande muraglia. La terra dei Maharaja é anche il colore di una città, che osservata la sera si stende in un labirinto di implacabile magia. Da quell'intrico senza fine salgono i rumori insistenti del traffico e della vita indiana. Non importa quasi più che si tratti di motociclette, tuctuc, cani, vacche o elefanti: sai che anche una strada che sembra quasi un passaggio può portare ad incontri inaspettati. A volte, mi ci perdo letteralmente dopo pochi passi, sovrastato dai rumori, un po' di tensione, le mille sensazioni che mi raggiungono in continuazione. Altre volte mi fermo ad osservare dall'alto di una finestra, protetta magari da una di quelle griglie di pietra decorate ognuna secondo un disegno proprio, che nascondeva le donne del palazzo alla vista. Nelle pietre tagliate quasi mi specchio, cercando di immaginare un potere antico e quasi sovrannaturale, dove donne si spingevano all'immolazione sulla pira del principe dopo aver impresso la propria impronta su quella stessa pietra, e dove i cavalieri Rajput, conosciuti in tutto il regno, combattevano con onore feroce. Frame di film o disegni di libri da romanzi che terribilmente contrastano con tutto quanto é là fuori, oltre pochi passi. Tanto da non sapere a cosa credere.
Ospitaltà ed amore per la terra. Il secondo é quello del nostro guidatore, che accosta sulla strada in un villaggio qualsiasi, a mostrarci una pianta che restituisce un frutto dalla forma curiosa e dal sapore dolcissimo. Una prelibatezza che é quasi una rarità, tanto sono ristretti il tempo e la regione in cui cresce. L'ospitalità é quella di una famiglia di piccoli agricoltori, le cui donne prima ci guardano incuriositi, e poi ci offrono una manciata di questi frutti raccolti. Accettare la loro ospitalità é un onore che quasi mi neutralizza per la sua genuinità, varcare la soglia della loro casa ed entrare nel loro mondo é un contatto semplice e profondo che mi viene concesso. Attraverso gli animali, le piante, i frutti, le fasce di rami raccolti trasportati sulla schiena lungo la via da chissà quali campi oltre il villaggio verso casa, tutto confinato dietro un muretto eretto artigianalmente, che dalla macchina non era altro che il ciglio della strada.
Udaipur é in un certo senso un altro punto di riposo. Un po' perché adagiata su un lago la parte vecchia quasi mi riporta ad una dimensione più umana, un po' perché forse mi concedo il tempo di un respiro, o perché il modo in cui vi arrivo é quasi un approdo. O forse sarà pure per un luogo che porta il nome del Piccolo Principe. Raramente, in questi giorni, ho questa sensazione di respiro. L'acqua ha sempre questo effetto, in qualche modo, di calmare le emozioni. Saranno i riflessi, il moto leggero e continuo, il rumore dell'acqua. So che vorrei fermarmi di più. Ad osservare macchie di colore variare in continuazione sulla superficie del lago, osservare un passo di danza, o guardare in lontananza, isole in controluce e profili sfumati di montagne in lontananza. E magari, perché no, aspettare nuovamente il tramonto, quando a riva qualche uomo si immerge e delle donne giungono coi bambini a lavare i panni, mentre sull'acqua famiglie di pescatori si spingono un po' più in là e gettano magre le loro reti.
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Post n°600 pubblicato il 10 Febbraio 2016 da enodas
Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (3) 17 Novembre
"L'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita. "Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita. "Gli parve che la fuga del tempo si fosse fermata, il mondo ristagnava in una orizzontale apatia e gli orologi correvano inutilmente. La strada di Drogo era finita; eccolo ora sulla solitaria riva di un mare grigio e uniforme. [...] Gli occhi di Drogo fissavano come non mai le giallastre pareti della fortezza. Lacrime lente e amarissime calavano giù per la pelle raggrinzita, tutto finiva miseramente e non restava più nulla da dire." (Dino Buzzati - Il deserto dei Tartari)
Come una cattedrale nel deserto, compare all'orizzonte. Imprendibile e mastodontico, forse è uno di quei miraggi che accecavano i carovanieri in cerca di un approdo sicuro. Difficilmente si potrebbe immaginare un luogo di confine più estremo. Da lontano le mura possenti sembrano quasi scogliere a picco su un mare di sabbia contro il quale niente può oltre che infrangersi: lungo quelle mura, sui bastioni, immagino attese infinite. Attraverso una porta, un'altra, un'altra ancora, sempre più al cuore di questo luogo, dove il vento soffia tra vicoli stretti e labirintici protetti dall'ombra, la sabbia stessa si fa pietra e potenza, e tra animali motociclette e pure qualche tuctuc, ogni colore attinge all'intensità abbagliante del sole. Si proietta sui muri, sulle stoffe che ondeggiano al vento, sugli oggetti tessuti ed i gioielli che brillano da vetrine cha altro non sono che banconi proiettati sulla strada. E tra parapetti improvvisi o scalinate nascoste, si ergono templi su templi, letteralmente uno sull'altro, connessi da passaggi bui e corridoi stesi sopra la strada, sculture finissime che filtrano quella stessa luce, dove l'ombra prende forma improvvisa, e canti rieccheggiano da una stanza lontana, su quello stesso alito che anima bandierine colorate sospese al soffitto. Qui il deserto lambisce la tradizione dei maharaja, l'epopea dei cavalieri Rajput, l'arte sottile dei mercanti: qui ogni cosa si fonde con un infinito che proviene da lontano ed il tempo rallenta fino a scorrere impercettibilmente.
Sono sceso dalla collina, ho varcato l'ultima porta e sono uscito scendendo per una delle tante stradine che si diramano nel labirinto che avvolge il forte. Il deserto che lo lambiva, oggi, è più lontano. Rivoli d'acqua, ombre che si allungano a neutralizzare il calore del giorno e vecchie case padronali nascoste dietro una porta socchiusa. Sono sceso, verso il lago. Oltre il mercato, un misto di motociclette selvagge, animali rassegnati e carretti sui lati. Improvvisamente, tutto rimane alle spalle, quando non resta che una stradina polverosa che quasi sembra una via di mezzo tra una passeggiata ed pellegrinaggio. E su un'acqua dorata, dove al largo piccoli templi sembrano fluttuare come isole scampate ad un'alluvione, uomini e donne offrono fiori e cibo rivolti ad un sole che rende d'oro i loro profili. Senza saperlo, questo é un giorno particolare. Dove chi offre doni, incensi e canzoni all'acqua si mescola a chi esplode ancora i petardi per il passato Diwali. Ancora una volta, come se letteralmente non ci fosse abbastanza spazio, assisto a questa lotta e fusione continua di aspetti tanto diversi della vita. Per me é una nuova inaspettata esplosione di colori, un'immersione rinnovata in quell'India profonda che solo qualche giorno fa mi aveva rapito. Comunque intensa. Solo, più leggera nell'animo e nelle cose.
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Post n°599 pubblicato il 05 Febbraio 2016 da enodas
Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (2) 16,17 Novembre
Viaggiamo verso ovest, e verso il confine. Sempre più di frequente, ai lati della strada si riconoscono ingressi nascosti a basi militari. Una tensione silenziosa lentamente cresce, lungo questa strada che non è altro che una linea semidritta lanciata nel deserto. Il nostro guidatore mostra sul ciglio i cavi che arrivano alle varie basi disperse qua e là. Questo territorio, cui sono rimaste in dote dalla Storia povertà ed arretratezza, è luogo strategicoe di confine. Anche se la linea di separazione col Pakistan rimane un'entità lontana. L'esercito è potente e temuto, oltre ad essere una carriera remunerativa. Per me, l'immagine più bella e ripetitiva è scorgere gruppi di bambini lungo la strada che, a volte anche vestiti delle loro uniformi appena accennate, si dirigono a scuola.
Narra la storia che un giorno il governatore di Jaisalmer, uomo potente e crudele giunse qui, in questo angolo di deserto che mutava in oasi. Assetato, si riposò nelle vicinanze di un pozzo e ricevette da bere da una ragazza del posto. L'uomo rimase colpito dalla bellezza della ragazza. Ne chiese la mano, ma la ragazza rifiutò. Il governatore si trovò nudo del proprio potere, ma non della propria arroganza. Andò dal padre, mostrando la stessa richiesta e, ricevuto un rifiuto, si diresse al capo del villaggio, al quale la propria richiesta si trasformò in ordine: se non avesse avuto in sposa la ragazza entro tre giorni, il villaggio sarebbe stato cancellato come un disegno sulla sabbia del deserto ed i suoi abitanti, pastori e mercanti, sarebbero stati sterminati. La notte scese e solo il cielo illuminava la terra. Gli abitanti del villaggio si prepararono e silenziosi come il vento, invisibili come le done, si mossero e sparirono, lasciando abbandonato il loro villaggio.
Credo che conterò le stelle. Nel silenzio che accompagna questo buio profondo, nel quale voglio andare alla deriva, lo sguardo non fa altro che lasciarsi catturare dalla tela infinita che lo sovrasta. Magari, semplicemente, le osserverò. Magari, anche, ogni tanto muoverò le braccia, per disegnare qualche figura che riesco a riconoscere, cercando di afferrare l'infinito. Cercando a tutti i costi di non lasciare che gli occhi si chiudano, cedendo alla stanchezza. Perchè so che questa notte soltanto potrò gioire di tanta bellezza. Lentamente, l'aria diventa più fredda, quasi pungente, e coperta dopo coperta so che serviranno tutte per la notte. Rannicchiato, non resta che il volto esposto al deserto. Con la mano tasto un'ultima volta la sabbia ormai fredda. Silenzio. E qualche rumore lontano, remoto, come se non appartenesse al mio mondo. Illusione. A tratti, mi sembra di udire il suono della legna che brucia, piccole sterpi strappate al deserto per accendere una luce e rubare un alito di calore, dietro una duna. Ed ancora più lontano, crepita un fuoco alto attorno cui ci si riunisce tastando un bicchiere di chai e si viene risucchiati in un giro di danza, movimenti vorticosi mantenendo un equilibrio precario, veloci come le scintille che salgono attorno alla fiamma. Sovrappongo immagini, una dopo l'altra, tante e così intense, che raccolgo, dalla giornata che si sta consumando, dai giorni passati, dalla mia vita. In ordine sparso, come una catena le cui maglie conservano una legge indecifrabile ed imprevedibile. E mi lascerò sciogliere in un tenero abbraccio, che mi riscaldi come fiamma di fuoco; e, come una canzone lontana, una voce mi cullerà dolcemente su note sconosciute, parole incomprensibili accompagneranno i miei occhi a chiudersi.
Don't ask from where I have come For the little bird flying in the sky Then, is there more? Don't ask from where I have come
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Post n°598 pubblicato il 02 Febbraio 2016 da enodas
Chapter 4 - The Maharaja's Land and the Silk Road (1) 14,15 Novembre
Cambio di direzione e cambio di paesaggio. Sento che é come se avessi oltrepassato una cima ed in qualche modo fossi un po' più protetto. Un po' perché da oggi non viaggerò più solo, un po' perché il profilo del viaggio di conseguenza é cambiato, sia perché nei prossimi giorni ci sarà qualcuno a guidare per noi ed in qualche modo a seguirci di lontano. Verso ovest. E' come se, idealmente, si ergessero dei portono da aprire e scavalcare. Ancora una volta, un volto nuovo di un mondo dalle infinite sfaccettature. Ad accompagnarmi, petali sospesi su vasche d'acqua, il colore della sabbia ed il suono delicato del flauto di una divinità hindu: mi accoglie, la sera, dentro la corte interna di una casa colma di decorazioni ed una camera da letto che pare una fiaba.
Di qui passavano merci e ricchezze: sugli stessi muri, in colori vivi, riemerge il periodo d'oro dei commercianti e dei palazzi di questo luogo. Mentre il sole tramonta lontano, e la sabbia acceca un po' meno. La stessa che su quei colori ha depositato l'impronta del tempo. Animali del deserto, divinità indiane, scene di vita. Venezia, addirittura, come era stata impressa sulle tele di Canaletto. E forse fin da lì arrivavano, carovanieri, animali e tesori, sfidando la natura e la distanza, davanti ad una palla di fuoco. Portavano oro, tessevano relazioni fini come i tessuti caricati sulle groppe degli animali, e proseguivano, sempre più ad est.
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